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Autore: Red S i n n e r    06/03/2010    9 recensioni
C’era stato un momento in cui, davvero, Matt avrebbe voluto morire, un periodo in cui vivere non gli interessava affatto e fu lui a ridere, a ridere forte e a lungo, ridere di sé e delle sue sciocche e passate decisioni, a ridere del rimpianto alla vita che, d’ora in poi, sarebbe stata la sua condanna di morte.
[...]
Ma tutto si ripeteva, tutto tornava e non si disfaceva, niente moriva e tutto lo torturava e lui, scioccamente, tremava un po’, sperando di morire e scordandosi di averlo già fatto.
{Terza classificata al contest "Death's waiting you" indetto da Globulo Rosso sul forum di Efp. Vincitrice del premio 'Punishment'. ** }
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matt
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Wow.  Cioè, wow. Cioè... ** Terza, gente! Ci credereste? Io ancora no. XD
Bon, ringrazio sentitamente la giudicia Globulo rosso. per il fantastico giudizio ricco di qualsivoglia spiegazione.
Ti ringrazio
soprattutto per aver indetto un contest così interessante e, ribadisco, fanne un altro così e io correrò da te pregando in ucraino! °A°

Yeaah, e ho anche vinto il premio 'Punishment' per la punizione più cattiiiva. Ebbene sì, nel tempo libero rubo i leccalecca ai pimpi
In sostanza, spero che vi piaccia come è piaciuto a me scriverla.

Ah già, se commentate giuro che non vi mordo, anzi, potrei anche decidere di inviarvi uno dei tanti leccalecca sgraffignati agli infanti. XDD  

Azz, sto sclerando, vero? Mi ritiro a gongolare.
Grazie a chi legge ma un leccalecca in omaggio a chi commenta! 

Red.

_______________________________

To go dancing with the death.

 When you're lying in your sleep, when you're lying in your bed
And you wake from your dreams to go dancing with the dead

But I'll never go dancing no more
'Til I dance with the death.*

 

Era una sensazione strana, simile a quella che ti colpisce quando rimani troppo fermo, perso in un ragionamento senza capo né coda. Simile all’intorpidimento, come se fosse stato drogato o fosse semplicemente  stordito,  stordito e confuso.

Perso.

Stupidamente perso tra ragionamenti e tattiche, in folle corse in favore della giustizia, in pericolose cadute in precipizi senza fine.

Probabilmente urlava, probabilmente cadeva ma, a quanto pareva, nessuno ascoltava o forse a nessuno importava, e si ritrovò a sorridere al buio, a sorridere dell’intorpidimento che gli ottenebrava i muscoli e gli impediva qualsivoglia movimento.

O forse correva, correva così forte da non riuscire a sentire i muscoli urlare il loro dissenso e bruciare inviperiti, forse era andato oltre il dolore e la fatica, oltre i sentimenti e oltre la vita… forse era morto.

Si ritrovò a ridere, o a pensare di farlo, a ridere forte senza sentire il suono stesso della sua risata, senza sentire i muscoli della bocca tendersi e le corde vocali vibrare insoddisfatte. Non sentiva nulla, nemmeno la smania di avere tra le labbra una sigaretta e tra le dita un accendino ubbidiente. Era morto, decisamente.

Sinceramente non gli importava molto, ammesso e non concesso che fosse morto veramente, ovviamente. Non sapeva dire con certezza se avesse gli occhi aperti  oppure chiusi, se fosse immobile o in movimento, se fosse veramente Mail Jeevas o qualcun altro a caso: eppure lo sentì arrivare.

 Quella era l’unica certezza in quel momento: qualcosa si avvicinava ma senza far rumore, non scivolava e non strisciava, non urlava e non respirava, probabilmente nemmeno esisteva e forse era per questo che la sentiva.

Aprì gli occhi in un impulso incontrollato – capendo finalmente d’averli chiusi – e lo vide.

