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Autore: Artemisia89    14/03/2010    7 recensioni
Ora capiva perché ricordava.
[Sirius/Hermione; sviluppo del concetto di ombra. ]
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Sirius Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chiara

Quella notte, quando l’immagine di un velo setoso e logoro, impalpabile, mortifero e delicato le si era impressa per sempre nella coscienza, anche lei aveva urlato forte il suo nome, ma nessuno lo aveva sentito perché Harry aveva gridato più forte, molto più forte di lei, e forse, alla fine, il suo amore non era poi così grande paragonato al suo, forse, alla fine, non era la sua voce che lui avrebbe voluto sentire. Forse, alla fine, se ne era andato senza nemmeno riuscire a scorgerla – e forse davvero era stato molto meglio così.

 

 

 

Tiny vessels oozed into your neck

And formed the bruises
That you said you didn't want to fade
But they did, and so did I that day

(DEATH CAB FOR CUTIE, Tiny vessels)

 

 1.

 

 

Ritornava spesso distrattamente, mentre scriveva solerte e veloce gli appunti della lezione, a quel pomeriggio in cui Grimmauld Place odorava di thé. Forte thé nero che di tanto in tanto lei mitigava con del limone portato dentro casa di contrabbando, come una pessima inglese: tagliava a metà il frutto giallo e duro – senza che Molly intervenisse con la bacchetta, ma con mani e coltello, per sentire la lama e le gocce chiare respirate dalla pelle e vedere quel cuore aspro all’improvviso pulsare davanti a lei – e bucandolo con una forchetta ne spremeva una metà sulla tazza. Un’abbondante metà. Il the si schiariva, diventava ambrato e il pensiero sfuggente di un’oscurità scampata con pochi, rassicuranti gesti domestici la tranquillizzava; quella rinnovata chiarezza bollente che stringeva tra le mani era come uno stendardo di ragione contro quella richiesta che Molly, la cara carissima innocente e inconsapevole Molly le aveva fatto qualche secondo prima, trasformandosi all’improvviso in una qualche malefica e lontana strega contessa delle Fiabe, tutta intenta ad impartire ordini incomprensibili ai più fortunati, chiari e dolorosi a quelli abbandonati dalla buona sorte. Nel suo personalissimo caso, Hermione, pensò poi, faceva parte di quelle persone baciate dalla fortuna che vanno allegri e inconsapevoli ad obbedire al loro destino, senza esitazioni, senza la visita di nessun infausto presagio, nessun avvertimento; va’a a chiamare quei due, aveva detto dall’alto della sua rossa figura e Hermione ricorda di aver sorriso diligentemente e aver messo a freddare la sua tazza di the prima di iniziare a salire verso il quinto piano dove quell’uomo dal volto rugoso divorava Harry rimettendo insieme memorie rotte, scheggiate in troppi punti per poter riformare di nuovo un’immagine distinta. Che uomo crudele, si era ritrovata a pensare ad un gradino sì e ed uno no: quale poteva mai essere l’utilità di un passato che appartiene solo a lui? In quale condivisione poteva mai sperare tra lui ed il suo figlioccio? Scuoteva la testa pensando agli occhi incantati di Harry mentre seguiva le labbra di Sirius sciorinare nomi di eroi (Lily James Remus James James James tutti noi) e decantarne le loro imprese: sembrava di essere ogni volta ad una lezione di storia tenuta da un professore troppo entusiasta. Imbarazzante, pensava, mentre evitava con la forza dell’abitudine i gradini che scomparendo tentavano di impedirle di arrivare in cima: si sentiva un po’ come una pellegrina che nell’ascesa al monte tentava di espiare chissà quali colpe. Chissà quali colpe, rifletteva spiandoli dall’uscio, quali colpe, quali peccati originali, quali pensieri impuri…

