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Autore: SunVenice    10/04/2010    6 recensioni
Il governo mondiale ordina una strage oltre la Red Line, tre ragazzi sono costretti ad un doloroso esodo per recuperare almeno un pezzo della propria vita, e due mondi, da anni separati, si incontreranno sulla Grande Rotta, svelando un segreto che nessuno avrebbe mai voluto venisse divulgato. "Vuoi sapere chi sono?"
La storia continua dopo quasi tre anni di assenza! (psss! è anche ON HIATUS,perchè? Perchè sono masochista!)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Sirene di Fuoco'
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Kaizoku no Allegretto

L’allegretto del pirata

Atto 2 -parte prima-

Atto2, scena1, Arioso rilassato

Dopo pranzo fui colta da un attacco di sonno.

Non nel senso che mi stesi sul tavolo, ma poco ci mancò che mi addormentassi sulla sedia. Il ragazzo biondo con il tatuaggio sul torace aveva smesso di guardarmi e questo non fece che aumentare il torpore alla mia testa, rilassandomi più del dovuto.

Avevo lo stomaco piacevolmente pieno e non era certo cosa trascurabile visto che ero quasi morta di fame e di sete in mezzo al mare. Sospirai appagata, massaggiandomi il pancino soddisfatta. Chiunque fosse il cuoco aveva la mia eterna gratitudine.

Sentii la testa ciondolarmi leggermente in avanti, ma fui subito sostenuta da un paio di mani femminili che mi scrollarono leggermente facendomi recuperare un poco di lucidità.

Voltai lo sguardo dietro di me, incontrando gli occhi azzurri dell’infermiera bionda ancora sorridente come un angelo.

Ancora non riuscivo a capire come potesse tranquillizzarmi con un semplice sorriso.

“Io …” ripresi a parlare con la bocca ancora un poco impastata dal sapore della zuppa e dal sonno, ma mi scappò un piccolo sbadiglio proprio all’inizio della frase “… credo di avere un po’ di … sonno.” Conclusi socchiudendo ancora di più gli occhi.

Alle mie orecchie stanche arrivò una risatina, sicuramente appartenente alla donna dalla treccia rossa e quasi stavo per cadere nel mondo dei sogni, quando sentii di nuovo la risata cavernosa del capitano attraversarmi prepotentemente la testa, nonostante i rumori attorno a me fossero piacevolmente ovattati.

Sobbalzai sulla sedia, spalancando gli occhi per l’improvviso rumore.

Uuuh…” mugugnai, stropicciandomi gli occhi “… ma come fa a ridere in quel modo ..?”

Mi sentivo più frastornata che mai. Rivolevo il letto sul quale mi ero ritrovata pochi minuti prima. Volevo infilarmi sotto le coperte e digerire beatamente quella sostanza liquida e tiepida che ancora mi sentivo nello stomaco. Tirai su un sospiro, richiudendo di nuovo gli occhi e quando avvertii la bionda accostarsi a me, sussurrandomi qualcosa che non riuscii a capire, mi ritrovai ad inclinare la testa verso di lei, afferrandole il lembo del suo vestito con una mano.

Nella mia mente non c’era altro che il riposo.

 

Atto 2, scena 2

Dall’altro lato della stanza Barbabianca invece faceva di tutto per non continuare a ridere, nel vedere la naufraga ciondolare assonnata sulla sedia. I suoi figli, ancora presi dalla loro discussione su chi si sarebbe dovuto prendere la responsabilità di insegnare la lingua alla ragazza, furono attirati dal suo comportamento, girandosi prima verso di lui e poi sulla nuova arrivata, sorridendo inteneriti alla vista di quello scricciolo abbracciare, come una bambina in cerca di calore materno,Penelope.

Eeeh…” sospirò intenerito Satch poggiando la guancia sulla mano “… è proprio uno scricciolo.”

“Se ti piace così tanto, allora perché non le fai tu da insegnante?”

