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Autore: Feel Good Inc    06/03/2010    13 recensioni
[Seconda classificata nel contest "Death's waiting you" di Globulo rosso; vincitrice del "Premio Fan!"]
Vedi la morte ovunque. In tv, sui giornali, nei vicoli bui e marci; i media prosperano sulla morte e sull’impatto che essa ha, immancabilmente, sulla gente.
La vedi, ne senti parlare, e impari a conviverci. Impari ad accettare che lei esiste.
Un giorno, poi, trovi un quaderno strano, e allora la
padroneggi addirittura.
Ma all’improvviso entri in un capannone abbandonato, e la trovi là che aspetta
te.
E allora, solo allora, di colpo, morire ti appare un’idea inconcepibile.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Light/Raito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pubblico questa shot mentre la mia tastiera si allaga per via delle mie lacrime. ç////ç Essere arrivata seconda in un contest su Death Note è per me un onore, un merito, una lusinga, soprattutto se si considera che conosco da così poco tempo questo fandom, e che questo era soltanto il secondo contest cui partecipavo.

Ringrazierò all’infinito Globulo rosso e il suo “Death’s waiting you”, grazie a cui sono riuscita a trovare l’ispirazione giusta per questa cosuccia che volevo scrivere da tempo e, soprattutto, ho vinto una sfida con me stessa.

E grazie, ovviamente, a chiunque vorrà leggerla. <3

CREDITS: La canzone che accompagna il testo è La guerra di Piero di Fabrizio de Andrè

 

 

 

falleN ~

Canzone di guerra [persa]

 

 

 

 

 

 

 

Dormi sepolto in un campo di grano

Non è la rosa, non è il tulipano

Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi

Ma sono mille papaveri rossi

 

 

 

Light Yagami sta morendo.

Non ha bisogno di vedere scritto il proprio nome sul quaderno del dio della morte per saperlo. Non ha bisogno di soffermarsi sulle ferite che gli percorrono il corpo per prevederlo.

Se lo sente là, un nodo certo e fisso, in quel punto che gli esseri umani chiamano cuore.

Mero organo vitale o centro dell’anima che sia.

 

 

Respira piano, Yagami,          [ormai non c’è più fretta]

e ascolta il suo stesso sangue sgocciolare via dal corpo martoriato          [porre fine a quel circolo insensato ed inutile]

e la sua stessa vita sfuggirgli di mano          [la mano giustiziera che forse non ha mai stretto davvero qualcosa.]

 

 

Ascolta e respira e aspetta, neanche lui sa che.

E morire gli appare inconcepibile.

Una piccola parte di lui ha quasi voglia di sorridere. C’è dell’ironia, in tutto questo. Ed anche del sadico. Un po’.

 

 

Vedi la morte ovunque. In tv, sui giornali, nei vicoli bui e marci; i media prosperano sulla morte e sull’impatto che essa ha, immancabilmente, sulla gente.

La vedi, ne senti parlare, e impari a conviverci. Impari ad accettare che lei esiste.

Un giorno, poi, trovi un quaderno strano, e allora la padroneggi addirittura.

Ma all’improvviso entri in un capannone abbandonato, e la trovi là che aspetta te.

E allora, solo allora, di colpo, morire ti appare un’idea inconcepibile.

 

 

E lo fa, Yagami, sorride all’assurdità dei propri pensieri. È l’ironia della sorte, quella che prima gli ha messo in mano il potere e adesso se lo sta semplicemente riprendendo.

Più che impaurito, è deluso. E arrabbiato.

 

 

[ Light Yagami sta morendo. Ma Light Yagami non può ancora morire. Non può e non deve. ]

[ Light Yagami è il dio. ]

 

 

« Quanta presunzione, quanta superbia nell’animo di un solo uomo… »

 

 

Alza lo sguardo. Chi c’è? Qualcuno nell’ombra?

Cerca di sollevare il capo, ma i muscoli del corpo quasi non gli rispondono più. Allora resta semplicemente così, abbandonato a se stesso, a scrutare nel bagliore morente del tramonto filtrato, ad intuire i contorni di una figura [quasi familiare] china su di lui.

Cerca di parlarle, di chiederle chi– perché, ma le parole già non gli rispondono più. Allora resta semplicemente in silenzio, ad aspettare che quella parli di nuovo.

E lei lo accontenta.

 

« Da che esisto, tu sei l’essere più curioso e allo stesso tempo più irritante che sia mai venuta a prendere, Light Yagami. »

 

 

C’è una traccia lievissima di scherno nel suo tono, nella sua voce fredda, lenta, indistinta. Come osa? Come osa deridere un dio?

 

 

Dille qualcosa, Yagami. Non vedi che si sta prendendo gioco di te?

Dov’è finito il tuo carisma, il tuo ascendente, ciò che ti ha sempre innalzato agli occhi del prossimo e sollevato da quel marasma sporco sotto i tuoi piedi?

 

 

« Oh, non angustiarti. Non hai bisogno di ribattere. Io so cosa pensi. Io so chi sei. »

 

 

 

“Lungo le sponde del mio torrente

Voglio che scendano i lucci argentati

Non più i cadaveri dei soldati

Portati in braccio dalla corrente”

 

Così dicevi, ed era d’inverno

E come gli altri verso l’inferno

Te ne vai triste come chi deve

E il vento ti sputa in faccia la neve

 

 

 

[ … ]

 

 

No, non è vero.

