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Autore: Mistryss    08/04/2010    2 recensioni
Correva l'anno 1760 circa, e fra i tetti di una città del paese di Arjanne, si aggirava una misteriosa figura nerovestita.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Erano passati tre giorni da quando René aveva scoperto di Jean, e la vita aveva ripreso a trascorrere tranquilla. La febbre di Maria, data solo da un forte stress, era velocemente passata, mentre le ferite del giovane ladro stavano guarendo senza problemi, in fondo erano solo poco più che graffi.
Jean si stava tranquillamente rilassando nel cortile della villa, quando una voce lo chiamò.
- Hey, Jean!
Era Maria, che in abiti maschili, correva per raggiungere il fratello in giardino.
- Cosa c'è Maria? Com'è che sei di nuovo vestita da uomo?
La giovane raggiunse il ragazzo, e sfoggiò un sorrisetto per niente rassicurante.
- Jean, ti prego, continuiamo le lezioni di scherma!
- Cosa?! Ancora?!
- Sì, ti prego! Voglio riuscire ad arrivare al tuo livello e batterti!
- Sei proprio competitiva, eh? Va bene, iniziamo. - Disse Jean estraendo la spada - Allora...dov'eravamo rimasti l'ultima volta?
- Mi dovevi ancora insegnare le parate tanto per cominciare. Poi se non è chiedere troppo, vorrei anche imparare la finta...
- Una cosa alla volta! Allora, iniziamo con la parata. Dunque, come ben sai il concetto fondamentale della parata è quello di opporre il forte della propria lama, al debole della lama avversaria. La parate possono essere: di tasto, di ceduta e di sparizione di corpo. Le più importanti sono le otto di tasto di cui la prima, la quinta la sesta e l'ottava servono a parare non solo i colpi di punta, ma anche quelli di taglio. Le posizioni sono quelle che ti ho spiegato la scorsa volta, quindi non dovresti avere problemi. Ora, io ti attaccherò e tu dovrai metterti a parare nella prima posizione, d'accordo?
- Sì!
Maria entusiasta di ricominciare ad allenarsi, estrasse la sua spada, e quando vide il fratello venirle in contro per attaccare, subito si mise in posizione; ma si mosse troppo presto, e così la parata non ebbe effetto.
- Maria, ti sei messa in posa troppo presto! La parata dev'essere rapida e immediata, non puoi iniziare a pararti quando il tuo avversario è ancora lontano, perché in quel caso lui se ne accorge e cambia punto di attacco, rendendo così vana la tua parata! Avanti, riproviamo! - disse il ragazzo con tono di rimprovero.
I due riprovarono per alcune volte, e alla fine la giovane nobile riuscì a pararsi in tempo.
- Bene, ora passiamo alla quinta e alla sesta!
La ragazzina si mise in posizione, pronta a pararsi al momento giusto, ma quando il fratello iniziò ad attaccare, lei riuscì solo a pararsi nella sesta posizione.
- Ancora questo problema?! Concentrati! Riproviamo. - disse Jean rimettendosi in posizione.
Al terzo tentativo finalmente Maria riuscì a pararsi al momento giusto, ma per poco non colpì anche il fratello muovendo la spada.
Si allenarono per circa mezz'ora solo nelle parate, finché Maria, non iniziò a insistere per passare alla finta, il tipo di mossa da lei preferito.
- Ci tieni proprio a imparare tutto, eh? Va bene, va bene... Allora, la finta più comune è quella di Stoccata, la seconda è la Finta d'Imbroccata, poi c'è la Finta Doppia che può spiazzare l'avversario eludendone la difesa, ma può anche indurlo a ferirti. - spiegò con precisione il ragazzo.
Maria lo guardò con occhi sognanti, al solo sentire i nomi e le caratteristiche di quei movimenti per lei così forti.
- Mi faresti vedere per bene come si effettua una Finta Doppia? - chiese ancora con gli occhi che brillavano all'idea.
Jean sospirò un po' annoiato: possibile che fosse così dura insegnare scherma a qualcuno a cui interessa davvero?
- Va bene, va bene... allora....
Ma mentre stava per mettersi in posizione, sentì René chiamarlo.
- Padron Jean, signorina Maria! Mi dispiace dover interrompere il vostro allenamento di scherma - disse il servitore raggiungendo di corsa i due fratelli. - Ma vostro padre sta per arrivare, e non credo gli farebbe piacere vedere la propria figlia vestita da uomo mentre tira di scherma...
- Ah, accidenti, hai ragione René! Maria svelta, va' a lavarti e cambiarti, non deve sentire la puzza di sudore su di te, o potrebbe capire!
- Sì!
Immediatamente, la ragazzina sparì in casa, correndo su per le scale fino alla stanza da bagno, più veloce che poteva.