Lo vide e fu come esplodere e come sentirsi vivo al tempo stesso. Lo vide e non seppe se ridere o piangere, se bestemmiare Dio per quell’ironia che, davvero, non gli apparteneva, oppure ringraziarlo in mille e più lingue.

 Se avesse avuto un cuore sarebbe battuto furiosamente, se avesse avuto gambe e muscoli sarebbe corso via, se avesse avuto quel coraggio che nemmeno in vita aveva avuto l’avrebbe picchiato ma, stupidamente e debole come sempre, tremò.

Tremò impaurito, di fronte a quell’immagine che pareva riverire con gli occhi al pari di una statua sacra; s’accontentò di respirare, saggiando finalmente quell’ aria che sapeva di cenere e polvere da sparo, limitandosi ad osservarlo.

Respirava piano, cercando di non ansimare, cercando di dipanare - e sconfiggere - quella matassa di fili fumosi che sembravano ottenebrargli il cervello.

L’altro, di rimando, lo osservò silente, trapassandogli gli occhi con una forza tale che pareva volerlo vivisezionare. Matt si sarebbe volentieri schermato gli occhi con una mano, fingendo di non aver mai visto, peccato che quella bastarda non desse segni di vita.

Sorrise internamente delle sue stesse parole: non dava segni di vita perché era morta, no?

L’altro continuò ad osservarlo, con gli occhi azzurri fissi nei suoi e un sorriso cattivo a sporcargli le labbra.

Fu Matt a interrompere quel silenzio opprimente che sembrava stridere senza far nessunissimo rumore: “Perché?”

Disse semplicemente questo, chiedendo mille cose con una parola sola, cercando d’umettarsi le labbra con la lingua senza ricordarsi come si faceva.

E Mello sorrise, con quel sorriso cattivo che proprio non gli apparteneva: “Come, non sei contento di vedermi?”

Il sorriso sparì, lasciando il posto a quell’espressione imbronciata ed amareggiata che Mello soleva assumere quando, bambino, si rendeva conto d’esser arrivato di nuovo secondo.

Matt, semplicemente, tremò: era così simile a quella che ricordava quell’espressione che, per un attimo, vacillò e sperò d’esplodere, desiderò di cadere in quei ricordi nostalgici per non farvi più ritorno ma fu un attimo, poi tutto finì come se non fosse mai accaduto, e una secchiata d’acqua gelida lo portò alla cruda verità. 

Fissandolo in quegli occhi azzurri, senza concedersi il lusso di tremare, chiese: “Mello è morto, vero… Shinigami ?”

Lo chiese senza modulare la voce, senza preoccuparsi di come potesse sembrare alle orecchie dell’essere.

Lo Shinigami parve vacillare per un secondo, e il sorriso tremò con le sue certezze, ma tutto tornò come prima e il sorriso cattivo tornò al suo posto perché  il quel posto tutto rimaneva uguale a se stesso, niente poteva concedersi il privilegio di cambiare.

Tutto rimaneva immobile, statico fino alla fine del mondo, creato e mai distrutto; indissolubile ed incancellabile, scuro e crudele, soprattutto crudele, perché Matt lo sapeva: quel posto era nato per distruggere e non per essere distrutto.

“Sai già chi sono?” chiese indispettito questi, avvicinandosi al suo volto con indolenza, “Che peccato! Avrei tanto voluto divertirmi un po’ con te…” replicò lascivo sporgendosi ad accarezzare il suo collo con la mano di Mello.

Ridacchiò secco e la sua risata rimbombò a lungo, in quel luogo senza nome e senza confini, rimbombava per distruggerlo sempre di più, ed aveva capito anche questo Matt.

Ingoiando saliva e scostandosi dalla mano che, lenta, ancora lo accarezzava, domandò di nuovo: “Perché?”

Mello lo guardò inclinando un poco il capo, assumendo una posa tipicamente infantile e imbronciando le labbra come mai aveva fatto in vita, “Davvero non hai capito?” sorrise di nuovo.  I  suoi denti bianchi e affilati, per un attimo, diventarono tutto il mondo e Matt cercò di non urlare.

