3. Inferno e paradiso
Colonna sonora: Elisa - Heaven
out of Hell
Il
cinguettio canoro dei passerotti, già svegli dal primo mattino, mi condusse nel
risveglio ad un nuovo giorno.
La luce
pallida e grigiastra di una mattina che segue una
notte di pioggia entrava pigra dalla finestra, ancora ingioiellata di quelle
gemme che le nuvole avevano riversato per tutta la sera.
Non occorse
molto tempo prima che i miei occhi si abituassero alla
tenue luce, dandomi la possibilità di dare uno sguardo alla mia camera. Peccato
che non mi trovavo nella mia camera e l’ordine in cui erano disposti tutti gli
oggetti era un chiaro avvertimento, più di una
targhetta con il nome del proprietario: quella in cui mi trovato era la camera
di mio fratello!
- Io…c-che
cavolo ci faccio qui? – sussurrai, con la voce ancora
impastata dal sonno, cercando di alzarmi da quel groviglio di
umide coperte. Ma non appena tentai di
sollevarmi un sommesso mugugnare di disapprovazione, simile a quello di un
neonato spostato contro la sua volontà, fermò i miei movimenti, attirando il
mio sguardo sul peso posato sul mio petto. I miei occhi si allargarono sorpresi
quando delinearono un Michael
placidamente abbandonato nelle braccia del sonno, che usufruiva tranquillamente
del mio corpo come cuscino. A vederlo lì, con il volto rilassato dalle carezze
suadenti di Morfeo, non potei risparmiarmi dal paragonarlo ad un angelo sceso
miracolosamente dal cielo. Un angelo che io stesso avevo
sporcato quella stessa notte, affermandone la mia proprietà…facendolo mio…
In un breve
attimo le emozioni cieche, i gesti misti ai sussurri di passione, le
travolgenti sensazioni di poche ore prima mi tornarono prepotentemente alla
memoria, come un fiume in piena che inonda ogni
villaggio al suo passaggio.
Spalancai
gli occhi, incredulo del mio stesso atto: avevo amoreggiato con mio fratello? E non si era trattato solo d’innocenti bacetti.
Anzi, si era trattato di tutto fuorché di quello!
“Ma che cazzo ti è passato per la testa?” mi urlò la mia coscienza,
intanto che tentavo nuovamente di alzarmi, ignorando volutamente il fatto che
con i miei movimenti avrei rischiato di svegliare il bell’ addormentato.
“Sei
un’idiota. Un’idiota completo! Non solo lui è un
ragazzo, ma è pure tuo fratello!” continuai a rimproverarmi, mentre m’infilavo
frettolosamente i jeans, abbandonati malamente sul
pavimento.
“Ma sei proprio il re dei coglioni.
No, voglio dire: ma se proprio volevi spassartela con un ragazzo, perché cazzo hai scelto tuo fratello?”
Nonostante
continuassi a criticarmi per la mia debolezza, sapevo bene, però, che quella
notte non poteva essere catalogata semplicemente come una nuova esperienza. Anche se non l’avrei mai
ammesso, in cuor mio ero cosciente del fatto che se tutto quello fosse successo
con un ragazzo qualsiasi non si avrei pensato due volte a riempirlo di pugni
non appena mi avesse sfiorato.
Invece con lui, con il mio odiato fratello minore, questo non era
successo.
Con lui mi
ero liberato di ogni pudore dando retta solo alle mie
fantasie e, era terribilmente seccante ammetterlo, mi era pure piaciuto! Non
era la prima volta che lo facevo, eppure era la prima volta che lo facevo in un
modo così…bello forse è la parola giusta?
Per la
prima volta qualcuno, in quell’atto che avevo sempre concepito come un’azione puramente fisica, era
riuscito a scuotermi così profondamente da far vibrare anche il mio cuore, da
farlo battere all’uninsoro con il suo mentre insieme
raggiungevamo il nirvana.
“Piantala con queste cazzate” mi
dissi, scuotendo la testa. Michael, in fondo, non
aveva tutti i torti a dirmi che fuggivo dalla realtà per non macchiarmi con essa.
