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Autore: Inucchan    20/03/2010    10 recensioni
Sette anni scivolano come frammenti di specchi dimenticati, sui bordi di vite intrecciate che continuano a dipanarsi tra i conflitti d'un mondo cambiato. I tuoi occhi, così uguali ai miei, nei quali scorgo solo la malinconia d'un ricordo lontano, spezzato ed infranto. Lascia ch'io ti conosca attraverso lo sguardo. L'abbandono ed il senso di vuoto, tutta una vita che sfiorisce e rifiorisce dietro un solo monito. Ed è nato tutto da un patto di sangue, dal quale non riesco più a liberarmi. Rimani incatenato a me, tu che hai gli occhi del mio stesso colore. Non lasciarti sfuggire il mio respiro sulle labbra, tu che dici d'essere la donna che amo. Perchè il destino ancora non ha smesso d'ordire le sue trame, ed ancora una volta ne siamo tutti inevitabilmente legati.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Io e te siamo legati da uno strano destino II - Il patto di sangue.

 

Capitolo I : Mondi distanti.

 

 

 

 

 

 

"Tadaima!" Lo annuncia con una leggera enfasi nel tono, correndo verso la porta d'ingresso con le braccia aperte e distese a mezz'aria come se stesse imitando un aeroplano. "Non correre, ti farai male!" asserisce protettiva la madre, piegando un sopracciglio con un falso rimprovero nel tono. Sorride debolmente, al costatare che nonostante tutto, il mondo di Nekogai sia ancora protetto da una verità troppo scomoda. Lui è innocente, e dovrà rimanere tale sino a quando non giungerà il momento adatto. E' capace solamente ora d'intendere quante cose sua madre le abbia silenziosamente nascosto, mostrandole il sorriso che lei ora dona al figlio.

Questo è il reale peso dell'animo di una madre?

No, il suo è doppiamente peggiore. Un genitore può mentire a fin di bene, nascondendo piccole verità. Lei sta celando a Nekogai l'esistenza di suo padre. Può un tale fardello, aleggiarle così leggero sopra il capo?

Poggia la spalla all'infisso della porta d'entrata, abbassandole in seguito entrambe in modo automatico, come se d'un tratto avesse avvertito un improvviso impatto della gravità sulla schiena.

"Mamma, abbiamo ospiti …" tira la maglia lui, indicando col braccio teso due figure in avvicinamento. Il sorriso di Kagome s'amplia impercettibilmente, come se la vista dell'amica Sango, a poca distanza, l'avesse improvvisamente risollevata di morale.

Un’attesa eterna la sua, dove il rumore di passi che avverte, sembra ovattato a tal punto da non raggiungerle quasi l'udito. Invece è l'avvertire una seconda presenza accanto a lei, carpirla con lo sguardo, che la raggela. La sicurezza che poco prima aveva varcato quasi per scherzo il suo fragile mondo s'è incrinata di nuovo, assieme alla consapevolezza che ci sia anche Miroku presente alla spedizione.

E' come possedere una sorta di ribrezzo verso le cose che le ricordano l’hanyou; anche un oggetto, il più banale, le provoca nausea e angoscia. "Guarda guarda chi non è morta …" comincia lui, rimanendo quasi vago, per poi sollevare il braccio e muoverlo artisticamente da destra a sinistra come uno scimpanzé allo zoo.

"Ah" questo è l'unico suono che è capace di formulare in tutta risposta, lasciando lui palesemente sconfortato dal livello di eccitazione suscitato nella vecchia amica.

"Credo sia lo stupore di vederti in visita con me" subentra prontamente Sango, adocchiando in modo immediato la reazione di Kagome. "Quando non ci sono sederi da toccare, è capace di trasformarsi in un ottimo accessorio da passeggio" la esorta, facendo il verso a Miroku, per poi auto palparsi il deretano.

"Mi vedi davvero come una sorta di maniaco sessuale?" chiede quasi seriamente, ed il che non si associa molto bene con l'espressione sgomenta e mezza offesa che ha assunto ora il volto del codinato.

"Non ti ci vedo... " ribatte lei civettuola, poggiando il capo alla sua spalla, con tanto di batter di palpebre in una brutta imitazione di Bambi. I tratti del viso di lui si distendono, tonando rilassati e quasi pieni di premura nei confronti della consorte, perlomeno quando non sente il sedere preso d'assalto da un pizzicotto ben assestato.