Poco dopo, la carrozza con a bordo monsieur De la Rou arrivò a destinazione, e l'uomo scese in tutta tranquillità, salutato all'ingresso del palazzo da tutta la servitù. Ma egli non era solo: infatti, poco dopo di lui dalla carrozza scese un altro uomo, vestito di tutto punto. Doveva trattarsi di qualcuno di importante.
- Ben tornato, padre. - disse Jean entrando dalla porta che dava sul giardino. - E buon giorno, monsieur...
- Parveau, sono il duca De Parveau - precisò l'uomo
- Piacere, duca De Parveau - disse Jean porgendogli la mano, che questi elegantemente strinse.
- Jean, hai idea di dove sia tua sorella? - chiese poi monsieur De la Rou.
- Sì, padre. E' al piano di sopra, si stava facendo il bagno perché voleva rilassarsi.
- Capisco, allora credo non sia il caso di andare apposta a presentarle l'ospite.
- Immagino di sì.
Il conte De la Rou seguito dal suo ospite si diresse verso una stanza il cui arredamento era composto da una scrivania di legno nero, una libreria antica e alcune poltrone rosse: si trattava dello studio.
- Jean, io e il duca dobbiamo sistemare alcune cose di lavoro. Quindi, che nessuno ci disturbi.
Detto questo, i due si chiusero dietro le due porte in legno massiccio che facevano da ingresso allo studio. Jean rimase un momento a guardare stupito la porta: non s'aspettava così tanta segretezza per un lavoro, ma se suo padre voleva così, un motivo doveva esserci, per cui decise di non porsi domande e se ne andò per i fatti suoi, anche se quel comportamento un po' lo insospettiva.
Un’oretta dopo, il giovane era nuovamente nei pressi dello studio del padre, e ripensando allo strano comportamento avuto prima quest’ultimo, si avvicinò alla porta dell’ufficio, e ne approfittò per origliare la discussione in corso fra suo padre e l'ospite:
- Spiegatemi un po', come avete fatto a ingannare quel poveraccio? - stava chiedendo il padre del ragazzo.
Quella frase catturò l'attenzione del giovane Jean, che si appiattì contro la porta per sentire meglio.
- Ah! E' stato molto ma molto facile, sapete? La gente dovrebbe imparare a fidarsi di meno... Dato che non sa quasi leggere, mi sono finto molto cortese, e mi sono offerto di leggergli personalmente il contratto. Peccato che gliel'abbia letto come LUI voleva sentirlo leggere, per cui c'è cascato come un pollo! Ora me lo dovrà dare gratuitamente, invece che a 10000 franchi come gli avevo detto! Mai fatto imbroglio più facile prima d'ora! - diceva sghignazzando monsieur De Parveau.
- Ma ditemi di più! Voglio sapere amico mio! Questo contadinello truffato, lo sa ora che gli toccherà sottostare completamente al contratto, e che quindi è stato imbrogliato?
- Beh, effettivamente sì. Più di una volta è venuto da me a supplicarmi di rinunciare al contratto, ma io non ci penso nemmeno! D'altronde, come potrei mai farmi sfuggire una preda così succulenta? Manco quel ladro là, quel Rosa Nera o come si chiama, potrebbe fare meglio di così! In confronto a me, il mago delle truffe, lui è solo un novellino!
- Allora, per quando è prevista la messa in atto del contratto, e di conseguenza la truffa?
- Vediamo...se ben ricordo, dovrebbe essere la prossima settimana.. – de Parveau ridacchiò appena. –Sarà un piacere toglierglielo dalle mani!
- Duca, siete davvero crudele! – affermò monsieur De la Rou ridendo.
Dall'altra parte della porta dello studio, Jean furioso strinse i pugni, e se ne andò: aveva sentito abbastanza e non intendeva indugiare lì oltre. Furioso come non mai salì le scale di legno che dal'atrio davano al piano superiore, diretto alla sua camera, quando lungo il corridoio incontrò l'amico e servitore René, che dopo una breve occhiata capì che qualcosa non andava, e decise di fermarlo.
- Padron Jean, che vi succede? Sembrate piuttosto adirato, posso saperne la causa? - chiese piuttosto preoccupato.
Il giovane nobile tremava dalla rabbia, faticava a trattenersi, ma ancora per un momento rimase calmo e si rivolse all'amico.
- Seguimi in camera mia, lì ti spiegherò tutto.
Il fedele servitore obbedì senza fiatare, sperando che poi l'amico gli avrebbe rivelato tutto.
Quando finalmente arrivarono nella stanza di Jean, quest'ultimo chiuse con molta attenzione la porta, controllando che nessuno lo potesse vedere e mettersi così a origliare. Poi finalmente si rivolse al suo fido confidente.
