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Autore: OnlyHope    16/03/2010    9 recensioni
Per Sanae tutto iniziava davanti ad una fermata d'autobus, quello stesso giorno Tsubasa partiva per il viaggio che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. E mentre Sanae cercava la sua strada in Giappone, Tsubasa inseguiva con caparbietà il suo sogno in Brasile. Ma anche questa è la storia di un ragazzo che ama incondizionatamente una ragazza. Perché questa è la storia di Tsubasa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Don't Be Afraid to Fly ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 6

Buon compleanno







Ma come ho fatto a farmi convincere?
Mi guardo intorno un po’ spaesato, circondato da monili di ogni tipo e di ogni fattura, i borsoni da calcio vicino alla porta d’ingresso due note stonate, che proprio non c’entrano nulla in questa specie di bazar.
Pepe discute vivacemente con la ragazza del negozio, da ormai un quarto d’ora, mentre lei sciorina tutte le qualità dei sui prodotti artigianali, unici nel suo genere.
Ora gli sta mostrando un bracciale con tante pietruzze colorate come ciondoli, fatto con le sue stesse mani, Pepe mugugna in silenzio mentre lei continua a gesticolare entusiasta, con movimenti che mettono continuamente in scompiglio la lunga chioma riccia, tenuta malamente a freno da una fascia colorata.
Attendo la risposta del mio amico, osservando il suo volto serio mentre rigira il bracciale tra le dita, sconsolato, emetto un sospiro quando lo vedo scuotere la testa chiedendo di vedere altro.
La ragazza, che scopro chiamarsi Dinà, non si scompone ma orgogliosa, prende a stendere un’altra infinita serie di sue creazioni sul banco.
Ma quanto ci vuole a prendere un cavolo di regalo?
Mi metto così a curiosare per il piccolo negozio, tanto per ammazzare il tempo, sentendomi però come un elefante in una cristalleria, tanto è pieno di roba estremamente fragile.
Passo vicino a un piccolo tavolo, che mi arriva poco sotto a un fianco e osservo dei vasi di varia misura, tempestati di vetri colorati, a fianco una mensola trabocca di scatole quadrate, più o meno grandi, decorate alla stessa maniera.
Mi avvicino poi a una bacheca, dove sono esposti dei ciondoli dalle forme più disparate: dai delfini alle stelle marine, dai segni zodiacali ai fiori tropicali e no.
Più li guardo e più non ne capisco assolutamente niente, ma mi sembrano carini o meglio, credo che a una ragazza potrebbero proprio piacere.
Mi allontano sorridendo, pensando alla reazione di Sanae in mezzo a tutto questo femminile ben di Dio, quando, con la coda dell’occhio, noto qualcosa che attira la mia attenzione.
Un piccolo ciondolo diverso da tutti gli altri, che superficialmente non avevo notato.
Prendo in mano il piccolo oggetto, la sua forma di farfalla mi strappa un altro sorriso ma stavolta un po’ malinconico.
Lo faccio dondolare, prendendo l’anellino, che serve per appenderlo, tra pollice e indice, le ali decorate di cristalli incominciano a brillare, proprio come se stessero sbattendo nell’aria.
“Dinà?” chiamo senza pensarci due volte e dando direttamente del tu confidenziale alla ragazza del negozio, che è anche più grande di me, ma ormai sono abituato a non usare le buone maniere giapponesi in Brasile.
“Dimmi!” mi risponde con un sorriso solare sul viso mulatto.
Mi avvicino di qualche passo e le porgo il ciondolo.
“Avresti anche una catenina per questo?”
“Lo prendi?” mi chiede allegra, sistemando meglio l’oggetto nel palmo della sua mano, un po’ come se fosse un vero essere vivente.
Annuisco sorridendo, la ragazza mi chiede di aspettare un attimo e si sposta nel retrobottega.
E non so perché, ma mi sento all’improvviso contento per una cosa forse un po’ stupida.