Le davano entrambi le spalle: tanta era la tenerezza che quel gesto infantile di sporgersi l’uno verso l’altro, quasi per chiudere fuori il mondo, le procurava. Erano così, loro due, si legittimavano con la possanza del tempo perso, irrecuperabile, con la fame degli anni sprecati, dei bambini a cui è stata negata una parte di vita. Ecco i due verbi della giornata, memore di un gioco che faceva da piccola insieme alla madre, avere e afferrare. Habeo, habitum, abitudinis. Afferrare un oggetto, qualcuno, e non lasciarlo mai più, come si fa da infanti. Mosse le dita della sua mano destra a pugno, guardando il profilo di Sirius, i suoi capelli ondulati, indovinando il celeste febbricitante dei suoi occhi, i solchi sul suo volto, i primi segni di una vecchiaia venuta a reclamare il proprio carattere di esperienza nella collezione di quell’uomo che aveva vissuto troppo intensamente; delicatamente le dita si richiusero su di loro, solo l’indice, lui solo indugiò ad accarezzare il pollice in un gesto confidenziale, sentito, doloroso, consolatorio. Hermione strinse gli occhi e sorrise mentre bussava sul legno dello stipite con la mano sinistra e fu tutto come aveva previsto. Gli sguardi di sorpresa di chi è interrotto nel mezzo di una conversazione piacevole da una seccatura amabile, sì, ma pur sempre non richiesta, non desiderata – era sempre così che Harry la guardava quando saliva per chiamarli ed era sempre così che avrebbe voluto che Sirius la guardasse mentre lo faceva. La sua voce squillante e appena amareggiata (quel giusto che bastava per farla sentire in colpa) si mescolava ai passi che tamburellavano sugli scalini – quando Hermione sentì la pausa procurata dallo scalino vuoto trovò, come ogni volta, il coraggio di alzare lo sguardo sull’uomo che gli stava di fronte.

«Ehi »

«Sapevi che Cristo aveva la tua età quando morì? Trentatré anni » disse sbattendo le ciglia. Sirius rise spostando lo sguardo da lei all’arazzo, cercando tra i parenti.

«Trentatré ne avevo quando mi salvasti, Hermione. Dici che anche lui è qui? Non si troverebbe male tra tutte queste celebrità » concluse sorridendo indicando con un gesto della testa il nero albero genealogico in cui lui era uno dei rami a cui era stato dato fuoco. Glielo avessero almeno lasciato, quel ramo, avrebbe potuto costruirsi la sua croce da solo, ma evidentemente quello era un privilegio a cui non poteva aspirare.

C’era qualcosa, in quelle conversazioni che spingeva Hermione avanti. Sirius avrebbe saputo dare a quella spinta invisibile un nome – mentre lei richiamava principi di fisica inapplicabili, lui avrebbe detto una sola, probitissima, parola. Dall’alto della sua veneranda e divina (e profetica?) età lui avrebbe fatto scorrere quelle nove lettere fino a lei, le avrebbe pazientemente ricomposte e prendendole il dito, le avrebbe fatto leggere la parola, a voce alta e chiara, più e più volte, finché senza voce non le sarebbe rimasta che la forza di sussurrare con voce roca e graffiata il suo nome.

«Cosa gli stavi raccontando questa volta, mh? Di quali rocambolesche ed epiche avventure av-»
« Il mio primo bacio. Che in effetti fu una gran bella avventura. Epica, come hai giustamente precisato – disse voltandosi verso la finestra alle sue spalle -, in quanto successe ancor prima che i tuoi decidessero di farti nascere, pensa »

Hermione rimase interdetta, conscia all’improvviso di aver camminato per interi minuti allegramente su un campo minato, fiduciosa di uscirne incolume, fiera e senza un grammo di polvere sui vestiti. Forse non era l’orgoglio il peccato dei Grifoni come lei, dopo tutto, forse era qualcosa di molto più ingenuo e semplice. Sirius la guardò volgere lentamente il collo bianco verso la scala dietro di lei, poi tutto il corpo, poi, di nuovo il collo, questa volta verso di lui che era rimasto indietro, nella luce che la finestra proiettava sul pavimento. Era ferma, la mano destra stretta a pugno, la sinistra sul fianco e quando parlò, fu più giusto dire che soffiò.

