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Autore: kaos3003    31/03/2010    1 recensioni
Una notte insonne per me, l'ultima lettera per te, amore mio, e la nostalgia di un'estate per noi.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rating: Per tutti
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 1622 parole, due pagine e mezza
Avvertimenti: Character Death, Femslash, Het
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: uhm, due canzoni del Trio Lescano e una di Bertini, una citazione dalla Norma e una poesia di Ungaretti del '32. Dovrebbe essere tutto.
La definizione del termine nostalgia, riportata centralmente, è tratta da Wikipedia.
Note dell'Autore: la citazione che ho deciso di usare (e che ho evidenziato con il corsivo) è la seguente: la nostalgia è rendersi conto che le cose non erano insopportabili come sembravano allora. (Legge di Grimes).
Fin dal primo momento ho voluto scrivere di un amore saffico mai realizzato, ma certamente non pensavo di arrivare a questo.
Mi piace il linguaggio che ho usato nella prima parte e mi piace l'aria romantica che ispira, questo è quanto.
Per il resto delle note ci vediamo alla fine della storia.
Introduzione alla Storia: Una notte insonne per me, l'ultima lettera per te, amore mio, e la nostalgia di un'estate per noi.

30.marzo.2000


Teresa cara,
Un'altra notte insonne per questa vecchia maestra e l'ennesima lettera, mai recapitata, per te. Fuori la luna risplende nel suo pienore, coperta solo da una rarefatta cortina di nebbia, esattamente come quella sera di molti anni fa. Chissà, Teresa, se anche tu ricordi quei giorni lieti della nostra giovinezza, o semplicemente sei ancora su questa terra.
Sai, io non ho mai dimenticato i nostri giorni al paese, abbandonato a vent'anni per studiare e vivere con una vecchia zia amante del melodramma. Oh, quanto amava il melodramma la cara zia Carla e quante volte ho occupato il suo palco alla Fenice, magari al braccio di qualche giovane avvocato.
E' strano, nonostante detestassi quelle serate di abiti eleganti e calici di champagne, ho sempre accolto con gioia la compagnia delle più note arie liriche nei lunghi pomeriggi di pioggia di questi miei sessant'anni, preferendole perfino agli swing e alle canzoni della nostra giovinezza. Troppi ricordi, mi dicevo spesso, o semplicemente devo ammettere che l'attacco di “Ultime foglie” montava in me una nostalgia in lento crescendo che danzava su quelle note, insinuandosi fra le fibre del mio cuore e portando con sé i colori e gli odori di quell'ultima estate sulle rive del Po.
Io, mia cara Teresa, in tutti questi lunghi anni ho portato per noi un lutto stretto, mentre lentamente i ricordi di te, di noi, sparivano nelle pieghe della vecchiaia. Dopo il nostro adorato Maramao, purtroppo lentamente arrivò il tempo di perire per il profumo della tua pelle, il nero profondo dei tuoi occhi e per il bruno dei tuoi capelli, le cui memorie pian piano si persero nella sacralità della “Casta diva”1, interpretata splendidamente da Gina Cigna e da me ascoltata ogni terzo giovedì del mese, in suffragio alle serate della nostra gioventù.
La ascolto, e ad ogni suo gorgheggio penso che vita a volte è strana, Teresa mia. Ma noi, che l'assecondiamo e disquisiamo sul suo significato e sul suo incedere claudicante, non siamo certo migliori.
Amica mia, di tutti quegli anni passati a tessere progetti, labili e irreali come le parole di un poeta Romantico, cosa ti è rimasto? Cosa è rimasto ad una vecchia maestra, famosa per la severità e la durezza di cuore, la cui mano ormai fatica a reggere persino il pennino e che macchia indecorosamente il proprio foglio?
Mia Teresa, sei poi diventata la madre che sognavi? Hai infine incontrato l'uomo col potere di far battere il tuo grande cuore?
Io, nell'egoismo proprio dell'uomo, prego ogni mattino di essere rimasta la sola a farti provare l'inebriante vertigine del volo; perché noi abbiamo volato, Teresa, anche se per poco tempo e con baci troppo timidi per voler essere ricordati.
Agogno per questo e per questa notte di luna, mia dolce amica, spiegarti quello che sei stata per me e il nuovo senso che tu e il tuo ricordo date alle parole, incontrate in questa casa colma di libri e pizzi nei tristi giorni coperti dalla nebbia padana.

La nostalgia (parola composta dal greco νόστος (ritorno) e άλγος (dolore): "dolore del ritorno") è uno stato psicologico di tristezza e di rimpianto per la lontananza da persone o luoghi cari o per un evento collocato nel passato che si vorrebbe rivivere, spesso ricordato in modo idealizzato.



