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Autore: baby80    30/03/2010    13 recensioni
Ho provato a immaginare il primo giorno di André a palazzo Jarjayes, e il suo incontro con Oscar... Anche questa storia è stata iniziata tempo fa, e modificata di recente, ed anche in questo caso la "mia" Oscar è a conoscenza d'essere una bambina. Sono indecisa se concludere la storia in questo modo, come una one shot, o se continuare a raccontare di André... ci penserò. Si accettano consigli.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono di fronte alla finestra della mia camera, guardo il giardino che circonda palazzo Jarjayes. Osservo ogni particolare, ogni piccola sfumatura di colore, ogni dettaglio di questo luogo che credevo di conoscere.
Guardo tutto quello che in questi anni, mi è sfuggito, per distrazione o per semplice noncuranza.
Ho dato per scontato innumerevoli cose, forte del fatto che le avrei ritrovate nello stesso luogo, sempre, ma ora anche il più piccolo granello di polvere è divenuto, per me, un elemento importantissimo.
Esamino gli oggetti, i paesaggi, i volti di chi mi è accanto, tentando di imprimerli nella mente il più possibile.
Guardo.
Guardo, attentamente, tutto ciò che ho paura di dimenticare.
Sono di fronte alla finestra della mia stanza, è una calda mattina di giugno.
Guardo al di la di questa finestra, i giardini di palazzo Jarjayes, con l'unico occhio che mi è rimasto.
Guardo attraverso un freddo vetro e mi pare di scorgervi lei, la mia Oscar, come la vidi una notte di un mese fa, quando ancora ero in grado di vedere senza problemi.

“Oscar...” un sussurro lieve dalle mie labbra.
È tornata tardi, mi dico, con la preoccupazione nel cuore.
La carrozza si ferma al centro del cortile del palazzo, non vi è alcun stemma di famiglia ad ornarla, non questa sera.
Questa sera tutto doveva essere avvolto dal mistero, la carrozza, il cocchiere, persino lei, una bellissima donna venuta da chissà quale luogo.
Una notte di finzione.
Nascosto al di qua di questo vetro, tento di celare la mia presenza, riparandomi dietro al buio di questa notte, che è scivolata, senza rumore, nella mia stanza.
Attendo che un gesto di Pierre mi riporti colei che mi è nuova agli occhi, ma non al cuore.
La portiera della carrozza si apre e, senza alcun aiuto, la vedo scendere.
Un tuffo al cuore, i miei occhi non sono ancora avvezzi a tale cambiamento.
Non sono avvezzi a tanta bellezza.
Eccola li, la mia Oscar, la guardo scendere dalla carrozza.
Le mani, stretta attorno alla stoffa immacolata, tendono l'abito e ne rivelano le caviglie, nude, ed un paio di scarpette col tacco.
L'ennesima fitta al cuore, nata dall'amore e dall'invidia, una per questa donna che amo più della mia stessa vita, e l'altra per l'uomo che questa sera...
Non ho la forza di immaginare, il solo pensiero potrebbe uccidermi.
Un colpo preciso e ne morirei, all'istante.
Poso il mio sguardo sulla bellissima donna venuta da lontano, e quasi ne sorrido di questo folle pensiero, sorriso che muore ancor prima di nascere, sulle mie labbra.
Noto qualcosa, che solo pochi istanti prima, era sfuggito ai miei occhi.
Un errore imperdonabile, una semplice distrazione che mi impedisce di respirare.
I capelli di Oscar, così accuratamente acconciati, sono ora, privi della loro compostezza.
I lunghissimi riccioli biondi le ricadono, scompostamente, lungo le spalle, conferendole un'aria trasandata.
Orribili pensieri mi invadono la mente.
Provo pena per me stesso, che mai, avrei pensato di divenire così meschino.
Porto le mani sugli occhi, per non vedere, per impedire a pensieri indecenti di macchiarle il nome.
Un gesto inutile, il mio.
L'essere meschino ha la meglio su di me.
Immagino Oscar avvolta in orge di parole oscene, quelle parole che saziano il desiderio di uomini ingordi, quelle parole che compiacciono donne senza vergogna, quelle stesse parole che ho voluto, io stesso, sulla mia pelle.
