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Autore: SunVenice    31/05/2010    8 recensioni
Il governo mondiale ordina una strage oltre la Red Line, tre ragazzi sono costretti ad un doloroso esodo per recuperare almeno un pezzo della propria vita, e due mondi, da anni separati, si incontreranno sulla Grande Rotta, svelando un segreto che nessuno avrebbe mai voluto venisse divulgato. "Vuoi sapere chi sono?"
La storia continua dopo quasi tre anni di assenza! (psss! è anche ON HIATUS,perchè? Perchè sono masochista!)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Sirene di Fuoco'
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Kaizoku no Allegretto

L’allegretto del pirata

Atto 6 –parte prima-

Atto 6, scena 1

Nella mensa la ciurma del grande Imperatore Bianco era già immersa nelle delizie della cena, quando Ace, più mesto in viso che mai, apparve nella sala, dirigendosi a passi veloci verso il tavolo dei comandanti, tenendo le mani nelle tasche dei pantaloni. Ad attenderlo, con il suo solito sorrisino solare, c’era Satch, affiancato da Vista e da Jaws, troppo presi a parlare tra loro per accorgersi della sua apparizione.

Il moro si gettò senza troppi preamboli sulla propria sedia, una delle più vicine al babbo, sbuffando con una non trascurabile nota di stizza. E che stizza! Persino quel musone di Jaws, dovette ammetterlo quando quel rumore gli fece accorgere dell’arrivo del fratello, non sarebbe riuscito a fare di meglio.

Satch lo squadrò, intuendo pienamente quello che doveva essere accaduto e questo fece sì che il suo sorriso si sfumasse di divertimento e soddisfazione.

 Non avrebbe mai creduto che Ace e Marco ci avrebbero messo così poco ad entrare in competizione: e dire che la Fenice era scomparsa dalla mensa da nemmeno dieci minuti!

“Tutto bene, Ace?” chiese il biondo ostentando la migliore delle sue espressioni da faccia tosta.

Pugno di Fuoco gli rispose dapprima con un ennesimo sbuffo, incrociando le mani dietro la testa, calandosi meglio sul viso il cappello con lo stesso movimento, poi, con le labbra rivolte all’ingiù in una smorfia tutt’altro che felice, diede voce ai propri pensieri:

“Insomma.” Disse, attirando non solo l’attenzione di Vista e di Jaws, ma anche quella di Edward Newgate e Betty, lì vicino solo per controllare meglio le dosi di sake ingurgitate dal capitano. Il moro intercalò quella pausa con un sospiro mezzo affranto e mezzo scocciato “Non è andata benissimo con Momo…

Un sopracciglio biondo di Satch scattò all’insù, non aggiungendo né chiedendo altro in proposito, attendendo pazientemente che l’altro vuotasse il sacco da sé. Ace poteva essere orgoglioso, cocciuto e tante altre cose, ma sapeva bene di non potersi tenere troppo a lungo i propri crucci.

Bastava pazientare un po’ e si sarebbe sfogato da solo.

Un ringhio irritato esplose nella gola del comandante in seconda, mentre scattava in avanti con la schiena, stropicciandosi nervosamente i capelli già spettinati di loro. Il tutto sotto le occhiate mezze stranite, mezze divertite di Vista, Jaws e Barbabianca.

“Ma in che cosa sbaglio?” fu la fatidica ed ingrata domanda, cacciata fuori quasi in un sospiro dalle labbra del moro, fiondatosi, con la stessa grinta di un bradipo, con la forchetta nel proprio piatto di pasta.

Satch fu sul punto di dire qualcosa ma, bloccato dalle occhiatine significative di Vista, già sogghignante di fronte all’invitante prospettiva di dar sfoggio delle sue conoscenze in materia, impose alla propria natura da ficcanaso patentato di mettere bocca sulla questione in un secondo momento.

“Non credo che con la madamigella farai molta strada, continuando in questo modo.” Decretò lisciandosi seraficamente i baffi il comandante in quinta, facendo scattare su di lui gli occhi di tutti, in primis quelli stupiti di Ace.

“In che senso?Spiegati.” rispose un poco punto sul vivo da quell’affermazione. Insomma, lui cercava solo di farla divertire e farla sentire al sicuro, ma tutto quello che faceva sembrava finire inevitabilmente con un bel buco nell’acqua.