- Sono....sono stufo di questi nobili, di questa gente subdola, priva di scrupoli, che si arricchisce a discapito della povera gente che è felice di avere anche solo dieci franchi per potersi comprare un tozzo di pane e un po' di formaggio! Questi nobili, mio padre compreso, sono così sporchi, così...così marci, perché anche loro fanno parte del marciume di questa città, di questo paese corrotto e disperato! René, io non ce la faccio più di vivere accanto a gente simile, non ne posso più di vedere questi nobili che ridono e che scherzano sulle disgrazie altrui! - disse furioso tirando un pugno al muro.
- Padrone, scusate ma, non capisco che cosa sia successo esattamente...Parlate tanto di marciume, ma non capisco a cosa vi riferiate di preciso. – disse il servitore, piuttosto confuso.
- Hai ragione, scusa. Ho parlato dando solo voce alla mia rabbia, e non ti ho spiegato la situazione. Il fatto è, che ho sentito mio padre e il suo ospite, chiacchierare allegramente riguardo una truffa commessa da quest'ultimo a danno di un pover'uomo. Ho sentito...ho sentito che il duca si vuole appropriare gratuitamente di un determinato oggetto, che non hanno menzionato, quando aveva detto al suo legittimo proprietario che lo avrebbe pagato diecimila franchi! E il peggio non è la truffa, ma il fatto che questi ci rida sopra, e sia felice di truffarlo e non aspetti altro di vedere la faccia dell'uomo che ha truffato! Mi fa rabbia, ho una gran voglia di scappare da questo mondo sporco e corrotto! Ma anche il desiderio di fare qualcosa per queste persone che non sanno evitare i giochetti dei nobili..
- Se è questo che volete, perché non lasciate che ci pensi Black Rose? Per lui cosa volete che sia rubare un contratto? - disse René lanciando al padrone uno sguardo d'intesa.
Jean rimase in un primo momento perplesso dalla proposta inaspettatamente fattagli dal'amico, ma poi sfoderò un sorriso a trentadue denti pieno di gratitudine per l'idea, come al solito, René era l’unico su cui potesse fare affidamento riguardo questioni simili.
Quella stessa sera, il conte De la Rou comunicò alla famiglia che il duca si sarebbe trattenuto da loro un altro giorno per alcune faccende di lavoro, evidentemente si trattava della truffa. Nessuno ebbe obiezioni in proposito.
 
Il giorno dopo, il giovane nobile si avvicinò nuovamente alla porta dello studio per ascoltare nuovamente le conversazioni fra il padre e l'ospite, nella speranza di ottenere qualche informazione in più su dove stesse l'uomo truffato, e su chi fosse. Ed effettivamente, i due stavano nuovamente parlando della truffa.
- Ma effettivamente quanto dovrebbe valere quell'oggetto? - stava chiedendo monsieur De la Rou
-  Come minimo almeno centomila franchi, forse anche più.
- Sarei interessato a vederlo, sapete? Da come me lo avete descritto, quell'oggetto sembra piuttosto costoso...mi chiedo come uno di così basso rango lo possa avere con sè...
- Credo che in un lontano passato un qualche suo parente fosse di ricca famiglia, che poi è arrivata a impoverirsi fino al livello attuale. Anche perché la zona in cui abita fino a cent'anni fa era una zona borghese, ma poi con l'ultima guerra come ben sapete, quel posto si è ridotto a un mucchio di case mezze fatiscenti, o comunque senza più valore.
- Già... quale casa avete detto che è?
- Ah! E' impossibile non riconoscerla: è una casa a due piani su un azzurro spento, con delle strisce gialle vicino alla porta, e vari pezzi di vernice scrostati dalle pareti. Quel tizio è così squattrinato che non può fare altro che lasciare cadere in rovina quella casa!
- Ahah, direi che avete ragione duca! Oh, non ve l'ho chiesto: gradite qualche liquore da bere?
Il giovane si ritrasse facendo il più possibile attenzione a non attirare l'attenzione, ma nonostante ciò, riuscì ad andare a sbattere contro un vaso di bronzo messo vicino alla porta dello studio, facendolo così cadere e quindi notare che qualcuno ascoltava la conversazione fra i due nobiluomini.
<< È la seconda volta che ho questa sgradevole sensazione, come se qualcuno ci stesse spiando... E a quanto pare, avevo ragione, fino a poco fa eravamo spiati...ma da chi? >> si domandò monsieur De la Rou.
Istintivamente provò a guardare fuori dalla porta se poteva ancora scorgere qualcuno in atteggiamenti sospetti, ma ormai era troppo tardi, Jean s'era già allontanato.