Sto comprando un regalo per una persona che non ho assolutamente modo di vedere, regalo che rimarrà in camera mia per non so quanto tempo.
Ma questo mi rende felice.
Solo ora mi accorgo che Pepe mi sta osservando con aria perplessa.
“Che c’è?” chiedo sbattendo le palpebre.
“Che hai comprato?”
“Un regalo!” rispondo sfoderando un sorriso allegro.
“Per chi?”
Rispondo ancora, ma stavolta abbassando le spalle ed emettendo uno sbuffo.
“Dammi una mano se sei così bravo!”
“Non sono bravo a fare regali!”
“Sì che lo sei!Ci hai messo un minuto!”
“E’ il tuo regalo, pensaci da solo!”
Dinà rientra dal retro in questo istante, Pepe grugnisce scocciato, tornando ai suoi monili.
“Ecco qua! Ti piace?” mi chiede la ragazza, dondolando davanti al mio naso il ciondolo appeso a una fine catenina d’argento, le ali brillanti riprendono a volare.
“E’ perfetto!” esclamo, annuendo soddisfatto.
Dinà sorride compiaciuta mentre prende della carta velina e inizia ad avvolgerla delicatamente, intorno alla farfalla di cristalli.
“Ti farò un bello sconto per la decisione con cui hai scelto!” esclama poi mentre posa il piccolo involucro bianco dentro una scatolina di carta da zucchero colorata, un sorriso divertito rivolto al mio amico, che nel frattempo ha rialzato lo sguardo imbronciato su di noi.
“Pure a me lo farai! Sono il tuo migliore cliente!”
Dinà scoppia a ridere dandogli del moccioso perditempo.
“Dovresti prendere dal tuo amico asiatico!” aggiunge poi ghignando contro Pepe, che inizia a blaterare su quanto questa frase abbia davvero poco senso.
E sorrido anch’io divertito, perché in fondo, ha ragione lui.
Consigliare a qualcuno di prendere da me per le faccende di cuore, è una cosa che fa oggettivamente ridere.





“Come immaginavo! E’ una semplice lesione di primo grado.”
Il dottore sentenzia così, posando la mia cartella sulla scrivania, l’ecografia del mio tricipite surale, ossia polpaccio, in bella vista.
“Hai un po’ esagerato con l’allenamento, ma le fibre lacerate sono appunto meno del 5%. Dovresti farli riposare, ogni tanto, questi muscoli!”
Imbarazzato, mi gratto il ciuffo ribelle sulla nuca mentre il dottor Sampaio prende il ricettario e inizia a scrivere.
“Devi stare a riposo per almeno una settimana, poi vedremo se sarà il caso di prolungare…”
Uno sbuffo deluso esce dalle mie labbra.
Odio gli infortuni, odio dover star fermo.
Mi fa sentire inutile e non fa bene al mio umore, è l’unica cosa che non riesco a prendere poi tanto con filosofia.
Già mi vedo impaziente, tornare qui tra sette giorni, con la speranza di sentire che posso tornare a giocare.
Detesto queste situazioni, è frustrante.
“Dovrai assumere antinfiammatori e miorilassanti, ti segno qua il dosaggio e i tempi. Farai solo ed esclusivamente un po’ di stretching per accelerare il recupero del tessuto di riparazione cicatriziale. Tutto chiaro?”
Annuisco serio, prendendo dalle mani del dottore il foglio bianco con su scritta la mia condanna e lo saluto ringraziando, dandogli appuntamento tra una settimana esatta.
A passi calmi, senza alcuna fretta, attraverso il corridoio bianco che porta all’uscita, oltre il portone verde della clinica c’è Roberto, che mi aspetta appoggiato al cofano posteriore dell’auto.
Lo saluto abbozzando un sorriso mentre mi butto sul sedile, non prima di aver letteralmente lanciato il borsone nel bagagliaio.