Quella frase fece tornare di scatto l’attenzione del biondo su Jaws che con il solito broncio aspettava che uno degli altri comandanti decidessero chi, a parte lui, fosse adatto al ruolo affidato loro dal padre. Tutti adesso avevano rivolto la loro attenzione verso di lui e il comandante della quarta flotta si pentì di essersi esposto così tanto: non aveva nulla contro lo scricciolo, ma decisamente non si sentiva pronto per addossarsi la responsabilità di una cosina così minuscola e fragile.

Lanciò un’occhiata al comandante in seconda, ancora beatamente ronfante bel proprio piatto, ignaro della cosa. Che fortuna sfacciata, al suo risveglio avrebbero già scelto a chi sarebbe toccato l’onere.

Jaws ha ragione, Satch. Tra tutti noi sei il più affabile, potresti essere un ottimo insegnante.” Aggiunse nel frattempo Vista, dando manforte all’altro e Satch quasi alzò gli occhi al soffitto: erano già partiti tutti alla carica.

E adesso come faceva a dire di no?

“Ragazzi, un poco di serietà: è una ragazza, mica una patata bollente.” La voce di Marco intervenne quasi immediatamente, attirando su di sé l’attenzione degli altri che lo videro intento a punzecchiare con una forchetta la figura inerte di Ace.

“Ace, svegliati, avrai tutto il tempo per dormire dopo.” Sentenziò sempre con la sua classica espressione calma, tipica di chi ha la situazione sotto controllo.

Gli altri comandanti si guardarono stupiti: non avevano mai visto come Marco facesse per risvegliare Ace tutte le volte che veniva colto da un attacco narcolettico, ma la cosa certa era che era tutte le volte riuscito nel suo intento.

“Ace, guarda che faccio sul serio. Se non ti svegli userò le maniere forti.” Avvertì ancora una volta il biondo al moro, ma tutto quello che ottenne fu una serie di ronfi degni di una locomotiva.

Tutti videro Marco, sospirare sconsolato, smettendo di punzecchiarlo con la forchetta soltanto per impugnarla meglio.

“Tappatevi le orecchie.”

Fu tutto quello che disse prima che un urlo atroce facesse tacere tutta la sala. Vista, Satch e Jaws erano rimasti con gli occhi fuori dalle orbite, mentre Marco teneva  la forchetta ancora nei pressi della sedia di Pugno di fuoco.

“Ma sei PAZZO?!” sbraitò il moro, massaggiandosi il fondoschiena dopo essersi alzato in piedi, agitando minacciosamente una mano verso il biondo.

“Ti sei addormentato, baka.” Fu la sola giustificazione che diede il comandante in prima, poggiando nuovamente sul tavolo la posata come se nulla fosse successo, aspettando che il fratello facesse altrettanto.

Il moro alle parole dell’altro si bloccò.

Ah… davvero?”

Ripresosi dallo shock iniziale gli altri cominciarono a ridacchiare. Satch non riusciva nemmeno a parlare, tanto era piegato in due nell’atto di soffocare una risata storica.

“Come un sasso.” Affermò Vista, calandosi il cilindro sugli occhi per nascondere una lacrimuccia divertita apparire sul’angolo dell’occhio sinistro.

“… Ops?”

Sei… sei…” balbettò ormai al limite il comandante in quarta con una mano sulla fronte, ormai prossimo ad esplodere.

Ace si grattò la testa imbarazzato: quella non era certamente la sua giornata. Essere svegliato in modo così imbarazzante sotto gli occhi di tutti! Nel distogliere lo sguardo i suoi occhi caddero sul tavolo delle infermiere dove la naufraga stava già dormendo alla grossa tra le braccia di Penelope.

Di colpo distese il volto in un sorriso.

“Ehi, ma la bambolina già dorme?” chiese risedendosi, dimenticandosi improvvisamente di quello che era appena accaduto.

