Bon, ringrazio sentitamente la giudicia Globulo rosso. per il fantastico giudizio ricco di qualsivoglia spiegazione.
Ti ringrazio soprattutto per aver indetto un contest così interessante e, ribadisco, fanne un altro così e io correrò da te pregando in ucraino! °A°
Yeaah, e ho
anche
vinto il premio 'Punishment' per la punizione più cattiiiva.
Ebbene sì, nel
tempo libero rubo i leccalecca ai pimpi!
In sostanza, spero che vi piaccia
come è piaciuto a me scriverla.
Ah
già, se commentate
giuro che non vi mordo, anzi,
potrei anche decidere di inviarvi uno dei tanti
leccalecca sgraffignati agli infanti.
XDD
Azz,
sto sclerando, vero? Mi ritiro a gongolare.
Grazie a chi legge ma un leccalecca
in omaggio a chi commenta!
Red.
_______________________________
To
go dancing
with the death.
When
you're lying in
your sleep, when you're lying in your bed
And
you
wake from your dreams to go dancing with the dead
But
I'll
never go dancing no more
'Til I
dance with the death.*
Era
una sensazione strana, simile a quella che ti colpisce quando rimani
troppo
fermo, perso in un ragionamento senza capo né coda. Simile
all’intorpidimento, come
se fosse stato drogato o fosse semplicemente stordito,
stordito e confuso.
Perso.
Stupidamente
perso tra ragionamenti e tattiche, in folle corse in favore della
giustizia, in
pericolose cadute in precipizi senza fine.
Probabilmente
urlava, probabilmente cadeva ma, a quanto pareva, nessuno ascoltava o
forse a
nessuno importava, e si ritrovò a sorridere al buio, a
sorridere
dell’intorpidimento che gli ottenebrava i muscoli e gli
impediva qualsivoglia
movimento.
O forse
correva, correva così forte da non riuscire a sentire i
muscoli urlare il loro
dissenso e bruciare inviperiti, forse era andato oltre il dolore e la
fatica,
oltre i sentimenti e oltre la vita… forse era morto.
Si
ritrovò a ridere, o a pensare di farlo, a ridere forte senza
sentire il suono
stesso della sua risata, senza sentire i muscoli della bocca tendersi e
le
corde vocali vibrare insoddisfatte. Non sentiva nulla, nemmeno la
smania di
avere tra le labbra una sigaretta e tra le dita un accendino
ubbidiente. Era
morto, decisamente.
Sinceramente
non gli importava molto, ammesso e non concesso che fosse morto
veramente,
ovviamente. Non sapeva dire con certezza se avesse gli occhi aperti oppure chiusi, se fosse
immobile o in
movimento, se fosse veramente Mail Jeevas o qualcun altro a caso:
eppure lo
sentì arrivare.
Quella era l’unica
certezza in quel momento:
qualcosa si avvicinava ma senza far rumore, non scivolava e non
strisciava, non
urlava e non respirava, probabilmente nemmeno esisteva e forse era per
questo
che la sentiva.
Aprì
gli occhi in un impulso incontrollato – capendo finalmente
d’averli chiusi – e
lo vide.
Lo
vide e fu come esplodere e come sentirsi vivo al tempo stesso. Lo vide
e non
seppe se ridere o piangere, se bestemmiare Dio per
quell’ironia che, davvero,
non gli apparteneva, oppure ringraziarlo in mille e più
lingue.
Se avesse avuto un cuore
sarebbe battuto
furiosamente, se avesse avuto gambe e muscoli sarebbe corso via, se
avesse
avuto quel coraggio che nemmeno in vita aveva avuto l’avrebbe
picchiato ma,
stupidamente e debole come sempre, tremò.
Tremò
impaurito, di fronte a quell’immagine che pareva riverire con
gli occhi al pari
di una statua sacra; s’accontentò di respirare,
saggiando finalmente quell’ aria
che sapeva di cenere e polvere da sparo, limitandosi ad osservarlo.
