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Autore: miseichan    07/04/2010    27 recensioni
"Per quanto forte, potente e indistruttibile tu sia, devi sapere che i ricordi avranno sempre la meglio!” Il che non sempre è un male, ci sono volte in cui anzi è piacevole, gratificante. Purtroppo in altre occasioni ricordare è doloroso: ad esempio quando l'oggetto dei ricordi è qualcosa, o più precisamente qualcuno, che non è più al tuo fianco. Un qualcuno di cui semmai eri anche follemente innamorato, un qualcuno per cui avresti dato tutto te stesso. Sempre lo stesso qualcuno che ora vorresti solo vedere morto... o quantomeno riuscire a dimenticare. STORIA SOSPESA PER VACANZE ( brevi )… scusate!!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight Lovers'
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26 bacio

 

 

*

Davide

 

Non ho mai amato gli ospedali.

Certo nemmeno li avevo mai davvero odiati, non fino a quel momento.

Mentre percorrevo i corridoi asettici, scarsamente illuminati, pregni del tipico odore di malattia e disinfettante, tutti le mie più brutali imprecazioni erano proprio per l’edificio in sé. Non era un modo di comportarsi sensato.

Però ero terribilmente in ansia: inquieto e agitato come non credevo sarei mai stato.

Avevo perciò bisogno di una sottospecie di capro espiatorio: qualunque cosa mi permettesse di non pensare neanche lontanamente alla persona da cui stavo correndo. Il primo a subire le conseguenze della mia ricerca era stato il giovanotto di guardia al cancello: mi aveva guardato per qualche minuto, tentennando nell’atto di aprirmi il cancello. Immagino abbia poi intuito quanto vicino a morte prematura si fosse trovato.

Mi resi conto di essere arrivato nella zona del pronto soccorso solo a pochi passi dalla porta scorrevole: la sorpassai velocemente e mi avvicinai al banco informazioni, pronto a chiedere alla prima infermiera di passaggio. Dopo pochi attimi iniziai però a fremere di impazienza e mi incamminai lungo un corridoio a caso: sembravano tutti identici, lunghi, grigi e traboccanti di porte bianche.

Non avevo la più pallida idea di dove mi dovessi dirigere: stavo per cedere ad un crollo nervoso ma fui salvato all’ultimo momento da un frastuono improvviso. Prestai maggiore attenzione, colpito da alcune delle voci che si sovrapponevano ed accavallavano creando un’assordante cacofonia: iniziai a muovermi lentamente verso quella baraonda e svoltato due volte a sinistra, in fondo all’ennesimo corridoio grigio, li vidi tutti e tre.

Stringendo gli occhi quasi mi misi a correre per raggiungere il gruppo assordante: se ne stavano in cerchio, accalcati attorno ad un uomo in camice bianco, gridandogli contro delle cose che non riuscii a capire subito.

Veronica e Mirko erano i più arrabbiati: urlavano come degli ossessi e non sembravano minimamente intenzionati a smettere. Ray invece, con una mano stretta in quella della ragazza e l’altra poggiata sulla spalla del nipote, cercava inutilmente di calmare i bollenti spiriti.

Si rese conto di quanto l’impresa intrapresa fosse impossibile a realizzarsi quando anche il camice bianco si lasciò andare in uno sfogo liberatorio, sbattendo il fascicolo che reggeva su un bancone lì affianco.

Fu in quel momento che Ray si voltò, accorgendosi del mio arrivo: lo vidi sospirare e rilassare le spalle prima contratte per via della tensione. Mi rivolse un’occhiata grata, incitandomi ad affrettarmi.

- E’ arrivato-

Era quasi surreale il silenzio che calò improvvisamente: si girarono tutti verso di me, lanciandomi fugaci sorrisi.