“Il babbo vuole che uno di noi l’aiuti con la lingua.” Gli spiegò laconico Marco, dondolandosi nuovamente sulla sedia.

Il sorriso del moro scomparve così com’era apparso, lanciando un’occhiata stupita a Marco come per aver conferma. All’espressione seria dell’altro tornò a sorridere con espressione birichina, accentuata ancor di più dalle lentiggini sulle sue guance.

“Uno dei comandanti? Però! Questa sì che è bella!”

Il suo sguardo color onice si spostò di nuovo sulla figura addormentata della fanciulla, cullata dalle amorevoli cure dell’infermiera. Intanto Satch aveva parzialmente vinto la battaglia con il proprio stomaco, che ancora sembrava non volerne sapere di smetterla di singhiozzare per il divertimento.

“Decidiamo in fretta, però.” Intervenne, questa volta sorridendo, Jaws, non avendo potuto fare a meno di assistere all’infilzata subita da Pugno di fuoco.

Marco dalla sedia sospirò: così non sarebbero andati a finire da nessuna parte. Ma era mai possibile che toccasse sempre a lui smuovere i suoi fratelli?

“Non credo che Jaws sia adatto al ruolo.” Disse, incrociandosi le braccia dietro la testa, ricevendo un’occhiata stupita dal diretto interessato ed una divertita da parte di Ace.“Con il tuo aspetto, la prima che farà non appena ti vedrà, sarà riattaccarsi alle sottane di Carol.”

Seguì una risata da parte di Vista.

“E perché non tu, allora?” chiese prontamente Satch, poggiando un braccio sul tavolo ancora stracolmo di cibo. “In fondo sei stato tu a proporre la cosa.” Diede manforte il pirata dal cilindro.

“Non ho detto di non volerlo fare.” Disse apparentemente disinteressato la Fenice dopo un attimo di silenzio “Ma devo anche prendermi cura della ciurma e potrei starle dietro soltanto mezza giornata, non di più.”

Al sorgere del dilemma tutti e cinque i comandanti si misero a pensare, venendo tuttavia interrotti prontamente da una voce femminile proveniente alla loro sinistra.

“Chiedo scusa, comandante Marco…” intervenne l’infermiera dai grandi occhiali scuri, avvicinandosi a loro con la cartellina clinica di Newgate sottobraccio. “… e se voi ed il comandante Ace vi divideste i compiti?” propose, inclinando i fianchi da un lato, facendo sbavare mezzo equipaggio.

“Compiti?” fece incuriosito Ace, un poco sorpreso dall’infermiera.

Quella sbuffò, ostentando palesemente quanto le fosse gravoso dare spiegazioni a quel branco di bambini che viaggiavano per mare credendosi i padroni del mondo, per poi ritornare a parlare marcando la voce con una vena di impazienza.

“Dite un po’, voi.” Sentenziò afferrando intanto cartelletta e penna in una sola mano poggiata al fianco, facendo mancare il fiato ai comandanti per via del suo improvviso cambio di tono “Avete mica idea di quante cose abbiamo da fare noi infermiere??!”

La domanda retorica aveva una sola risposta: tante e troppe. Questo lo capirono persino i secondini che assistevano rapiti alla scena, sbranando cosciotti di carne come se fossero stati dei validi sostituti a pacchetti colmi di pop-corn.

Nessuno dei comandati rispose, troppo intimoriti dalla combattività della donna, lasciandola quindi libera di esporre a ruota le su opinioni, avvicinandosi ad ogni parola sempre più vicino al loro tavolo minacciosa.

Non che una donna con una simile scollatura potesse definirsi altrimenti.