“Non mi pare sia andata bene…” borbotta Roberto mentre mette in moto e fa retromarcia, ha l’aria davvero preoccupata.
Sconsolato gli spiego delle mia distrazione muscolare di primo grado come se stessi parlando di qualcosa d’incurabile.
Lo so che sono melodrammatico in questo momento, ma poi pian piano mi passa.
“Poteva andare peggio! Una settimana di stop è una barzelletta!”
Roberto ridacchia, tirando un sospiro di sollievo ed io mi limito ad annuire imbarazzato, rendendomi conto delle mie reazioni un po’ esagerate a volte.
Ammutolito, decido così di concentrarmi sulle immagini fuori dal finestrino, ostentando un silenzio prolungato.
Roberto mi lascia fare, senza disturbarmi e guida anche lui silenzioso, finché non arriviamo a casa.
L’andazzo rimane lo stesso per tutta la serata, finché dopo cena, non mi chiudo in camera mia di pessimo umore.
Mi sdraio sul letto a pancia in giù, sospirando rumorosamente e chiudendo gli occhi.
Inspiro forte col naso contro il cuscino, prima di riaprirli e nel mio campo visivo appare il pacchetto colorato, poggiato sul mio comodino.
“Non posso allenarmi, Sanae, e nemmeno giocare…” mormoro sospirando ancora, come se potesse realmente sentirmi e mi torna in mente l’ultimo infortunio, ben più grave però, che mi ha tenuto a riposo per un sacco di tempo, subito dopo aver vinto il terzo campionato nazionale delle scuole medie.
E mi ricordo di un pomeriggio d’estate, il giorno in cui sarebbe tornato mio padre e di noi due soli nella mia stanza.
Se almeno potessi vederti…
Ed eccola la famosa lampadina che s’illumina!
Spalanco gli occhi sorpreso dalla mia intuizione, poi facendo forza sulle braccia, mi tiro su dal letto, andando ad afferrare il telefonino, poggiato accanto al pacchetto multicolori.
Un rapido calcolo sul fuso orario e un altro per verificare le ore che avrò a mia disposizione, per andare e venire.
Sorrido beato mentre faccio partire la chiamata.
“Tsubasa?!”
Taro risponde con nella voce un mix di stupore e allegria, di sottofondo il rumore del cortile della scuola, nell’ora di pausa pranzo.
“Ascoltami! Sabato è il compleanno di Sanae, mi sono infortunato e ho deciso di farle una sorpresa!”
Taro scoppia a ridere dall’altro capo del telefono, e del mondo, avvertendomi che la Nishimoto ha già organizzato, per lo stesso motivo, una festa a casa sua.
“Perfetto! Voi non ditele niente, sabato mattina sono in Giappone!” esclamo al settimo cielo, dimentico delle mie disgrazie muscolari.
“Ok ricevuto! Ora attacca che se mi beccano sono cavoli!”
“Hai ragione! Scusa!” esclamo ridendo imbarazzato, perché a questo non avevo proprio pensato.
Ma perché lo tiene acceso lo stesso allora?
E all’improvviso credo di sapere la ragione.
“Ah! Taro!”
“Uh?”
“Ryo mi ha detto che ti sei fatto un viaggetto a Parigi. Mi sono perso qualcosa?” chiedo maliziosamente.
Il mio amico rimane in silenzio per una manciata di secondi.
“Ti racconto tutto sabato! Ciao!” e ridacchiando, chiude la comunicazione senza darmi tempo di aggiungere altro.
Osservo per qualche secondo, sbattendo le palpebre, il cellulare muto tra le mie dita poi la mia euforia si manifesta in un’allegra risata.
Felice, mi butto di schiena sul letto e per la prima volta in vita mia, colgo il lato positivo in un infortunio, che non mi permette di fare quello che amo di più, ma mi regala il tempo necessario per tornare a casa.





Casa mia.