"Ahio! Chi è che poi ha la mania di palpare?"

"Devo rilevare una cosa fondamentale. TU sei mio marito e posso, la commessa del supermercato NON è tua moglie, quindi non puoi martoriarle il fondoschiena!" ribatte con una sorta di vena pulsante sulla fronte.

"E se d'un tratto divenissi poligamo?" estrae una carta per lui sicuramente vincente, mostrando un ironico quanto smagliantissimo sorriso di rimando.

"E se d'un tratto decidessi d'evirarti?" touchè. Lui indietreggia coprendosi i gioielli con una faccia cosparsa di puro terrore, lei è sempre in grado di concludere l'arringa a suo favore, e di batterlo in qualsiasi fronte. Sarà per questo che l'ha sposata? Che donna ragazzi, che donna!

Kagome, in tutto questo, è rimasta a fissarli allibita, poi sconcertata, quasi divertita e infine notevolmente demoralizzata: due persone messe K.O. in un solo round, complimenti Sango!

"Ka... Kagome... " comincia lei imbarazzata, dando uno scappellotto - chissà poi per quale recondito motivo - dietro la nuca del povero marito, sin ora rimasto perfettamente imbalsamato da bravo stoccafisso.

"Io cosa c'entro?" risponde, volgendosi di scatto verso la mano più veloce di Tokyo, dopo la sua con i sederi, ovviamente. Inarca le sopracciglia in una sorta d'inespressivo disappunto, prima che gli venga pestato pure il piede, costringendolo ad improvvisare una macarena un po' bizzarra davanti all'uscio di casa Higurashi.

"Zitto! Tu c'entri sempre!" ed ecco come le donne sono sempre capaci di scaricar barile sugli uomini, dura e triste realtà.

Nekogai nel frattempo s'è goduto la scena da dietro la gamba della madre, e si chiede, mentre gli adulti discutono animatamente, il buffo significato della parola 'evirare' che userà sicuramente l'indomani a scuola. Quando s’imparano nuove parole, c'è da vantarsene! Sicuramente, conoscendo un termine così difficile, diverrà molto popolare tra i compagni.

"Io l'ho sempre detto che Dio li fa poi li accoppia" la padrona di casa solleva un sopracciglio, portando entrambe le mani sui fianchi come se stesse rimproverando due mocciosi. Non dovrebbero essere adulti loro due? Sospira, in chiaro segno d'arrendevolezza. "E' strano vederlo in giro con te... " piega il capo, sorridendo d'occorrenza.

"Sì, sono una sorta di cane da passeg... cough!" questa volta, diritta tra le costole, Miroku riceve una bellissima gomitata a moviola, con tanto d’insulti d'ogni sorta e colore tirati dietro. Kagome abbassa semplicemente le mani sulle orecchie del figlio, per impedirgli d'udire il fornitissimo vocabolario da scaricatrice di porto di Sango.

"Tu sei un beep, non capisci né capirai mai un emerito beep, chi ti ha partorito una beep? Quando hanno distribuito i cervelli, tu eri in bagno a beep? Dimmelo razza d’idiota! (la parola meno oscena di tutta la frase, per intenderci) ".

Oramai non c'è più nulla da dire, quando la sterminatrice di bon ton comincia i suoi sermoni, non finisce più. "Sango! Smetti di recitare rosari davanti alla mia porta, i vicini potrebbero pensare male di me, ed inoltre, se dice la parola “cane”, non cado di certo in depressione …" incrocia le braccia al petto, sospirando oramai per la quindicesima volta.

"Volete entrare, o desiderate passare il giorno ad insultarvi?" concisa, diretta, e inattaccabile. Questo è il segreto di una donna che gestisce una famiglia!

I due annuiscono all'unisono, ponendosi in fila come soldati per marciare all'interno della casa sotto lo sguardo omicida di Kagome. Alla faccia della donna addolorata.

 

Tutto è rimasto come allora, il salotto, gli interni, nulla pare essere stato sfiorato dal tempo in quella casa. Ogni qualvolta si posa lo sguardo sulle fotografie che pullulano in casa Higurashi, paiono sempre, millimetricamente disposte nello stesso identico ordine di qualche anno prima. Sango prende in mano una cornice, osservandone l'interno, dove ritratti, vi sono i volti di loro tre soltanto. Pare che la foto sia stata tagliata in un punto, quasi a voler identificare che la persona presente allora non debba più far parte dei ricordi di quella casa. Lo sguardo le si rabbuia, quando s'intenzionerà a provare a dirgli tutto? Per quanto tempo ancora terrà Inuyasha sigillato in quella stanza, come fosse un mostro?