Veronica e Ray si allontanarono di qualche passo, andando a sedersi sulle sedie poco distanti. Mirko invece mi si avvicinò con aria minacciosa afferrandomi brutalmente l’avambraccio e trascinandomi verso il dottore che sconcertato osservava la scena. Non ebbi modo di oppormi né tantomeno ero intenzionato a tirarmi indietro. Fissai l’uomo di fronte a me: non molto alto, a mala pena un metro e sessanta forse, calvo e con due corti baffetti neri a colorare il viso mortalmente pallido. Indossava un camice bianco troppo grande per lui: sembrava quasi avesse sbagliato misura e ne indossasse uno di due taglie maggiore.

Quando mi vide strinse gli occhietti neri, fissandomi diffidente. Io non feci niente per tentare di piacergli: non sorrisi né gli rivolsi alcuna occhiata rassicurante. Non ero nelle condizioni per pensare anche ad altri.

- Costringilo a farci entrare-

Guardai Mirko con la coda dell’occhio ma lui non se ne accorse: era furioso, con i lineamenti del viso tesi e irati. Scrutava il medico con l’aria di uno che non ci avrebbe pensato su due volte prima di saltargli alla gola: ricordava me con la guardia all’entrata. Non era il modo migliore di comportarsi però: uccidendo il dottore non credo avremmo risolto molto, così dopo essermi liberato il braccio dalla sua presa, lo tirai alle mie spalle, costringendolo a rimanersene fermo.

- Ilaria?-

L’uomo di fronte a me fece per rispondere ma lo zittii con una mano: non era a lui che mi stavo rivolgendo. Ray, seduto alle spalle dell’uomo, si passò una mano sul viso prima di rispondere con voce atona:

- Il taxi ha avuto un incidente: colpa di un motorino o qualcosa del genere. Ci ha chiamati la polizia dicendo di venire all’ospedale e siamo qua già da più di mezz’ora ma non sappiamo niente. Il dottor Misepoli qui insiste a non voler parlare e si ostina a non volerci far entrare-

- Perché?-

Sollevai le sopracciglia irritato, non ottenendo risposta e gli occhietti neri si spalancarono dalla sorpresa:

- Oh, ce l’ha con me! Senta: ho provato a spiegarlo anche ai suoi amici ma…-

- Non è vero!-

Voltai la testa lo stretto necessario per guardare Mirko che furioso aveva ripreso ad urlare:

- L’unica cosa che si è degnato di dirci è che non è grave! Ma che cazzo se è vero perché non ce la fa vedere?! Non è grave! Non mi sta a significare niente se non la vedo! E…-

Ormai mi ero girato del tutto, dando le spalle al medico palla da biliardo e fronteggiando un Mirko fuori di sé: gli posai le mani sulle spalle, stringendole con fare rassicurante. Non sapevo cosa dirgli, come calmarlo: Ray mi aveva guardato con aria sconfortata, spiegandomi silenziosamente che lui ci aveva già provato a fargli dare una regolata ma non era servito a niente. In fondo non era un comportamento assurdo il suo: era quello di un fratello spaventato a morte cui non era stato permesso di vedere la sorella in ospedale e il medico sembrava essersene reso conto. Non aveva ancora visto il peggio avrei voluto dirgli… aspetti di vedere quello di chi è innamorato della sorella e poi decida qual è il male peggiore.

La porta dell’ascensore si aprì in quel momento e ne uscirono tre ragazzi. Fu quasi incoscientemente che feci voltare Mirko spingendolo in direzione di Andrea: ecco, avevo fatto qualcosa, se buttarlo nelle braccia di chi sicuramente lo avrebbe saputo rassicurare meglio di me era classificabile in quanto tale.

Subito dopo tornai a rivolgermi al dottore che senza emettere alcun suono se ne stava immobile di fronte a me:

- Mi ascolti bene: deve farmi vedere immediatamente Ilaria. Non voglio sentirle dire altro, sono stato chiaro?-

L’uomo annuì stancamente prima di rispondermi a voce bassa, come se temesse di essere sentito dagli altri e la sua più grande paura in quel momento fosse che a tutti quei ragazzi venisse l’idea di malmenarlo.