La mia stanza.
Il mio cortile.
Sono passati due anni dalla partenza ma tutto è uguale.
Ed è fantastica la sensazione che si prova quando si ritorna, anche se per veramente poco.
Un misto di tempo mai passato e nostalgia, un mix di colori e profumi che, all’improvviso, mi circondano, risucchiandomi in una vita che non è più la stessa, ma che ora sembra sempre uguale.
La mamma si è messa a piagnucolare al telefono, quando le ho detto che sarei tornato per qualche ora, poi mi ha abbracciato stretto felice, quando ci siamo trovati faccia a faccia e infine mi ha sorriso maliziosamente, quando ha esclamato che “Certe cose si fanno solo da giovani e solo per amore!”.
Ovviamente sono scappato dalla sua vista come un ladro, imbarazzato e senza nulla di furbo da ribattere.
La sua risata divertita mi ha seguito finché non ho chiuso la porta d’ingresso alle mie spalle ma nell’istante esatto in cui ho varcato la soglia, me ne sono subito dimenticato, perché mi è sembrato di essere di nuovo il ragazzino di qualche anno fa, che scappava al campetto con il pallone al piede.
E mentre attraverso il quartiere ancora deserto nelle prime ore del pomeriggio e mi guardo intorno, sento di nuovo la contrastante impressione che tutto sia uguale ma allo stesso tempo diverso.
Ma forse sono semplicemente io a non essere più quello di prima.
Non sogno più il Brasile ora ma cerco di conquistarlo.
In lontananza scorgo finalmente la casa della Nishimoto, ovvero il luogo del nostro appuntamento, mio e dei ragazzi.
D’impatto riconosco subito le fisionomie dei miei amici, dei miei più cari amici, che mi stanno aspettando, radunati davanti al cancelletto d’ingresso.
Ishizaki si volta in questo istante verso di me, mi vede e la sua risata si dilata in quell’espressione buffa, che conosco da una vita.
“Tsubasa!” grida a squarciagola, anche gli altri si girano così per guardare nella mia direzione.
Li saluto sbracciandomi, sentendo dentro di me un’emozione fortissima.
Tempo una manciata di secondi, sono accerchiato e abbracciato in mezzo al chiasso assordante, che mi ricorda tanto, quando segnavo un goal in una partita importante e loro erano i miei fidati compagni di squadra.
“Lasciatelo animali! Così lo soffocherete e a noi serve vivo stasera!”
E’ la Nishimoto a parlare, riconosco la sua voce in mezzo alla confusione, poi riesco anche a vederla mentre si fa largo tra i ragazzi, che mi liberano così dal loro abbraccio collettivo.
“Ciao Tsubasa!” mi saluta allegra, le rispondo con un gran sorriso mentre ho ancora Ishizaki che mi penzola dal collo e Taro, che continua a darmi sonore pacche sulla schiena.
“Entriamo dentro su! Non vorrei che a Sanae fosse venuta voglia di gironzolare da queste parti e allora, addio sorpresa!”
Obbedienti e con una certa fretta, ci accavalliamo gli uni agli altri nel cortile e subito dopo, all’interno dell’abitazione.
Una volta riuniti in soggiorno, tutti seduti in circolo come quando facevamo una pausa durante gli allenamenti, i ragazzi prendono a domandarmi qualsiasi cosa sulla mia vita calcistica in Brasile.
Rispondo alle loro domande di buon umore, facilitato dall’argomento e dalla sensazione incredibile di benessere che mi circonda, perché mi sento davvero a casa, in questo momento.
Non tralascio nessun particolare, nemmeno il più stupido e il mio racconto, partito dalla mia solitaria partenza, che ho menzionato proprio per permettermi di scusarmi, è giunto all’ultima partita di campionato, vinta contro il Cruzeiro e al mio sciocco infortunio durante gli allenamenti, senza che mi rendessi conto del tempo che scorre.
