Libri > Artemis Fowl
Segui la storia  |       
Autore: Silice    20/04/2010    5 recensioni
Una gita, una missione. I loro destini si incrociano. Un’avventura per entrambi, lei trascinata in un mondo misterioso e sconosciuto, lui nell’universo degli adolescenti. Riusciranno a uscire indenni da questa avventura? Ma soprattutto, i loro destini rimarranno legati? La guardò negli occhi. “Ti odierò per sempre” Silenzio. “Anch’io"
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Eccomi di nuovo qui. Mi dispiace per il ritardo, tutta colpa di Dante e company. In più, ho appena finito di vedere Harry Potter 6… e mi sono venuti dei pensieri strani. Ora se prendete le forbici dalla punta arrotondata (mi sento una copia sbiadita di Tonio Cartonio) e tagliate la testa a Draco Malfoy, il suo corpo risulta stranamente e inquietantemente (?) simile a quello che io immagino per Artemis… Non aggiungo altro.

Inoltre, ho finito di leggere “Il paradosso temporale” appena qualche giorno fa. E sapete che vi dico? Che non sono per niente una fan delle Artemis-Spinella. Anzi.

Inoltre (ora la pianto, lo giuro), ho letto una recensione tremenda lasciata a l’unica fic con sfondo erotico di Artemis, e mi è venuto in mente: il mio Artemis è troppo OOC? E la mia Elinor troppo Mary Sue?

Sono dubbi che mi assillano, davvero.

Ma, in mancanza di risposte, vi lascio con questo capitolo, e con mille scuse per il fatto che non ho risposto alle recensioni. Lo farò nel capitolo che posterò domenica. (E questa volta, intendo mantenere la mia parola.)

Kisses, J.

 

 

CONCETTI ARISTOTELICI

 

Arianna fissava fuori dalla finestra. Pioveva, esattamente come quando erano stati catturati. Una delle sue sottili e curate mani torturava una ciocca dei suoi fluenti capelli neri. Il vestito azzurro che Juliet le aveva dato sottolineava la linea flessuosa e snella, e lasciava intravvedere le spalle e la forma aggraziata del collo; la sua postura, sempre maestosa, ma allo stesso tempo leggera, le donava un’incredibile delicatezza.

Arianna era una persona malinconica, e lo sapeva bene. Il rapimento aveva colpito lei più degli altri, e spesso invidiava il coraggio di Elinor, la sua migliore amica, o l’indomabile forza d’animo di Sissi. Come se non bastasse, sentiva ogni momento, ogni secondo lo sguardo di Luca su di sé: lei sapeva bene ciò che il ragazzo provava, ma non riusciva proprio a ricambiare i suoi sentimenti. Perché? Luca era un ragazzo fantastico, dolce, giudizioso, carino, e sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa per lei. Perché, dunque, non riusciva a ricambiarlo?

Nel tempo si era fatta un’idea: Luca era come tutti gli altri. Lui, non diversamente dalle persone che le stavano attorno, fatta forse eccezione per Elinor, non riusciva a vedere chi era lei, a capirla per come era davvero. Tutti si aspettavano la stessa cosa da lei, Arianna, la bella e fragile Arianna, debole e sensibile: che cadesse, che si frantumasse in mille pezzi alla prima difficoltà.

Ognuno era lì per fare la figura dell’eroe davanti a lei, per sostenerla e aiutarla, senza neanche prendere in considerazione l’idea che potesse farcela da sola, che potesse essere forte quanto gli altri.

Arianna prese una decisione. Da quel momento, sarebbe stata lei a salvare se stessa. Sarebbe stata forte.

 

Leale, al terzo piano, controllava le varie stanze attraverso le telecamere. Artemis, nel suo studio, era assorto nella lettura di un volume dall’aria infinitamente noiosa; Spinella e Juliet chiacchieravano in cucina, come due vecchie amiche; due ragazzi e una ragazza si trovavano al capezzale della malata, che, se non sbagliava, si chiamava Milla; il terzo ragazzo, quello biondo, stava guardando la TV. Si concentrò con più attenzione sulla Sala da Tè: in essa c’era Arianna, al ragazza bella e dai capelli scuri, che fissava fuori dalla finestra, mentre la sua amica, Elinor, leggeva un libro comodamente seduta sul divano. Leale aveva osservato i ragazzi in quei giorni, tentando di memorizzarne i nomi e i comportamenti, e non ci aveva messo molto a capire che quelle due ragazze erano molto legate, nonostante fossero così diverse.