 
Molti minuti dopo, il giovane nobile camminava a passo deciso lungo i sobborghi della città, in quella che era la zona popolare, piena di vecchie case in rovina e gente disperata che soffriva. L'atmosfera era grigia, cupa, soprattutto a causa del degrado che accompagnava lo sguardo il ragazzo lungo la strada e il tempo da pioggia. Nonostante fosse uscito di casa da solo una mezz'oretta, sperava di arrivare in fretta a destinazione, preoccupato che qualcuno potesse riconoscerlo e fra chiacchiere varie, facesse sapere in giro che si trovava nel quartiere popolare della città, cosa che un nobile non avrebbe mai dovuto fare.
Camminò a lungo, ma alla fine riuscì a raggiungere la casa. Era proprio come aveva sentito: vecchia, cadente e scolorita, oltre che decisamente più piccola di una attuale da nobile. Lentamente aprì il cancelletto che faceva da ingresso all'abitazione, messa in mezzo un piccolo praticello ingiallito in alcuni punti, e morto in altri, e si diresse al vero ingresso della casa: una vecchia porta di legno mezzo marcio. Lentamente bussò alla porta, sperando che il padrone di casa venisse in fretta ad aprire, e così fece: era un uomo pallido e smunto, dall'aria stanca e sciupata; il volto era scavato e scure occhiaie contornavano il suo viso. Evidentemente, da qualche tempo faceva le ore piccole, preso da chissà quale cosa.
- Desiderate? - chiese l'uomo che aveva aperto poco la porta, giusto quel tanto necessario per vedere chi fosse l'individuo.
- Salve, sono stato informato di una truffa che vogliono commettere a suo danno, e che però lei non è ancora riuscito a impedire. Me ne può parlare, per cortesia? Sono un gendarme, la vorrei aiutare.
- E perché non indossa la divisa? - domandò sospettoso l'uomo; ma il ragazzo aveva previsto una domanda simile, e aveva una risposta pronta.
- Molto semplicemente perché oggi non sarei in servizio, ma dato che passeggiando sono capitato da queste parti, ho deciso di venire a chiederle di questa truffa.
L'uomo pensò un momento alle parole del giovane, indeciso se credergli o no. Alla fine, parve convincersi, poiché permise a Jean di entrare in casa, aprendogli la porta.
L'interno della casa era ancora più scalcagnato che l'esterno: crepe nei muri, parti di pavimento distrutte che lasciavano scoperta la ruvida pietra, pareti ormai annerite dal tempo e con l'intonaco cadente. Il giovane si guardò intorno piuttosto stupito, poiché era per lui strano trovare una casa grande così mal ridotta.
- Prego, da questa parte. - disse l'uomo incamminandosi stancamente in una piccola stanza con un tavolo sgangherato, per poi con una candela accendere la luce in quella stanza.
- Allora, mi racconterete cos'è successo? Come è stata effettuata questa truffa, e che cosa vi vogliono portare via?
- Sì, vi dirò tutto. Spero che voi riferirete tutto ai vostri superiori e farete così mettere a morte questo individuo!
- Giustizia sarà fatta, si fidi.
- Bene. Tutto è cominciato circa un mese fa: in quel periodo ero praticamente senza soldi, e disperato. Un mio amico mi ha allora consigliato di rivolgermi al duca De Parveau, per contrattare con un intenditore il prezzo di un oggetto di grande valore, che appartiene alla mia famiglia da quattro generazioni: una collana d'oro con incastonato un piccolo zaffiro al centro. È la nostra ultima ricchezza; è stata salvata e conservata con molta fatica. Fino ad ora la mia famiglia è riuscita a cavarsela in un modo o nell'altro, e a sopravvivere nonostante la povertà. Ma ora sono rimasto l'ultimo e le persone che per anni ci hanno aiutate sono morte, mentre io mi sono ritrovato in rovina e l'unico modo per poter continuare a vivere era vendere la collana: dato che è di valore, il ricavato potrebbe bastarmi per quasi tutta la vita. Quando il mio amico mi ha parlato del duca, ho creduto che fosse la risposta ai miei problemi, visto che un nobile di certo capirebbe il valore esatto del gioiello. Così mi sono recato da costui, sperando che mi potesse davvero aiutare. Quando ho parlato del gioiello sono stato subito ricevuto, e s'è anche dimostrato molto gentile e ben disposto nei miei confronti... Dopo avergli mostrato la collana, mi ha detto che più o meno almeno diecimila franchi li valeva, così mi ha proposto di venderla a lui, e io come uno sciocco ho accettato. Ha voluto che la vendita avvenisse attraverso un contratto, e mi ha convinto a tornare da lui il giorno dopo, in modo che in presenza di un notaio potessimo stipulare un contratto regolare, e così è stato.
Jean, che fino a quel momento mentre ascoltava fingeva di prendere appunti, guardò per un momento piuttosto perplesso l'uomo.
