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Autore: Elos    29/03/2010    3 recensioni
Itachi Uchiha era un ninja.
Itachi Uchiha era un ANBU.
Come tutti i ninja sapeva che per portare a termine il proprio dovere bisognava prima di ogni altra cosa pensare al dovere.
Come tutti gli ANBU sapeva che per portare a termine il proprio dovere bisognava pensare al dovere e continuare a pensarlo, e a pensarlo, e a pensarlo, un mantra e una preghiera, una cantilena nella testa, sino a quando il dovere non diveniva tutto, semplicemente, annullando qualunque altro pensiero.

Tra i confini del Vento e del Fuoco, la storia dell'ANBU e della farfalla.
Genere: Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Kisame Hoshigaki, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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26. dono



Pioveva un po': lievemente, delicatamente, una pioggia sottile come un velo che si deponeva sulla terra in uno strato di limo bruno. Era tiepida, e tiepido era anche il vento che smuoveva le fronde intorno alla casa. Camminando sul sentiero senza curarsi di nascondere il proprio arrivo, Itachi poteva ascoltare lo strato di foglie cadute scricchiolare sordamente, in un suono liquido e increspato. Camminava così perché lei lo sentisse arrivare.
Hanako si affacciò infatti sulla porta di casa quando lui era ancora lontano: malgrado la distanza a Itachi parve di poter sentire tintinnare le campane del vento che aveva appeso nel portico, mentre la ragazza correva avanti, sotto la pioggia, verso di lui. Vestiva di verde pallido; su quel colore il biondo chiarissimo dei suoi capelli sembrava farsi argento, la pelle candida come la madreperla. La pioggia le scorreva intorno più che addosso, adesso, perché doveva essere così felice di vederlo da non controllare nemmeno più il proprio chakra; che si espandeva, ondeggiando, incanalando piccoli flussi di vento che le danzavano a fior di pelle.
Gli volò tra le braccia, e Itachi la strinse. Affondando il volto tra i suoi capelli, per un attimo gli sembrò di potersi dimenticare del mondo.
- Bentornato. -
Mondo che però era lì, incombente, e portava con sé un carico di dolore che gli parve intollerabile, adesso, in quel momento, con Hanako stretta contro il petto a bisbigliargli quel saluto, bentornato, tremendamente sentito, e il suo calore a fargli credere di essere pieno, ricolmo, completo. Itachi represse a stento il tremito feroce che gli era nato dal petto, costringendosi a restare perfettamente immobile, perfettamente inerte, mentre Hanako gli passava le mani sulla schiena.
- Stai meglio? -
Non stai bene, ma stai meglio. Era una domanda un poco meno angosciosa: una domanda alla quale Itachi avrebbe potuto rispondere senza mentire troppo, dopotutto, se proprio non fosse stato così necessario mentire.
Ma lo era.
- Sì. Hai avuto problemi? -
Era divenuta una frase ricorrente, quella, ogni volta che Itachi arrivava alla casa del muschio.
- Nessun problema. Si sono affezionati a me. Mi hanno invitato alla festa del villaggio, sai? Dopodomani. -
Le alzò il viso con due dita, per guardarla in viso:
- Vengo con te, vuoi? -
Hanako parve stupita, per un attimo, prima che il suo viso si illuminasse:
- Resti fino a dopodomani? -
- Resto per qualche giorno. -
Tenersi sul vago, si raccomandò, tenersi molto sul vago. Ma, nel guardare la gioia pura che le trasfigurava il volto a quella promessa di qualche giorno, Itachi non riuscì a fare a meno di ricambiare e sorridere.