Io, meschino per la seconda volta.
Torno a mirare il paesaggio, attraverso questa finestra, che mi è divenuta nemica, e quasi mi stupisco di non vedervi lei.
Un rumore.
Oscar.
Il ticchettio dei tacchi sembra penetrarmi le tempie, la sento avvicinarsi e istintivamente corro alla porta, i palmi delle mani poggiati al legno, esattamente come la mia fronte.
Ascolto.
Fiuto.
Immagino.
Immagino la donna in abiti femminili, lei, la mia Oscar, correre lungo il corridoio, con la colpa negli occhi.
Mi figuro il suo viso, quel delizioso volto che ho ammirato per tutta la vita, quello stesso volto che ora, so, porta su di esso i segni di un atto inconfessabile.
Le gote imporporate dal piacere.
Le labbra, turgide, macchiate di uno scarlatto così intenso da ricordare il sangue, resesi complici della passione e dell'istinto più bieco.
La pelle, un tempo candida, madida di sudore, sporcata anch'essa da un godimento che non ha nulla a che vedere con l'amore.
Il palmo è mutato in pugno.
Il pugno è trasformato, senza preavviso, in una stretta attorno alla maniglia.
Cosa pensi di fare? Mi domando.
Hai intenzione di ferirla, come, pochi istanti fa, hai ferito il suo pensiero?
Come posso accostare, a lei, parole e gesti così dolorosamente indecenti?
Quale mostro mi è nato dentro, e vi è cresciuto così robustamente, da indurmi a credere che Oscar, la donna che amo, e che so, senza ombra di dubbio, innocente e pura, abbia compiuto, questa notte, qualcosa di così scandaloso?
Nessun mostro dimora nella mia carne, io sono l'essenza stessa della mostruosità, io che, per gelosia, mi trovo a insudiciare il mio solo ed unico amore.
Le presa attorno alla maniglia si è fatta, di nuovo, pugno.
Colpisco il legno che è di supporto al mio inutile corpo meschino.
Non sento dolore.
Sangue.
Il sangue è la medicina, o il veleno, che guarirà o ucciderà, il mostro che son diventato.
Ritorno in me, per quel che mi è possibile, in questa notte di follia.
Respiro a pieni polmoni e mi si palesa, dinnanzi, la verità.
Provo vergogna per me stesso, uno squallido omuncolo, un traditore, un maledetto ipocrita.
Un povero diavolo.
Un uomo.
Un innamorato.
Io giudice ad un processo creato dal mio cuore malato, ho accusato un uomo ed una donna, innocenti, Oscar e Fersen.
Ho accusato due ignari di aver commesso un atto impudico.
Ho gettato su di essi qualcosa che io, e soltanto io, avrei voluto compiere.
Io il solo colpevole.
Colpevole di desiderare, col cuore, con la mente, con le viscere, la donna che questa sera ha danzato con un altro uomo.
Colpevole di agognare, con tutto me stesso, di macchiarle il volto, col piacere del mio corpo.
Colpevole senza possibilità di assoluzione.
Confesso la mia colpa.
Confesso di desiderarti, Oscar, con una tale intensità da rendermi pazzo.
Confesso di volere compiere, con te, su di te, in te, gesti impudici, osceni, indecenti.
Assolvimi, Oscar, perchè ognuno di questi gesti è scaturito dall'amore che nutro per te, quell'amore che brucia la carne, quell'amore che non chiede altro se non di aver il permesso di sporcarti.
D'amore e piacere.
Assolvimi, Oscar, perchè questi gesti non hanno nulla a che fare con il solo ed egoistico piacere della carne, questi gesti nascono dall'amore.
Nessuna assoluzione, per me, questa notte, e forse per le notti a venire, per l'eternità.
Condannato ad ardere di desiderio, d'amore, d'invidia e gelosia.
Condannato ad amare una donna, una bellissima donna, che non presenzierà mai a questo folle processo.
Condannato ad amare una donna che non conosce il mio cuore.
Un rumore.
Dei passi.
Che sia ancora Oscar?
