Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: miseichan    16/04/2010    19 recensioni
"Per quanto forte, potente e indistruttibile tu sia, devi sapere che i ricordi avranno sempre la meglio!” Il che non sempre è un male, ci sono volte in cui anzi è piacevole, gratificante. Purtroppo in altre occasioni ricordare è doloroso: ad esempio quando l'oggetto dei ricordi è qualcosa, o più precisamente qualcuno, che non è più al tuo fianco. Un qualcuno di cui semmai eri anche follemente innamorato, un qualcuno per cui avresti dato tutto te stesso. Sempre lo stesso qualcuno che ora vorresti solo vedere morto... o quantomeno riuscire a dimenticare. STORIA SOSPESA PER VACANZE ( brevi )… scusate!!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Midnight Lovers'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

*

Maurizio

 

- Un altro-

L’uomo dall’altro lato del bancone emise un solo verso: breve, duro, qualcosa di molto simile ad un grugnito.

Alzai gli occhi, non capendo se potessi o meno considerarlo come un assenso.

Era un barista: non gli era permesso rifiutare qualcosa ai clienti, anche nel caso in cui ciò che vogliono è il quinto bicchierino. Non erano affari suoi e se mi andava di bere doveva solo rallegrarsene, in fondo dopo lo avrei pagato.

La verità era che cercavo una qualche scusa, perché mi vergognavo dello stato distrutto in cui mi ritrovavo: mezzo accasciato su un lucido bancone di un meno lucido bar.

“Il brillo parlante”

Mi avevano sempre parlato bene di quel posto, degli aperitivi eccezionali e dell’atmosfera quasi fiabesca che vi regnava: tutto esatto. Ricordo perfettamente l’impressione che avevo avuto entrando in quella minuscola taverna: guardando le stanze piccole, i corridoi stretti, le pareti e ogni arredamento di colori caldi e spenti… sembrava di essere entrati in un film, uno di quelli vecchi.

E mi era piaciuto. Molto.

Così avevo preso posto al bancone, naturalmente mal intenzionato: il barista lo aveva intuito subito, dal primo sguardo che mi aveva lanciato eppure solo ora che avevo raggiunto la non tanto onorevole cifra dei cinque bicchierini, mi aveva rifilato un’occhiata biasimevole e indecisa.

Ricambiai il suo sguardo indagatore, fissando i miei occhi alquanto vacui nei suoi: neri, piccoli, scavati e quasi completamente nascosti nelle folte sopracciglia nere. Aveva la fronte increspata da tante piccole rughe e quando parlò lo fece a voce bassa, con il tono di un padre che discute con il figlio ribelle e non ha voglia di sgridarlo per davvero ma solo di farlo ragionare:

- Sicuro di poterlo reggere, ragazzo?-

- No, non ce la fa. Grazie lo stesso-

Ebbi qualche attimo di sbigottimento e confusione mentre realizzavo che c’era stata una risposta alla domanda del barista e che non era uscita da me: no, ne ero abbastanza sicuro, non ero stato io a parlare, anche perché lo avevo fatto in terza persona…

Mi presi la fronte fra le mani cercando di calmare il battere ritmico delle arterie e fu in quel momento che mi sentii tirare di peso giù dallo sgabello. Rischiai seriamente di perdere l’equilibrio e già mi vedevo per terra quando qualcuno afferrò saldamente il mio braccio, mantenendomi in piedi.

Mi poggiai a quel punto di equilibrio appena trovato senza remore e solo nell’attimo in cui il locale smise di vorticare furiosamente attorno a me, mi voltai cercando di capire con chi avessi a che fare: mi bastò vedere i suoi occhiali a fondo di bottiglia per riconoscerlo.

- Non credevo fossi tanto forte, Nando-

- E io credevo sopportassi meglio l’alcool, Maurizio-

Alzai appena le spalle in risposta, non opponendo alcuna resistenza mentre mi trascinava di peso verso il fondo del locale: raggiungemmo un tavolino appartato, in una zona quasi completamente vuota di cui l’unico altro occupante era un uomo sui quaranta completamente ubriaco, in quella che ricordava una catalessi da sbronza.

Armando mi spinse sul divanetto sistemato contro il muro e poi prese posto su una delle sedie disposte attorno al tavolino di legno. Io mi accasciai sul divano, sedendomi scompostamente e reclinando la testa all’indietro, sperando che così almeno diminuisse il senso di nausea.