«Molly ti vuole giù»

 

 

2.

 

 

Ora capiva perché ricordava. Il mio segreto, sussurrava, è una memoria che a volte agisce per terribilità¹: era stata la comprensione di quanto impossibili i loro comportamenti erano stati durante quei giorni d’estate a scuoterla dal torpore in cui le ore pomeridiane la gettavano. Era stata la pagina di una pozione, un ingrediente, una pugnalata.

Hogwarts ristagnava nella luce mentre i suoi ricordi agitavano forte le acque scure in cui navigava: si appigliò forte agli angoli rigidi dei libri che aveva di fronte per non annegare. L’unica volta in cui Sirius aveva davvero rischiato di compromettere entrambi era successo sul suo collo: parlava dell’acqua che colava dai suoi capelli bagnati, del forte odore di ortica che a zaffate lo raggiungeva. Hermione ricorda perfettamente che le si era avvicinato, e lei, lei non si era voltata affatto perché l’asciugamano era troppo corto per coprirla interamente e non voleva che Sirius osasse vedere non tanto la sua nudità, quanto il suo essere acerba . In quei mesi era di questo, che aveva paura: di non essere pronta per i suoi occhi, delle risa che il suo corpo banale avrebbe suscitato, di quell’uomo impossibile e vago con cui due Hermione costantemente si misuravano ogni giorno. Allora si era limitata a chiudersi forte il telo sul petto  e ad aspettare che come un mare lui l’attraversasse e passasse oltre, che come la marea si ritirasse lontano, lontano, lontano, invadendola senza toccarla.

 

 

 

All I see are dark Grey clouds
In the distance moving closer with every hour
So when you ask "Is something wrong?"
I think "You're damn right there is but we can't talk about it now.
No, we can't talk about it now.

(DEATH CAB FOR CUTIE, Tiny vessels)

 

 

 

 

Se c’era qualcosa al numero 12 di Grimmauld Place che non mancava mai, era l’acqua fredda – cosa che, se d’inverno poteva risultare problematica, d’estate lo era il doppio perché quasi tutti i bagni a quasi tutte le ore del giorno e della notte risultavano occupati da qualcuno semisvenuto e boccheggiante. Lei, Ron ed Harry avevano scovato un bagno piccolissimo al quarto piano con appena i servizi e la vasca e lo difendevano con i denti e la segretezza di una setta, senza rendere partecipi della scoperta né i gemelli, né tantomeno Ginny che si aggirava per i piani bassi con uno sguardo di tanto in tanto interrogativo.

Hermione si era aggiudicata tutto il pomeriggio (cosa che, beninteso, le era costata una mattinata piena per compilare due diversi modi per preparare una pozione capace di attraversare più tipi di Fiamme Incantate) e quando chiuse la porta dietro di sé sentì l’eco del suo sonoro respiro di sollievo.

Spogliandosi, mentre l’acqua già scorreva nella vasca e il profumo del vino d’ortica ribolliva nell’aria, Hermione ripensò ad un altro tipo di vino che i gemelli avevano portato a casa e con cui avevano promesso di rallegrare la serata: non si sarebbe meravigliata se quella sera più di qualcuno sarebbe crollato. C’era troppa voglia di sfogare contro se stessi e gli altri la frustrazione che lo stare immobili in questa casa procurava – dal canto suo, taceva quando vedeva Sirius battere il pugno sul tavolo e andare via scuro in volto, come un animale furente a cui era stata donata una prigione più grande e meglio conosciuta della precedente. Quindi, se quella sera si sarebbe fatta baldoria, aveva deciso che avrebbe partecipato. Aveva quindici anni, un’estranea voglia di divertirsi, e viveva in un tempo di guerra: l’acqua fredda che sapeva d’ortica la faceva rabbrividire, l’odore troppo forte quasi le dava la nausea, si sentiva eccessivamente viva in una casa simile ad una grande carcassa piena di ricordi e parenti e storie a cui lei non apparteneva e che la ospitavano malvolentieri.