Itachi era dimagrito ancora. Hanako se ne accorse quando, seduti sul pavimento, lui se la fece sedere tra le gambe, il dorso contro il proprio petto, e prese ad accarezzarle i capelli, districando le ciocche con le dita. Sembrava di potergli contare le costole attraverso la maglia: si era sfilato la sopravveste non appena aveva messo piede in casa, e il coprifronte con la foglia spezzata era rimasto sul tavolo, dimenticato.
Lei gli appoggiò il viso alla spalla, respirandogli contro il collo.
- Ho visto Sasuke. -
Hanako provò una fitta di gelosia a quel nome, perché l'amore nella voce di Itachi che lo pronunciava era pieno ed assoluto, orgoglioso; ma poi se ne vergognò. Era Sasuke, suo fratello, quello di cui parlava, suo fratello Sasuke. Come avesse da farsi perdonare qualcosa, gli baciò il collo con gentilezza.
L'ultima cosa da fare con Itachi, quando si decideva a parlare di qualcosa, era cercare di spronarlo: bisognava solo stare in silenzio ed aspettare che si decidesse spontaneamente a vuotare il sacco.
- E' cresciuto. E' più alto. -
- Ti assomiglia? -
Lui reclinò il capo per affondarle il viso tra i capelli.
- Abbastanza. - E poi, la voce soffocata: - Ha gli occhi di mia madre. -
La madre di Hanako era morta di parto, suo padre era stato, per quei pochi anni che lei aveva trascorso nella casa degli Hoshikaze, più un fantasma che persona vera: quando era cresciuta abbastanza da poter essere utile a Suna era stata messa in coppia con Mizuki, la cosa più simile ad una famiglia che Hanako avesse mai conosciuto. Per cui non capiva, non poteva capire, l'intensità assurda, dolorosa e felice della voce di Itachi. Capiva solo che il pensiero era calore, per lui, e lo faceva star bene: e, di riflesso, stava bene anche lei.
- Se ti assomiglia, è bello. -
- Io sono bello...? -
Hanako ebbe voglia di ridere a quella domanda tanto candida: ma, se avesse riso, Itachi si sarebbe probabilmente offeso. Aveva un certo senso dell'umorismo, Itachi, sufficiente a cogliere le battute di spirito e a capirle, ma non a replicare ad esse. Ed era, tra l'altro, un po' troppo orgoglioso per riuscire a ridere di sé.
- Tu sei molto bello. - Preferì rispondergli in piena sincerità, alzando il viso quel tanto che serviva per baciargli le labbra.
Itachi l'assecondò, e per un po' se ne stettero zitti. Poi, quando una delle gambe di Hanako aveva ormai trovato comoda posizione sopra ad una delle sue, le dita di Itachi intrecciate dietro la sua schiena, e lei era riuscita a fargli il nido contro il petto, la voce del ragazzo riemerse lenta:
- Era bella anche Mikoto. Ho sempre sperato che Sasuke le assomigliasse. - E poi, con un mezzo ghigno che era quasi una risata, e ad Hanako piaceva, da morire, quel ghigno, quel sorriso: - Era un cucciolo di infame, Sasuke, da bambino. Passava il suo tempo a corrermi dietro. Una volta per cercare di seguirmi è finito nello stagno. -
Hanako fece riemergere il viso dalla sua spalla, alzando gli occhi grigi per poterlo guardare in viso:
- Racconti...? - Bisbigliò dopo un attimo, esitando.
E Itachi lo fece.

Continua a farlo, anzi, per tutta la notte. Racconta e racconta e racconta come si svuotasse, racconta e fa gocciare in lei tante storie come schegge di vita, un'altra vita, quella in cui Itachi già era un assassino, perché, ninja, lo si è dal proprio primo morto, ma ancora non aveva il peso orrendo di uno sterminio sulle spalle.
La voce del ragazzo è gentile e quieta, come le sue mani, che le accarezzano ancora la testa.
Cambiano posizione, ogni tanto, cercando di smuovere le membra intorpidite, e dopo un po' Hanako si trova con la testa di Itachi sulle ginocchia, le proprie mani sepolte tra i suoi capelli e l'odor d'arancia che sembra farle vibrare lo stomaco e il cuore. Itachi racconta guardandola in viso, adesso, e le parla di Mikoto e di Sasuke, le sue pozze di gioia, e poi Fugaku, che era una pozza pure lui, anche se venata di buio.
Racconta della notte della strage, e ad ogni nome di morto sovrappone un ricordo di quel che erano stati, per lui, da vivi: zii e cugini, parenti e amici, vicini. Hanako si chiede se gli faccia davvero bene, parlarne, ma ad ogni parola Itachi sembra un poco più leggero, un poco più sereno, più intorpidito per il sonno, e lei ascolterebbe per giorni interi, per mesi, pur di vederlo sempre più leggero.
Le racconta la verità sullo sterminio, tutta la verità, nient'altro che la verità, quella piena, completa e cruda, quella che aveva promesso di portarsi dietro nella tomba: ma dirla ad Hanako è come dirla a sé, perché lei tace e non giudica, e ascolta solo.
Ed è così che Hanako impara a conoscerli, tutti: Sasuke meraviglioso e goffo, Mikoto dolcissima, Fugaku l'oroglioso, Shisui, Shisui che l'avrebbe salvato, Itachi, se Madara l'avesse permesso, Shisui, il primo caduto della strage, quello a cui Itachi aveva affidato la propria vita. Le parla di una donna con un nome come sospeso, un nome di gioia, scelta per lui dalla sua famiglia, e quella è una storia che Hanako si chiude dentro, nel cuore, al sicuro con tutte le altre, senza gelosia né tristezza. Li può conoscere solo attraverso la sua voce, perché quasi tutti quelli di cui parla sono già morti, e quelli che restano sono lontani, distanti, attraverso lo spazio e i pensieri.
Si chiede per un attimo perché Itachi si sia deciso a raccontarle tutto questo, ma poi sente il suo respiro contro la testa, sibilante, affaticato, e conta le costole con le dita sul torace. Smette di farsi domande e pensa: sono un dono.
Racconta sino al mattino, Itachi: l'alba arriva e si affaccia su di loro che si sono appena addormentati, abbracciati l'uno all'altra, le braccia, le gambe e i capelli mescolati in un gioco spezzato di scuro e di chiaro.