- Che mi racconti?-

Non lo guardai, completamente indifferente. Stavo per subire un crollo nervoso e lui chiacchierava del più e del meno? Ma che stava succedendo al mondo?!

Qualcuno si era divertito a scuoterlo come fosse una palla di vetro?

- Maurizio-

Mi resi conto solo in quel momento che mi stava chiamando già da un po’, cercando di attirare la mia attenzione per dire qualcosa, così emisi una sottospecie di mugolio per fargli capire che per quel che poteva valere, lo stavo ascoltando.

- Perché non parliamo un po’?-

Probabilmente si accorse del movimento che ebbero le mie sopracciglia, inarcandosi repentinamente verso l’alto: ma di che credeva potessimo parlare?

Un bel discorsetto sulla crisi industriale o sul problema Gelmini?

- Parlare aiuta sempre, Maurizio. Ti va di raccontarmi la tua giornata?-

Scossi impercettibilmente la testa: non mi andava e non ce n’era bisogno. No e basta.

- Se non ti va di farlo a parole, ripensaci almeno. Riflettici sopra-

A che pro?

Non credo che una seduta spiritica o un’oretta di meditazione mi avrebbe risolto tutti i problemi.

- E’ iniziata bene, vero?-

Non si era arreso.

Nando non si dava per vinto: era il suo lavoro.

- Non voglio che mi psicanalizzi, Nando. Non sono in vena, perdonami-

- Non era mia intenzione-

Bugia.

Se ne sarebbe potuto accorgere anche l’ubriaco mezzo morto che stava mentendo.

Lo capì anche Armando.

- Vi ho preso a cuore, Maurizio. Mi siete simpatici, e molto. Quasi mi sto affezionando e la cosa devo dirti che mi spaventa: non ho mai avuto tanti amici, per lo più i rapporti che ho al momento sono con i miei clienti. Voi però siete diversi: poco ci manca che mi debba mettere in ginocchio per aiutarvi. Ti ripeto che aiuta riflettere, fallo e basta-

Aveva improvvisato ma aveva raggiunto il suo scopo.

Era bastato un tono di voce deciso ed al tempo stesso apprensivo per convincermi.

Rimandai il pensiero al mattino, intorno alle otto, quando io e Nando avevamo ottenuto dal dottor Misepoli il permesso di vedere Ilaria.

 

Non ci credevamo.

Non poteva essere reale come scena: troppo bella, troppo dolce, troppo tutto.

Troppo per essere vera.

Lo era però.

Ci avvicinammo lentamente, prendendo silenziosamente posto accanto al letto in cui erano sdraiati Davide ed Ilaria. Insieme.

Se ne stavano lì, abbracciati, stretti l’uno all’altra.

Placidamente addormentati.

Sereni, pacifici, rilassati… quasi sorridevano nel sonno.

Mi sorpresi ad esserne contento, davvero, davvero tanto: perché quell’ immagine mi piaceva; adoravo le sensazioni che trasmetteva, il senso di pace, il sentore di un lieto fine… era eccezionale.

Ma ancora una volta troppo e avrei dovuto capirlo subito.

Fu mentre pensavo a quelle cose, mentre mi beavo in quelle nuove emozioni, che Davide aprì gli occhi: li fissò subito nei miei, spaventato. Non si aspettava di vedermi.

La prima cosa che fece fu assicurarsi che Ilaria fosse ancora fra le sue braccia: controllò che stesse bene, che il polso non si fosse gonfiato, che dormisse tranquilla, per poi stringerla di più, con un fare possessivo che non mi piacque per niente.

No, non andava bene.

- Buongiorno-

Mi girai verso Armando contemporaneamente a Davide: non si era ancora accorto che ci fosse anche lui. Lo guardò prima sorpreso, poi sollevato: era felice di vederlo. Parlò a bassa voce, nel timore di svegliare Ilaria:

- Nando! Che piacere vederti! Che fa, ti sei riunito al nostro girone dell’inferno?-

- Sai com’è mi piace soffrire-

Nando aveva risposto sorridendo, assecondando Davide nel suo fare scherzoso: era allegro, da quanto tempo non lo era?

Da quanto tempo non si svegliava così di buon umore,  al punto da scherzare di primo mattino?!

Loro chiacchierarono ancora per un po’, poi Davide, si mosse, sbadigliando. 

Piano, cercò di scostare Ilaria: con un’ attenzione quasi eccessiva liberò il suo braccio da sotto la schiena di lei e riuscì ad alzarsi, senza svegliarla.