Oggi non sarebbe andata ad interromperli. Oggi no, pensò appoggiando la nuca sul bordo della vasca, i capelli sgocciolanti sul pavimento. Avrebbe risparmiato a tutti la tortura della sua presenza e a se stessa quelle poche frasi smozzicate che le davano da pensare per giorni e giorni, come un logorio di acqua sulla pietra. E lei era infinitamente più morbida della roccia.

A volte lui parlava volutamente di cose che lei non conosceva. Questo lo aveva capito presto, così come ne aveva compreso la ragione: era un gioco nuovo, che l’aveva divertita in un primo momento, ma poi infastidita. Sirius non era un suo professore. Sirius non aveva nulla da insegnarle, quel sussurro di cose nuove era un’esperienza che lei non aveva chiesto di provare: le bastava la sua vita e lei, al contrario di lui, ne aveva un’intera davanti. Trentatre anni, si disse, sono anni profetici: avrebbe dovuto morire come un dio, anni fa. E come un dio perfetto, non macchiarsi di un amore (singhiozzò all’improvviso quando pensò questa parola) così, puerile, improbabile, fasullo, falsamente pedagogico, impossibile.

Si mise a canticchiare, quasi con una punta di disperazione, mentre piano piano, prima dell’ultima parola si immergeva nell’acqua.

« In between what I find is pleasing and I'm feeling fine…love is so confusing there's no peace of mind… Once I had a love and it was a gas, soon turned out had a heart of glass…²»

 

Quando uscì dalla vasca, sgocciolante e felice di quel piacere racimolato in quel bagno nascosto, sorrise ripensando alla canzone che si era ritrovata a cantare: cosa certa era che, se avesse davvero avuto un cuore di vetro, avrebbe dovuto barattarlo presto con uno di latta. Meno prezioso, ma più resistente. Qualcosa che si potesse riempire di ammaccature senza rompersi; se mai fosse caduto, Sirius lo avrebbe raccolto e così come faceva con i suoi ricordi frastagliati, avrebbe tentato di ricomporlo a modo suo, trasformandolo in qualcosa di estraneo all’originale. Ed Hermione sapeva bene di non voler fare quella fine. Quando Sirius parlava, quei ricordi come pezzi di vetro correvano tra le sue labbra e le orecchie dell’ascoltatore: alla fine ne uscivano feriti entrambi, confusi ed increduli per un dolore di parole che non avevano mai considerato. In quell’estate, Hermione non aveva ancora letto Shakespeare: era ancora nell’età dell’innocenza.

 

Le orme che i piedi nudi e bagnati lasciavano sul pavimento scomparivano dopo poco ed Hermione avrebbe dato la colpa al caldo non fosse stata a conoscenza dell’incantesimo Autopulente di Molly: eppure c’era un che di profetico in quelle impronte che svanivano così presto. Perse qualche secondo a guardare il pavimento che sembrava quasi assorbirle: svanivano ad una ad una, quasi con ritmo, quasi con gioia. Cosa mai avrebbe potuto dir loro per trattenerle per un altro po’? Come convincerle a restare? Quelle orme legittimavano e riconoscevano la sua presenza lì, in quella casa, perché mai allora sparivano così in fretta?

Sirius si mosse all’angolo del corridoio, salendo le scale: la vide di spalle, chinata, le gambe tese, la nuca scoperta e china verso il pavimento. La vide nell’ombra, avvolta da un panno bianco, con i capelli gocciolanti sul collo e sulla schiena, l’acqua che scendeva sotto l’asciugamano, lungo la curva della colonna vertebrale: pensò a quelle gocce come a delle piccole navi, a lei come ad un immenso oceano – a se stesso come ad un livido.