Accanto a lui Satch ridacchiò e questo gli diede una buona ragione per fulminarlo con gli occhi.

Da parte sua però il biondo non accusò il colpo del fratellino: era troppo divertente vedere Ace brancolare nel buio in quel modo, nonostante la risposta fosse talmente semplice e lampante. Persino lui era riuscito a capire dove Vista volesse andare a parare.

“Come ti appare la signorina Momo?” rispose intanto l’uomo dal cilindro, quasi facendo finta di non aver udito la domanda impaziente di Pugno d Fuoco, continuando imperterrito ad accarezzarsi i baffi.

A quelle parole il moro strabuzzò gli occhi, accigliandosi poi con fare sospettoso.

“Come mi appare?”

“Sì. Come la descriveresti a parole tue?”

Ace gli scoccò un’altra occhiatina sospettosa, alzando poi lo sguardo pensieroso verso l’alto, ragionando meglio su quello che l’altro gli aveva chiesto.

Per un attimo si figurò l’immagine di Momo, il suo corpicino esile non ancora del tutto ripreso dal digiuno del naufragio, il modo in cui allargava gli occhi quando si sforzava di capire qualcosa di nuovo, il tremore che sembrava scuoterla da capo a piedi ogni volta che veniva colta da un attacco di panico, il modo in cui si era poggiata al suo petto davanti all’infermeria…

Tutto quello gli fece salire spontanei due aggettivi.

Satch lo guardò aprire bocca con trepidazione, aspettando la fatidica risposta del moro che non tardò ad arrivare.

“Piccola e fragile.”

E a quel punto il comandante della quarta flotta non riuscì più a trattenersi dal parlare.

“Tombola!” esclamò divertito, non riuscendo però a contagiare con il proprio sorriso anche Ace che, troppo confuso dalla situazione, si limitò ad incitare il biondo a starsene zitto con un’occhiata.

Cosa che, ovviamente, Satch non fece.

“Sei troppo rude con lo scricciolo, Ace, devi trattarla con un po’ più di riguardo!” aggiunse il biondo, ricevendo appoggio da parte di Vista e Jaws, che annuirono vigorosamente alle sue affermazioni.

“Ma io non sono rude!” obbiettò con convinzione il moro lentigginoso, guadagnandosi da tutti, compresi il babbo e Betty, degli sguardi decisamente poco convinti, cosa che gli fece seriamente rivalutare le sue ultime parole.

Abbassò istintivamente con una mano il cappello davanti agli occhi.

“Ok, forse un pochino lo sono…” ammise, nascondendo il proprio imbarazzo dietro la falda arancione del proprio copricapo “…, ma il fatto rimane che non riesco a capire come trattarla! Ad ogni cosa che faccio o si mette a piangere o si arrabbia!” si giustificò immediatamente, spostando lo sguardo da una parte, provocando le risatine mezze intenerite e mezze divertite degli altri quattro.

Satch ci aveva visto giusto: anche Ace era più o meno nella stessa situazione di Marco, l’unica differenza era che lui almeno sapeva di esserci, mentre il biondo ancora no. Soppresse a stento una risatina di troppo: ci sarebbe stato da divertirsi.

Uff… voi uomini.”

Tutti quanti si girarono verso Betty, che, lasciato il compito di esaminare la cartella del capitano a Carol, si era avvicinata verso di loro, ancheggiando in modo talmente letale da scatenare una sinfonia di emorragie dal setto nasale di almeno una decina di tavoli dietro di lei. Come faceva a non accorgersene?! Quegli occhiali scuri che si ritrovava dovevano essere davvero micidiali per non farle notare una cosa così lampante! Betty come carattere non era certo la donna più socievole e trattabile del mondo - concesso -, ma se la si guardava sotto un altro punto di vista, letteralmente, diventava immediatamente la più bella cosa da guardare nell’ora dei pasti, omettendo l’eterea ed angelica presenza di Penelope al suo fianco, e questo le aveva fatto guadagnare nel giro di poche ore dal suo arrivo sulla nave il titolo di “spezza-cuori della Moby”, tante erano state le povere anime che, impavide, avevano tentato di, se non far breccia nel suo cuore duro come il ghiaccio, riuscire nella folle impresa di incastrarla sotto un intreccio di lenzuola.