“Così ho approfittato per venire un po’ in Giappone!” concludo ridacchiando e grattandomi la testa.
“Da Sanae vorrai dire!” esclama divertito Izawa, dandomi una leggera gomitata sul braccio, io abbasso lo sguardo sentendomi arrossire e annuisco, continuando a tormentarmi i capelli sulla nuca.
“Che romanticone che sei! Proprio non ti ci facevo!” questa volta è Ishizaki a parlare, prendendo la palla al balzo per tornare a giocare al suo sport preferito, dopo il calcio, ovvero Mille modi di tormentare Tsubasa Ozora nelle faccende di cuore.
Tutti scoppiano a ridere vedendo l’espressione imbarazzata sul mio volto mentre osservo il mio compagno, che continua ad ammiccare annuendo e mimando con le dita un cuore pulsante contro il petto.
Ma non ce la faccio proprio ad arrabbiarmi.
“Ti sono mancato tanto, eh Ryo?”
“Non immagini nemmeno quanto!” mi risponde, facendo finta di essersi disperato in mia assenza.
“Ma in compenso il buon Misaki ci ha dato di che parlare!”
Repentinamente non mi faccio scappare l’occasione di distogliere l’attenzione da me e mi volto verso Taro, che ostenta un’espressione di placida indifferenza.
“E’ vero! Tu mi devi raccontare molte cose o sbaglio?” gli chiedo facendo un po’ il gradasso.
Misaki temporeggia, stando sul vago, per cercare di prendere tempo ma fortunatamente in suo aiuto, arriva la Nishimoto, che con tempismo calcolatamente perfetto, inizia a esortare il resto della squadra a seguirla in cucina, per preparare tutto l’occorrente per la festa.
I ragazzi cercano di sottrarsi, borbottando delle scuse, ma Yukari non si scompone di una virgola e li minaccia, senza mezzi termini, di farli rimanere tutti senza cena.
“Forza di corsa di là con me! Tanto questa storiella già la conoscete a memoria! E voi ragazzi…” si volta verso Taro e me “… parlate pure, ma non fate aspettare troppo Sanae, ok?” e strizza l’occhio solo nella mia di direzione ora.
Annuisco sorridendo e la mia attenzione torna a concentrarsi su Misaki.
“Allora?” lo incito, ma stavolta con fare meno malizioso, una semplice domanda interessata al bene del mio amico.
“Il merito è principalmente di Sanae, se non fosse stato per la sua testardaggine, forse non ci sarebbe stato nessun viaggio a Parigi.”
Sorrido all’idea di lei che punta i piedi, con le mani sui fianchi, cercando d'imporsi alla timidezza del mio amico.
“Sanae si è offerta di ospitare Azumi a casa sua, benché non la conoscesse per niente e così ho potuto fare la prima mossa, invitandola in città e passare del tempo con lei.”
“E cosa vi siete detti?”
“Ecco, non è che la cosa si sia svolta proprio a parole…”
Sorrido arcuando un lato delle labbra.
“Diciamo che ho usato molto la bocca ma non proprio per parlare…”
Arrossisco leggermente mentre faccio segno d’aver capito, l’espressione di Taro cambia, facendosi un po’ più seria.
“E’ stato tutto naturale, niente discorsi imbarazzanti, ci siamo semplicemente avvicinati.”
Annuisco sorridendogli.
“Quindi perché non approfittare delle vacanze di primavera?”
Il mio amico sorride allegro ora, facendo un po’ lo scemo ed io sono felice per lui, perché so quanto tenesse a quella ragazza.
Non che Taro sia un gran chiacchierone, in fondo ci assomigliamo in questo, ma di solito, ci bastano un paio di parole per comprenderci al meglio.
“Poi in Francia c’è stato anche quello…” torna per un attimo a parlarmi, serio ora, ma con un pizzico d’imbarazzo in più, che prima proprio non aveva.