- Steve? – il suo richiamo mi fece sobbalzare. Lo stesso richiamo che aveva ripetuto più e più volte nel
corso della nottata: sussurrandolo, ansimandolo,
gridandolo ed ogni volta il mio nome usciva dolce dalle sue labbra, come un
canto velato di zucchero.
“No, basta!
Devi darci un taglio o finirai per ricascarci”
Mi ero reso
colpevole di un peccato, un peccato orribile, e qualunque cosa provassi per lui non giustificava il mio atto. Nulla avrebbe
potuto giustificarlo...
Mi voltai
verso di lui, vedendo di quale bellezza la natura lo aveva dotato: era ancora
seduto sul letto, coperto solo dal leggero lenzuolo ed accarezzato, la dove non
fosse scoperto, dai metallici raggi di sole, i capelli arruffati e gli occhi
ancora velati dal sonno, così simile a un bambino
troppo cresciuto. Puro come solo un angelo può essere.
Davanti a tutto quello dovetti impegnare tutta la mia
buona volontà per trattenere l’impulso di tornare a gustarmi delle sue labbra.
“E’
sbagliato. Tutto sbagliato” mi ripetevo nella testa,
cercando di placare i miei bollenti spiriti.
- Stai
bene? – mi chiese dolcemente, avvicinando di più il capo alla spalla. Sentì
perfettamente il mio cuore fermarsi, e pregai che lo facesse per sempre, almeno
quella tortura sarebbe finita. Quella dolce tortura…
- Non
guardarmi così - mormorai, in una confusione di parole appena udibili da me
stesso.
- Come? -
- Sì, sto bene – mi corressi, usando un tono degno di una bufera
di neve e tornando a dargli le spalle.
Feci il
possibile per concentrarmi sullo squarcio della città che la finestra mi
offriva: un cane che passeggiava annusando qua e là qualche albero, una
ragazzina sui pattini che si muoveva al tempo che la musica del suo walkman le
offriva, una moglietta apprensiva che rincorreva il
marito sventolando una serie di pratiche…qualunque cosa che mi distraesse da
lui era perfetta, che distogliesse la mia mente dalle fantasie poco pure che in
meno di un attimo aveva risvegliato.
Avrei dovuto uscire da quella stanza senza dire più nulla, gettandogli una distratta
occhiata di disprezzo per poi non rivolgergli mai più la parola. Forse così
tutto sarebbe caduto nel dimenticatoio, tutto quello sarebbe
sparito in un angolo remoto della memoria di entrambi. Ma Michael...per chissà quale stupido pensiero io non volevo
ferirlo. Desideravo tutto fuorché quello. E ora sapevo che bastava
davvero poco per infrangere il suo piccolo cuore, perché durante quella notte
non ci fu solo uno scambio di effusioni ma anche
rivelazioni, che avrebbero fatto meglio a restare chiuse nelle loro prigioni
senza chiavi, così mi sarei sciolto da quella situazione con maggiore
semplicità.
Avevo
scoperto molte cose su di me e soprattutto su mio fratello, che era sempre
stato un mistero. Tra queste quanto lui fosse fragile in
realtà, tanto fragile da piangere mentre raggiungevamo il culmine, pregandomi
di non abbandonarlo mai. Una fragilità che era stata
in grado di sciogliermi, di farmi perdere la ragione come mai nessuno era
riuscito a fare.
“Ma perché
devi essere così perfetto, maledizione?” una domanda
che trafisse dolorosamente i miei pensieri, destinata a rimanere senza
risposta.
- Sicuro? –
mi domandò il protagonista delle mie congetture, con un tono preoccupato.
- Ti ho già detto di sì – risposi bruscamente. Se mi l’avessi allontanato, se mi avesse odiato, disprezzato,
insultato allora, forse, sarebbe stato più semplice buttarci dietro alle spalle
quell’errore in cui entrambi eravamo scivolati.
Sarebbe stato più semplice per entrambi…forse…
“Odiami,
dannazione!” urlò la mia coscienza, straziata “Da solo non
posso dimenticare. Non se mi guardi così! L’hai detto tu stesso, in
fondo: non sono altro che un codardo”
Le mie
disperate e mute richieste sparirono nel nulla non appena sentì le sue braccia
allacciarsi sulla mia vita, stringendomi in un caldo abbraccio che mi fece
sentire…come?