- Vado a rinfrescarmi un attimo: ci metto pochissimo. Prendo anche qualche caffè, per Lari… voi non muovetevi, non allontanatevi, non perdetela un solo attimo di vista. Finché non torno!-

 

Annuii fra me e me, pianissimo, cercando di non dare alcun motivo al mal di testa per risvegliarsi.  

Armando era rimasto in silenzio, non aveva detto una sola parola.

Mi aveva lasciato riflettere.

- Sì, l’inizio è stato buono. Erano bellissimi assieme. E Davide era felice-

Nando continuava a stare zitto, al punto che iniziò a sfiorarmi la mente l’ipotesi che non fosse più lì con me, che se ne fosse andato o che, peggio ancora, mi fossi sognato tutto e lui non fosse mai entrato al “Brillo parlante” per salvare me.

- Continua-

Era stato solo un sussurro: brevissimo e soffocato. C’era stato però. Nando c’era.

- Il resto lo sai, è leggermente incasinato…-

Mi girava la testa e non era solo colpa dell’alcool.

Mi lasciai andare all’indietro, scivolando piano, fino a trovarmi disteso sul divano.

- Cerca di individuare solo i punti più salienti, le scene che ti hanno colpito, quelle che…-

Avevo capito.

 

Ilaria si era mossa, segno che stava per svegliarsi.

Davide era uscito da pochissimi istanti, tanto che ebbi l’impulso di alzarmi e correre a fermarlo.

Non lo feci, non ce n’era bisogno.

Ma ancor più ad essere sinceri non ne ebbi modo.

La porta si spalancò all’improvviso, lasciando entrare un ragazzo che, con mio sommo dispiacere, non era quello uscito poco prima.

Lanciai velocemente uno sguardo ad Armando, leggendo sul suo viso la mia stessa espressione basita: ma per favore, scene del genere non succedevano nella realtà! O no?

Poi tornai a guardare il giovane che affannato correva verso di noi. Sembrava sconvolto, notai con fastidio: non mi serviva qualcun altro sull’orlo di un esaurimento, ce ne erano già troppi.

- Ilaria!-

Le si era fiondato addosso, guardandola come se fosse la prima volta e temesse potesse essere l’ultima.

Lei lo fissava sorpresa, ancora scombussolata dato che si era appena svegliata.

Lui notò subito la fasciatura e sedendosi sul letto affianco a lei, prestò la massima cura a non spostarla minimamente. Non chiese niente, continuava semplicemente a guardarla.

Avvertii un movimento alle mie spalle e vidi un camice bianco: riconobbi subito Misepoli per via della luce che si rifletteva sulla sua pelata. E fu vedendolo allontanarsi che capii come mai Filippo non stesse chiedendo niente: doveva essere stato appena informato dal medico in persona.

Ricominciai ad osservarli, immobile e pietrificato come lo era Armando al mio fianco.

Sembrava che il tempo si fosse fermato e la scena bloccata di colpo.

Almeno finché non cambiò qualcosa: un particolare infinitesimale, che notammo tutti.

Le guance di Ilaria presero pian piano colore, arrivando a diventare rossissime, e la mano sinistra di lei si mosse di qualche millimetro verso quella di Filippo.

Lui sorrise. Subito. Non appena si era accorto che lei era arrossita.

Un sorriso enorme, che gli andava da un orecchio all’altro, illuminandogli tutto il viso.

- Mi hai fatto prendere uno spavento enorme. Ho temuto che il cuore non sarebbe più ripartito-

- Vi spaventate troppo alla svelta, voi altri-

Ilaria si accorse quasi subito di quello che aveva sottinteso, fece per dire qualcosa come a scusarsi ma Filippo fu più veloce. O non aveva capito cosa a lei alludesse o aveva fatto finta di niente.

- Ti ho già salvato una volta e ora mi fai questo? Ma allora vedi che non devo più lasciarti un attimo da sola? Che credevi di farmi?-

- Vorresti dire che ti sarei mancata?-

Ilaria sorrise, divertita da quel giochetto e contenta del fatto che l’atmosfera si stesse pian piano alleggerendo.

Non ci aveva notati: né Armando né me.

E la cosa non mi dispiaceva, anzi: speravo andasse avanti così.

Non osavo immaginare l’imbarazzo che altrimenti sarebbe sceso su di noi.

- Certo che si! Non avrei saputo cosa fare senza di te!-

- Oh, ma a chi vuoi prendere in giro? Molcovich, tu…-

Non concluse, fermata da lui.