I quattro comandanti osservarono la formosa figura di Betty sedersi con nonchalance sul ripiano del loro tavolo, cominciando a guardarsi distrattamente le unghie di una mano, dando loro le spalle.

“Scovate ed esplorate isole su isole seguendo qualche indicazione su una mappa ingiallita, sbaragliate eserciti di marines con il semplice gesto di una mano…” disse con tono pensieroso la donna, accavallando elegantemente le gambe. E via altri dieci tavoli. “… ma vi perdete come dei bambini quando si tratta di leggere nel cuore di una donna.” Terminò con un sospiro mezzo affranto.

Si voltò verso i quattro comandanti, constatando, con una punta di soddisfazione visibile nell’incurvatura della sua bocca, che pendevano letteralmente dalle sue labbra, specie il comandante Ace.

Rimase per un istante in silenzio, puntando i propri occhi invisibili su volto d Pugno di Fuoco, saggiando compiaciuta la tensione da lei stessa creata, alzando poi una per volta le dita della mano che poco prima stava esaminando.

“Delicatezza. Moderatezza. Inventiva.” Disse in un lampo, lasciando spiazzato il moro e prossimi ad uno scoppio di risate Satch e gli altri.

“Ovvero?” la domanda scivolò quasi da sola dalle labbra di Ace, facendo sbuffare clamorosamente Betty. Chissà se quel testone avrebbe capito meglio usando dei disegnini…

“Ovvero, Comandante Ace” scandì, calcando con impazienza le ultime due parole “…, trattatela con la stessa cura che si usa con una bambola di porcellana, non fate il cafone, non invadete i suoi spazi e soprattutto” fece una pausa enfatizzando l’ultima parte come in una supplica, alzando gli occhi, nascosti dalle lenti degli occhiali, al soffitto della mensa “… fate qualcosa di carino per lei.”

La faccia di Ace era a dir poco scombussolata.

“In sostanza, fratellino: non fare più quello che hai fatto fino ad ora ed aspetta che sia lei a venire da te. ” intervenne con tono divertito Satch, non riscuotendo però alcuna reazione negativa da parte del moro, che intanto si era messo a vagare con gli occhi neri come la brace un punto indeterminato della sala.

 Nella sua mente troneggiava l’espressione di Momo davanti al tramonto che l’aveva portata ad assistere, il colore dei suoi capelli reso più caldo dalla luce cremisi della sera, i suoi occhi spalancati e rapiti da quello spettacolo come se non avesse mai avuto l’occasione di contemplarne uno simile, le sue lacrime di pura commozione scivolare lungo le sue guance leggermente abbronzate dal sole.

Un ghigno furbesco gli stirò le labbra: ma sì, in fondo che ci perdeva ad essere un poco paziente?

Di certo non sarebbe volata via.

 

Atto 6, scena 2

Marco si stupì di trovarla ancora lì quando riuscì a tornare sul ponte, tenendo con una mano il vassoio discretamente pieno del poco che era riuscito a racimolare dalla mensa. La notte era calata più velocemente del previsto ed il cielo si era imbrunito a tal punto da far comparire in lontananza le prime stelle della sera.

Vide la ragazza, rimanere seduta per terra a gambe incrociate con lo sguardo rivolto verso l’alto, alla bramosa ricerca, forse, di altre stelle, senza neanche voltarsi in sua direzione, sicuramente non avendo percepito il suo arrivo.

Rimase ancora per qualche istante sulla soglia che collegava la coperta al ponte, osservandola meglio nel suo vagare gli occhi lungo la volta del cielo notturno.

Il biondo si aspettò di vederli tornare a brillare come poche ore addietro, ma poi distolse lo sguardo, liberando la figura di Momo dal suo sguardo.

 Non sapeva perché, ma fissarla in modo così insistente in quella situazione gli diede quasi la netta impressione di star assistendo a qualcosa di estremamente intimo, come se stesse assistendo ad un momento strettamente privato di cui lui era indesiderato spettatore.

Fu tentato di cedere all’urgenza di tornare sui propri passi, ma scosse subito la testa, chiedendosi cosa diavolo stesse andando a pensare.