Come la
notte appena trascorsa, durante la quale tutta la mia morale da bravo ragazzo
era sparita lasciando spazio solo per…per cosa? Cosa provavo
per il mio fratellino minore?
- Scusami –
disse lui, strofinando la guancia contro la mia schiena nuda – Non volevo farti arrabbiare. Non voglio che succeda di nuovo –
la sua voce si era ridotta a poco più di un sussurro,
basso e roco come se fosse vicino al pianto. Probabilmente si riferiva
nuovamente a quel fantomatico giorno in cui sembrava essere nato tutto il
nostro distacco e di cui io non ricordavo nulla. Avrei voluto chiedergli che
cosa fosse mai successo, che cosa ci aveva diviso e ci aveva proibito un
rapporto tra normali fratelli, ma, sfortunatamente, Chronos
non mi era favorevole.
- Preparati
o faremo tardi a scuola – dissi atono, scrollandomi
dal suo abbraccio e andando a rifugiarmi in camera mia, con la testa piena di
domande a cui nessuno sarebbe stato in grado di dare una risposta. I miei occhi
finirono sull’aggeggio rumoroso e fastidioso che mi aveva portato dritto tra le
braccia del peccato, mentre lui si nascondeva diabolico sotto la sedia
accostata alla mia scrivania. Sbuffando imprecazioni, mi chinai a raccoglierlo
visualizzando le due chiamate che avevo ricevuto
durante la nostra separazione: entrambe portavano un unico nome, che era il
medesimo di colei che mi avrebbe schiarito un po’ le idee.
*
Per il
resto della giornata ottenni ciò a cui avevo lambito:
il silenzio, sceso implacabile tra noi, freddo e rabbioso come una marea. Tutto
sembrava essere tornato come al solito, anzi, per
coloro che ci avevano sempre osservati dall’esterno, nulla sembrava essere mai
cambiato. Nessuno notava gli sguardi fuggiaschi che ci mandavamo ad ogni nostro
incontro, per poi distogliere frettolosamente gli occhi quando s’incrociavano
con quelli dell’altro. Tristezza, regina dei suoi, confusione,
unica dama nei miei.
Nessuno,
però, riuscì a scorgerle. Nessuno tranne lei, Mary-Jane, l’unica vera amica che posso ricordare.
Lei è stata
la mia prima ragazza, alla tenera età di sei anni. Il cosiddetto “fidanzamento”
si era trasformato presto in una pestifera complicità che ci aveva accompagnato
durante tutta l’adolescenza e che ancora non ci lasciava. Lei,
la bellissima e stramba ragazza perennemente allegra e saltellante come un
folletto, io, l’affascinante ed oscuro ragazzo, che si nasconde dietro una
maschera di freddezza. Probabilmente qualcuno definirebbe questo nostro
rapporto come una sorta di “compensazione” per entrambi, e in
effetti non andrebbe tanto lontano dalla realtà.
- Ti devo
fare una flebo di vivacità, bello mio! – mi aveva
detto ridendo un giorno, quando eravamo appena ragazzini - Sembri proprio un
morto che cammina. Il mio dovere è quello di rimetterti nel mondo dei vivi -.
E Mary
assolveva quel compito ogni santo giorno ronzandomi
attorno, e facendo spargere voci infondate di un nostro fidanzamento tra le peppie invidiose della scuola. Ma nessuno di noi due dava
importanza a quei pettegolezzi da tabloyd: stavamo
bene insieme, ci divertivamo come mocciosi, e, soprattutto,
Mary era l’unica persona con cui riuscivo a parlare di tutto, anche di
argomenti imbarazzanti come quello che tentai di affrontare quella mattina.
Come nostra
consuetudine, per la pausa pranzo ci ritirammo in
terrazza in compagnia dei nostri panini. La pioggia, che aveva ripreso a
scendere durante la mattinata, continuava a battere sopra la tettoia sotto alla
quale ci eravamo rifugiati, diffondendo un rumore
metallico che riempiva quell’inconsueto silenzio nato tra noi.