O meglio dalle labbra di lui.

Non era più riuscito a trattenersi. Aveva aspettato anche troppo.

Si era sporto verso di lei, fulmineo.

Sempre attento a non farle alcun male, vi si era piegato sopra, zittendola.

Ed era partito il bacio: prima dolce, come un saluto timido, di due persone che hanno sentito la mancanza l’una dell’altra ma ancora non se ne sono accorte e poi via via più appassionato, mentre capivano che era giusto così,  quasi irruento tanta la foga.

Cercai di distogliere lo sguardo, senza alcun risultato: non riuscivo a smettere di osservarli.

Armando naturalmente intervenne provvidenziale, girando la mia testa e impedendomi così di guardare ancora quel bacio che non mi riguardava.

Ingenuamente pensavo fosse il suo unico intento: mi sbagliavo e lo capii vedendo cosa mi indicava.

 

Non lo vedevo in viso Armando: riuscivo a scorgerne soltanto i piedi sotto il tavolo.

Erano fermi, immobili. Nessun segno di ansia o nervosismo.

Fui tentato di mettermi a sedere per capire se si fosse addormentato ascoltando le mie riflessioni sporadiche e noiose sull’accaduto di quella mattina. Non lo feci.

Perché se anche non fosse stato sveglio avrei voluto continuare, ormai convinto che ancora una volta aveva ragione: riflettere serviva.

E perché non ero sicuro che alzandomi sarei rimasto cosciente a lungo.

Così chiusi gli occhi, piegando un braccio dietro la testa ed allungando l’altro vicino al corpo.

Presi un bel respiro, facendo come quando si fa yoga e sorrisi per l’ironia della situazione.

Ero un brillo parlante.

Un brillo parlante che faceva yoga.

Sorrisi ancora.

Ne andavo fiero.

 

Davide stava aprendo la porta di spalle.

Entrando non guardò verso di noi: camminava a marcia indietro, tenendo in mano un cartone con diversi contenitori di caffè.

Allungai il collo sopra la spalla di Armando cercando di capire con chi stesse confabulando e poi lo vidi: un ragazzino che gli arrivava a mala pena alla spalla. Camminava dietro di lui, tenendolo cioè di fronte, guardandolo in faccia con aria arrabbiata e scocciata.

Era magro, con un aspetto leggermente sciupato, forse però era solo il pallore a non donargli: non si intonava con il suo essere, diciamo così. Aveva proprio la faccia da malfattore eppure non poteva avere più di sedici anni: probabilmente andava ancora al liceo.

Un viso piccolo e rotondo: ricoperto di piccole e chiare lentiggini sulle guance, due occhi grigi, profondi e capelli neri, acconciati in una cresta corta, non troppo alta e senza una quantità spropositata di gel. Una ruga gli increspava la fronte in quel momento, proprio sopra il naso.

- Perché no!? Voglio solo vedere un attimo la ragazza!-

- Ho detto no!-

Il ragazzino non si arrese. Alzando invece la voce infilò il piede nella fessura della porta, riuscendo così ad impedire che Davide la chiudesse con un calcio.

- Perché no!?-

Davide sospirò, continuando a fissarlo: si stava innervosendo, anche se per qualche strana ragione quel ragazzino sembrava essergli simpatico.

- Sai quella canzone: quella che fa “Perché no? Perché no!” Ecco è esattamente così: perché no!-

- Ma ci metto un attimo, porca…-

- Non essere scurrile per favore. Ho detto no-

Davide lo aveva interrotto ancora, usando il tono saccente che si riservava solo per chi veramente lo meritava. Il ragazzo però era perseverante:

- Ma…-

- Non voglio veda nessuno. Va’ via-

Il ragazzino sgranò gli occhi, riprendendo più concitatamente di prima:

- E il biondino allora?! Lui perché può starsene lì e…-

Ma Davide non lo ascoltava più.

Non lo guardava più.

Non tentava neanche  più di chiudere la porta.

Si era girato di scatto sentendo “biondino” e si era scontrato con lo sguardo di Filippo.

 

Erano una furia.

Mi veniva quasi da ridere al ricordo: sembrava volessero uccidersi con soltanto lo sguardo.

Arrabbiati neri, entrambi, e senza nessuna vera motivazione.

Un altro po’  e sarebbero arrivati ad eguagliare la furia omicida che Mirko aveva ostentato ore prima: ci erano voluti gli sforzi combinati di diverse persone, ed in particolare del suo ragazzo, per convincerlo che se c’era Davide doveva per forza andare tutto alla perfezione.