Non era da lui comportarsi in quella maniera. Ma il fatto era che...

I suoi occhi azzurri ritornarono sul volto di Momo, trovandolo ancora concentrato sui piccoli lumini che uno ad uno iniziavano ad apparire sulle loro teste. Le palpebre erano leggermente abbassate in un’espressione trasognata e vagamente rilassata.

Serrò le mascelle, maledicendo la linea dei propri pensieri.

… gli dispiaceva distruggerle quel momento di tranquillità.

Si sforzò di ignorare la rigidità che avevano assunto i suoi muscoli, trascinandosi con meno facilità del solito al centro del ponte, dove Momo continuava ad osservare il cielo.

Arrivò a meno di un metro da lei senza troppi problemi, nonostante quella strana vocina dentro il suo petto continuasse ad urlargli insistentemente di lasciarle lì il vassoio e girare i tacchi.

Poi, incredibilmente, la vide sbattere un paio di volte gli occhi stupita e girarsi verso di lui, facendo incontrare i loro sguardi.

E la vocina petulante si zittì in un istante.

“Ti ho portato da mangiare.” Disse, recuperando immediatamente la propria compostezza, abbassandosi alla sua altezza flettendo un ginocchio.

Gli occhi di Momo indugiarono ancora un po’ su di lui, poi sul vassoio che aveva interposto tra loro , sciogliendosi infine in un’espressione a cui il cuore di Marco reagì mancando un battito: gli sorrise.

Non era nulla di speciale come sorriso, le labbra erano semplicemente strette tra loro e leggermente rivolte  all’insù, ma al primo comandante parve una cosa speciale come poche, così tanto che si era ritrovato a desiderare inconsciamente di risponderle allo stesso modo.

 

Atto 6, scena 3, Arioso della cena

Mi ero stupita di non aver sentito arrivare Marco.

Vedermelo apparire a pochi centimetri di distanza così all’improvviso mi aveva colto alla sprovvista, ma poi mi ero accorta che, oltre a non essersi dimenticato di me come avevo temuto pochi istanti prima, si era anche premurato di portarmi la cena.

Sorrisi di gratitudine e di sollievo, stringendo però inconsciamente le caviglie incrociate tra le mani a causa del prurito che di nuovo era esploso alla base della mia gola. Sperai che il mio sorriso non apparisse troppo tirato a causa di quella sgradevole sensazione che combatteva contro il mio forte desiderio di ringraziarlo.

Se soltanto avessi potuto dirgli “Arigatou gozaimasu” come mi avevano insegnato Betty e Penelope…

Ma sì, in fondo che male avrebbe fatto un semplice “grazie”? Di certo non sarebbe crollato il mondo.

Spinta da quel mio veloce e rassicurante ragionamento, atto soltanto ad auto-convincermi, diedi aria alla gola, guardando in viso Marco.

Il modo in cui sbarrò gli occhi, sorpreso di vedermi fare una cosa simile, mi fece però bloccare le parole a mezz’aria e io mi morsi le labbra per la rabbia.

Ma perché?! Perché sentivo di non doverlo fare? Che cosa spingeva il mio corpo a reagire in quell’assurda maniera?

Scossi la testa serrando gli occhi, mentre con un ringhio strozzato mi voltavo da un’altra parte, stropicciandomi i capelli per il nervoso. Non mi interessava che Marco fosse lì a guardarmi reagire in quella maniera: ero arcistufa! Non ne potevo più! Più cercavo di capirci qualcosa più mi sembrava impossibile dare una spiegazione logica a tutto quello che mi ritrovavo a subire!

Eppure c’era una spiegazione. Ne ero certa. In mezzo a quel profondo ed oscuro abisso che avevo in testa, avevo il sentore si nascondesse qualcosa di concreto. L’unica cosa che dovevo fare era dissipare quella maledettissima coltre che la sottraeva alla mia vista.

L’odore di qualcosa leggermente acre e lievemente salato mi stuzzicò le narici portandomi a riaprire di scatto gli occhi,  ritrovando davanti a me un piatto pieno di qualcosa che osai su due piedi definire polpa di pesce.

Sbalordita seguii la linea del braccio che mi teneva quella pietanza dinanzi, incontrando gli occhi azzurri all’apparenza assonnati di Marco.