- Si può
sapere che hai oggi? – sbottò spazientita la mia compagna, all’improvviso.
- Ho
qualcosa di diverso? – domandai di rimando, addentando il mio panino
- No, non
so neanche cosa mi abbia dato quest’impressione –
rispose ironicamente, alzando gli occhi al cielo – Forse il fatto che tu e tuo
fratello non facciate altro che lanciarvi occhiate che
variano dal “che cazzo ti ho fatto?” al “lasciami
stare” ? -
La guardai
spalancando gli occhi, con la bocca, aperta dallo stupore, ancora piena
dell’ultimo morso del mio pranzo. La visione fece inorridire abbastanza la mia
amica, che mi costrinse a richiuderla con la mano.
- Per
favore. Ho appena mangiato -
- Te ne sei
accorta, quindi – mormorai, lasciando da parte il mio
stupore e annegandomi nell’amarezza.
- Beh, è un
po’ difficile non accorgersene se mi parli a un
centimetro dal viso –
- Intendevo
dell’atmosfera tra me e mio fratello – le ricordai, lanciandole un’occhiataccia
- Oh,
quello. No, guarda: stavo solo tirando ad indovinare – ribatté, accentuando le
sue parole con un’ironia sempre più marcata – Allora, mi vuoi dire cos’hai? -
Sospirai
pesantemente, preparandomi ad affrontare quel discorso che avrei voluto dimenticare
al più presto – Ho fatto una cosa orribile – dissi, riavvolgendo il mio pranzo
nella carta stagnola – E non so nemmeno il perché -
- Oh mio
Dio! Chi hai ucciso? – urlò lei sconcertata,
portandosi le mani alla bocca
- Mary vuoi
essere un po’ seria? -
- Dai,
scusa scusa - rise la mia amica, alzando le mani in
segno di resa – Dimmi un po’ che hai combinato -
- Io…- le
parole sembravano non voler uscire, bloccate nella mia gola per la troppa
vergogna o forse per la paura di essere giudicato anche da lei che mi aveva
sempre capito.
“Andiamo! Da quando m’imbarazzo a parlare con lei?”
- Tu? –
m’incitò, curiosa di sapere qual’era
il peccato commesso e per cui tanto mi dannavo
- Io…ho fatto sesso con un ragazzo – risposi tutto d’un fiato,
cercando di contenermi nel mio autocontrollo.
- Cosa? E sarebbe questa la cosa
orribile? – mi chiese, assumendo un’espressione delusa
- E come la definiresti? E’ una cosa
completamente sbagliata – ribattei furioso, anche a causa della
delusione. Mi chiesi che diamine si fosse immaginata, quella pazzoide, per
reagire con tanta depressione.
- Non è
sbagliato -
- E allora cos’è? Malato? Sono malato? –
Le sue
sopraciglia, bionde come la sua folta chioma, si aggrottarono alla radice del
suo nasino alla francese, mentre le esili braccia si incrociavano
dietro la nuca – Non esiste amore sbagliato o malato, Steve
- concluse semplicemente, sorridendo al vuoto.
“Non
esiste…amore?”
- A-amore? – ripetei confuso dalla scelta di quella parola.
Io l’avevo definito solo sesso, pur sapendo che non si trattava unicamente di
un atto materiale, perché se così fosse stato non mi sarei dannato l’anima come
stavo facendo. Ma lei l’aveva addirittura definito
amore.
Un sorriso
arricciò le labbra di Mary, in un’espressione dolcissima che conservava fin da
bambina. Con un movimento fluido si spostò su di me, sedendosi a cavalcioni sul mio stomaco. I suoi occhioni
verdi iniziarono a scrutare attentamente i miei
- Sai da
quanto ci conosciamo, Steve? -
- Sono
tredici anni, più o meno – risposi, non riuscendo ancora a capire dove volesse andare a parare.