“Certamente anche voi comandanti avrete cose da sbrigare, ma noi abbiamo un’intera nave di piagnucoloni con un senso di autoconservazione pari a quello di una formica … E non mi interrompa!” fece verso Satch che come un bambino aveva alzato timoroso una mano, chiedendo tacitamente il permesso di obiettare a quell’ingiusta definizione. Il povero comandante ritrasse però istantaneamente il braccio con un gocciolone sulla testa per l’assurdità della situazione. La donna d’altra parte aveva tutte le ragioni del mondo per lamentarsi, visto che i loro fratelli, per godere delle amorevoli cure delle bellissime infermiere del babbo, finivano a volte per presentarsi lamentando qualsiasi cosa: dal più innocuo mal di testa ad una mano slogata, rotta, chi più e chi meno, di proposito.

“Quella povera piccola non può certo stare chiusa in infermeria tutto il santo giorno! Non le pare, comandante Marco?” calcò per bene il nome del biondo sbattendo una mano ben curata sul tavolo.

Un segno di assenso da parte di tutti.

La donna, di nome Betty da quel che ricordavano i cinque sventurati, annuì soddisfatta.

“Quindi, se il capitano non ha nulla in contrario…” disse rivolgendosi con tono decisamente più rabbonito a Newgate che, avendo assistito interessato all’intera sfuriata dell’infermiera, con un sorrisetto a malapena celato dai suoi enormi baffoni, fece segno con una mano di darle potere decisionale sulla questione.

 I cinque ovviamente ne rimasero spiazzati: ma perché il babbo a volte aveva quegli slanci di generosità nei confronti delle loro carissime infermiere?

“… il Comandante Marco si occuperà di insegnare la lingua alla piccina.” Continuò assumendo, nonostante gli occhiali le coprissero gran parte del volto, un sorrisetto compiaciuto che non presagì nulla di buono. E quando i pirati di Barbabianca avevano il sentore di guai non era mai un falso allarme. Mai.

“E il Comandante Ace si premurerà di farle vedere la nave ed aiutarla ad ambientarsi. ”

Seguì un ghigno soddisfatto sulle labbra rosate della mora che segnò la fine della conversazione, lasciando Marco ed Ace a rielaborare quanto era appena accaduto.

La Fenice sbuffò, reagendo per primo alla conclusione del discorso di Betty, poggiando un gomito sul tavolo e strofinarsi il retro della testa.

Bhe, in fondo me lo dovevo aspettare.” Decretò, accettando la cosa con filosofia.

“…”

Gli sguardi di tutti si incentrarono su Ace.

Subito dopo la faccia del moro affondò nel fitto strato di panna e caramello che componeva il dolce davanti a .

Tra le risa generali Marco si chiese se il suo fratellino fosse riuscito ad ascoltare il discorso di Betty, finché la voce di Penelope non sovrastò il fragore della sala mensa, attirando il loro sguardi sullo scricciolo, completamente abbandonato tra le braccia della bionda.

 

Atto 2, scena 3, Arioso insonne

 Quando mi risvegliai ero di nuovo in infermeria, sdraiata sul mio letto. Mi chiesi come ci fossi arrivata, cercando di ricordare quando avessi lasciato la sala mensa della nave. Osservai attentamente il soffitto in legno sopra di me per un paio di minuti prima di realizzare, un poco stupita, che dall’oblò della stanza non arrivava nemmeno un accenno di luce.

Mi alzai lentamente, aspirando a i denti stretti l’aria fredda della cabina, nel sentirmi la pelle dolere e tendersi a causa di quel movimento al quale di certo non ero più tanto abituata.

In punta di piedi cercai di sbirciare fuori dalla finestrella.

Incontrai un cielo scuro e puntellato da tante lucine.

Era notte.

Non so perché ma la cosa mi entusiasmò. Ai miei occhi si presentava uno spettacolo esaltante: dalla mia posizione riuscivo a scorgere, nonostante le ristrette proporzioni della finestrella, una quantità di stelle impressionante.

Mi staccai dall’oblò quasi senza rendermene conto, aprendo la porta della mia stanza ed uscendovi con aria furtiva. Il corridoio fuori dalla mia cabina era totalmente buio e la cosa mi diede un poco di sicurezza.