- Come ho già provato a spiegare al suo amico, non è che non voglia ma non posso! La signorina è stata portata qui da poco, stiamo ancora facendo tutti gli accertamenti e delle visite potrebbero solo…-

Scossi la testa a quelle repliche: non mi interessava niente. Mi passai una mano fra i capelli, scostandoli dalla fronte con un gesto irritato: forse non mi ero spiegato bene. Feci qualche passo in direzione dell’uomo:

- Dottor… Misepoli. Credevo di essermi spiegato-

Lui arretrò istintivamente e un ghigno mi increspò le labbra: non pensavo di poter fare tanta paura.

Abbassai anch’io la voce ma nonostante ciò sembrò rimbombare nel corridoio: gli unici altri rumori erano solo bisbigli, frasi sussurrate dagli altri che il dottore sapeva benissimo non erano dalla sua parte.

- Deve farmi vedere Ilaria-

Lo avevo detto lentamente, calcando su ogni parola, così da assicurarmi che gli giungessero chiare.

Lui mi fissò in viso ancora per un minuto, come studiando la situazione, poi sospirò affranto e sconfitto:

- Va bene. Ma solo lei. Non accetterò certo tutti quanti siete! E deve promettermi che non rimarrà molto: l’accompagno io ora ma giusto cinque minuti poi deve andarsene-

Gli feci cenno con la testa di incamminarsi. Non promisi niente e se anche Misepoli se ne accorse, non si azzardò a tornare sull’argomento: nulla mi avrebbe convinto ad andarmene, solo Ilaria avrebbe potuto persuadermi a lasciarla sola ma anche su quello non avrei messo la mano sul fuoco.

Seguii il lungo camice bianco senza guardare gli altri: era come se avessi paura di vedere le loro espressioni preoccupate, a quel punto infatti non sarei più stato sicuro di riuscire a mantenere il controllo sulle mie emozioni. Se fino a quel momento in qualche modo ero riuscito a canalizzare la paura, non sapevo per quanto ancora vi sarei riuscito.

E se il dottore avesse mentito? Se in realtà fosse stato qualcosa di grave?

Un trauma cranico o cose simili…

No, non potevo nemmeno pensarci! Stavo seriamente rischiando un esaurimento nervoso…

Misepoli dovette accorgersene perché mentre percorrevamo corridoi ai miei occhi completamente indefiniti, parlò, con voce calma che doveva essere rassicurante.

- Davvero non è grave, non si preoccupi tanto. Dai primi accertamenti abbiamo riscontrato un paio di costole incrinate ed una frattura al polso, per il resto solo contusioni lievi-

Strinsi gli occhi mentre parlava: e per lui due costole incrinate e un polso fratturato non erano niente?!

- Non sono cose di cui si può morire, signor D’Amico-

Ignorai il fatto che conoscesse il mio nome, così come che gli avrei volentieri assestato un bel destro in faccia.

- E non c’è nessuna possibilità di traumi o…-

Non conclusi la domanda e probabilmente il dottore ne fu contento, perché quando mi lanciai di corsa verso il letto in cui stava Ilaria non disse nulla, limitandosi a seguirmi lentamente.

Non si era accorta di me: concentrata sull’infermiere che delicatamente le puliva un taglio sulla fronte, distraendola con chiacchiere di cui ben presto si sarebbero dimenticati entrambi. Lanciai di sfuggita uno sguardo al giovane in camice celeste, poi tornai a concentrarmi unicamente su di lei.

Era pallida, spaventata. Teneva il braccio destro immobile, fasciato dal polso fino a metà avambraccio, posato delicatamente sul lenzuolo sotto di lei: si sotto, era semisdraiata sul letto ma a quanto pareva non aveva voluto mettersi sotto le coperte… sorrisi fra me e me, rallentando il passo: alla fine ci si era ritrovata in ospedale e comunque aveva mantenuto la parola.