- Scusi se glielo dico così, ma normalmente non servono contratti per acquisti di questo tipo, fra privati cittadini...
- Cosa?! Addirittura?! Io sono povero, non so né leggere né scrivere, non sono mai stato istruito, non sapevo nulla di tutto ciò. – spiegò affranto per poi sbuffare leggermente. - Grandioso, quindi sono stato doppiamente imbrogliato!
- Già... ma prego, continuate pure il racconto.
- D'accordo. Il duca mi ha dato una copia del contratto perché diceva che era la procedura da seguire, dato che la collana l'avrebbe comprata un’altra volta perché in quel momento non poteva. Alcuni giorni dopo ho mostrato il contratto al mio amico, che l'ha voluto leggere. A differenza mia lui non è analfabeta e ha voluto leggermi ad alta voce il contratto: secondo quel contratto, io cedevo al duca De Parveau la collana senza ricevere in cambio nessun pagamento! Ho provato più volte a convincerlo a cambiare idea, ma non mi ha mai voluto ascoltare e ora sono rovinato! - concluse disperato l'uomo.
- Capisco signore, ora che ho ricevuto la vostra testimonianza, potrò far arrestare quell'uomo. Ma prima vorrei che mi diceste dove abita, in modo da poterlo sorprendere alla fine senza dargli il tempo di scappare da qualche parte.
- Oh, certo: abita nel quartiere a sud, al palazzo numero cinque. Non potete sbagliarvi: è una casa di un leggero color pesca e un portone esageratamente decorato. Si vede proprio che ama mettersi in mostra quel farabutto!
- Già...ora scusate, devo andare. - tagliò corto il giovane.
- Certo, certo, prego.
Jean lentamente si alzò e con sguardo serio si diresse alla porta, pronto per poter lasciare quella buia casa.
<< Mi dispiace, ma non andrò davvero alla polizia. Se dicessi loro di ciò, il duca li pagherebbe per stare zitti....dovrò agire a modo mio. >> pensò più determinato che mai.
 
La sera chiuse la porta della sua camera a chiave ed indossò i panni di Black Rose. Uscì dalla finestra, si arrampicò sul tetto, e si diresse verso il palazzo del duca. Sfortunatamente proprio poche ore prima era rincasato, e rare volte lasciava la sua casa di sera, per cui se non entrava in quel momento, avrebbe avuto solo altri cinque/sei giorni per poter provare, quindi era meglio iniziare quel giorno stesso; almeno se si falliva una volta aveva ancora possibilità di tentare.
Velocemente dal tetto si avvicinò a una delle finestre da cui non proveniva alcuna luce, segno che non c'era nessuno lì dentro, e tirando fuori una stecca di ferro, riuscì ad aprirla e infilarsi dentro. Era ormai abituato a guardare in giro anche solo illuminato dalla luna, per cui riuscì a capire discretamente a cosa servisse quella stanza: c'era un caminetto e vari divanetti, doveva essere un salotto, poiché non presentava la minima scrivania o un posto dove poter tenere le carte. Dato che non era la stanza che gli interessava, velocemente sgattaiolò in quella affianco, trovando però solo una stanza per gli ospiti, e in quella accanto ancora, semplicemente il bagno. Scocciato il ragazzo continuò a girare per circa venti minuti per tutto il piano, finché, proprio quando stava per entrare in una delle ultime stanze, sentì una voce provenire dalle scale.
- Philip, voglio che il bagno sia caldo, capito? Caldo! Ma mi raccomando: non bollente. Mi trovi nel solito posto, chiamami quando sarà pronto.
Era il duca, che assieme a un servitore stava salendo al piano superiore. Velocemente Jean si nascose dentro una stanza che aveva già visitato, in modo da non rischiare di farsi scoprire, mentre il duca entrò in una di quelle che non era ancora riuscito ad aprire. Avrebbe voluto tornare alle porte restanti per scoprire quale era quella dello studio, ma presto ci fu un continuo via vai di servi, tutti occupati insieme a quello che era salito con il duca, a preparare il bagno per il loro signore, e le poche porte che era riuscito a raggiungere erano chiuse a chiave. Non poteva certo perdere tempo a scassinarle, serviva il passepartout, e quello poteva averlo solo il capo della servitù nelle sue stanze. Attese che il corridoio si liberasse, poi velocemente corse alle scale e da lì facendo attenzione che non arrivassero altri servi, scese fino al primo piano, dove evidentemente vi era il salone dei ricevimenti, le cucine e le stanze dei servitori. Sostanzialmente il pian terreno era in parte simile al secondo, ma anche piuttosto diverso: dal portone di ingresso ci si affacciava all'atrio della villa, simile a una piazza circolare tutta bianca, con alla sua destra e alla sua sinistra, due porte: una, quella destra, era in legno chiaro riccamente decorata e doveva portare probabilmente al salone per i ricevimenti e i balli, mentre quella a sinistra, era più semplice e fatta di semplice vetro con il contorno di legno; dato che poco prima aveva visto un giardino, quella doveva condurre lì. Dall'altra parte della stanza, si trovava la scala di pietra bianca da cui era sceso Jean, mentre a fianco a essa, un lungo corridoio buio, lungo il quale si affacciavano una numerosa serie di stanze, ordinate nello stesso modo che al piano superiore: quella era la zona della servitù. Cercando di essere il più silenzioso possibile, si addentrò nel corridoio, ispezionando di stanza in stanza alla ricerca di qualcosa che potesse indicare la camera che cercava. Trovò le cucine, la lavanderia, alcune camere da letto dei domestici, ma nessuna traccia della stanza del capo della servitù.