E mi venne un colpo nel vederlo increspare le labbra in un leggerissimo sorriso.

Anata ga tabereba hoo ga ii desu.” Disse immediatamente lasciandomi stupita dal modo in cui scandì bene la frase, forse per farmi capire al meglio possibile le parole che la componevano.“Anata wa watashi yori yaseta desu.” Terminò con un tono che mi parve lievemente sarcastico.

Tra tutto quel groviglio incomprensibile di parole ero comunque riuscita a capire soltanto anata e watashi, e mi venne spontaneo solamente annuire ed allungare entrambe le mani sotto la stoviglia che mi stava porgendo, arrivando con le dita a percepire il calore emanato da quella pietanza attraverso la sottile ceramica di cui era composta.

La sua mano scivolò via come un soffio di vento e io, un poco imbarazzata da quella strana atmosfera che era improvvisamente calata su di noi, mi impegnai a portarmi alla bocca piccoli bocconi con le dita, tenendo la testa china per non incontrare il suo sguardo.

Cavoli, ma non c’era proprio nessuno sul ponte a quell’ora? A parte il rumore delle onde che si infrangevano sui fianchi della nave, l’unica cosa udibile in quel momento sembrava il suono emesso dai miei denti che masticavano la carne bianca di chissà quale animale!

Era strano però… Notai che, a differenza degli altri giorni, non mi creava alcun fastidio ingoiare. Neanche un minimo accenno di dolore. Neanche quando mandavo giù un boccone troppo consistente o mal masticato.

Lo trovai così strano che mi bloccai nell’atto di portarmi alla bocca un’altra manciata di pesce.

Osservai con fare critico i rimasugli della pietanza nel mio piatto, analizzando con sospetto ogni singolo filamento corposo che ne faceva parte, finché la voce di Marco non mi giunse alle orecchie, distraendomi.

 

Atto 6, scena 4

Dopo essersi seduto al suo fianco ed averle dato una delle pietanze da lui racimolate in mensa, era rimasto ad osservarla con il volto inclinato e sorretto da una mano, puntellando il gomito sulla gamba, studiandola in silenzio mentre masticava lentamente e con gusto ogni piccolo boccone.

Almeno finché non smise improvvisamente di mangiare senza alcun preavviso.

“Non hai più fame?” disse il comandante della prima flotta, fronteggiando nuovamente gli occhi della naufraga, in quel momento allargati da un leggero stupore, come se si fosse improvvisamente ricordata che ci fosse anche lui, seduto accanto a lei, sul ponte.

Alle sue parole Momo tentennò, certamente confusa dalle sue parole e forse anche combattuta se parlargli o meno. Non era difficile da capire. Poco prima l’aveva vista essere sul punto di azzardare una parola, ma solo per bloccarsi un istante prima di riuscirci e dissolvere quel momento di aspettativa che le sue labbra, schiuse in sua direzione, avevano creato.

Il biondo si corrucciò, sentendo l’irrefrenabile e frustante bisogno di far luce su quello strano comportamento che, era ormai certo, era legato indissolubilmente al modo in cui aveva pronunciato il suo nome soltanto un giorno prima.

Il problema però, stava nel come.

Davanti a lui Momo, avvertendo lo sguardo della Fenice mutare in un’espressione certamente meno morbida del solito, parve farsi inquieta, girando gli occhi altrove,  indirizzandoli nuovamente verso l’alto e, dopo un attimo di esitazione dettato dallo stupore, illuminando il proprio viso con un sorriso tanto entusiasta da portare Marco a fare lo stesso.

“Wow.” Fu tutto quello che la Fenice riuscì a dire osservando quello che sopra di loro si era andato silenziosamente a formarsi.

Una consistente e brillante coltre di stelle, tanto densa da lasciare a malapena spazio al blu scuro del cielo notturno, ondeggiava sulle loro teste, schiarendo con la loro luce vibrante il ponte della Moby, quasi fosse stato giorno. Nella sua vita da pirata Marco aveva avuto occasione di vedere cose bizzarre, delle quali ne aveva letto l’esistenza sui libri che componevano la biblioteca della nave, solitamente visitata solo da lui, ma mai gli era capitato di assistere in prima fila ad un esibizione della famosa Mirukīu~ei.