Che cosa ne sa?

Che cosa ne sanno gli altri?

Sono stati in grado soltanto di giudicarti, di maledirti, di ucciderti. Blasfemi. Puri blasfemi. Ciechi e sordi.

Hanno condannato la tua guerra, la loro stessa guerra, e non sono mai arrivati a vedere oltre.

Non sono mai riusciti a capire. Nessuno di loro. Mai.

Neanche quelli che, dentro, la pensavano come te.

 

 

 

[ … ]

 

E mentre marciavi con l’anima in spalle

Vedesti un uomo in fondo alla valle

Che aveva il tuo stesso identico umore

Ma la divisa di un altro colore

 

[ … ]

 

“E se gli sparo in fronte o nel cuore

Soltanto il tempo avrà per morire

Ma il tempo a me resterà per vedere

Vedere gli occhi di un uomo che muore”

 

E mentre gli usi questa premura

Quello si volta, ti vede e ha paura

Ed imbracciata l’artiglieria

Non ti ricambia la cortesia

 

 

 

La figura è vicina, sempre più vicina, eppure ancora lui non riesce a distinguerne i lineamenti.

Porta una mano avanti, una mano lunga, pallida e sottile. Indugia sul suo viso, sfiora appena la scia del sangue sulla sua pelle. Fredda. Ma consistente.

 

 

« So che tu, Light Yagami, hai sognato di poterti paragonare a me. »

 

 

Chiude gli occhi.

Non è stato un sogno, quello che ha vissuto.

Non è stato un sogno, quello che è riuscito a fare.

 

 

« Ed è per questo che non posso perdonarti. »

 

 

Lui non vuole il suo perdono                         [non ha mai voluto il perdono di nessuno.]

Non ha bisogno del perdono di nessuno       [lui è il dio.]

 

 

[ Light Yagami sta morendo. Il dio no. ]

 

 

« E so anche, Light Yagami, che in questo momento tu hai paura. »

 

 

Questa volta alle sue labbra riesce ad affiorare un breve, lucido sorriso di beffa.

Paura? La paura non è per un dio.

 

 

« Sul serio, non c’è bisogno di fingere. La paura non è da perdenti, è solo da mortali. »

« Perché è questo che tu resti. Un mortale. Un mortale stanco, e solo. »

 

 

La mano sale alla fronte, scosta i capelli dalle sue palpebre ancora abbassate. Lo accarezza, quasi.

È un gesto intimo, confidenziale. Anche la voce è diventata suadente. Come dell’adulto che aspetta pazientemente che il bambino lo segua, attraverso una strada affollata, per arrivare alla meta comune.

 

 

Lei capisce, Yagami. Non è vero?

 

 

Un sospiro. Un debole, stanchissimo sospiro. Senza aprire gli occhi.

Gli ha sempre dato fastidio dover dare ragione a qualcun altro.

Mortale o immortale che fosse.

Schiude le labbra, le muove appena, ma la parola non riesce a formarsi. Si ferma sulla punta della sua lingua rossa di sangue e di cose non finite – maledizione – cose che non avrà il tempo di finire.

Ma lei sembra sentirla lo stesso.

 

 

« No. Non soffrirai. »

 

 

Tu non puoi soffrire più, ormai, Yagami. Perché non stai andando in un posto dove la sofferenza sia contemplata.

Non stai andando verso la luce, là dove il dolore viene ricordato ed esaltato come garanzia di salvezza.

Non stai andando verso il buio, là dove il dolore si feconda e si rigenera e spesso si autodistrugge soltanto per ricominciare daccapo.

 

 

« Non vedrai nulla di tutto questo, Light Yagami. Tu verrai con me, nient’altro. E io non ho nulla da darti. »

« »

« Soltanto qualcosa da prenderti. »

 

 

La stretta tra i suoi capelli di colpo si fa potente, e lui apre gli occhi, sorpreso e confuso.

Per la prima volta, come gli uomini che lui stesso ha condannato, guarda in faccia la Morte.

E quella vista, la vista del nulla, la vista del primo timido rimorso e dell’ultimo inutile rimpianto, gli fa orrore.

 

 

 

Cadesti a terra senza un lamento

E ti accorgesti in un solo momento

Che il tempo non ti sarebbe bastato

A chieder perdono per ogni peccato

 

 

 

… Dunque per chi è davvero la paura? …

« La confessione non serve più a niente. »

« L’assoluzione non esiste. Io sì. »

 

 

 

[…]

 

E mentre il grano ti stava a sentire

Dentro alle mani stringevi il fucile

Dentro alla bocca stringevi parole

Troppo gelate per sciogliersi al sole

 

 

 

[ Light Yagami è morto. ]

[ Il dio, anche. ]

 

 

 

Dormi sepolto in un campo di grano

Non è la rosa, non è il tulipano

Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi

Ma sono mille papaveri rossi

 

 

 

Tutto quello che rimane, è solo una canzone di guerra [persa].

 




   
 
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