“Questa è la tua punizione.” Sentenziò, e non c’era più ombra di sorriso, ma solo sadico piacere in quegli occhi azzurri che aveva profanato.

  Matt socchiuse gli occhi mordendosi forte le labbra e lo Shinigami continuò implacabile: “Non è forse questo corpo e il suo possessore la causa del tuo inizio e della tua fine? Non è forse il desiderio malsano, e non incline ai comandamenti di Dio, che possedevi per questo corpo, che ti hanno fatto cadere nel peccato? Non è forse per lui che hai scordato come si fa a vivere?”

Matt spalancò gli occhi, e se avesse avuto una sigaretta in bocca sarebbe certamente caduta, cercò di scostarsi dal corpo di Mello, e dagli occhi dello Shinigami che rosseggiavano cattivi nella fitta oscurità.

L’essere rise del suo smarrimento ed accarezzandogli una guancia gli sussurrò di nuovo: “È la tua punizione.”

E poi si distaccò da Matt e da quello che avrebbe dovuto essere il suo corpo, e illuminato da una luce malsana, si lasciò guardare sorridendo come alle volte si concedeva di fare Mello.

E Matt lo guardò, guardò il suo corpo, il corpo di Mello, proprio come l’aveva lasciato pochi istanti prima – oppure erano già passati anni? – quel corpo che aveva stretto numerose volte, che aveva preso numerose volte e che amava sentir gemere oscenamente. Quel corpo che aveva seguito ovunque al pari d’uno stupido cane, quel corpo per il quale avrebbe fatto qualsiasi cosa dallo smettere di vivere la propria vita per seguire la sua, fino a morire che era, poi, la stessa cosa.

Boccheggiò, incapace di far entrare nei suoi polmoni secchi, un po’ di quell’aria sporca di tabacco e polvere da sparo, e cercò di muovere le mani e di guidare le braccia verso quel corpo, verso quel viso sfregiato, verso quel corpo martoriato per il quale era morto, morto davvero.

Mello sorrise sensuale sfiorandosi il corpo, coperto da indumenti di pelle nera, con le mani chiare, la croce al collo tintinnava appena, ma il suo rumore riempiva le orecchie dell’unico spettatore in sala. Gli occhi azzurri e lasciavi lo guardavano fissi come solevano guardarlo tra coperte bianche e umide, le mani scoprirono lentamente – così  lentamente – la pelle chiara dell’addome liberandola dalla costrizione dell’attillata giacca.

Matt ansimò, imprecando sottovoce, cercando di calmarsi e, stupidamente, cercando di non piangere perché era tutto finito, tutto morto, tutto da buttare; ma la sua ossessione per quel corpo non era morta, il suo malsano desidero per Mello, per il suo migliore amico, non sarebbe mai cambiato, e men che mai lì, in quel luogo di nessuno in cui niente cambiava ma si ripeteva all’infinito.

Lo Shinigami l’osservò, imponendo all’espressione di Mello un altro dei suoi sorrisi cattivi, e s’avvicinò al corpo immobile, con lentezza, pregustando già la follia divampare in quegli occhi.

Si accostò al corpo tremante dell’altro e lambì il lobo dell’orecchio destro con la lingua, leccandolo appena per poi  succhiarlo.

Matt spalancò gli occhi non riuscendo a trattenere un gemito e sentendo – perché finalmente sentiva - l’erezione tendersi, pianse.

Pianse di rabbia, pianse per impotenza, pianse per sfogare il disgusto che provava per se stesso perché anche se quello non era Mello, anche se si nascondeva uno Shinigami dietro i suoi capelli biondi lui non poteva fare a meno di eccitarsi.

Sperò di non esistere, di essere inghiottito dal buio senza più poter respirare, sperò di morire di nuovo, sperò, stupidamente, che fosse solo un sogno da cui si sarebbe presto svegliato, sperò di marcire all’inferno a costo di non sentire più tutto quello.

Ma tutto si ripeteva, tutto tornava e non si disfaceva, niente moriva e tutto lo torturava e lui, scioccamente, tremava un po’, sperando di morire e scordandosi di averlo già fatto.