Procedendo a tentoni riuscii comunque a percorrere il corridoio senza inciampare, tastando una delle pareti fino a scontrare il piede con quello che mi parve uno scalino, seguito da un altro ed un altro ancora: una scala.

Nel buio della nave sorrisi vittoriosa: potevo raggiungere il ponte.

Salii tutti gli scalini che incontrai finché la flebile luce di uno spioncino, rotondo come gli oblò, mi segnalò la presenza di una porta che non esitai nemmeno un momento ad aprire.

Rimasi senza fiato. Dalla finestrella della mia stanza quello che si vedeva non era lontanamente paragonabile a quello che si poteva ammirare stando sul ponte. Sopra la nave il cielo era percorso in tutta la sua lunghezza  da una scia luminosa e vibrante di stelle, bianche come delle perle, che con il loro splendore rendevano il nero della notte più simile ad un blu intenso che si andava a confondere con il mare sotto di esso.

Mi accorsi di star piangendo quando una folata di vento mi congelò le guance, costringendomi a stringermi meglio i vestiti larghissimi che tenevo ancora addosso e che ,contro l’aria notturna, mi offrivano un pessimo riparo. Mi asciugai con una mano gli occhi e forse fu per quello che non sentii arrivare qualcuno dietro di me.

Ohi! Gaanatahamada oki teiru ?”

Sbarrai gli occhi per lo spavento, constatando che si trattava di una voce maschile e senza pensarci ,come se fossi stata punta da un’ape, mi fiondai nuovamente sulle scale che mi avrebbero portato in sottocoperta, quasi scontrandomi con l’uomo che mi aveva sorpresa.

Udii un tonfo dietro di me, e ,con il cuore in gola, percorsi a ritroso la distanza che mi divideva dalla mia cabina, pregando che quello lì non mi seguisse.

Nan-!Chotto matte!” gli sentii dire in lontananza. Mentre scendevo la scalinata sentivo il cuore martellarmi nelle orecchie. Non sapevo il perché mi sentissi in dovere di scappare, né da chi, ma il mio respiro tornò regolare solo quando ritornai nell’abbraccio confortante delle mie lenzuola, tra le quali faticai un po’ per addormentarmi.

 

Atto 2, scena 3

La Moby Dick si svegliò lentamente, perforando con assoluta lentezza l’aria fresca e impregnata di umidità in cui era immersa, mentre da sotto la linea dell’orizzonte il sole cominciava a fare timidamente capolino. Il cielo, ancora leggermente scuro verso ovest, donava alla struttura dell’imbarcazione un non so che di mistico, mentre sotto le vele rimaste spiegate si era formata una sottile nuvola di vapore, condensatasi come di consueto non appena l’aria fredda della notte era stata sostituita dal calore sempre più vicino del giorno.

Sulle sartie della possente nave si vedevano scendere pigramente i pirati reduci dal proprio turno notturno, borbottando tra loro, mentre nelle loro menti si faceva sempre più marcato di desiderio di toccare la propria branda.

Quella mattina, con grande disappunto dei noti e temuti figli di NewgateBarbabianca”, era bava di vento e questo provocò non poche imprecazioni da parte di coloro che si sarebbero dovuti occupare della velatura quel giorno.

Nel giro di un’oretta, nonostante le lamentele quasi bambinesche di quei lupi di mare, tutte le vele della grande imbarcazione, controfiocco e controvelaccini compresi, furono sciolte dagli imbrogli che le tenevano serrate ai pennoni, lasciate finalmente libere di esibirsi leggere al sottile soffio di vento di quella mattina.

Finalmente sorto il sole, la nave cominciò come d’incanto a brulicare di vita, man mano che tutto l’equipaggio si svegliava ed usciva sul ponte per sgranchirsi un poco le gambe e godersi i primi raggi di sole.