Apro lentamente la porta, vi lascio entrare la fioca luce delle candele, e la vedo, la donna che avevo dipinto come una delle più misere cortigiane.
La volgare sgualdrina, è la creatura più innocente e  pura, mi appare come una bambina.
Il viso, incorniciato dai lunghi riccioli, in disordine, dai quali vi ha strappato la tiara, che tiene stretta nella mano, è ancora più candido del solito.
Vi sono, sul suo volto, delle spudorate macchie scarlatte, ma non è il piacere che ve le ha impresse, ma il dolore, il dolore del cuore, e il pianto dell'anima.
Piange la mia Oscar, la mia piccola Oscar,  piange come non le vedevo fare da tempo, come forse non le ho mai visto fare.
Cosa è successo Oscar? Lui ti ha respinta? Lui non può amarti?
Io, un inetto.
Un mostro.
Ho immaginato la follia, dimenticando l'ovvio, che si è presentato come io stesso avevo preventivato.
Vorrei privarti di un po' del dolore che ti leggo sul viso.
Vorrei proteggerti come ho sempre fatto, e come farò, ancora.
Vorrei ma non posso.
Non voglio.
Voglio che tu comprenda il dolore.
Voglio che tu senta, sulla pelle, quelle lacrime, che so, ti stanno bruciando la pelle.
Voglio che tu stia male.
Solo per un istante, solo per questa notte.
Non vi è odio nelle mie parole, credimi.
Mi auguro che quel dolore, che ora, sembra lacerarti il cuore, ti sia d'aiuto per spezzare le catene che ti tengono incatenata ad una vita che non ti appartiene.
Mi auguro che il dolore che provi, ti faccia comprendere, un giorno, quello stesso dolore che io ho sopportato per un'intera vita.
Piangi ancora, ti vedo, poggiata stancamente sul corrimano della scalinata.
Ti posso udire, sconvolta dai singulti.
Non posso sopportare oltre, non mi è possibile guardarti soffrire, sola.
Esco dal buio della mia stanza, attraverso la luce delle candele e mi avvicino a te, senza produrre rumore.
Sto per pronunciare il tuo nome, ma, repentinamente mi blocco.
Allungo il braccio e senza esitazione poggio la mano sul tuo braccio nudo.
Un tocco leggero, una stretta che non fa male, una carezza infinita.
Non un sussulto del tuo respiro.
Non un balzo del tuo corpo.
Sai che sono io, senza bisogno di parole.
E senza bisogno di parole le tue dita rispondono alla mia carezza, posandosi, furtivamente, per un batter di ciglia, sulla mia mano.
Senza bisogno di parole.
Ci riconosciamo a pelle.
Dio, come vorrei abbracciarti.
Ti guardo salire lungo la scalinata, non ti volti, ma io so, che ancora stai piangendo.
Non ti posso vedere ma so che sei bellissima.
“Ti amo Oscar.”
Un sussurro.
Che non puoi udire e non puoi sapere.


Piango lacrime che bruciano come il fuoco.
Piango lacrime vive e morte, dall'occhio che ho perduto e dall'occhio che mi è rimasto.
Piango le medesime lacrime che versò Oscar, nella notte delle menzogne.
Piango per la donna che non posso avere.
Piango per l'occhio che mi è stato tolto, per un fatale scherzo del destino.
Piango per me stesso, un pazzo innamorato, senza speranza.
Piango perchè, in un tempo che non è lontano, perderò il solo occhio che mi è restato.
Piango per tutto ciò che il buio mi porterà via.
Ma piango, sopratutto, per l'unica cosa che davvero mi mancherà, come l'aria.
L'unica cosa che possedevo.
Il mio tesoro.
Poterla guardare.
Poter guardare lei.
La mia Oscar.
Orfano delle sue attenzioni, orfano del suo amore, ma appagato, nei momenti di maggior sconforto dal sapere di poter almeno guardarla.
Piango.
Urlo! Urlo contro un dio che mi sta privando della luce.
Urlo contro un dio che mi sta privando della cosa più importante.
La vita.
Il cuore.
Lei.
Oscar.
  
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