Respirava
piano, cercando di non ansimare, cercando di dipanare - e sconfiggere -
quella
matassa di fili fumosi che sembravano ottenebrargli il cervello.
L’altro,
di rimando, lo osservò silente, trapassandogli gli occhi con
una forza tale che
pareva volerlo vivisezionare. Matt si sarebbe volentieri schermato gli
occhi
con una mano, fingendo di non aver mai visto, peccato che quella
bastarda non
desse segni di vita.
Sorrise
internamente delle sue stesse parole: non dava segni di vita
perché era morta,
no?
L’altro
continuò ad osservarlo, con gli occhi azzurri fissi nei suoi
e un sorriso
cattivo a sporcargli le labbra.
Fu
Matt a interrompere quel silenzio opprimente che sembrava stridere
senza far
nessunissimo rumore: “Perché?”
Disse
semplicemente questo, chiedendo mille cose con una parola sola,
cercando
d’umettarsi le labbra con la lingua senza ricordarsi come si
faceva.
E
Mello sorrise, con quel sorriso cattivo che proprio non gli
apparteneva: “Come,
non sei contento di vedermi?”
Il
sorriso sparì, lasciando il posto a
quell’espressione imbronciata ed
amareggiata che Mello soleva assumere quando, bambino, si rendeva conto
d’esser
arrivato di nuovo secondo.
Matt,
semplicemente, tremò: era così simile a quella
che ricordava quell’espressione
che, per un attimo, vacillò e sperò
d’esplodere, desiderò di cadere in quei
ricordi nostalgici per non farvi più ritorno ma fu un
attimo, poi tutto finì
come se non fosse mai accaduto, e una secchiata d’acqua
gelida lo portò alla
cruda verità.
Fissandolo
in quegli occhi azzurri, senza concedersi il lusso di tremare, chiese:
“Mello è
morto, vero… Shinigami ?”
Lo
chiese senza modulare la voce, senza preoccuparsi di come potesse
sembrare alle
orecchie dell’essere.
Lo
Shinigami parve vacillare per un secondo, e il sorriso tremò
con le sue
certezze, ma tutto tornò come prima e il sorriso cattivo
tornò al suo posto
perché il
quel posto tutto rimaneva
uguale a se stesso, niente poteva concedersi il privilegio di cambiare.
Tutto
rimaneva immobile, statico fino alla fine del mondo, creato e mai
distrutto; indissolubile
ed incancellabile, scuro e crudele, soprattutto crudele,
perché Matt lo sapeva:
quel posto era nato per distruggere e non per essere distrutto.
“Sai
già chi sono?” chiese indispettito questi,
avvicinandosi al suo volto con
indolenza, “Che peccato! Avrei tanto voluto divertirmi un
po’ con te…” replicò
lascivo sporgendosi ad accarezzare il suo collo con la mano di Mello.
Ridacchiò
secco e la sua risata rimbombò a lungo, in quel luogo senza
nome e senza
confini, rimbombava per distruggerlo sempre di più, ed aveva
capito anche
questo Matt.
Ingoiando
saliva e scostandosi dalla mano che, lenta, ancora lo accarezzava,
domandò di
nuovo: “Perché?”
Mello
lo guardò inclinando un poco il capo, assumendo una posa
tipicamente infantile
e imbronciando le labbra come mai aveva fatto in vita,
“Davvero non hai
capito?” sorrise di nuovo.
I suoi
denti bianchi e affilati, per un attimo,
diventarono tutto il mondo e Matt cercò di non urlare.
“Questa
è la tua punizione.” Sentenziò, e non
c’era più ombra di sorriso, ma solo
sadico piacere in quegli occhi azzurri che aveva profanato.
Matt socchiuse gli occhi
mordendosi forte le
labbra e lo Shinigami continuò implacabile: “Non
è forse questo corpo e il suo
possessore la causa del tuo inizio e della tua fine? Non è
forse il desiderio
malsano, e non incline ai comandamenti di Dio, che possedevi per questo
corpo,
che ti hanno fatto cadere nel peccato? Non è forse per lui
che hai scordato come si fa a vivere?”