Era strano, pensò, avere tutti quei ragazzi in casa. Era passato poco più di una settimana, ma già si stava abituando all’idea. In fondo, gli piaceva un po’ più di vitalità e energia all’interno di quella grande villa, che, a volte appariva troppo buia e silenziosa. Con Artemis era sempre stato diverso: se lo ricordava, a quattro o cinque anni, quando aveva iniziato a passare le sue giornate sui libri, oppure a sei, quando aveva inaugurato un suo personale piccolo laboratorio. A sette aveva vinto il primo concorso di Scienze. Anche se non poteva definirlo con esattezza, a Leale piaceva pensare a quell’evento come la fine del’infanzia relativamente normale del suo protetto, e il suo ingresso nel mondo degli adulti. Ma Leale sapeva che, anche se Artemis non l’avrebbe mai ammesso, da bambino aveva continuato a tenere e a sfogliare i romanzi di Rohal Dahl, i primi che avesse mai letto, alla veneranda età di due anni e mezzo, sotto al cuscino fino all’età di dieci anni, prima della disastrosa spedizione in Russia del padre.

Da quel momento, dell’Artemis bambino non era rimasta alcuna traccia.

Leale rimase incantato a fissare lo schermo, cosa che succedeva assai di rado. I suoi sensi, sempre vigili e attenti, erano per il momento assopiti, e si godeva tranquillamente quel momento, osservando le due ragazze e immaginando per un istante quanto sarebbe stato bello avere di nuovo lì l’Artemis bambino, un innocente e geniale bimbo che scorrazzava, o meglio, camminava (Artemis non era stato un granchè nelle attività motorie neanche nei suoi primi anni) indossando un camice, e che scopriva il mondo intorno a lui. Artemis, che considerava come un fratello. Artemis, che da tanto tempo ormai non sorrideva più così spesso, che non era davvero felice, o forse non lo era mai stato.

 

Artemis, in quel momento, non sospettava minimamente di essere l’oggetto di così tante riflessioni. Anzi, era concentrato in tutt’altra faccenda: con gli occhi fissi sul computer, continuava a aprire file su file, nella speranza di ottenere qualcosa, un indizio, su tutto ciò che avrebbe potuto aiutarlo a capire ciò che stava succedendo. Aveva perso il conto delle ore passate sullo schermo, a sbuffare e a scartabellare su una quantità enorme di fogli gettati alla rinfusa sulla sua scrivania. Perfino il suo proverbiale ordine era andato a farsi benedire, e il ragazzo stava cominciando ad accettare le idea di aspettare la prossima mossa del nemico, cosa che lo rendeva alquanto inquieto. C’era comunque qualcosa di diverso in lui, una sorta di fastidio che lo rendeva agitato e incapace addirittura di concentrarsi adeguatamente, e alla fine dovette ammetterlo controvoglia: voleva sapere cosa stava succedendo lì dentro, a casa sua. Chiudendosi all’interno del suo studio si era completamente isolato, se si eccettuavano pochi e brevi colloqui con Spinella e Leale. Ora, però, la curiosità stava prendendo il sopravvento: nonostante i ragazzi in generale non lo entusiasmassero un granchè, non poteva fare a meno di provare un qualcosa nei loro confronti, un sentimento intermedio fra compassione, dubbio e fastidio. Devo provare a interagire con loro, si disse. In fondo, che male ci sarebbe stato? Naturalmente, tutto a scopo di studio. Magari avrebbe potuto pubblicare una ricerca su una qualche rivista scientifica sul comportamento degli adolescenti in difficoltà.

In più, c’era la questione di Spinella. O, meglio, di Elinor, la ragazza che l’aveva aiutato. Spinella, dopo avergli dato dell’idiota, e Artemis sapeva bene di esserselo meritato, aveva insistito per ore affinchè lui si scusasse, e infine lui aveva accettato. Chiunque conoscesse bene Artemis Fowl sapeva che, in una discussione, avrebbe potuto stracciare le tesi degli avversari e far prevalere la sua in qualsiasi momento: il fatto che questa volta Spinella l’avesse spuntata contro di lui era, come Artemis avrebbe ammesso a malincuore, una scelta che Artemis stesso aveva fatto. Il ragazzo sapeva di essere diventato una persona migliore, in quegli ultimi anni, e come tale avrebbe dovuto comportarsi: basta nascondersi dietro una facciata di puro gelo; avrebbe chiesto scusa a Elinor, e le avrebbe offerto spiegazioni di ciò che aveva combinato.