“Uh?” lo guardo perplesso, aggrottando le sopracciglia, rimuginando sull’ultima parolina uscita dalla sua bocca.
Quello!” ripete con un cenno della mano aperta verso di me, per sottolineare un concetto che momentaneamente mi sfugge.
Sesso!
E la mia bocca si spalanca per lo stupore, rimanendo poi aperta come quella di una carpa in procinto di mangiarsi un tozzo di pane, lanciato nel laghetto.
“Oh… Ecco… Wow!” farfuglio, preso un po’ dall’imbarazzo mentre Taro ridacchia, strofinando l’indice sotto il naso.
Ho perso proprio le parole.
“Ma ora basta parlare di me! Va da Sanae, ha già aspettato troppo!” mi esorta infine, dandomi una pacca sulla spalla e tirandomi poi per un braccio, in direzione della porta.
“Ok, ok!” protesto divertito dal suo d’imbarazzo mentre mi caccia, letteralmente, sul pianerottolo, mi volto nella sua direzione arrivato al cancello.
“Vai!” grida ancora dalla porta e senza che lo debba ripetere un’altra volta, lo saluto e mi metto a correre il più veloce che posso.
I miei piedi sanno da soli dove devono andare, un po’ come quando in campo cercano la porta.




Davanti al suo portone.
Riprendo fiato per la corsa impaziente, che mi ha fatto volare fino a qua.
In casa c’è solo lei, me l’ha assicurato la Nishimoto, che ha intelligentemente avvertito i suoi genitori, per non rovinare l’effetto sorpresa.
Sollevato dall’idea di salutare la mamma e il papà di Sanae in qualità di fidanzato, tiro un sospiro, pregustando quello che sta per accadere.
Suono il campanello, ponendo fine alla mia attesa, in silenzio mi metto ad ascoltare i rumori della casa.
Qualche secondo ancora, poi le mie dita impazienti tornano a premere sul pulsante bianco e di nuovo, tendo le orecchie per percepire i movimenti di Sanae.
La sua voce ovattata, oltre la porta, che chiama sua madre, mi regala un brivido caldo lungo la schiena.
Divertito e allo stesso tempo eccitato, torno a suonare per la terza volta il campanello ma questa volta riesco a sentire distintamente il suo “Arrivo!” perché rivolto proprio a me, o meglio, alla Yukari che dovrebbe aspettare sul pianerottolo.
Rumore di passi per le scale, poi la porta d’ingresso si spalanca con poca grazia davanti ai miei occhi.
Ho il tempo di scorgere il viso di Sanae solo per un attimo, perché lei si gira subito, armeggiando con un orecchino mentre si scusa, sempre con Yukari, domandandosi dove sia finita sua madre.
Ma la frase rimane sospesa, interotta a metà, perché lei si blocca di colpo ed io sorrido compiaciuto, nell’attesa che si volti.
Si gira di scatto, poi mi fissa stupita e mi viene da pensare e credere, che potrei anche morire in questo momento, se non l’abbraccio forte subito, ma desisto dal farlo, godendo ancora dello stupore dipinto sul suo viso.
“Sorpresa!” esclamo con voce allegra, allargando le braccia le sorrido dolcemente.
Sanae rimane imbambolata a guardarmi, sbattendo ripetutamente le lunghe ciglia scure.
“Se davvero tu…?” mi chiede sussurrando mentre la sua bocca rimane socchiusa, sempre in un moto di incredulità.
E qui non resisto più.
Azzero la distanza che ci divide e come calamitate, le mie mani afferrano il viso di Sanae.
Un secondo dopo, mosse dalla stessa forza, le mie labbra sono premute contro le sue.
Inspiro forte prima di lasciarle andare, ma senza allontanarmi troppo, per guardarla negli occhi.
“Direi di sì!” rispondo così alla sua domanda buffa, completamente vinto dalla felicità che provo in questo momento.