- Din din, risposta esatta! E in tutti questi anni mai una volta ti ho sentito dire che
ti eri innamorato di qualcuno. Mai – mi disse, addolcendo a poco a poco il suo
tono – Di solito, quando andavi oltre al semplice bacio, lo dicevi come se non
fosse successo nulla d’importante. Addirittura la tua prima volta me la
descrivesti in questi toni – per qualche inspiegabile motivo il suo sorriso si
allargò, inondandomi con la sua luminosità - Ma stavolta, stavolta è diverso: sei preoccupato, turbato, confuso, e il tuo unico
pensiero è tuo fratello -
I miei
occhi si spalancarono increduli, mentre mi puntavo sui gomiti – E tu come fai a
sapere…? -
- Mi credi
davvero così stupida? – rise, nascondendo appena la bocca dietro alla sua mano
smaltata di un vivace viola - Ti conosco troppo bene -
- Allora,
se lo sai, perché continui a dire che non è sbagliato? – gridai,
ormai al limite della frustrazione – Non è forse un peccato da maledire?
Cazzo, è pur sempre mio fratello, no? E io me lo sono fatto, tranquillamente, come se fosse una
qualsiasi di quelle stupide che mi ronzano sempre intorno! Perché
continui a dire che non sono malato? – il mio tono di voce era diventato poco
più di un mormorio confuso con il rumore della pioggia che batteva sulla
tettoia – Perché non riesco a levarmelo dalla testa? – chiesi, abbassando lo
sguardo rigato dai cerchi dell’esasperazione. Ma Mary non mi permise di
nascondere la mia debolezza, e con dolcezza poggiò le mani sul mio volto costringendolo
a voltarmi verso di lei
-
Nell’amore non c’è nulla di sbagliato, Steve. L’amore
è il sentimento più puro e bello che qualcuno possa
provare. Non importa come, non importa per chi…l’amore ti fa sentire vivo, ed è
questo che conta. E tu, tu finalmente te ne sei accorto -
Rimasi lì,
immobile, con le sue mani gentili sulle mie guance, con le sue parole piene di
passione che riecheggiavano nel mio cervello senza darmi il tempo di
rifletterci.
- M-m-ma…insomma…noi…noi siamo
fratelli – cercai di ribattere, ma la mia amica non parve perdere la sua
determinazione.
- Ma mi ascolti sì o no? Non importa per chi! E poi cosa intendi fare? Fuggire da quello che tu stesso
provi? Impedire al tuo cuore di amare? Privarti della tua anima gemella? –
- La mia
anima gemella? – ripetei, scombussolato. Ma prima che
potessi prendere un attimo di respiro, Mary tornò a ricoprirmi con le sue
parole che intrecciavano maggiormente i miei pensieri in confusi teli senza
risposta.
- Non ti ho mai spronato a continuare una relazione, lo sai. Non ho
mai visto in te qualcosa per cui valesse la pena
farlo. Ma ora lo devo fare, devo perché so che se la
troncherai qui non farai altro che odiarti per il resto della tua vita. E, cavolo, ti voglio troppo bene per lasciarti fare senza
intervenire.
So che non
sarà facile. Non sono vissuta in un modo di rose e fiori neanch’io.
E so, anche, che sarà probabilmente l’amore più difficile e tormentato che io abbia mai sentito dopo Romeo e Giulietta. Ma non è impossibile, Steve. Nulla
lo è – concluse con un dolce sorriso poggiato sulle labbra, guardandomi come
per dirmi che lei sarebbe stata sempre al mio fianco
per sostenermi. Ricambiai il sorriso, stringendola in un abbraccio e
immergendomi nei suoi morbidi seni
- Grazie –
fui solo capace di dire
Paziente
sospirò, iniziando a giocherellare con le mie ciocche corvine - E di cosa? -
- Di essere
così. Di essermi sempre vicina. Grazie -
Free Talk
Eccomi
tornata con un nuovo capitolo, dopo aver affrontato di nuovo i capricci del mio
stupidissimo pc -.- Dunque
in questo capitolo appare Mary-Jane, un personaggio
che in questa prima parte della trilogia è a dir poco secondario (direi anche
terziario vista la brevissima apparizione) ma che ritornerà vivacemente nella
seconda parte. Almeno ce n’è una che sprizza un po’ di allegria
^^
I miei
ringraziamenti a pucci2, ad effy&ale, a piccola90 che hanno commentato e a
tutti quelli che hanno letto e leggeranno ^^ Alla prossima…