Come aveva promesso, Itachi rimase. Come aveva promesso, l'accompagnò alla festa del villaggio, due sere dopo. C'era un'atmosfera leggera ed entusiasta per le strade: avevano appeso lampioni di carta colorata ad ogni angolo, e nella luce ambrata del pomeriggio i lumi ancora spenti oscillavano dolcemente; le bancarelle si erano moltiplicate, ed esponevano un carico di frutta dai colori chiassosi, vestiti e pettini e gioielli di fattura semplice, ombrelli variopinti, ventagli, giocattoli, mentre un odore forte e speziato di cibo si spandeva dappertutto.
Stavolta fu Hanako a fermarsi per comprare due spiedini di polpette ed a cacciarne uno tra le mani di Itachi con un sorriso raggiante. Per una volta, una sola, la prima, Itachi non vestiva di nero. Lei era corsa a comprargli abiti puliti, il giorno prima, dopo che nella notte un accesso di tosse violenta gli aveva lordato la maglia di sangue: erano blu scuro, di seta, ed era bellissimo vedercelo dentro.
Indulgente, Itachi tollerava che Hanako gli svolazzasse intorno, troppo allegra e su di giri per riuscire a star ferma più di qualche secondo di fila. Passava da un banco all'altro, e tutti la salutavano con una parola, un gesto, qualche ringraziamento: per aver abbassato la febbre di un nipote, per il mal di schiena della nonna che era passato, per una gamba rotta rimessa a posto.
Se anche sono un mostro, pensò Itachi tutto ad un tratto, questo almeno sono riuscito a farlo di buono: lei, almeno lei, l'ho salvata.
C'era anche Sasuke da salvare, adesso. Questione di giorni.
Si limitò a gettare ad Hanako un'occhiata un poco sbieca, quando la vide tornare verso di lui con un palloncino di carta tra le mani: la ragazza ci soffiò dentro e poi prese a giocarci, facendoselo saltare da una mano all'altra, mentre affiancava il compagno. Itachi ringraziò in silenzio quel qualcuno, chiunque fosse, che gli stava dando Hanako, quel qualcuno che gliel'aveva data da sempre, perché la ragazza era stata una costellazione di giorni perfetti.
Odiava tutti quelli che le avevano messo le mani addosso; tutti quelli che le avevano fatto del male, che l'avevano ferita, umiliata, tutti quelli che avevano messo in pericolo Hanako, sorriso raggiante, profumo di miele, dita gentili. Odiava il pensiero che di quei giorni perfetti non ce ne sarebbero stati più, a breve, questione di giorni, e odiava sé stesso per averle permesso di arrivargli tanto vicino, perché sarebbero stati feriti in due, così. Ma poi Hanako si girò, smettendo di giocare, e gli sorrise: e tutto l'odio andava via in quel sorriso, lavato, e ne valeva la pena di dimenticarsi del mondo, pensò Itachi, solo adesso, solo un altro po', per stare ancora un poco con lei.

Guardarono i fuochi d'artificio far esplodere il cielo, a notte fonda, in una cascata di luci gemmate. Sdraiati sotto un olmo nodoso, aspettarono l'alba.