Lo sguardo vola a Miroku ora, che s'è fermato ad osservare la stessa foto per lunghi istanti, senza proferire parola, tenendo lo sguardo puntato sulla parte d'immagine rimossa. "..." è serio, eppure non traspare null'altro dal volto contratto ora in una smorfia. Dovrebbe esserci dolore dipinto nel riflesso che ora quei sorrisi stampati e passati, riflettono nelle iridi bluastre? C'è stato, così tanto strazio nel suo corpo, da apparire oramai come indolenza. Quasi distacco. Saperlo lassù, a pochi passi da loro e non poter varcare la soglia dove giace per dirgli semplicemente di non fumare come una ciminiera, o di non prendere a cazzotti mezzo mondo per difendere il suo fottutissimo orgoglio. "Non ricordavo d'averla fatta" unico commento gelido che sfugge alle sue labbra, prima di prendere in mano la cornice da quella di Sango, e riporla con irritazione sul ripiano che la ospitava poco prima.

"Non toccare cose non tue" ecco, ora c'è una tonalità differente nel timbro del codinato, che viene profusa quasi con rabbia malcelata. Perché ha cancellato ogni traccia di lui, come se non fosse mai esistito? Per quale assurdo motivo lo sta nascondendo al mondo, come se avesse commesso un omicidio? Inuyasha è vivo, ed è là! Stringe la mano, sino ad imbiancarne le nocche all'interno, sino a quando non viene afferrata e brandita da quella di Sango, che ne carezza il palmo quasi con ossessione.

"Ti avevo detto di non venire" sussurra, imponendogli sangue freddo al momento.

Gli occhi di lui chiedono comprensione, che probabilmente non arriva, dacché Kagome varca la soglia con bevande di ogni sorta per interrompere il silenzio dei fastidiosi ricordi.

"Sono felice che siate venuti, non me lo aspettavo" sorride, finalmente, quasi rilassata in viso. La mano di Miroku si apre lentamente, come se il volto disteso di Kagome fosse la risposta alle sue domande interiori. Ha un figlio da proteggere dalla storia del patto di sangue, e forse è lei, più di tutti quella che soffre per essere dovuto ricorrere ad una soluzione così drastica.

"E' una visita di passaggio... " risponde l'amica, raggiante, alzandosi in piedi e buttandole le braccia al collo come i vecchi tempi. Lei ora ha bisogno di loro due, saranno le carte disposte in tavola a decidere le mosse che compirà il destino.

C'è qualcosa di diverso nella stanza. La padrona di casa si è accorta che la cornice è stata spostata, ed il sorriso, quasi come fosse posseduto da un incantesimo, si dilania in un istante.

"Ho dovuto farlo... Nekogai non sa... " si blocca, ed ecco che i sensi di colpa tornano a divorarla famelici. E' stata colpa sua, è stato un errore, ha spezzato un equilibrio perfetto, sia per lei, che per loro. "Lo sappiamo, non è colpa tua. Ssh" Sango la rassicura, ma come potrebbe evitare di nuovo quel dannato ricordo? Se solo non ci avesse provato, se solo si fosse data pace, allora...

 

"Okaasan?" la voce del microbo si fa udire tra sensi di colpa e isterie adulti, un richiamo innocente, che coglie immediato l'attenzione dei tre interlocutori nella stanza. Lo fissano per qualche istante, come se al momento Nekogai rappresentasse il quarto elemento del gruppo, colui che manca. Lo tradisce semplicemente la dimensione ridotta del corpo, e la tonalità vocale un po' troppo bassa perché sia quella del padre. "Perché non vai a giocare di sopra?" viene dileguato con una facilità disarmante, tant'è che le piccole feritoie degli occhi si abbassano a mezz'asta, nascondendo le iridi chiare vibranti di delusione. Per quale motivo non gli è concesso di prendere parte a discussioni che per gli adulti, non sono adatte ad un bambino? Non è più un moccioso maledizione. Ha sette anni oramai, si sente abbastanza grande da poter capire di cosa discutono gli altri. La madre però, non sembra essere della stessa opinione.