Ai suoi occhi era come se il cielo notturno avesse tracciato una rotta luminosa per la stessa Moby, dividendo il cielo in due parti con una sorta di fenditura centrale, impreziosita da quei piccoli brillanti paragonabili solo a qualcosa di timidamente sovrannaturale.

Come piccole e lontane fate bianche che con il loro bagliore incitavano quell’enorme imbarcazione a proseguire sicura il suo  lungo viaggio, in una notte in cui soltanto una leggera brezza ne gonfiava languidamente le innumerevoli vele.

Definire quello spettacolo incantevole sarebbe stato addirittura un insulto. Era semplicemente…

Per lui però la calma provocata da quella vista spettacolare venne bruscamente interrotta da Momo che, per chissà quale motivo, si era alzata di scatto, abbandonando il piatto sulle travi del ponte, dirigendosi decisa verso il parapetto della nave, dove si poggiò con entrambe le mani, sporgendo in avanti la testa in avanti, nell’atto di osservare meglio quella scena che era stata capace persino di mozzare il fiato a lui, uno dei più temuti uomini di Barbabianca.

Il biondo rimase lì, fissandola passivamente da lontano, mentre quella si dondolava lievemente allo stesso tempo dei suoi capelli, mossi dalle leggerissime folate di vento a quell’ora ricco di salsedine fresca mettendosi poi a sorridere inconsciamente.

Quella ragazza, che nonostante la corporatura doveva avere come minimo vent’anni, dava una sensazione di spensieratezza fuori dal comune. Era come vedere un bambino che si entusiasma per qualche fuoco d’artificio: stesso identico principio.

Le sue ciglia si aggrottarono nel notare la spallina della camicia che indossava, scivolare lungo la linea della spalla, lasciandola scoperta.

 Distolse lo sguardo, maledicendo se stesso, la sua camicia e le insinuazioni dannatamente fondate di Ace.

Quella che aveva davanti non era una ragazzina.

Poi un’ombra lo oscurò, facendogli accorgere che Momo si era riavvicinata a lui e questa volta seria in volto. Non fu però solo quello a far inquietare Marco, anche se di poco.

La ragazza lo stava guardando intensamente e senza un’ombra di un sorriso, e con gli occhi che brillavano. Erano diventati dorati.

Luminosi, palpitanti, appena oscurati dalle palpebre lievemente abbassate, illuminati come se al loro interno fremessero la soffusa e calda fiamma di una candela.

Il capitano della prima flotta fece appena in tempo a rendersene conto prima che la voce di Momo vibrasse in aria con la stessa tonalità di un lungo respiro ritmato da pause e parole così ben misurate da somigliare ad una canzone.

Gli occhi cerulei di Marco di dilatarono.

Quella, però, non era una canzone.

Vorrei tanto che tu mi capissi. Ma purtroppo, dovrò aspettare di conoscere un po’ meglio questa lingua Marco-san.” Vi fu una pausa, scandita da un sorriso imporporato sulle guance ma sincero “Non so perché parlo in questo modo, ma … a quanto sento, pare che per parlarci dovremo aspettare la notte… Quindi… Visto che siamo qui, … m’insegnerebbe qualcosa’altro a parte Anata wa e Watashi wa?

E si ritrovò ad annuire inconsciamente, stupito di quello a cui stava assistendo.

 Comprendeva perfettamente, nonostante la confusione iniziale, quello che aveva voluto dirgli. E, anche se stentava a crederci, mentre si alzava in piedi davanti a lei guardandola con occhi indagatori, una cosa la capiva: gli aveva appena rivolto la parola. A lui, solo a lui. In modo unico e spontaneo che sembrava andare oltre la sua volontà.

E il tutto sempre guardandolo con quegli occhi fiammeggianti.

 

Atto 6, scena 5, Arioso sul ponte

L’espressione di Marco dopo avermi sentito parlare in quel modo mi aveva un poco preoccupata. Lo avevo visto alzarsi e puntarmi addosso i suoi occhi rapaci per dei secondi che mi parvero interminabili, analizzandomi così intensamente il volto da farmi quasi desiderare di scappare via.