- Ho bisogno che tu mi rimetta insieme un'altra volta. - Le mormora Itachi in un orecchio, stringendola.
La tiene sulle gambe, perché non stia in mezzo all'erba umida e non prenda freddo. Hanako ha un brivido, rannicchiandoglisi addosso, ma non dice niente: assente solo, annuendo e tremando contro il suo collo. Itachi la culla delicatamente, come ricorda d'aver cullato una volta Sasuke, con dolcezza, per mandare via gli incubi e il dolore:
- Andrà tutto bene. - Cerca di rassicurarla, adesso. - E' l'ultima volta che serve. -
Che Hanako capisca o meno quel che significa quella frase, non replica. Mormora invece:
- Mi diresti una cosa, solo? -
Itachi le domanda, guardingo:
- Che cosa? -
- Non ti chiederò nulla che tu non possa dirmi, io lo giuro. -
- Dimmi. -
Lei non accenna ad alzare la testa: al contrario, gli si aggrappa alle spalle come avesse paura di cadere, seppellendogli la fronte contro il collo in una morsa che sarebbe quasi dolorosa, se non fosse semplicemente tanto fresca, tanto disperatamente piacevole.
- Se le cose fossero diverse, resteresti, tu, qui? - E poi, subito dopo: - Non serve che tu risponda. Mi basta solo un... un cenno. Che tu annuisca. Che tu scuota la testa, non... non devi parlare. -
E' quasi infantile in quel modo ingenuo di spiegargli che se Itachi non risponderà lei capirà: lo conosce abbastanza bene da capirlo, e per questo comprenderà, e le andrà bene lo stesso.
Itachi pensa a Fugaku. Pensa di non voler assomigliare a Fugaku, non adesso, perché assomigliare a Fugaku sarebbe stupido, inutile, vista la situazione. Non solo stupido, anzi: sarebbe crudele.
Alza la testa per guardare il cielo. Si rende conto solo ora di quanto sia bello, tutto quel blu limpido con le punte di stella a farlo luminoso. Non c'è luna, e questo è un peccato: vorrebbe che ci fosse e che fosse piena, perché i cattivi ricordi delle notti di luna è stata Hanako a levarli con una notte sola, la prima, bellissima e pulita.
- Avrei voluto essere nato in un posto diverso. -
E questo posto diverso avrei voluto averlo con te.
- Perciò sì, Hanako. Sì. -

C'è vento, quando Itachi se ne va, ed è Hanako quel vento: lei che non può seguirlo se ne sta in mezzo al sentiero e tende dita d'aria perché gli vadano dietro.
La bacia, lui, ed è un bacio che parte dolce e casto e non lo resta, perché è l'ultima volta, pensa Itachi, e vuole portarsene via il ricordo, l'ultima volta, Hanako lo sa, non vuole conservare memoria di nient'altro.
Hanako si ricorda del giorno che ha lasciato Idomizu: la sensazione del panico è la stessa, sconvolgente, peggiorata dalla consapevolezza che nessuno li salverà, stavolta, non ci sarà nessuna speranza che si rivedano in questa vita, nessun ragazzo dai capelli rossi a graziarla per rimandarla da lui.
Itachi non torna. Itachi non tornerà, mai più. Niente più baci, mai più racconti la notte, niente più fondere odore, sudore e colori, mescolandosi l'uno nell'altra, perdendosi, ritrovandosi poi nel corpo sbagliato, in quello dell'altro, con la sensazione che sia quello giusto. Niente più Itachi.
Stai con me! Glielo vorrebbe urlare. Stai con me!
Invecchia con me.
Invece lo bacia e poi gli dice:
- Buon viaggio. -
Sembra così normale, quell'augurio, perché non se lo sono detti chiaramente, che è l'ultima volta, e, anche se entrambi lo sanno, preferiscono fingere ancora per un po' che di volte ce ne saranno altre.
Tante cose che dovremmo dirci, invece di questa, tante cose che avrei dovuto dirti prima.
Itachi deve ricordarsi di quella prima mattina in cui gliel'ha augurato,
buon viaggio, a lui ed a Kisame, nella più assurda delle situazioni: perché sorride, e sembra contento. E' questa l'ultima immagine che Hanako ha di lui, il suo sorriso, su quel volto così pallido ed affilato, mentre Itachi le dà le spalle e si allontana. L'ultima volta.
Il vento lo segue, e Hanako vi sussurra dentro
ti amo, sto con te e ti amo, e poi di nuovo e di nuovo, quel ti amo come una litania, ti desidero e ti amo, sapendo che il vento le porterà via con sé, quelle parole, perché gli facciano compagnia durante il viaggio e anche oltre.


C'è una brezza piacevole oggi, pensa Itachi.
Gli disegna la strada.

E sa di miele.





Note

Oh, via, ma che colata di buonismo e zucchero!
Tutto ciò va letto in funzione di un momento di romanticismo inconsulto e (fortunatamente) irripetibile. Tra l'altro quel che io romanticavo il manga devastava con le sue dosi abbondanti di depressione e frustrazione.

Questo è il capitolo più legato a Il Giardino dei Mandorli di Salice (ne approfitto per i consueti ringraziamenti per la lettura e le correzioni). Ci sono affezionata anche per questo.

Un grazie a chi legge e a chi commenta.


abcdefghilm: Ben ritrovata! ^^ Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto!


fonte immagine: Happy_New_Year__SasuSaku_by_Erin_goes_rawr
  
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