<< Maledizione, ma quante stanze ha questo piano?! Di questo passo non troverò mai! >>
Continuando a cercare, s'imbatté in una piccola stanza più spoglia delle altre, all'apparenza piuttosto insignificante e certo che fosse nuovamente la stanza sbagliata, fece per andarsene, ma mentre usciva dalla stanza, con la coda dell'occhio vide qualcosa luccicare sulla parete accanto a lui, così si volse e osservò meglio: era piena di piccoli ganci su cui erano appese varie chiavi, tutte con l'impugnatura uguale, o meglio, tutte tranne una, la cui forma era assai più semplice ma con una lama più elaborata che sembrava comprendere tutte le altre lame: era il passepartout. Felice per il colpo di fortuna, Jean velocemente prese la chiave, e si diresse alle scale, ma proprio quando aveva raggiunto le stanze al secondo piano che erano ancora chiuse, sentì le voci dei servi che tornavano alle loro stanze dopo aver finito di eseguire i compiti affidati loro dal capo. Avrebbe voluto aspettare che se ne tornassero al loro posto, ma erano in molti, per cui ci sarebbe voluto parecchio tempo, e come se non bastasse, dal primo piano ne stavano salendo altri che borbottavano fra di loro qualcosa sul fatto che avevano scordato al piano superiore un oggetto che se il duca avesse visto, avrebbe potuto sbatterli fuori dalla magione all'istante. Il giovane ladro si ritrovò così pressoché intrappolato da due lati, senza più possibilità di portare a compimento il lavoro iniziato. L'unica scelta per quella notte, era fuggire e tentare la volta successiva, e così, raggiungendo la finestra, nuovamente si arrampicò sul tetto della villa, per poi andarsene da quella casa. Ma di sfuggita riuscì a vedere un dettaglio che per la volta successiva gli sarebbe potuto tornare utile: il duca possedeva dei cavalli.
 
Il mattino seguente, Jean stava studiando in ogni modo un buon sistema per trascinare fuori di casa il duca quella notte, in modo che non potesse mettersi a dare improvvisi ordini ai suoi servi facendoli così vagare per la casa proprio quando lui non doveva farsi beccare. Fortunatamente quel giorno era Sabato, e il suo precettore veniva solo dal Lunedì al Venerdì, di conseguenza aveva tutto il tempo che voleva per pensare ogni cosa in dettaglio. Per prepararsi al meglio per quella sera, tracciò una mappa abbozzata della casa del duca, segnando con una croce tutte le stanze già visitate, in modo da non perdere tempo una volta arrivato a destinazione. La casa era grandicella, ma in sostanza piuttosto regolare, senza vari corridoi dove perdersi, stanze segrete o altro, per cui era anche facile muoversi al suo interno anche per chi non vi era mai stato prima. Ma il problema principale non era come muoversi nella casa, ma come attirare fuori il padrone in modo da lavorare indisturbato. Aveva sentito dire dal padre che il duca aveva la strana abitudine di andare a letto verso l'una di notte, e sapeva che possedeva dei cavalli; come poteva sfruttare queste informazioni a suo vantaggio? Il giovane pensò e pensò, finché alla fine non ebbe finalmente un'idea che riuscì a soddisfarlo, e sistemata quella, velocemente andò a prendere il necessario per sistemare il contratto quella sera.
 
Finalmente era arrivata la sera e mancava poco a mezzanotte quando Black Rose entrò in azione: con molta discrezione avvicinò un ragazzino povero che passava di lì, e sganciandogli un piccolo gruzzoletto di monete gli chiese di andare a bussare alla porta della villa del duca e chiedere molto insistentemente di lui. Il piccoletto abbagliato dal facile guadagno non fece alcuna domanda, ed eseguì ciò che gli era stato chiesto il più velocemente possibile, e quando il duca, dopo aver sentito il bambino chiedere al suo maggiordomo di lui, uscì finalmente di casa dicendo che aveva sempre un po' di tempo per tutti, poveri compresi, Jean senza perdere un minuto di più liberò i cavalli dalla stalla dove erano tenuti, per poi approfittare della distrazione del loro proprietario per introdursi velocemente in casa e chiudere monsieur De Parveau fuori.