“Ti giuro, se pure un giorno ci dovessi finire, non accetterò mai di indossare quegli orrendi camici né di farmi trattare come un malato terminale o paralitico quando non lo sono!”

Lei sì che odiava gli ospedali.

Non sopportava niente di quegli ambienti impregnati di dolore. Non le piaceva l’odore né l’aria mesta e pesante che vi si respirava. Ma più di tutto non le piacevano le cure e io sapevo il perché.

- Lari…-

Fissò lo sguardo nel mio, sorpresa: spalancando ancor di più gli occhi già dilatati. Ero ormai a meno di un passo da lei e quasi crollai sul pavimento, trovando invece nel letto un aiuto inaspettato: mi ci aggrappai con tutte le mie forze, resistendo all’impulso di fiondarmi ad abbracciarla, semplicemente per la paura di farle male.

- Davide, cosa ci fai qui? Stai bene?-

Mi salì in gola una risatina nervosa, quasi incredula: lei si preoccupava della mia salute?

Stavamo decisamente sconfinando nel paradossale.

Non mi diedi la pena di risponderle, continuando a studiare ansioso quel viso di cui non avrei saputo fare a meno: c’era tensione, molta, e sperai non stesse soffrendo troppo perché non credo avrei saputo sopportarlo.

Le labbra le tremavano leggermente e aveva un piccolo taglio sul labbro inferiore da cui usciva una minuscola goccia di sangue. La fissai per un po’ e poi tornai a cercare i suoi occhi, trovandoli umidi e sofferenti: sentii una stretta al cuore mentre capivo di non poter semplicemente rimanere lì in piedi. Non ne sarei stato capace.

- Non sai cosa mi hai fatto passare, piccola-

Lei sorrise, poco, inarcando giusto un attimo le labbra e scuotendo la testa:

- Non dovevi preoccuparti… e nemmeno correre qui! Chi ti ha chiamato?-

- Mirko. Ha chiamato Andrea e ha fatto bene: credo che se avesse chiamato me, avrei rischiato di avere un infarto-

Parlando avevo lanciato una veloce occhiata in giro per la stanza: era grande, con sei letti, immersa nella penombra. L’infermiere di poco prima sembrava scomparso e il dottor Misepoli era occupato con l’unico altro paziente nella camera: nel letto più lontano, un anziano signore con il viso completamente ricoperto da capelli e barba bianchi. Felice di quella relativa tranquillità mi sporsi vicino al letto vicino, tirando con me una sedia pieghevole: la posizionai accanto a Lari, in modo da poterle stare vicinissimo.

- Non farmi più una cosa del genere-

Lo avevo solo sussurrato, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio e guardandola negli occhi.

Non era una frase sensata: lei non lo aveva mica fatto apposta eppure capì il senso delle mie parole, sorridendomi, questa volta per davvero. Ricambiai il sorriso, contento che un po’ di colore tornasse sul suo viso e quando notai che la gocciolina di sangue si era ingrandita sul suo labbro, avvicinai il mio viso al suo involontariamente. Stavo pensando a quante volte avevo passato la mia lingua sulle sue labbra e a come in quel momento stessi morendo dalla voglia di farlo ancora: in fondo la saliva ha poteri lenitivi, no?

Non potevo farlo però e mi fermai giusto in tempo, grazie ad un controllo ed una forza di volontà che non sapevo di possedere: semplicemente allungai piano il pollice, passandolo gentilmente sul suo labbro e togliendone il sangue con più delicatezza possibile.

La sentii rabbrividire a quel contatto e sorrisi ancora, divertito, illudendomi che il freddo non c’entrasse niente.