Aaah…” sospirò ancora un po’ intontito Ace tirando indietro le braccia stando seduto sul parapetto, accompagnato dalla presenza di Marco, dalla cui espressione non si riusciva a capire se fosse o meno ancora assonnato.

“Che fame.” Concluse poi il moro rimettendosi sulla propria testa corvina il fidato cappello arancione.

“Resisti ancora un po’, vedrai che tra un po’ si saranno svegliati tutti.” Lo rassicurò il biondo con la solita calma.

Era ormai consuetudine dell’equipaggio aspettare che tutti si alzassero per fare colazione: il babbo ci teneva a mangiare con tutta la famiglia riunita.

Sfortunatamente per Ace,il suo stomaco faceva molta fatica ad adattarsi a quella regola, brontolando puntualmente alle sei del mattino, ovvero, mezz’ora prima dello scoccare dell’ora “X”.

E ,quindi, per  somma gioia di Marco,  diventava fastidiosamente loquace, nel suo tentativo di distrarsi dalle fitte che la sua pancia subiva nell’attesa.

“Ehi, Marco, sinceramente, cosa ne pensi della nuova arrivata?”

Visto?

Il biondo dallo strambo ciuffo sbuffò lanciandogli un’occhiataccia. Quello però rispose con un grande sorriso da malandrino, presagio di una nuova serie di battutine a sfondo sessuale nei suoi confronti. E no, col cavolo. Era stato costretto a sopportare in silenzio ieri senza batter ciglio, ma se aveva intenzione di ricominciare a tartassarlo anche a quell’ora del mattino, avrebbe avuto pane per i propri denti.

“Non saprei, non sono io quello in crisi di astinenza.”rispose vago, sedendosi anche lui sul parapetto.

“Cosa?!” scattò immediatamente Ace “Io non sono in crisi di astinenza!” obbiettò poi abbassando un poco di più la voce per non farsi sentire dalla propria flotta che passava lì vicino in quel momento.

Di questo Marco fu pienamente soddisfatto, arricciando le labbra in uno dei suoi sorrisi non molto frequenti.

“No, guarda, hai ragione.” Ironizzò la Fenice, guardando da un’altra parte, come se il discorso per lui non avesse importanza. “A pensarci forse non eri tu quello che è fuggito come un matto da una pioggia di attrezzi da cucina, dopo aver fatto La proposta alla ragazza incontrata sulla scorsa isola.” Terminò combattendo contro il proprio istinto di girarsi e godersi l’espressione scioccata del fratellino.

“Come lo sai…?” lo sentì sussurrare dopo un po’. Accidenti doveva esserci rimasto davvero male.

“Passavo da quelle parti.” Fu tutto quello che si sentì in dovere di rispondere, continuando a guardare il lavoro svolto dai suoi con alcuni barili da risistemare in sottocoperta.

Un sospiro affranto dietro di sé gli fece capire di essere riuscito a smontare Ace, forse anche troppo. Sbuffò alzando gli occhi al cielo.

“Che ti aspettavi? Che ti accogliesse a braccia aperte nel proprio letto per poi vederti salpare la mattina seguente?” lo rimproverò allargando le braccia, vista la risposta più che ovvia. “E che devo fare, andare per bordelli?” fu la domanda a stento sibilata dal moro.

“Conoscendoti otterresti dei bei due di picche anche lì.” Concluse facendo accenno al nome che aveva dato alla propria ciurma prima di entrare a far parte della ciurma del babbo.

Dietro di lui Ace Pugno di Fuoco voltò lo sguardo imbronciandosi come un bambino, mentre poggiava la guancia su una mano, nascondendo in parte il proprio imbarazzo, causato dal ricordo dell’umiliazione subita settimane fa.