Noi due, sedute sotto un albero di pesco a mangiare nocciole, mentre le mamme a passeggio la domenica ci guardano e sorridono, inconsapevoli della superiore innocenza di quella visione. Di tutte le belle cose che ho vissuto e per cui ringrazio il buon Dio, questo è il mio primo pensiero quando, costretta su una poltrona ormai troppo vecchia perfino per me, leggo di questo sentimento.
Oh, e mi sovviene alla mente la nostra ultima serata in balera. Ricordi? Era il primo settembre del 1939 e le radio nelle case celebravano l'invasione della Polonia, mentre sotto il capannone si ballava “La gelosia non è più di moda”2.
Stavamo sempre insieme, per non fare arrabbiare il babbo, o almeno così dicevamo alle camicie nere che ci chiedevano di ballare. “Non è per ragazze da bene ballare il liscio col soldato.”, così dicevi prima che l'ennesimo pretendente si allontanasse verso il suo gruppo, sempre esclusivamente maschile
Ti ho mai detto quanto apprezzassi il tuo allontanarli impudente? Io, che aspiravo ad una carriera di maestra, non avevo la necessità di un uomo: il mio tempo, sosteneva mio padre, sarebbe stato consacrato all'istruzione e i gli alunni sarebbero stati i miei figli. Ma tu, Teresa, rigettavi ogni offerta, pur sognando l'abito candido, solo per non lasciar andare la mia mano.
Ancora ti devo chiedere perdono, amica mia, per il tempo che ho rubato ai tuoi corteggiatori, ma non riesco a pentirmene. Sono passati molti anni da quelle serate di innocente spensieratezza, eppure quelle note mi sono rimaste nel cuore, tanto a fondo da non poterle riascoltare se non per fortuita decisione della sorte. Anche se all'epoca dicevamo che, dopo la noia di “Maramao perché sei morto”, avremmo potuto ballare qualsiasi swing, oggi darei tutto perché ritrasmettessero quel vecchio ed insensato pezzo.
La nostalgia, in fondo, è rendersi conto che le cose non erano insopportabili come sembravano allora, che perfino la morte di Maramao poteva essere una dolce e poetica scusa per due ragazze che volevano solamente ballare sulla terra battuta, protette solo da un telone rosso e concentrate sulle loro mani strette.
Già, tutto quello che chiedevamo era un ballo in quello spazio improvvisato, magari al suono di una vecchia radio come quella di mamma; una ballo, una carezza e un bacio, magari rubato sulla riva di un fosso mentre portavamo le biciclette a mano nel tornare a casa.
Il peccato di averti, Teresa, lo avrei scontato con somma gioia, purtroppo ora non mi rimane che un addio mai detto sulle labbra. Pregherò sempre Iddio di conservarti in salute e spero che un giorno ci sia permesso di riabbracciarci, ma tu perdona la stanchezza di questa vecchia signora, ma ancora di più perdona la patetica nostalgia di una vecchia amante, sempre passata sotto il nome di amica.
Arrivederci amica mia.


La chiesa era gremita e gli altari erano adorni di splendide calle e margherite gialle. Era un caldo pomeriggio di maggio, e dal loggione del coro l'organo suonava il salmo di commiato, mentre la bara veniva trasportata lungo la navata centrale.
I giornali locali ne avevano parlato profusamente in quei due giorni: Agnese Malaguti, maestra in pensione del paese, conosciuta e rispettata da tutti, si era spenta alla veneranda età di ottant'anni e oggi, nel giorno del suo ottantunesimo compleanno, i suoi vecchi alunni e tutti i paesani erano venuti a darle l'estremo saluto.
Ed effettivamente c'erano proprio tutti su quei banchi: il sindaco, che ancora ricordava le tirate d'orecchi per gli esercizi di matematica mai risolti; il farmacista e la salumiera coi loro quattro figli; il medico e l'avvocato che tante volte l'avevano maledetta per le bacchettate sulle mani e i pomeriggi passati dietro alla alla lavagna e molti altri ancora.
Si erano presentati pochi minuti prima della funzione, accalcandosi nelle file posteriori, tutti con qualche ricordo non propriamente lieto di quella donna dal carattere burbero.
Sì, c'erano proprio tutti, eppure l'unica ad attirare l'attenzione era un'anziana forestiera al braccio di un distinto signore. Era vestita completamente di nero e sul suo volto era calato un velo dello stesso colore; tra le dita stringeva con troppa forza per l'avanzata età lo stelo di una rosa rossa e un rosario dai grani rosati.
Tutti l'avevano osservata a lungo al loro arrivò in chiesa, intenti a cogliere ogni minimo indizio sulla sua identità.
Stando a quanto aveva raccontato la perpetua, quella signora tanto distinta era entrata nella piccola chiesa la mattina presto, quasi un'ora prima dell'arrivo della salma, e da allora non aveva lasciato il suo posto nell'ultimo bancale, solitamente occupato dalle poco di buono in cerca di redenzione o dai confessanti il sabato pomeriggio.
Nessuno l'aveva mai vista per le vie del paese, eppure eccola lì, a seguire il corteo funebre di una sconosciuta maestra di provincia, tenendosi in disparte mentre il sacerdote benediva la tomba e i paesani rendevano omaggio a colei che aveva insegnato a leggere e scrivere a quasi tre generazioni di operai e professionisti.
Solo quando il piccolo cimitero fu deserto, la donna abbandonò il braccio del suo accompagnatore per avvicinarsi alla tomba. Forse era solamente un caso, ma il corpo riposava esattamente sotto il vecchio ciliegio, esattamente come avrebbe voluto Agnese; per l'epitaffio era stata scelta una delle sue poesie preferite.
“Quando ogni luce è spenta
e non vedo che i miei pensieri
un'Eva mi mette sugli occhi
la tela dei paradisi perduti.” 3
Oh, quante volte le aveva dedicato quei versi nei loro pomeriggi trascorsi sulle rive del Po, mentre le mani si immergevano nell'acqua gelida per sciacquare i panni.
Una leggera brezza le scostò leggermente il velo, sfiorandole il volto in una dolce carezza. Agnese...
“Hai visto, Agnese? La tua Teresa è venuta a trovarti”, avrebbe voluto dire, sicura che l'amica da qualche parte l'avrebbe ascoltata, magari con quel sorriso saputo che le aveva sempre fatto battere il cuore dipinto sul volto.
Nemmeno suo marito le aveva dato tanta felicità con un solo sorriso, eppure non stava bene rivelare la loro intimità in un luogo pubblico.
Era ancora immersa nei propri ricordi, quando a pochi passi da lei il suo accompagnatore si schiarì la voce. “Signora, è ora di andare. Vostro figlio vi attende per cena.” disse sottovoce, porgendo il braccio alla donna.
Teresa annuì, gettando la rosa sulla terra appena smossa. Nel piccolo cimitero si attardavano solamente alcune donne, troppo prese dai propri doveri per curarsi di un'anziana scortata in lacrime verso l'uscita.
Avevano appena varcato i cancelli, quanto Teresa si voltò verso l'uomo. “Sai, Riccardo,” iniziò, stringendogli il braccio per non cadere, “una volta a casa vorrei ascoltare quel disco del Trio Lescano che ho acquistato un mese fa.”