- Com’è allora stare in ospedale?-

Lari sbuffò, guardandomi di traverso: non avrebbe risposto e lo sapevo, non ne ebbe però lo stesso il tempo.

Il dottor Misepoli in quel momento si avvicinò a noi, guardandoci con un’espressione indecifrabile, poi si rivolse a Ilaria senza chiedermi di andarmene, cosa di cui gli fui infinitamente grato.

Che si fosse reso conto che non sarebbe comunque servito a niente?

- Come si sente?-

Lari annuì impercettibilmente prima di rispondere:

- Bene!-

Forse vide la mia espressione irritata con la coda dell’occhio, perché dopo qualche secondo di silenzio continuò, con voce più bassa, quasi indecisa:

- Solo il braccio: è che… il polso…-

Misepoli annuì con aria greve, spiegando poi per tranquillizzarla:

- E’ normale: essendo solo fasciato anche il più piccolo dei movimenti è doloroso ma fino a domattina non possiamo ingessarlo. Cosa sente di preciso? Per capire se c’è bisogno di intervenire già in qualche modo-

Lari guardò prima me, come se si vergognasse di star soffrendo e doverlo dire apertamente, allora io mossi la mano verso la sua, fermandola a pochi millimetri così che sentisse il mio appoggio. Lei prese un bel respiro e fingendo che non ci fossi parlò al dottore:

- Prima era peggio: come se un tir ci fosse passato sopra spappolando tutte le ossa, ora invece è un dolore sordo, forte, pulsante… e come ha detto lei, al più piccolo movimento sento una fitta enorme che attraversa tutto il braccio, fino alla spalla-

Fu una fortuna che Lari non mi guardasse più: non ebbi bisogno di celare le mie reazioni.

Per prima cosa, sentendo quanto stesse soffrendo sbarrai gli occhi, preso completamente alla sprovvista, poi cominciai a fissare Misepoli, lanciandogli occhiate di fuoco: come se fosse possibile dare a lui la colpa di tutto.

Perché non potevano ingessarglielo ora? E che diavolo almeno facessero qualcosa perché non stesse tanto male!

Il dottore o non si accorse della mia rabbia immotivata o non diede minimamente a vederlo. Dopo qualche attimo di riflessione si decise, dicendo con voce sicura:

- Sa che le dico? Una bella dose di antidolorifico non potrà farle che bene-

Mi rilassai un poco sentendoglielo dire, almeno si era convinto ad intervenire! Guardai Lari, credendo di vedere anche lei sollevata ma mi sbagliavo: notai nei suoi occhi un lampo di paura che non riuscii a spiegarmi.

Cosa?

- D.!-

Non ero nemmeno sicuro che lo avesse detto: forse lo avevo solo letto nel movimento delle sue labbra, la cosa importante era però che mi aveva chiamato e qualcosa la stava spaventando. Stavo per entrare in crisi, non capendo il perché della sua reazione quando mi accorsi dei movimenti del dottore: si rigirava fra le mani una siringa, guardandone la capienza nel raggio di luce di una lampada.

Sgranai gli occhi, avvicinandomi di scatto a Lari il più possibile e prendendole la mano sinistra nella mia: la strinsi il più possibile, cercando di passare un po’ di calore e conforto. Lei però continuava a non guardarmi.

Come avevo fatto a non pensarci?

Il terrore degli aghi era una delle poche fobie della mia piccola.

Erano uno dei motivi per cui odiava tanto gli ospedali: sapeva che era una paura infondata, se ne rendeva perfettamente conto e per questo non lo raccontava quasi a nessuno eppure non appena ne vedeva uno andava in tilt.