Matt
spalancò gli occhi, e se avesse avuto una sigaretta in bocca
sarebbe certamente
caduta, cercò di scostarsi dal corpo di Mello, e dagli occhi
dello Shinigami
che rosseggiavano cattivi nella fitta oscurità.
L’essere
rise del suo smarrimento ed accarezzandogli una guancia gli
sussurrò di nuovo:
“È la tua punizione.”
E poi
si distaccò da Matt e da quello che avrebbe dovuto essere il
suo corpo, e
illuminato da una luce malsana, si lasciò guardare
sorridendo come alle volte
si concedeva di fare Mello.
E Matt
lo guardò, guardò il suo corpo, il corpo di
Mello, proprio come l’aveva
lasciato pochi istanti prima – oppure erano già
passati anni? – quel corpo che
aveva stretto numerose volte, che aveva preso numerose volte e che
amava sentir
gemere oscenamente. Quel corpo che aveva seguito ovunque al pari
d’uno stupido
cane, quel corpo per il quale avrebbe fatto qualsiasi cosa dallo
smettere di
vivere la propria vita per seguire la sua, fino a morire che era, poi,
la
stessa cosa.
Boccheggiò,
incapace di far entrare nei suoi polmoni secchi, un po’ di
quell’aria sporca di
tabacco e polvere da sparo, e cercò di muovere le mani e di
guidare le braccia
verso quel corpo, verso quel viso sfregiato, verso quel corpo
martoriato per il
quale era morto, morto davvero.
Mello
sorrise sensuale sfiorandosi il corpo, coperto da indumenti di pelle
nera, con
le mani chiare, la croce al collo tintinnava appena, ma il suo rumore
riempiva
le orecchie dell’unico spettatore in sala. Gli occhi azzurri
e lasciavi lo
guardavano fissi come solevano guardarlo tra coperte bianche e umide,
le mani
scoprirono lentamente – così
lentamente
– la pelle chiara dell’addome
liberandola dalla costrizione dell’attillata giacca.
Matt
ansimò, imprecando sottovoce, cercando di calmarsi e,
stupidamente, cercando di
non piangere perché era tutto finito, tutto morto, tutto da
buttare; ma la sua
ossessione per quel corpo non era morta, il suo malsano desidero per
Mello, per
il suo migliore amico, non sarebbe
mai cambiato, e men che mai lì, in quel luogo di nessuno in
cui niente cambiava
ma si ripeteva all’infinito.
Lo
Shinigami
l’osservò, imponendo all’espressione di
Mello un altro dei suoi sorrisi cattivi,
e s’avvicinò al corpo immobile, con lentezza,
pregustando già la follia
divampare in quegli occhi.
Si
accostò al corpo tremante dell’altro e
lambì il lobo dell’orecchio destro con
la lingua, leccandolo appena per poi succhiarlo.
Matt
spalancò gli occhi non riuscendo a trattenere un gemito e
sentendo – perché
finalmente sentiva - l’erezione tendersi, pianse.
Pianse
di rabbia, pianse per impotenza, pianse per sfogare il disgusto che
provava per
se stesso perché anche se quello non era Mello, anche se si
nascondeva uno
Shinigami dietro i suoi capelli biondi lui non poteva fare a meno di
eccitarsi.
Sperò
di non esistere, di essere inghiottito dal buio senza più
poter respirare,
sperò di morire di nuovo, sperò, stupidamente,
che fosse solo un sogno da cui
si sarebbe presto svegliato, sperò di marcire
all’inferno a costo di non
sentire più tutto quello.
Ma
tutto si ripeteva, tutto tornava e non si disfaceva, niente moriva e
tutto lo
torturava e lui, scioccamente, tremava un po’, sperando di
morire e scordandosi
di averlo già fatto.