“C’era un motivo per il quale ero il capitano dei pirati di picche.” Affermò lugubre. Non era mai stato bravo con le donne. A piacere, piaceva, ma a quanto pare alle donne che incontrava non andavano a genio i tipi che volevano arrivare subito al “sodo”. Grugnì frustrato, osservando la porta della sottocoperta riaprirsi al passaggio delle infermiere, occupate come ogni mattina a stendere le innumerevole lenzuola fresche di bucato sul ponte della Moby. Eh, grande nave, grandi lavori.

All’improvviso però gli si illuminò lo sguardo per la sorpresa, nel vedere fare capolino da dietro una delle infermiere la figura fragile ed incerta della loro nuova ospite che, alla luce del giorno, strizzò per un attimo gli occhi per poi riaprirli e continuare a camminare dietro alle altre, nell’atto di trasportare anche lei un cesto di lenzuola.

Il moro sorrise come se gli si fosse illuminata la giornata, divertito nel vederla muoversi in quegli abiti troppo grandi per lei che minacciavano di caderle di dosso da un momento all’altro, rendendola deliziosamente impacciata anche per compiere il più semplice passo.

“Ehi! La tua pupilla si è fatta viva!”esclamò in direzione di Marco che, nel sentirlo, distolse l’attenzione dai propri uomini, constatando le parole del moro, ma solo per poi distogliere subito dopo lo sguardo e dare fiato ad una semplice raccomandazione.

“Non importunarla, avrai tutto il tempo per attaccare bottone a colazion- … ehi! Hai sentito quello che ho detto?!”

Troppo tardi. Il moro era già partito spedito in direzione della ragazza, saltando dal parapetto come un grillo, facendo opportunamente orecchie da mercante alle raccomandazioni del biondo.

Aaah...” Sbuffò Marco, maledicendo la testardaggine del fratellino, rimanendo seduto sul parapetto della nave per seguire meglio i suoi movimenti, pronto ad intervenire in caso di bisogno.

 

Atto 2, scena 4, Arioso snervato

Le mani mi facevano leggermente male, mentre tenevo su come meglio potevo quel cesto in vimini colmo di biancheria pulita. Come mi ero ritrovata ad aiutare le infermiere a fare il bucato non lo sapevo neppure io, ma di certo il compito non mi era per nulla facile.

Non solo la pelle tirata delle mani mi doleva, ma anche i vestiti da uomo che indossavano mi rendevano arduo l’atto di camminare in avanti.  Alla terza mancata caduta in avanti, mi accovacciai per terra con gli occhi umidi per la frustrazione: non sapevo cosa fosse peggio rimanere in cabina a deprimermi sulla mia situazione oppure rendermi ridicola di fronte a tutta quella gente.

Herupu?”

Il suono di una voce maschile mi fece irrigidire e girare piano piano dietro di me, avendo ancora in mente l’episodio della scorsa notte.

Mi apparve uno dei ragazzi che avevo visto ieri al tavolo vicino al capitano, quello moro con le lentiggini, intento ad osservarmi con un gran sorriso e con le mani poggiate distrattamente sui fianchi lasciati nudi dalla mancanza di una maglietta.

Lo guardai dubbiosa: non mi sentivo in vena di fidarmi di qualcuno su quella nave, a parte le infermiere, ma era comunque mio dovere rispondergli visto che, da quel poco che avevo capito, mi aveva chiesto qualcosa.

Helu…-pu?” provai a ripetere, ma solo per vederlo ridacchiare dinnanzi alla mia, certamente, pessima pronuncia.

Completamente afflitta e sconfitta, provai a rialzarmi rimettendo mano ai manici del cestino pronta a rialzarmi con uno slancio, ma subito vidi quel ragazzo pararsi davanti a me, mettendosi alla mia stessa altezza, accovacciandosi di fronte alla cesta.

Sumimasen , akachan ga, kimi o na houhou de hanasu. Hontouni .”

Mi imbronciai, come al solito non afferrando nemmeno una parola, capendo tuttavia che mi stava bloccando la strada di proposito. Ma perché invece di prendermi in giro non si decidevano ad aiutarmi?