C’era stato un periodo, in cui Andrea era venuto a conoscenza di questa paura, che non dimenticherò mai: ogni volta che gliene capitava l’occasione, con Ilaria presente,  Andrea si divertiva ad infilarsi un ago sotto la pelle del pollice. Era indolore ed al tempo stesso raccapricciante. Ilaria tentava sempre di non guardarlo ma lui tanto faceva che alla fine mi ritrovavo sempre ad entrare in una stanza con lui piegato in due dalle risate e lei pallida e spaurita. La situazione stava degenerando e mi ero deciso ad intervenire drasticamente quando non ce ne fu più bisogno: Andrea smise improvvisamente, non seppi come mai, cosa Ilaria avesse fatto. E non riuscii nemmeno a farmelo dire: forse lei aveva scoperto una qualche paura di lui o chissà cosa gli aveva fatto, l’unica cosa certa fu che non vidi più Andrea con un ago in mano se c’era Lari al suo fianco.

Mossi il pollice su e giù per il suo palmo ma non riuscii ad attirare la sua attenzione: quando sentii un piccolo brivido attraversarle il corpo capii che era necessario distrarla.

- Ehy, ehy! Piccola! Guarda me! Su, guarda me…-

Se avevo iniziato con voce squillante e imperiosa, verso la fine mi ero ritrovato a bisbigliarlo quasi al suo orecchio, con tono dolce e pregante. Il dottore dovette intuire qualcosa perché mentre riempiva la siringa si girò, dandoci le spalle. Lari a quel punto riuscì a guardarmi e io le regalai un sorriso enorme, prima di cominciare a parlare con voce calma e rilassante:

- Vuoi sapere l’ultima novità?-

Lei non sembrava davvero interessata, eppure annuì, capendo le mie intenzioni:

- Sai niente di una nuova coppia fra le nostre schiere?-

Lari sollevò le sopracciglia con fare interrogativo e io sorrisi, felice di star riuscendo ad attirare la sua attenzione. Lei poi si accigliò bruscamente, forse fraintendendomi e con voce solo un po’ tremante rispose:

- Davide scherzi? C’ero anch’io con te quando abbiamo visto Mirko e Andrea, lo sai?-

Ridacchiai sommessamente a quella sua uscita: che credeva che lo shock era stato tale da farmi dimenticare che li avevamo scoperti assieme? Scossi piano la testa, riprendendo subito il discorso non appena mi accorsi che Misepoli le stava sfregando il braccio con dell’alcool: anche lei se ne era accorta e sentii la sua mano stringere più forte la mia, cercando di trarne coraggio.

- Non parlo di loro. Nemmeno io me ne ero reso conto: è stato Maurizio a lasciarselo sfuggire. Lo vuoi sapere?-

- Certo che sì-

Era confusa, ma non era questo che mi importava: ora l’unica cosa fondamentale era che fosse concentrata sulle mie parole al punto da non pensare più all’ago della siringa che le stava per entrare nel braccio.

- Scommetto che nemmeno tu lo avevi notato…-

Si innervosì a quel punto, conficcandomi di proposito le unghie nel palmo, io però non ci feci caso e aspettai ancora qualche secondo prima di riprendere il discorso:

- Veronica e tuo zio-

Era stata una carognata: avevo calcato appositamente sull’appellativo zio invece di chiamarlo semplicemente Ray, fui felice perciò di vedere subito dopo il viso di Ilaria scomporsi per la sorpresa.

Non pensava più all’ago, ne ero sicuro.

Vidi di sfuggita anche il dottore sorridere, divertito da quel mio giochetto. Ilaria continuò a fissarmi per un po’ cercando di capire se stessi scherzando e non trovando nel mio viso alcun accenno di bluff poi sbiancò di colpo.

Mi avvicinai, non aspettandomi quella reazione e lei in risposta cercò di allentare la presa sulla mia mano, io non glielo permisi: almeno non finché Misepoli non avesse finito con quella dannata siringa.