1. La Casta diva è la più famosa aria contenuta nel primo atto della Norma, opera di Vincenzo Bellini. Qui si fa riferimento all'interpretazione di Gina Cigna del '37, ma la più famosa esecuzione è di Maria Callas e risale al '54.
2. Noto brano del 1939 interpretato dal Trio Lescano, esattamente come “Maramao perché sei morto”.
3. Poesia senza titolo del 1932 di Giuseppe Ungaretti da Il sentimento del tempo - da L'amore.


Fine delle note dell'autore: spero abbiate notato che la prima lettera di ogni periodo della lettera è scritta in grassetto, e che lette insieme formano una frase.
La scelta del grassetto non è casuale, ma vorrebbe simboleggiare una maggior pressione della mano nello scrivere il grafema. Era un trucco abbastanza comune in tempi andati per veicolare messaggi riservati e tutt'oggi è abbastanza usato dai bambini con questo scopo.

Prima qualificata al "Contest di inizio anno" su Writers Arena
La tela dei paradisi perduti, di kaos3003
Punteggio: 8.6
Grammatica e sintassi: 8.9
Capacità espressiva: 9.5
Rispetto parametri e traccia: 8.5
Originalità e creatività: 8
La particolarità di questo racconto è che si tratta in realtà di una lunga poesia d'amore in versi sciolti, dolcissima e commovente. Una donna al termine della sua vita scrive una splendida lettera ad una vecchia amica che in realtà è sempre stata molto di più di un'amica, era l'amore della sua vita e, data la mentalità ristretta di allora, il costume e la situazione storica, questo sentimento è stato costretto a rimanere nascosto per ben sessant'anni. Ognuna ha preso la propria strada, o meglio, quella che era prevista per la donna dell'epoca: il matrimonio e il lavoro di madre, o una vita quasi monacale come insegnante.
La parte più interessante del racconto è, tuttavia, lo stile usato: innanzitutto, l'acrostico che costituisce la frase "sei la mia nostalgia" rende la storia più realistica. Agnese, che è ora un'anziana di ottant'anni, è molto legata al passato e, pur essendo la lettera scritta nel 2000, pare quasi che lei tema che il suo segreto venga scoperto; d'altro canto, lei è anche molto gelosa della sua innamorata (come afferma quando ricorda le avances delle camicie nere) e dunque vuole continuare a proteggere il suo amore (non che la sua lettera sia molto "innocua"!). Il linguaggio è raffinatissimo, ci riporta anch'esso ad un tempo passato e da esso traspare tutta la nostalgia della protagonista; stessa cosa per i frequenti richiami al paese natìo, alle campagne padane, le musiche e le usanze dei giovani di allora, che danno un tocco in più ri realismo al racconto.
Unico errore grammaticale è "camice" invece di "camicie".
   
 
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