Si massaggiò le tempie per qualche momento, in un gesto che per i semplici umani era qualcosa di simile al rimettere in moto il cervello, ma per lui era l’inizio della formulazione di un piano. Dopo tanto pensare, ovvero dopo cinque secondi di riflessione, spense il computer, si alzò e si avviò verso la porta, e con fastidio si accorse che il suo passo era meno fiero e sicuro di quello che aveva immaginato. 

 

Elinor chiuse il libro con un gesto rapido e secco. Distese le gambe sul divano, mise le mani dietro la testa e chiuse gli occhi, nel tentativo di rilassarsi. Ma cosa diamine stava facendo lì? Un sorriso pieno d’amarezza le affiorò sulle labbra: ancora non riusciva ad elaborare il fatto che era tenuta prigioniera in un posto sconosciuto; tuttavia, era incredibilmente più tranquilla, di notte riusciva a dormire, e, tutto sommato non credeva che Leale, Juliet e Meg fossero cattivi, nonostante l’ultima arrivata fosse indubbiamente un po’ strana. Nutriva qualche dubbio in più riguardo ad Artemis, il ragazzo: lo incrociava poco, dal momento che se ne stava sempre rinchiuso al terzo piano, che per loro non era accessibile, ma quando s’incontravano fra di loro non c’erano che gelidi silenzi e duri sguardi d’odio. Lui l’aveva sfruttata, l’aveva usata e presa prigioniera, facendola sentire anche tremendamente in colpa nei confronti dei suoi amici; in cambio, nulla se non un soggiorno relativamente tranquillo in una località ignota.

Basta, pensò Elinor. Basta lamentarsi e pensare al peggio. Erano passati dieci giorni dal loro rapimento, ed era chiaro che non ne sarebbero usciti molto presto. Tanto valeva ricominciare a vivere da persona normale, anche se là dentro, senza continuare a chiudersi in quei tristi silenzi che caratterizzavano ormai ogni sua giornata. Elinor doveva essere forte, per sé e i suoi amici; doveva smetterla di comportarsi come uno zombie e prendere atto della situazione, cercando di coglierne i pochi aspetti positivi. Qualcosa doveva cambiare, a partire da quella sera.

 

Quella sera, a cena, qualcosa cambiò. Erano seduti tutti in salotto, comprese Juliet e Meg, che parlottavano tra loro in un angolo della stanza. I ragazzi qualche giorno prima avevano suscitato la pietà di Juliet, che era ricomparsa in casa reggendo fra le mani una Playstation e qualche gioco, in cui loro si erano immersi, e non ne erano ancora riusciti. Milla, che si stava riprendendo dall’influenza, e Arianna erano comodamente sedute sul divano, e parlavano con Sissi, che invece si era distesa a terra senza un’evidente ragione. Elinor invece era ancora raggomitolata sulla poltrona, immersa nella lettura di una prima edizione del “Signore delle Mosche” che aveva trovato nella libreria della Sala da Tè. Non era il suo libro preferito, ma credeva che si adattasse bene alla loro situazione, anche se, grazie al cielo, le vicende dei due gruppi di ragazzi stavano prendendo pieghe diverse. O almeno così sperava.

Juliet ad un certo punto si alzò e disse che era ora di preparare cena. Fu a quel punto che si ebbe il colpo di scena: anche Elinor si alzò.

“Posso darti una mano?”

Silenzio. Tutti tenevano lo sguardo fisso su Elinor, tranne Meg, che fissava Juliet con un sorriso stampato in faccia, in attesa di una sua reazione. Nessuno, prima di quel momento, aveva offerto aiuto a Juliet o a Leale, non perché fossero tutti maleducati, ma perché offrire aiuto ai loro rapitori era qualcosa di assolutamente innaturale, anche se loro facevano di tutto per essere gentili e simpatici con i ragazzi. Elinor più di tutti aveva motivo di restarsene chiusa nel suo guscio di silenzio e ritrosia, dal momento che oltre alla prigionia, doveva portare sulle spalle anche il peso del senso di colpa.

Ma, nonostante questo, si era alzata, e aveva offerto il suo aiuto a Juliet per preparare la cena.

“Grazie, accetto volentieri.” Rispose Juliet con un sorriso, ponendo fine a quel silenzio carico di pensieri. “Sai, ho proprio bisogno di qualcuno che mi aiuti a tagliare le fragole”.