Le si avvicinò, muovendosi sulle scricchiolanti assi di legno che segnalarono indiscrete la sua presenza; Hermione si voltò girando appena il collo (un maremoto di proporzioni catastrofiche si abbatté su di lui a guardarla così, a vederla così piena di acqua e ombra) la mano scattante in un gesto convulso verso il seno, il palmo aperto contro il telo e il petto: Sirius mosse nervosamente la sua, si guardò indietro e poi mise un passo avanti all’altro. Quando fu dietro di lei, sentì i suoi brividi, il suo tremore e, con distacco registrò la sua paura: fu ad un tratto consapevole della sua bellezza, di quei capelli chiari e bagnati, del corpo bianchissimo, delle caviglie esili piegate come pronte per ballare, fu consapevole dei suoi quindici anni e della sua età di Cristo ritardatario, di quelle due decadi che separandoli decretavano una sentenza gentile ed inappellabile. Allora Sirius decise che, davvero, Hermione era bellissima – ma che per lui non significava niente, non poteva significare niente di più.

Dietro di lei, tese il braccio poggiandosi al muro: non si toccavano, c’era ancora una manciata superstite di centimetri tra il petto di lui e la sua schiena; Sirius chinò il viso verso la sua nuca tesa e rigida, posò inesorabilmente le labbra sulla pelle bagnata, quel lembo di pelle chiaro subito dopo l’attaccatura dei capelli, e premette prima leggermente, poi con più pressione, tenendola appena per la spalla. Alla fine si staccò da lei e considerò il risultato: anche lui, ora, aveva lasciato il suo livido su di lei. Non ci sarebbe stato incantesimo per mandarlo via velocemente – o almeno, non per adesso.

Si volse e la lasciò sola, sul pianerottolo.

Hermione abbassò gli occhi, pregando sommessamente di vedere almeno qualche chiazza sul pavimento, l’immagine vaga di un’impronta, un residuo d’identità, un ricordo, qualcosa, qualsiasi cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

3.

 

 

Chi per la prima volta vede la Bellezza, sa per certo di dover assistere anche al suo declino: non è una legge, né un’imposizione – è un corso naturale. Quando quella notte al Ministero Sirius vide Hermione fuggire e nascondersi tra i detriti e le rovine, pensò di tenere gli occhi ben aperti per non perderla di vista: aveva deciso che se mai quella sarebbe stata la loro ultima notte sulla Terra, sarebbe stata felice, perché piena del suo viso. Invece non era andata così. Ma in cuor suo, lui l’aveva sempre saputo che si trattava solo di un desiderio sbagliato e senza significato. Hermione era davvero, davvero bellissima ma non c’era un posto per lei nella sua vita.

 

Non era solo un problema di età sbagliata; non solo quello almeno. Era una questione ben delineata di ruoli che si escludevano a vicenda e che eliminavano ogni interpretazione, ogni sfumatura. Sirius passò oltre con l’urlo di Harry nelle orecchie ed il volto pallido e folle di sua cugina negli occhi: non c’era stato tempo di cercare Hermione, né tantomeno ci sarebbe stato motivo per farlo.

 

Hermione, seminascosta, lo vide inciampare e poi sfumare – si sentì piena di acqua, senza aria. Annaspò nell’ombra del suo nascondiglio, con un dolore da orfana di cui non aveva il diritto.

 

 

 

 

4.

 

 

Due anni dopo Hermione si trova nuovamente in Grimmauld Place n°12. Gli incantesimi sono deboli, la sporcizia è tanta e lei, Harry e Ron si muovono in una condizione forzata di ombra continua. Davanti alla porta della vecchia stanza di Sirius c’è ancora più sporco che in altre parti e lo spessore della polvere è così alto che Hermione può scrivere una frase prima di scendere di corsa verso il piano terra.

 

You said you didn’t want to fade, but you did and so did I that day.

 

 

 

 ***

 

 

A Livia.

Dopo un periodo di carestia: sviluppo del concetto di ombra. Un grazie alla mia Papera, per aver letto in anteprima e per il suo sostegno.

 

1.       Maria Bellonci, Rinascimento privato, 1985

2.       Blondie, Heart of glass,  1978

  
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