Vedere quel moro lentigginoso osservarmi tutto sorridente ebbe un effetto devastante sul mio umore che ebbe un tracollo: ero piena di dolori, ospite su una nave di gente che non conoscevo, reduce da una disavventura di cui non mi ricordavo nulla, confusa, spaventata da quel gigante del capitano e non ricordavo nulla del mio passato. Lentamente sentii la gola stringersi e tutti i miei buoni propositi di rialzarmi e raggiungere l’infermiera bionda al più presto, scomparvero non appena un fiume di lacrime mi sgorgò dagli occhi peggio di un fiume in piena.

Feci appena in tempo a vedere il ragazzo davanti a me sbarrare gli occhi per la sorpresa, prima di rannicchiarmi in posizione fetale sul pavimento in legno del ponte, dando sfogo a tutto il mio malumore con rumorosi singhiozzi e gemiti incontrollati.

Atto 2, scena 5

“Che cavolo hai combinato?” chiese esasperato Marco avvicinandosi a lui, tutto occupato a cercare di calmare la naufraga, colta improvvisamente da quella che pareva essere una crisi isterica.

Ace si voltò con espressione disperata verso il biondo.

“E io che ne so! Volevo solo darle una mano quando all’improvviso si è messa a piangere!” si giustificò Pugno di Fuoco, ancora chino di fronte alla ragazza che tremante aveva nascosto la testa sulle ginocchia, serrandovi attorno le braccia.

Intorno a loro intanto cominciavano a raggrupparsi altri membri della ciurma, incuriositi dalla scena.

“Ehi, comandante, ma cosa le ha fatto?” “Non le avrà fatto qualcosa di male spero!” “Guardate come trema!”

A quelle voci la faccia del moro divenne un po’ rossa: sentendosi additato come causa principale del pianto disperato della loro piccola ospite. Lanciò una rapida occhiata alle infermiere poco più lontane che però cominciavano ad innervosirsi a causa di quell’improvviso trambusto. Si ritrovò a sudare freddo.

Come avrebbe spiegato a quella pazza di Betty che lui non aveva fatto nulla di male?!

Disperato e messo alle strette dai fatti, Ace fece la prima cosa che gli venne più naturale fare.

“Non stare lì impalato! Aiutami!”

Imbarcare il povero Marco sulla sua stessa barca.

 

Fine prima parte Atto Secondo

 

Io vi adorooo!! Indiscriminatamente e senza distinzioni! *_* neanche nei miei sogni più arditi mi sarei immaginata di ricevere più di una recensione al primo capitolo! Questo è tutto quello che sono riuscita a sfornare per ora dell’Atto 2, ma anche se non troverete proprio tutto quello che mi avete proposto non vi preoccupate! L’atto è solo a metà strada! Eheh!

Ed ora il tema per la continuazione della storia!

Nome e identità della dispersa

Si si! Avete capito benissimo! Potete cominciare a proporre un nuovo nome per la protagonista e un’identità (chi è, da dove viene) anche se qualcuno l’ha già fatto… >_> Si maya_90! Parlo di te! ^^

Non preoccupatevi sulla coerenza e roba varia, scrivetemi quello che vi viene in mente! A mettere insieme le mie idee con quelle vostre ci penso io! XD

Detto questo vi lascio! Amori miei! *_* No, non sono pazza. Solo esaltata. Bye bye! XDD

Su richiesta di HUNTERGIADA…

Note di LIBRETTO: Jap  >  Ita

Herupu?  >  aiuto?

Sumimasen , akachan ga, kimi o na houhou de hanasu. Hontouni.  >  Scusami, piccola,ma la tua pronuncia è davvero strana. Sul serio.

Ohi! Gaanatahamada oki teiru ?  >  Ehi! Ma sei ancora sveglia?

Nan-! Chotto Matte!  >  Cos-! Aspetta un attimo!

 

 

   
 
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