Rabbia, disgusto ed impotenza si rincorrevano all’interno del suo corpo morto facendo battere il suo cuore secco e facendogli piangere lacrime secche che sapevano di sangue e rimpianto.

L’essere rise, della sua impotenza e del suo dolore, rise forte delle sue lacrime secche ed inutili, e del tremore del suo corpo morto. Afferrò una ciocca di capelli rossi tra le dita e tirò, affinché l’uomo potesse guardarlo negli occhi vermigli senza più nascondersi nelle sue parole.

“Non ho la falce e nemmeno il mantello nero. Questo ti disturba, vero?” e rise, rise di nuovo e di gusto, sputando velenosa ironia su quel corpo morto che non voleva far altro che dissolversi in muta cenere. “E io che pensavo di farti un favore!” cantilenò poi, con voce infantile.

Matt lo guardò fisso negli occhi, in quegli occhi rossi e sadici, e lo odiò, con gli occhi ancora sporchi di sangue secco e rimpianto più che mai fresco. Lo Shinigami sorrise del suo stupido odio perché non poteva fare nulla contro di lui, perché sarebbe solo servito a disintegrare quel poco di coscienza di sé che era rimasta nel corpo vuoto dell’uomo, perché sarebbe servito solo a farlo ridere di più.

Di più, sempre di più.

C’era stato un momento in cui, davvero, Matt avrebbe voluto morire, un periodo in cui vivere non gli interessava affatto e fu lui a ridere, a ridere forte e a lungo, ridere di sé e delle sue sciocche e passate decisioni, a ridere del rimpianto alla vita che, d’ora in poi, sarebbe stata la sua condanna di morte.

Mello allargò le braccia godendo appieno della risata folle che sgorgava dalle labbra spaccate dell’altro, sembrava quasi cibarsene, come se fosse il più prezioso dei nettari divini, e forse era davvero così.

Poi il corpo del biondo ebbe un tremito incontrollato e si sfaldò pezzo per pezzo, nei suoi occhi il dolore puro tra le sue labbra un grido senza voce e, nell’esplosione in cui Matt sperò di annullarsi, il corpo di Mello sparì, per lasciare spazio a una massa informe di carni putrescenti e stracci grigiastri.

La bocca, tesa in un sorriso più affilato d’una lama era l’unica cosa che fosse presente sul quel volto grottesco, non un paio d’occhi né tantomeno un naso: solo una bocca che rideva eternamente.

“Ti piaccio anche così, Mail?” chiese con voce viscida e cavernosa.

Poi rise, rise delle sue stesse parole perché era a questo che serviva la sua bocca affilata: a trafiggere con il suo riso le orecchie di Matt, per sempre.

“Ah, per tua informazione… il tuo amico, quel Mello, è morto proprio ora. Ovviamente non lo vedrai mai più.” E sorrise con un brillìo di denti grigi che pure rilucevano come pietre preziose.

E Matt si sforzò di non vomitare, di non urlare, di non sentire ma non poté evitare che lacrime fuoriuscissero dai suoi occhi.  E piangeva, piangeva sangue perché non gli era rimasto altro.

Di nuovo lo Shinigami gli fu affianco, di nuovo prese le fattezze illusorie della persona che più aveva amato nella sua vita, di nuovo si ritrovò a tremare, di nuovo tutto si ripeteva.

 “Benvenuto all’inferno, Mail!” esclamò con voce infantile, strusciandoglisi addosso.

E ride, ride di Matt, riderà all’infinito.

Un bacio dal sapore di vermi, e un conato a contorcere le viscere secche, sanciscono l’inizio della sua morte: “Benvenuto!”

 

*Quando giaci nel sonno, quando giaci nel tuo letto
E ti svegli dai tuoi sogni per andare al ballo con i morti.
[…]
Ma non andrò mai più a ballare,
Finché non ballerò con la morte.

 [Dance of Death – Iron maiden.]

 

 

   
 
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