“Buon compleanno!” esclamo stringendola un po’ più forte a me.
Sanae inizia a piangere silenziosamente mentre risponde alla mia stretta, poi le lacrime lasciano il posto a una risata allegra.
E quando i suoi occhi tornano a guardare i miei, riesco a leggerci ogni stilla del suo amore per me.
E sono felice di non averti fatto aspettare troppo stavolta.
Sono felice di essere volato da te.





La festa per il compleanno di Sanae è stata esattamente come dovrebbe essere una riunione di vecchi amici. Perfetta.
Ho parlato per tutta la sera come non ho mai fatto in vita mia, quasi da perdere la voce o renderla rauca per lo sforzo.
Ho riso alle battute dei miei compagni, ho sogghignato vendendo come Ishizaki possa diventare assillante come un mastino, quando si tratta della Nishimoto e sono arrossito, quando inevitabilmente toccava a me essere lo zimbello di turno.
Ho sentito il mio cuore farsi più leggero, nel vedere il sorriso sereno di Sanae mentre scherzava con i nostri amici, mentre lo rivolgeva a me.
E la sensazione di stare di nuovo tutti insieme mi ha fatto sentire come se non me ne fossi mai andato e ho previsto, allo stesso tempo, che domani in Brasile, mi sentirò un po’ più malinconico.
Ma nulla vale il prezzo della gioia di Sanae quando ha sentito che sarei tornato d’estate, per la Nazionale e così la paura della nostalgia si è allontanata veloce da me, come n’è venuta.
Ora però è il momento di lasciare tutti, è il momento di restare un po’ da soli, lei ed io.
Mi congedo dai miei amici con la consapevolezza che non passerà molto e saremo di nuovo insieme.
Mi offro di accompagnare Sanae a casa, come se ci fosse davvero bisogno di farlo, come se non fosse scontato.
Ma anche questo fa parte del mio tuffo nel passato e mentre la mia mano stringe le sue dita, passeggiando di nuovo per vie familiari, mi tornano in mente le volte che facevamo la stessa strada usciti da scuola.
“Domani verrai all’aeroporto?” le chiedo però, ricordandomi che ci troviamo in una situazione ben diversa da quella di un tempo.
Sanae mi guarda di sottecchi poi alza gli occhi al cielo e sorride malinconicamente.
“Non vuoi?” mi risponde semplicemente con un’altra domanda, che mi porta a riflettere sulle mie decisioni in merito, prese due anni fa.
“Non è come quando sono partito ora…”
Sanae si ferma trattenendomi per la mano, mi giro a guardarla mentre mi fissa seria.
“Possiamo non parlarne ora? Puoi accompagnarmi a casa e basta, solo godendoci il momento?”
Nei suoi occhi come un velo di tristezza a incupirli, cosa che non deve accadere oggi, che è il suo compleanno, non stasera che siamo insieme.
Ho preso un aereo per renderla felice, non per rimarcare quanto siamo distanti.
Annuisco per rispondere alle sue domande, che suonano tanto come una richiesta di aiuto.
“Ti va di allungare per il parco?” le chiedo poi sorridendo, per dissipare la tristezza e per cercare di prolungare il più possibile il tempo da passare insieme.
Sanae annuisce convinta a sua volta e riprende a camminare, la sua mano inizia a dondolare stringendo la mia.
Una folata di vento muove i suoi capelli, il suo profumo si propaga nell’aria che mi circonda e posso sentirlo più distintamente, ora che Sanae si stringe al mio braccio sospirando.
Questa semplice gesto mi emoziona tanto che sento che sto arrossendo.
E mi rendo conto che il ragazzino che si limitava ad accompagnarla a casa è sempre dentro di me, ma anche che ora, non si accontenta più.
Ho voglia di baciarla…
Quando raggiungiamo il ponte di legno sul fiumiciattolo che costeggia il parco, Sanae si ferma, come sempre da quando la conosco, per sporgersi a guardare l’acqua che scorre sotto di lei.