Su di lui quindi almeno un qualche effetto lo avevano avuto.

Lanciai un’altra occhiata alle scarpe di Nando e notai con piacere che si erano spostate di qualche centimetro: non era morto dalla noia, almeno. Non ancora.

Ho sempre trovato difficile riuscire a tener sveglie le persone… sarà che sono tedioso.

 

- Che ci fai qui?-

- Sono venuto a vedere come stava Ilaria. Non ne sapevo niente, ti sembra normale?!-

- Non sono fatti tuoi, Molcovich-

- Invece sì che mi riguardano Davide-

Erano entrambi in piedi, l’uno di fronte all’altro, che si fronteggiavano.

Ilaria ormai aveva perso le speranze di poter attirare la loro attenzione ed imporsi in qualche modo, ed era tornata  a poggiarsi con le spalle al cuscino, emettendo un sospiro sconfortato.

Fu il giovane di prima ad intervenire inaspettatamente: era entrato senza che nessuno se ne rendesse conto e ora, spuntando con la testa da dietro i due contendenti, disse:

- Se non avete finito, e steste per caso programmando una qualche rissa violenta, sareste pregati di allontanarvi e semmai uscire anche. Io nel frattempo parlo con lei se non vi dispiace: devo scusarmi per…-

Se la prima parte del discorso non li aveva colpiti poi tanto, lasciandoli quasi indifferenti, la seconda ebbe un effetto diverso: si girarono entrambi di scatto verso il ragazzo, avvicinandolo con fare minaccioso. Filippo parlò per primo:

- Tu che devi fare?-

- Scusarmi…-

Il ragazzino probabilmente intuì di aver commesso un tragico errore, perché iniziò ad arretrare lentamente, fino a trovarsi con le spalle al muro.

- E perché?-

- Io… io…-

Aveva iniziato a balbettare, con il labbro che tremava, riuscì però a rispondere comunque:

- Ho… con il motorino… ho sbagliato… e mi dispiace…-

- Ti dispiace!?-

Era stato Davide questa volta: non aveva gridato, lo aveva ringhiato.

Ormai stavano sovrastando il ragazzo e Davide lo afferrò per il collo della felpa verde che indossava, sollevandolo da terra di quel che bastava a poterlo guardare negli occhi:

- Tu forse non ti rendi conto: potevi ucciderla. Se avessi guidato come Dio comanda invece di comportarti da imbecille quale sei, non sarebbe successo niente. Ma no, tu dovevi correre e andare contro senso! Tu… tu potevi ucciderla! Lo sai, lo sai che poi ti avrei cercato fino in capo al mondo per fartela pagare? Ti avrei ucciso e poi riportato in vita solo per poterti uccidere ancora! Razza di scriteriato che non sei altro!-

Aveva continuato con lo stesso tono di voce basso, l’unica variazione era stato nel senso di minaccia che si avvertiva nella voce e che aumentava man mano. Filippo al suo fianco non sembrava meno arrabbiato: intervenne poco, con tono duro, fissando il ragazzo irato.

- Come fanno a dare la patente a questi bambini?! Dovrebbero sbatterli tutti in gabbia!-

- Basta! Smettetela!-

Mi voltai di colpo, disincantandomi dalla scena alla mia sinistra e guardando invece a destra, dove c’era Ilaria che aveva parlato: era intervenuta, riuscendo ad attirare l’attenzione di tutti.

- Vieni qui-

Aveva parlato rivolgendosi al ragazzino che spaurito, lasciato da Davide, era corso verso di lei, prendendo posto su una sedia vicinissima al suo letto.

- Voi due invece uscite-

Non scherzava, non sorrideva.

- E non tornate finché non vi sarete calmati. Tutti e due. Calmi e sorridenti, mi sono spiegata? Altrimenti non vi voglio rivedere qui dentro-

 

Ed erano usciti per davvero.

Credo che nessuno avrebbe osato disubbidire.

Noi invece eravamo rimasti: Ilaria si era accorta anche di noi, ci aveva accolti entusiasta, scusandosi per le varie situazioni. Aveva conosciuto Armando e si erano fatti simpatia a sangue.

E poi tutti e tre avevamo fatto la conoscenza di Mattia: quel ragazzino spaurito che aveva piano ripreso colore, tornando a sorridere, ad essere se stesso, un sedicenne simpatico, vivace, sveglio.