"Si, andrò a trastullarmi con i miei pupazzi... sono un bambino in fondo, no?" ribatte seccato, ed è proprio in quel tono così perentorio e pungente che ora non c'è alcun dubbio su di chi sia figlio.

"Nekogai... " un sussurro, prima di volgere lo sguardo altrove e lasciarlo andare. Non lo tratterrà, non può farlo, ha bisogno di sfogarsi con Sango; ha la necessità di ritrovare un ritaglio di tranquillità in tutto questo.

 

Procede spedito, col piccolo corpo che trema di rabbia ora. Non è un ragazzino, non desidera essere trattato come tale. I pugni sono stretti lungo i fianchi ora, mentre ripercorre a ritroso la scalinata che porta alla sua stanza. Quant'è lungo quel corridoio illuminato solo dalla finestra che vi giace in fondo? Osservarlo attraverso i riflessi inconsistenti dei lacci di sole che si frappongono tra lui e quella porta, gli provoca una qualche inquietudine interiore. Si ferma di nuovo dinanzi ad essa, attratto da quell'inconfondibile odore così simile al suo.

"... " Avrebbe voglia di chiedere spiegazioni, di parlare col mostro che giace dietro quella porta, per chiedergli se sembra davvero un moccioso, se anche lui lo vede come tale. In fondo gli alieni, o checchessia, sono capaci di scorgere attraverso le porte con meccanismi avanzati no? Lo avrà pur visto.

Curiosità di sapere chi c'è lì dietro. Nuovamente s'affaccia il desiderio recondito d'aprire quel mondo alternativo, che potrebbe separarlo da qualsiasi cosa. Prende un respiro immenso, sua madre non lo vedrà, è impegnata in discorsi da adulti, e lui deve sapere.

Si alza in punta di piedi verso il pomello, traendo verso di sé la superficie di legno che funge da ultimo ostacolo alla vista. La porta si apre...

Trattiene il fiato per qualche secondo, sommerso dall'immensa quantità di luce che proviene dalla stanza vuota, è come se ne fosse inondato assieme a quell'odore che ora vibra forte nell'etere.

"... Oh" è tutto ciò che riesce a dire, non muove un passo, si limita a rimanere a bocca aperta dinanzi a colui che sembra il suo riflesso più adulto. Le palpebre chiuse, probabilmente inabissato in un sonno profondo, col capo semi flesso sulla destra, seduto come un imperatore sul trono di quel minuscolo regno fatto di quattro mura.

Gli occhi spalancati e pieni di eccitazione del bambino tremano, è incatenato al suo posto da una febbrile paura. Che quella stanza sia lo specchio del suo futuro? E' lui da grande?

Perché sua madre gli avrebbe nascosto qualcosa di così magico?

Lo studia, da lontano, prendendo finalmente coraggio per raggiungere la posizione di quel gigante con le orecchie canine facendo attenzione a non svegliarlo. Eccoli, ora sono l'uno dinanzi all'altro, riflessi perfetti, in dimensioni differenti.

La piccola mano si solleva a mezz'aria, come se volesse aggrapparsi a quel sogno che presto svanirà, poi si blocca, così come il respiro, quando le iridi vitree di Inuyasha si spalancano sulle sue come finestre di nulla.

"Chi sei?" è la voce dell'altro giorno, e dunque questo conferma la tesi che sia stato lui a parlargli dall'altra parte della porta. Le piccole orecchie del figlio si abbassano, così le palpebre, in un moto di autodifesa da un possibile attacco. "N...non volevo svegliarti" guaisce piano, mentre trattiene qualche lacrima di frustrazione.

"L'hai fatto, chi sei?" ripete l'altro, incurante delle scusanti del più piccolo. Lo fissa, in modo ossessivo quasi, mentre una forte emicrania comincia a farsi avanti tra le spire della mente.

Solleva una mano sulla fronte, come per spezzare la tensione della vista.

Chi è quella nuova persona che gli somiglia? Cosa ci fa là? Non avrebbe dovuto esserci quella donna al suo posto?

Il mezzo demone più grande si sposta in avanti col busto, raggiungendo l'altezza di Nekogai.

"Mi somigli... sei forse un'allucinazione di qualche mio ricordo?" piatto il tono, fermamente inflessibile nella richiesta.

"No, io sono vero. Sei tu che sei un'illusione, credo" risponde naturalmente l'altro, ed è ciò che provoca un'altra scarica d'adrenalina lungo la schiena del 'fantoccio demoniaco' che ha di fronte.