Io mi avvicino, col cuore che batte più forte contro il petto, quando lei si volta e mi sorride, mi limito solo ad avvicinarmi ancora e a baciarla dolcemente.
Non c’è nessuna titubanza nella sua risposta, ma solo un’accogliente esigenza.
E più sento le sue labbra muoversi con le mie, più sento sparire tutto ciò che mi circonda.
Il suo sapore mi è mancato da morire, come mi è mancata la sua pelle, che ora le mie mani cercano di raggiungere, infilandosi sotto il suo maglione.
Quando ne avverto il calore vellutato sotto il mio tocco, istintivamente mi stringo di più a lei, come se in nostri corpi dovessero per forza incastrarsi perfettamente.
La mia bocca scivola poi sul suo collo, dal sapore buono come quello delle sue labbra.
Sfioro con le dita la sua gola, quando torno a baciarla sulla bocca, il suo respiro profondo mi fa sentire come se potessi tutto a questo mondo.
Con il pollice accarezzo quella parte di lei, che custodisce la sua preziosa voce e mi ricordo, all’improvviso, di non averle ancora dato il mio regalo.
Mi separo da Sanae quel tanto che basta per pronunciare il suo nome e guardarla negli occhi, che ora mi fissano languidi e dolci.
Frugo nella tasca del giacchetto con una mano e n’estraggo la mia scatolina colorata, che le porgo sotto il naso.
Sanae la scarta emozionata, chiedendomi di che si tratta, rimango in silenzio in attesa della sua reazione.
Arrossisce di più quando prende il ciondolo tra le dita e i suoi occhi si velano di lacrime commosse, quando lo fa dondolare davanti ai suoi occhi.
L’aiuto a indossarlo, sempre senza dire una parola, perché mi sembra che quella piccola farfalla riesca a parlare per me.
“Grazie…” sussurra, stringendo il ciondolo tra le dita “… la porterò sempre!”
Le sorrido, sentendo che il mio cuore esiste stasera, non per farmi correre su un campo, ma per battere per lei.
“Buon compleanno Sanae…” e torno a baciarla, amando incredibilmente la morbidezza delle sue labbra, amando semplicemente lei.
 










Prima di tutto i soliti dovuti ringraziamenti a chiunque si trovi sotto gli occhi questa pagina!
Mille grazie per l’attenzione, la disponibilità e anche la costanza di seguirci!^^
Questo capitolo è un po’ lunghetto, ma mi serviva in questo modo per spiegare cosa c’era dietro alla sorpresa di compleanno.
A differenza del precedente, al quale ho voluto dare un taglio molto intimo e legato solo alle sensazioni di Tsubasa, qui troviamo passo per passo cosa ha fatto e provato il capitano.
Manila nella recensione ha fatto delle osservazioni molto giuste però, avrei potuto descrivere e raccontare di più nello scorso capitolo, ma ho sempre pensato di aver “dato” tutto in quel frangente quando scrissi i capitoli di B. e non mi andava di fare in FA un capitolo gemello.
Fly Away mi “serve” per esprimere lo Tsubasa che s’intuisce in B. per questo spesso tendo a non ripercorrere gli stessi episodi o a sottintendere molto, dimenticando che non necessariamente B. è il punto di partenza e che già si conosca.
Ho scelto la via che piaceva a me insomma, come ho sempre usato fare ogni volta che ho impostato un capitolo, tralasciando cosa potessero desiderare gli altri.
E’ una mia vena “egoistica” che spero mi sia perdonata.^^
Chiedo quindi scusa a chi leggendo a volte si sente un po’ escluso dal tutto che do forse per scontato.
Ringrazio Manila per avermi fatto riflettere su queste cose che mi hanno permesso di spiegare qui il mio punto di vista.
Alla prossima, OnlyHope ^___^


   
 
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