Onde evitare che il padrone di casa tornasse troppo presto, il giovane ladro tirò fuori il passepartout e chiuse a chiave il portone, poi con la mini mappa tracciata quella mattina raggiunse il piano superiore della casa e da lì iniziò a ispezionare le poche stanze che gli mancavano dalla sera precedente. In tutto erano ancora sei quelle di cui ignorava la funzione, e tutte sullo stesso lato del piano. Controllando attentamente che non ci fossero servitori in circolazione, inserì la chiave nella toppa della prima ed entrò: la stanza era immersa nella penombra, la Luna quella sera emanava poca luce e delineava a malapena i contorni della stanza, ma anche così sforzando un po' gli occhi e aiutandosi con la luce di una candela, era possibile distinguere i contorni dei mobili che arredavano la stanza, rendendo così più facile capire che scopo avesse la stanza: era un salone, con un piccolo rialzo in un angolo, dove evidentemente ogni tanto veniva ospitata una piccola orchestra per l'intrattenimento, e sparse per la sala alcune poltroncine e divanetti. Era evidente che il contratto non fosse lì, per cui dopo aver nuovamente chiuso a chiave la porta entrò nella stanza accanto. Questa era di medie dimensioni, ma piuttosto ricca di decorazioni: statue di marmo, quadri con antenati, trofei di caccia e anche alcune spade antiche, ma ciò che più saltò all'occhio del ladro Black Rose, fu la scrivania con i bordi decorati d'oro, con tre cassetti verso l'interno. Ce l'aveva fatta, aveva trovato lo studio, ora non restava che prendere il contratto e copiarlo. Senza indugiare oltre, accese le candele nella stanza e chiuse la porta dello studio, in modo da non far filtrare la luce, poi tirò fuori da una tasca interna della casacca che indossava, un foglio per i contratti, una penna, del carbone, del pane e cercò fra i cassetti della scrivania il contratto. Nonostante l'apparenza, il duca non era molto ordinato, per cui nel primo cassetto trovò fogli di varie dimensioni, alcuni davvero mal ridotti, altri invece ancora nuovi, ma non quello che cercava; nel secondo la storia non era molto diversa, se non peggio: non solo teneva disordinatamente le carte, ma anche alcuni oggetti della vita di tutti i giorni: un orologio a cipolla, un astuccio per la penna, e molto altro, ma nemmeno lì trovò quel contratto. Andando per esclusione, il contratto doveva per forza essere nel terzo cassetto, ma così non fu invece: il cassetto era in ordine, e ci stavano dentro solo alcuni piccoli libri e una boccetta d'inchiostro.
<< Cosa?! Non è possibile che non sia neanche qua! L'unico posto dove potrebbe stare sono i cassetti, ma tutti e tre sono stati controllati, e in nessuno c'è! Maledizione... spero solo di non averlo visto, perché sennò sarà tutta fatica sprecata! >>
E pensando questo, subito si rimise a frugare fra i cassetti, finché scoprì che il contratto era nel primo, ma era stipato contro il lato più interno del cassetto, sepolto dietro un mucchio di altre carte e lettere. Velocemente lo stese sul tavolo, e sul retro passò il pezzo di carbone che aveva con sé, poi sopra ci posò il suo foglio facendolo combaciare perfettamente con l'altro, e infine con la penna ricalcò le lettere una a una in modo da copiare alla perfezione la calligrafia. Era un lavoro lungo e preciso, doveva mantenere la calma, perché ricalcare così alla perfezione le lettere era un impresa assai complicata. Ma non aveva ancora finito di ricalcarle tutte, che sentì dall'esterno della casa un rumore di zoccoli, così velocemente andò alla finestra e guardò giù: era il duca, che grazie all'aiuto di alcuni servi della zona a cui stava dettando ordini, stava riportando nella stalla i suoi cavalli; evidentemente piuttosto che perdere tempo a cercare di entrare in casa, aveva preferito far uscire i servi e recuperare i suoi animali. Forse per il fatto che Jean rimase fermo a guardare un attimo di troppo, ma il duca alzando lo sguardo verso la casa vide la luce del suo studio accesa con lui alla finestra, e così velocemente corse a dare l'allarme alla caserma di polizia lì vicino. Ora non c'era più tempo da perdere: se monsieur De Parveau lo aveva visto, ci sarebbe voluto poco prima che fosse lì con i gendarmi, e di conseguenza lui non avrebbe potuto completare il suo lavoro. Mantenendo la calma ma cercando di andare più veloce, il ladro ricominciò a