Un bravissimo ragazzo, mortificato nei confronti di Ilaria, che era rimasto colpito dalla gentilezza e dalla dolcezza di lei, dal fatto che non ce l’avesse con lui.

Lei lo aveva perdonato e aveva cercato di tirarlo su, per fargli passare il senso di colpa.

E lui si era ripreso, solo per far contenta lei.

L’aveva presa in simpatia, sentendola come una sorella, la sorella che non aveva avuto e che desiderava mi aveva poi spiegato Nando, che lo aveva capito non si sa come.

E Mattia era rimasto per tutto il tempo, fino al pomeriggio, anche mentre ingessavano il polso ad Ilaria: non si era allontanato un attimo.

Ci aveva raccontato del liceo che frequentava: scientifico, e di come la cosa non gli fosse mai piaciuta. Era il padre a volerlo ingegnere, ma lui desiderava fare l’avvocato. Continuò parlando entusiasta delle vacanze che si stavano avvicinando: un’intera settimana di festa, ancora non riusciva a crederci. Sinceramente però non sapeva bene cosa avrebbe fatto: suo padre era in viaggio di lavoro e sarebbe tornato di lì ad un mese, sua madre invece non si vedeva mai.

E aveva continuato a parlare ininterrottamente, tenendoci svegli con le sue chiacchiere infinite, sempre con il sorriso sulle labbra. Fino a quando poi non erano tornate le due teste calde.

Erano entrati con lo sguardo per terra, avviliti e dispiaciuti.

Mi era piaciuta molto come scena quella: oh, sì davvero molto. Così come piacque a Mattia, che la osservò tutto compiaciuto e soddisfatto con un ghigno sulle labbra,  anche se poco dopo si allontanò dalla stanza, promettendo di tornare verso sera.

Un flebile rumore interruppe il corso dei miei pensieri.

Riaprii piano gli occhi, cercando di identificarlo e vidi i piedi di Nando agitarsi. Sgranai gli occhi sorpreso e feci per dire qualcosa ma lui mi precedette:

- Fino a questo punto, abbiamo passato tutto assieme, Maurizio. Poi cosa è successo? Cos’è che ti ha sconvolto?-

Scossi la testa: non è che mi aveva proprio sconvolto. E’ che…

- Una chiacchierata con Mirko: mi ha detto delle cose… mi ha informato di una cosa di cui non ero a conoscenza e mi ha chiesto di supportarlo quando avrebbe dovuto farsi ascoltare anche dagli altri-

Vidi improvvisamente la testa di Nando fare capolino da sopra il tavolo e guardarmi con un’espressione fra l’interrogativo e il divertito:

- Se è della sua omosessualità che stai parlando, Maurizio, ci tengo a ricordarti che non è più un segreto. Forse l’alcool ti sta annebbiando il cervello e…-

Negai subito, bloccandolo: no, no che non parlavo di quello. Parlavo di altro, per la miseria!

Di un casino molto più grosso.

Uno di quelli che dici: ma come diavolo è possibile?

Cioè, ma qualcuno ci si è messo e ha programmato tutto a tavolino?

Perché altrimenti non si spiega, non si capisce come poteva accadere…

Poi, tempo dopo, molto dopo, avremmo scoperto che davvero c’era qualcuno che aveva organizzato tutto. In quel momento però non sapevamo niente, tranne che:

- Ti andrebbe un viaggetto a Siracusa?-

 

*

 

 

Ed eccomi!
Ancora qui? Chiederete voi tutti, scocciati... sì, ebbene sì ^^
Non potevo non tornare, fosse stato solo per ringraziarvi tutti: continuate a commentare, per qualche motivo a me sconosciuto, e non potrete mai capire quanto ve ne sia grata *_*  
In particolare ci tenevo a ringraziare tutte quelle persone che oltretutto mi hanno votato nel concorso ai migliori personaggi!! Sul serio non riuscivo a crederci! Ma graaaazieee!!! *___* Siete state troppo buone! Davvero, ancora un grazie enorme! Immenso e ancora non basta **
E poooi.... non saprei dire com'è il capitolo ad essere sincera: l'ho scritto in fretta e nell'unico momento libero che sono riuscita a trovarmi, per cui... bah, aspetto i vostri giudizi  ^^

Se avete domande, dubbi, qualunque cosa, chiedete! Senza farvi problemi! =)

Un bacio, e alla prossima!

 

   
 
Leggi le 19 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: miseichan