Lui è un'illusione? Non esiste in quel luogo, e forse non è mai esistito?

"Credi sia così?" chiede ora, con estremo bisogno di conoscere altre risposte. In tutto quel tempo, nessuno gli ha mai rivelato nulla, nemmeno la donna dagli occhi scuri gli ha mai rivolto verbo. E' la prima dichiarazione che ha su di sé.

"Non lo so... sono un bambino" emette timidamente, in un broncio, il piccolo, muovendo un passo indietro.

"Qual è il tuo nome?"

"Nekogai"

Il mondo si ferma per un istante. Uno scatto improvviso, Inuyasha lo prende per le spalle, stringendole ossessivamente con rabbia. "Chi sei? Perché mi fai male alla testa? Perché mi hai fatto tutto questo? Rispondi dannato gattaccio!" perché... ha detto quella frase? E' evidente che dinanzi a lui non ci sia un felide, non ha la forma demoniaca di un gatto, e allora perché l’ha appellato con quel suffisso?

"M... mi fai male, e ho paura di te. Lasciami!" mastica tra le lacrime l'altro, che viene rilasciato quasi immediatamente, sotto lo sguardo scioccato del padre che rimane a fissare un punto impreciso della stanza.

"Vattene" pronuncia secco, ricadendo in ginocchio su se stesso, come se avesse ricevuto un colpo diretto alla testa. Le mani si spostano sulle tempie, ed è come se attorno a lui crescesse il fomento della rabbia. Nekogai indietreggia, spaventato, chiamando a gran voce sua madre tra i singulti del pianto.

"VATTENE! VATTENE! VATTENE DA QUESTA STANZA MALEDETTO!" le urla di Inuyasha raggiungono il piano inferiore, mobilitando i tre presenti a correre in soccorso al bambino, seduta stante.

Ciò che Kagome apprende sulla porta è spaventoso. Si sono incontrati, e suo figlio sta piangendo.

"Nekogai, Nekogai vieni da me!" lo incoraggia la madre, accogliendolo tra le braccia per calmarne i tremori, mentre lo sguardo va ad Inuyasha, col capo piegato sino al suolo che si contorce negli spasmi della sua stessa agonia. Quale spettacolo più doloroso al quale dover assistere impotente?

"Non piangere" lo rassicura, mentre Sango e Miroku tentano di avvicinarsi al mezzo demone che sosta al centro della stanza.

"Non avvicinatevi a lui! Si calmerà da solo, uscite semplicemente da questa stanza!" intima, mentre i due coniugi si fermano di schianto, all'avvertimento, rimanendo semplicemente a contemplare la figura dell'hanyou.

"Perché devi lasciarlo soffrire in questo modo? Non c'è modo che recuperi la memoria, cazzo? Come puoi chiedermi di lasciarlo così? DIMMELO, COME PUOI CHIEDERMELO?" è Miroku a parlare ora, che non ascolta il consiglio della donna, avvicinandosi al vecchio amico per sostenerlo come un tempo.

"Inuyasha!" la mano di Kagome si solleva a mezz'aria, per poi scivolare davanti alle labbra come se avesse gridato una formula magica proibita. Quel nome... non avrebbe dovuto menzionarlo di fronte a lui.  La sofferenza dell'hanyou pare interrompersi improvvisamente, mentre risolleva confuso lo sguardo prima su Miroku, e infine su Kagome.

"Cos'hai detto?" ha intenzione di farselo ripetere, quel nome, ha avuto una sorta d'effetto a boomerang sulla memoria. Sa di conoscere quella parola, l'ha già udita, vuole sentirla di nuovo.

Kagome si sposta, alzandosi repentina, per abbandonare Nekogai di fianco alla porta, prima di intimargli di uscire immediatamente dalla stanza assieme agli altri due.

"Non venirmi a dire cosa devo o non devo fare, so io cos'è meglio per lui, Miroku. Esci da qui!" è imperativa, come mai lo è stata in vita sua forse. Nessuno, nessuno all'infuori di lei può guardarlo in questo stato, che non si azzardi nessun altro ad entrare di nuovo in quella stanza.

"Sango, porta con te Nekogai, ci penserò io qui" continua, rivolgendo solo in seguito uno sguardo astioso all'ex migliore amico del compagno, sapeva sin dall'inizio che la sua presenza avrebbe portato solo scompiglio. Che disastro!