Rabbia,
disgusto ed impotenza si rincorrevano all’interno del suo
corpo morto facendo
battere il suo cuore secco e facendogli piangere lacrime secche che
sapevano di
sangue e rimpianto.
L’essere
rise, della sua impotenza e del suo dolore, rise forte delle sue
lacrime secche
ed inutili, e del tremore del suo corpo morto. Afferrò una
ciocca di capelli
rossi tra le dita e tirò, affinché
l’uomo potesse guardarlo negli occhi
vermigli senza più nascondersi nelle sue parole.
“Non
ho la falce e nemmeno il mantello nero. Questo ti disturba,
vero?” e rise, rise
di nuovo e di gusto, sputando velenosa ironia su quel corpo morto che
non
voleva far altro che dissolversi in muta cenere. “E io che
pensavo di farti un
favore!” cantilenò poi, con voce infantile.
Matt
lo guardò fisso negli occhi, in quegli occhi rossi e sadici,
e lo odiò, con gli
occhi ancora sporchi di sangue secco e rimpianto più che mai
fresco. Lo Shinigami
sorrise del suo stupido odio perché non poteva fare nulla
contro di lui, perché
sarebbe solo servito a disintegrare quel poco di coscienza di
sé che era
rimasta nel corpo vuoto dell’uomo, perché sarebbe
servito solo a farlo ridere
di più.
Di
più, sempre di più.
C’era
stato un momento in cui, davvero, Matt avrebbe voluto morire, un
periodo in cui
vivere non gli interessava affatto e fu lui a ridere, a ridere forte e
a lungo,
ridere di sé e delle sue sciocche e passate decisioni, a
ridere del rimpianto
alla vita che, d’ora in poi, sarebbe stata la sua condanna di
morte.
Mello
allargò le braccia godendo appieno della risata folle che
sgorgava dalle labbra
spaccate dell’altro, sembrava quasi cibarsene, come se fosse
il più prezioso
dei nettari divini, e forse era davvero così.
Poi il
corpo del biondo ebbe un tremito incontrollato e si sfaldò
pezzo per pezzo, nei
suoi occhi il dolore puro tra le sue labbra un grido senza voce e,
nell’esplosione in cui Matt sperò di annullarsi,
il corpo di Mello sparì, per
lasciare spazio a una massa informe di carni putrescenti e stracci
grigiastri.
La
bocca, tesa in un sorriso più affilato d’una lama
era l’unica cosa che fosse
presente sul quel volto grottesco, non un paio d’occhi
né tantomeno un naso:
solo una bocca che rideva eternamente.
“Ti
piaccio anche così, Mail?” chiese con voce viscida
e cavernosa.
Poi
rise, rise delle sue stesse parole perché era a questo che
serviva la sua bocca
affilata: a trafiggere con il suo riso le orecchie di Matt, per sempre.
“Ah,
per tua informazione… il tuo amico, quel Mello, è
morto proprio ora. Ovviamente
non lo vedrai mai più.” E sorrise con un
brillìo di denti grigi che pure
rilucevano come pietre preziose.
E Matt
si sforzò di non vomitare, di non urlare, di non sentire ma non poté evitare
che lacrime fuoriuscissero dai suoi
occhi. E piangeva,
piangeva sangue
perché non gli era rimasto altro.
Di
nuovo lo Shinigami gli fu affianco, di nuovo prese le fattezze
illusorie della
persona che più aveva amato nella sua vita, di nuovo si
ritrovò a tremare, di
nuovo tutto si ripeteva.
“Benvenuto
all’inferno, Mail!” esclamò con
voce infantile, strusciandoglisi addosso.
E
ride, ride di Matt, riderà all’infinito.
Un
bacio dal sapore di vermi, e un conato a contorcere le viscere secche,
sanciscono l’inizio della sua morte:
“Benvenuto!”
*Quando
giaci nel sonno, quando
giaci nel tuo letto
E ti svegli dai tuoi sogni
per andare al ballo con
i morti.
[…]
Ma non andrò mai
più a ballare,
Finché non
ballerò con la morte.