Elinor seguì Juliet in cucina, piacevolmente soddisfatta da se stessa. Tagliò le fragole, chiacchierando con Juliet riguardo al menù della serata, e, una volta finito, incominciò a preparare la tavola. Proprio mentre stava finendo di disporre i piatti sul tavolo, Artemis entrò. Indossava una camicia con le maniche arrotolate fino ai gomiti, e i capelli erano in disordine, come se ci avesse passato le mani mille volte. Inaspettatamente non disse nulla, ma rimase davanti alla porta a fissare la scena, all’apparenza abituale e casalinga, che si svolgeva sotto i suoi occhi. Elinor non l’aveva neanche guardato in volto, e disponeva le posate facendo finta che lui non fosse mai entrato; lo stesso non si poteva dire di Juliet:

“Artemis, finalmente sei riemerso! Senti, siamo un po’ in ritardo, dunque perché non dai una mano a Elinor?”

La ragazza maledì mentalmente la bionda.

“Uhm. Sì, certo.” Disse Artemis, vergognandosi al tempo stesso della sua completa mancanza di parole intelligenti, che superassero in lunghezza quei pochi monosillabi.

Si diresse verso una dispensa, che, ne era quasi sicuro, conteneva dei bicchieri. Li trovò, ne prese un paio e li appoggiò lentamente sul tavolo. La sua mente era concentrata in pensieri molto più urgenti e assillanti di quelli sulla disposizione delle posate, in quel momento. I suoi occhi seguivano Elinor, che ancora si affaccendava intorno al tavolo, e che non lo degnava della minima attenzione.

Artemis decise di rimandare il problema delle scuse a un altro momento. Sinceramente, non gli andava di ricevere altri sguardi d’accusa pienamente motivati, senza contare che non vedeva alcuna occasione di poterle parlare a quattr’occhi. Decisamente, non era il momento adatto.

“Direi che è quasi pronto.” Disse Juliet, rompendo il silenzio. “Elinor, ti dispiacerebbe chiamare gli altri?”

La ragazza uscì senza dire una parola. “Artemis, ti chiamo dopo quando gli altri hanno finito, ok?”

Artemis riemerse lentamente dai suoi pensieri, che l’avevano lasciato come inibetito a fissare la porta da dove era uscita Elinor.

“Uhm?” Il suo vocabolario era decisamente migliorato.

“Per la cena. Quando i ragazzi se ne vanno puoi mangiare tu.” Ripetè Juliet, con aria perplessa. Artemis, sembrava… addormentato. La qual cosa non gli si addiceva per nulla.

Il ragazzo riflettè un momento. La cena era considerata in tutto il mondo come un importante momento di condivisione, un modo per riunirsi, parlare, stare assieme. Dunque, perché non tentare?

“E’ un problema se mangio con voi?” Quel tono così gentile sorprese perfino se stesso. In realtà, era proprio dubbioso della sua scelta.

Juliet lo guardò con occhi spalancati. Fino a quel momento, soltanto lei, e talvolta Leale, avevano mangiato con i ragazzi. Artemis non si era mai fatto vivo.

“Ok…” disse con tono un po’ incerto. Mentre prendeva piatti e posate per Artemis, la ragazza non potè fare  a meno di lanciargli qualche occhiata inquisitoria. Che aveva intenzione di fare?

In quel momento i ragazzi entrarono in cucina, chiacchierando fra loro. Sembrano sereni, pensò Artemis. Cambiò subito idea quando si accorse delle loro reazioni nel vederlo; quando poi prese posto vicino a Juliet, sul fondo della tavola, una di loro, quella riccia e rossa, non tentò neanche di nascondere il suo stupore:

“E lui che ci fa qui?” sussurrò all’amica che le stava a fianco, quella che era stata malata, che non rispose. Pian piano i maschi trovarono il coraggio per alzare lo sguardo e osservarlo come un animale sconosciuto; soltanto Elinor e la sua amica bruna, che erano sedute l’una affianco all’altra, si scambiarono un rapido sguardo d’intesa.

Un silenzio irreale avvolgeva la tavola. Improvvisamente, mentre tutti erano impegnati con i loro spaghetti, Sissi scoppiò in una sonora risata. Artemis annotò mentalmente che quella ragazza aveva tutti gli attributi tipici di una malata mentale, ma nondimeno alzò lo sguardo e la fissò stranito, cercando di capire come stesse succedendo, come d’altronde tutti gli altri commensali.