 

Un'ora di quiete, nel silenzio, mentre gli animi sono immersi nella follia pura e tentano di ritrovare qualche tassello di tranquillità. Il mezzo demone s'è calmato, senza tuttavia alzarsi dal pavimento sul quale ancora è riverso.

Kagome è rimasta poco più in là, in piedi, con la chiara intenzione di non concedergli alcun contatto che possa fargli del male.

"Chi è, Inuyasha?" solleva le iridi vuote su di lei, in silenziosa attesa di una conferma. Come può rivelargli il suo nome, se ciò potrebbe significare perderlo per sempre? "Nessuno." prorompe atonale, come se si fosse imposta un distacco gelido con lui.

"Capisco" tenta di risollevarsi, ma il corpo è assai debole per potersi muovere in modo autonomo. E' da tanto tempo che non si alza da quella seggiola, e ora che d'impatto si era deciso a farlo, sente d'aver chiesto aiuto ad ogni energia disponibile.

I passi di Kagome si allontanano, deve uscire da quella stanza, non regge.

"Ehi... " la richiama, con quel tono di voce che aveva un tempo, con la stessa impostazione irritata nel timbro. "Non ti basta tenermi chiuso qui dentro? Vuoi che io rimanga disteso così per sempre?" domanda ironico, ha recuperato in parte, quell'appellarsi alla gente in modo totalmente accusatorio. E questo è come una spina nel fianco per lei, che ha deciso di non rivelargli più del dovuto.

"Perché... non chiedermi questo, non posso toccarti" solleva una mano di fronte alle labbra, per celare il tremore della voce che ha preso il posto di quello fermo di poc'anzi.

"Soffro di qualche malattia incurabile?"

"No"

"Allora fallo" è sempre stato così, da quando l'ha conosciuto. Inflessibile in ogni sua richiesta, anche quando doveva mettere da parte l'orgoglio, qualsiasi fosse il motivo, appariva sempre sotto forma d'ordine insindacabile. Sia prima, che ora.

Lei chiude gli occhi, muovendo un altro passo in avanti, mentre il battito le si frammenta nel petto come vetro. Non può, è una regola del patto di sangue, ogni contatto, ogni ricordo, ogni cosa che possa ricondurlo a quel pensiero lo ucciderebbe.

"Farò in modo che tu non debba toccarmi direttamente, ma non posso rimanere così, mi capisci vero?" continua secco. Più la sua voce la chiama, più la ferma condizione di lei si spezza.

Da quanto non sente il suo odore da vicino? Non ricorda che sapore abbiano le sue labbra, non ha reminiscenza di che consistenza abbia, non ha più alcuna certezza che lui sia un corpo di carne ormai.

"Va bene" asserisce, volgendosi e tornando indietro, per cercare un punto d'appoggio da concedergli in modo da non toccarlo. Giusto, basterebbe avvicinare la seggiola alla sua posizione.

Un passo, che si tramuta in una posa statuaria, quando la mano di lui afferra la sua, creando il contatto proibito.

"NO! Avevi detto che non mi avresti sfiorata!" prorompe lei, mentre la mano di lui si stringe alla sua. Ha una consistenza ora, mentre il sentore della pelle del palmo le dilania ogni schema mentale imposto. Sentire, o anche solo percepire in minima parte quello che aveva rimosso volutamente con tanta fatica, è veleno. Una lacrima, due, mentre le iridi scure si abbassano ad incontrare le sue.

"Ne ho avuto il bisogno, non chiedermi il motivo" la risposta di lui sembra non avere senso, ma a quanto pare l'incontro con Nekogai ha risvegliato parte delle sensazioni che aveva dimenticato.

E' deleterio tutto questo per lui, può percepire e non ricordare, è peggio di prima, maledizione!

Si solleva all'altezza di lei, lasciandole poi la mano. "Non ho bisogno d'altro" conclude infine.

C'è, tra loro due, una sorta di spazio indefinito che li divide seppur siano così vicini. E' come l'avere dinanzi qualcosa d'intoccabile, che potrebbe sfiorare e raggiungere in un passo soltanto, ma non le è consentito.

"... " Lei tenta di ribattere, ma niente, dalle esili labbra non scivola alcuna parola. Solo lacrime copiose lungo le guance, le stesse che ha represso per così tanto di fronte a lui.