- Mi prendi in giro? Non è possibile!-

Tornai a respirare normalmente mentre lei si accalorava per l’indignazione e proseguiva infervorata:

- Hanno più di dieci anni di differenza!-

- Non conta l’età quando c’è l’amore, Lari-

Lei mi rivolse uno sguardo sprezzante per quella frase da Bacio perugina e ribattè:

- E secondo te il loro è amore?! Ma per cortesia! Io non…-

A bloccarla fu la voce del dottore: togliendosi il guanto di lattice con uno schiocco deciso annunciò sorridente:

- Ecco fatto!-

Lari spostò lo sguardo su di lui, meravigliata:

- Di già?-

Misepoli annuì, per poi continuare con tono professionale, di chi ha già detto le stesse cose tante volte:

- Con questa dose dovrebbe alleviarsi il dolore. L’effetto comincerà a sentirsi fra al massimo venti minuti. Per il resto cerchi di tenere il polso fermo, anche ora, nel caso si addormenti ci sarebbe bisogno di…-

Guardò me, quasi aspettandosi una conferma per quello che avrebbe proposto:

- E se lo legassimo con la fasciatura stessa al…-

Lo interruppi prima che avesse modo di concludere: non mi piaceva come idea e poi non ce n’era bisogno.

- Non serve-

Dissi solo quello, alzandomi e accennando a sedermi affianco ad Ilaria.

Sia lei che il dottore mi rivolsero un’occhiata sconvolta: fu lei a prendere la parola, bisbigliando seria.

- Cosa credi di fare?-

In risposta la spostai delicatamente più a destra, prendendo agilmente posto accanto a lei e sdraiandomi con un sospiro soddisfatto. Le passai un braccio dietro la schiena e con estrema attenzione sollevai il suo braccio destro poggiandolo piano sul mio petto.

- Così siamo più sicuri: sto attento io, non si preoccupi dottore-

Misepoli era senza parole ed Ilaria mi fissava sconcertata: ero sicuro che se fosse stata una qualunque altra situazione mi avrebbe già buttato a calci giù dal letto. Non era così adesso però.

- Fingerò di non aver visto niente-

Lanciai un’ultima occhiata al dottore che, ridendo sommessamente e passandosi una mano sulla pelata si stava allontanando velocemente, poi tornai a concentrarmi su Lari vicino a me:

- Ti do fastidio?-

Lo avevo chiesto per cortesia, non accettando di ammettere nemmeno con me stesso che una risposta affermativa mi avrebbe distrutto: io non ero mai stato meglio.

Lari però non rispose, limitandosi ad avvicinarsi di qualche millimetro e poggiare la testa sulla mia spalla.

Avevo una voglia incredibile di fare cose come abbracciarla, o accarezzarle i capelli, ma sapevo di non essere nella condizione adatta a fare nessuna di quelle.

- D.?-

Tornai subito sull’attenti sentendomi chiamare e feci per dire qualcosa ma lei fu più veloce di me:

- Parleresti ancora un po’ con me mentre non fa effetto la medicina?-

Lo aveva chiesto con una voce talmente dolce che temevo mi si sarebbe sciolto il cuore.

Strinsi il braccio attorno a lei e senza aspettare un momento di più ripresi a chiacchierare, incurante del fatto che ci trovassimo in ospedale, alle tre di mattina e che un anziano signore, dall’altro lato della stanza, ci osservasse in silenzio con un sorriso malinconico dipinto sul volto.

 

*

 

Non credo di aver mai scritto un capitolo tanto lungo =)

Ringrazio subito tutti quelli che sono riusciti a leggere tutto, fino a qui, senza addormentarsi sulla tastiera o chiudere la pagina con un gesto isterico e orripilato ^^ 

Forse fa schifo, devo dirvi però che mi sono divertita a scriverlo **

Naturalmente attendo con ansia commenti vari, sperando che ce ne saranno: ci tengo a sapere se la storia inizia ad essere pesante e noiosa.

Nel caso cercherò di chiuderla al più presto così da smettere di infastidirvi inutilmente ^^

Alla prossima!

 

   
 
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