“Che succede?” le chiese Luca, nascondendo a malapena un sorriso.

“Beh…” bascicò Sissi fra una risata e l’altra. “Oggi è il 31.”

“Dunque?” Giova continuava a guardarla come se fosse stata effettivamente pazza.

“Oggi c’era filosofia.”

Silenzio. Sissi continuò sogghignando: “L’avevo studiata così tanto…”

I volti degli altri si distesero. Pian piano si levò una risata collettiva, soprattutto dalla parte maschile.

“In che senso l’avevi studiata tanto?” replicò Giova, con un sorriso. “Io non avevo aperto libro.”

“Beh, l’avevo studiata. Ma non ci avevo capito niente.”

“Aristotele era un cretino.” Se ne uscì Lorenzo.

“Sono completamente d’accordo.” Milla si unì alla conversazione. “Dai, tutte quelle cose sulle categorie, la sostanza e compagnia bella… ma perché uno dovrebbe perdere il suo tempo in cose così… così…”

“Stupide?” Luca ci mise del suo. “Ad esempio… com’era quella definizione, quella di concetto?”

“Ah, si, questa la so!” Disse Elinor con un sorriso. Si erse poi in tutta l’altezza che la sedia le concedeva, e imitò la voce tonante e austera della professoressa: “Il concetto è la traduzione mentale dell’essenza.”

Tutti scoppiarono a ridere, al ricordo delle spiegazioni in classe.

“E quella… non mi ricordo molto bene, ma quella che aveva detto lui della natura, che non aveva senso… com’era già?” chiese Arianna pensierosa.

Il principio e la causa del movimento e della quiete della cosa alla quale inierisce primieramente e per sé, non accidentalmente.”

La voce di Artemis di levò limpida sopra le altre. Tutti ammutolirono di colpo, e lo fissarono con aria sorpresa.

Il ragazzo non fece in tempo a darsi dell’imbecille da solo. Il suo cervello da genio gli disse che forse il declamare una definizione complessissima in un’altra lingua all’interno di una conversazione in cui lui non c’entrava nulla, per poi chiudersi in un imbarazzante silenzio, non era il modo migliore per interagire con gli altri.

Cercò di rimediare: “Sì, insomma, non ne sono proprio sicuro, ma…”

Inaspettatamente, Arianna gli sorrise: “Probabilmente è giusta.” E di nuovo guardò Elinor, alla sua sinistra, che non aveva neanche rivolto uno sguardo al ragazzo, a differenza degli altri.

Pian piano la conversazione riprese, e per quella sera Artemis non proferì più parola, convinto di aver già detto abbastanza. Più di una volta alcuni dei ragazzi si rivolsero direttamente a lui, anche solo per chiedergli di passare loro dell’acqua. L’unica che non gli rivolse mai la parola né uno sguardo fu Elinor.

 

“Strano, non trovi?”

“Dici? A me sembra soltanto cretino presuntuoso detestabile rapitore di ragazzi e anche indiscutibilmente incapace di preparare una tavola decentemente.”

Elinor e Arianna stavano salendo le scale verso le rispettive camere, in fondo al gruppo. Per l’ennesima volta stavano per essere rinchiusi nelle loro piccole prigioni private.

Arianna soffocò un risolino.

“Intendevo… il fatto che ti abbia guardata per tutta la sera. Sembrava, come dire, dispiaciuto. Credo che voglia chiederti scusa.” Sussurrò Arianna.

Elinor si voltò verso l’amica, sinceramente sorpresa. “Ma che stai dicendo? Sicuramente mi guardava per accertarsi che non volessi lanciargli un bicchiere in testa.” Riflettè un momento. “Il che, per altro, è un’idea niente male.”

Arianna sorrise. “Lily, io credo che dovresti veramente tentare di comportarti civilmente con lui. Provaci, almeno.”

Elinor si fermò, trattenendo l’amica per il braccio: “Neanche per sogno. Arianna,” la guardò negli occhi, sicura delle proprie parola: “io detesto quell’essere abominevole. E non c’è nulla al mondo che mi farà mai cambiare idea su di lui.”

 

 

Tatan!

Eccomi di nuovo qui… come vedete, l’opinione che Elinor ha di lui non è cambiata granchè… ma la storia non è finita qui ^^

A presto, baci a tutti… J.

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Artemis Fowl / Vai alla pagina dell'autore: Silice