"Ti ho fatto male?" chiede l'hanyou, con una sorta d'ingenuità che non gli è mai appartenuta sul serio, che è solamente il risultato del suo non esser più se stesso.

"Forse mi hai graffiato con gli artigli, ma non fa niente. Mi medicherò" mente. Un'altra bugia. Per quanto ancora dovrà costellare il proprio mondo di menzogne?

Le da di spalle ora lui, annuendo semplicemente, per dirigersi infine verso la finestra a fatica, laddove giace la sua postazione eterna. Il trono di un fantoccio.

Kagome non riprende a camminare, s'è fermata ad osservargli le spalle, come se in un qualche modo, quel semplice gesto potesse guarirlo. Lo sguardo vagheggia dal poggia schiena della seggiola sino ai crini lunghi dell'altro, soffermandosi in ultimo sul panorama al di fuori della finestra.

Che cosa vedono i suoi occhi, sempre fissi nello stesso punto? Non ha mai smesso, per tutto il tempo, ogni giorno, dopo il patto di sangue, d'osservare muto qualcosa d’impreciso e di lontano.

"Il Goshinboku" è un flebile suono che gli esce dalle labbra, e che evidentemente il fine udito dell'altro carpisce immediatamente, dato che le orecchie sulla testa compiono una rotazione impercettibile.

Si chiede perché, tra tutto, si sia proprio soffermato nel contemplare quell'albero. Non vi sono ricordi particolari che dovrebbero legarlo al secolare; e allora, per quale motivo è proprio quello il dettaglio che cattura la sua attenzione?

"... Chi sei?" Ha ricominciato a chiederglielo, di nuovo, ma lei non risponderà neanche questa volta. Si risveglia solamente dal torpore improvviso, unendo le mani al grembo come una silenziosa ancella, per allontanarsi da lui, da quella stanza che improvvisamente è divenuta troppo piccola perché contenga tutto il dolore che vi aleggia dentro.

Vorrei che ci fosse un modo Inuyasha, per tornare indietro e impedire tutto questo ...

Lo aspetterà, attenderà il giorno in cui il patto di sangue sarà finalmente sciolto, anche se questo dovesse significare rimanergli accanto come sconosciuta.

Chiude gli occhi, concedendosi di ispirare pienamente il profumo di lui sino in fondo, per tenerlo con sé di notte, come fa ogni giorno.

Raggiunge la porta, guarda indietro per un’ultima volta e poi si allontana, richiudendosela alle spalle.

Lui ha atteso che lei se ne andasse per volgere l'oro degli occhi di sbieco. Solleva la mano, aprendone il palmo, come se avesse afferrato qualcosa nell'etere. Chiude la mano e la stringe, abbassandosela verso il petto.

E' una sorta di abitudine che ha principiato da quando s'è risvegliato senza memoria. Ogni sguardo, parola, respiro di lei è qualcosa da dover afferrare e riporre nell'animo come ricordo. Non lo fa con coscienza, è un gesto automatico che il corpo compie, come se fosse costretto.

Chiude gli occhi, inarcando le sopracciglia per disporre i gomiti sui braccioli e incrociare le mani sotto il mento. E' come se attendesse qualcosa, spiando il mondo nel suo silenzio.

"Quando avrai intenzione di mostrarti? Ti sento, anche se ti nascondi" le labbra si piegano in un sorriso sghembo, di quelli ricolmi d'astio e ironia al contempo. Le palpebre si riaprono d'impatto sul nulla, tornando a fissare il ramo del Goshinboku come se sopra di esso vi fosse qualcosa ... o qualcuno.

"Non sono un comune mortale, anche se non ti vedo, ho la capacità di percepire la tua presenza da metri di distanza. Attenderò anche in eterno che tu decida di mostrarti, smettila con questo gioco idiota, anche se non fai parte di questo mondo, riconoscerei il tuo odore nauseante anche tra mille secoli... ". E si squadrano, seppur Inuyasha non ne sia consapevole, anche l'altro lo sta guardando, col medesimo sorrisetto di lui dipinto in volto. Oro contro cremisi ora.

Presto cagnaccio, ma sappi che quando sarai in grado di vedermi, significa che sarà scoccata la tua ora.

 

 

[i]



[i] Tadaima : Letteralmente “sono a casa”. Viene utilizzato in Giappone per riferire ai familiari e/o coinquilini il ritorno dell’interessato.

Okaasan : mamma, in modo formale.

 

 

 

 

  
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