ricalcare le lettere del contratto, e in pochi minuti finì. Ma aveva solo terminato una parte dell'opera: ora doveva riscrivere tutto il contratto sul nuovo foglio, e cancellare ogni traccia di ciò che aveva fatto prima, in modo che il proprietario non notasse nessun cambiamento, per poi infine sostituire il contratto originale con quello copiato. Tenendo sempre a mente tutto ciò che doveva fare, tolse il contratto originale da sopra il suo foglio: passando sopra le lettere con la penna, era rimasto sul foglio la copia del contratto tutta scritta a carbone, ora non restava che ripassare con l'inchiostro, e così fece. Come prima, era un lavoro lungo per cui ci voleva pazienza e sangue freddo, ma proprio quando aveva ormai copiato quasi la metà, sentì bussare violentemente alla porta: era un gendarme forzuto, che su richiesta del duca stava bussando con forza per farsi sentire dai servitori ancora in casa. Jean non capì esattamente che successe dopo, ma sentì lungo il corridoio uno scalpiccio di numerosi piedi, evidentemente la polizia era riuscita a entrare; ma ciò non lo fece perdere d'animo: senza perdere un attimo ricominciò a copiare il contratto, anche se ne modificò una cifra. Poco dopo però qualcuno cercò di aprire la porta usando la maniglia, ma quando s'accorse che non serviva a nulla, iniziò a prendere a spallate la porta, al fine di poterla sfondare per poi entrare ad arrestarlo. Fortunatamente il giovane nobile aveva appena terminato di scrivere tutto il contratto, ora non restava cancellare ogni traccia dall'originale e dalla copia, e per far questo, usò il pezzo di pane che s'era portato dietro con quello scopo. Ma i colpi alla porta erano sempre più pesanti e a ritmo serrato, non restava molto tempo prima che cedesse del tutto, ma lui ce la doveva fare prima di allora, o tutto il lavoro sarebbe stato vano. All'improvviso la porta cedette, e la polizia entrò velocemente nella stanza. Ma non c'era nessuno a parte loro lì dentro, la stanza era tutta in ordine, mentre la finestra era aperta: il ladro era riuscito a fuggire.
- Maledizione, se l'è svignata! Uomini, andate a controllare fuori! Fermate qualsiasi individuo sospetto! - urlava il comandante ai suoi sottoposti.
Ben presto tutti i gendarmi lasciarono la stanza, e da sotto la scrivania, Black Rose uscì come se nulla fosse successo, poi con molta attenzione andò alla finestra, e una volta assicuratosi che non fosse ancora arrivato nessuno per strada, uscì di lì e salì sul tetto. Una volta arrivato in cima, estrasse da una tasca il contratto originale, con ancora il retro sporco di carbone, e lo strappò in tanti piccoli pezzettini, che lasciò volare via nella leggera brezza di quella sera.
 
Alcuni giorni dopo, precisamente un Venerdì sera, il duca fu nuovamente invitato a casa della famiglia De la Rou, dove terminata la cena, si fermò assieme al conte suo amico nello studio a parlare nuovamente di chissà quale affare. Jean era troppo curioso di avere notizie del suo ultimo colpo, così si fermò vicino alla porta, e di nascosto ascoltò la conversazione fra i due uomini.
- Allora duca, com'è andata la vostra truffa? - stava chiedendo il padre di Jean.
- Non ne parliamo, non ne parliamo! Non so perché, ma sul contratto al posto che esserci scritto che mi avrebbe ceduto la collana senza ricevere alcun pagamento, c'era scritto che me l'avrebbe ceduto in cambio di centomila franchi!
- Quindi significa che ha contraffatto il contratto?
- No, è impossibile dato che lo tenevo a casa mia nel mio studio..
- E allora come può essere?
- Non ne ho idea...
L’uomo non parlò del ladro che aveva visto alla finestra qualche giorno prima: per lui era un dettaglio insignificante, perché mai un ladro avrebbe dovuto prendersi la briga di modificare una cifra, invece che tentare di rubare qualcosa nella villa?
- Comunque, immagino che in quel caso abbiate disdetto il contratto, vero?
- Avrei voluto, ma c'era il notaio che doveva solo testimoniare la consegna dell'oggetto e l'eventuale pagamento, per cui non potevo rinunciare al momento del pagamento, soprattutto perché ne sarebbe andata della mia reputazione..
- Capisco...quindi avete dovuto pagarlo.
- Esatto.
Jean soddisfatto si staccò dalla porta, e se ne andò in giardino. Aveva sentito abbastanza: finalmente il lavoro era andato a buon fine.
  
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