Poi però, come se il tempo si fosse improvvisamente sbloccato, lo avevo visto ricominciare ad accompagnare le parole ai gesti, indicandosi la camicia slacciata che indossava, pronunciando lentamente una frase che avevano diede inizio ad una seconda ed inaspettata lezione di lingua.

Watashi no shatsu.”

Era cominciata così.

 Ed io avevo cominciato a registrare ed a ragionare su ogni singola parola, da lui pronunciata nel bel mezzo del silenzio con tono lento  e strascicato, a volte interrompendo l’atmosfera con i miei impacciati tentativi di imitare alla perfezione la sua pronuncia, fallendo miseramente tuttavia ogni qualvolta la mia voce provava a liberarsi da quell’assurdo modo di parlare mezzo cantato.

Ancora non riuscivo a spiegarmi come mai mi fossi improvvisamente decisa a parlargli.

Era stato poco prima che, mentre mi beavo del bagliore lontano di quella distesa di stelle, la mia mente era stata scossa da uno schiocco improvviso, e i miei pensieri erano deragliati in un istante sul fatto che non riuscivo a rivolgere la parola a quello strano biondino.

 Poi avevo sentito… qualcos’altro, come una consapevolezza di sicurezza diffondersi nel mio petto, facendomi allargare gli occhi e dirigere a passi veloci verso di lui, distante di soli pochi metri, cominciando a pronunciare ogni frase in un modo che, per un istante, mi face dubitare che fossi io a parlare e non qualcun’altro.

Marco però, anche quell’iniziale attimo di mutismo, sembrava non avervi dato troppo peso e continuava ad insegnarmi parole su parole, standomi seduto accanto con la stessa identica espressione seria di sempre, mentre io, facendo di tutto per non farmi distrarre da quel formicolio all’altezza della gola, stavo distesa di pancia sul ponte, dondolando distrattamente le gambe avanti ed indietro, ripetendo a mezza voce le sue parole.

Avevo imparato molto in quei pochi intensi minuti: come si indicava una cosa estranea, cosa si aggiungeva alla fine di una frase negativa o interrogativa, come dire sì o no. Insomma, alla fine non era così difficile dopo aver capito qual’era il soggetto e quale il verbo.

Kore wa fune desu ka?” chiesi, sempre modulando in lunghi suoni le parole, oscillando il dito indice sopra la superficie legnosa del ponte principale, come aveva fatto lui poco prima. Mi stupii quando lo vidi scuotere leggermente la testa in segno di negazione.

Īa, kore wa fune no hashi desu. Kore wa dekki desu.” Mi corresse, ondeggiando una mano in modo da simulare qualcosa di piatto e allora capii: dekki = ponte della nave.

Annuii un poco titubante, premendo con poca convinzione il dito indice sul legno freddo sul quale ero sdraiata “Décchi” ripetei stravolgendo la pronuncia. Mi morsi la lingua e cercai di ripetere quella parola un altro paio di volte.

Fu allora che Marco, sbuffando appena, si alzò da terra, chinandosi accanto a me con un braccio poggiato sulla gamba flessa, mentre il ginocchio dell’altra si era impuntato per terra .

Sbarrai gli occhi quando lo vidi  allungare una mano verso e il mio viso e poggiarla delicatamente sui lati della mia mascella tastarne delicatamente la pelle con la punta delle dita, scandendo poi la stessa parola, tenendo la mano premuta sempre allo stesso modo.

Dekki” ripeté, guardandomi dritto negli occhi. Io per un attimo rimasi incantata, osservando il modo in cui le sue pupille, nonostante la scarsa luce, mantenevano sempre la stessa tonalità di azzurro limpido, lo stesso che assumeva l’acqua di mare quando la sabbia cominciava gradualmente a prenderne il posto prima di diventare spiaggia.

Dekki” dissi infine, combattendo contro la strana inquietudine che quella mano premuta sulla mia gola mi provocava. Lo guardai con occhi lievemente intimoriti e confusi, e parve accorgersene, a giudicare da come sussultò e biascicò a testa bassa uno “scusa”, mentre allontanava le sue dita ruvide dal mio collo, facendole scivolare via.

Mi sentii in colpa, ma non ebbi nemmeno il tempo di dirgli di non preoccuparsi che subito lui si era diretto verso il parapetto della nave, poggiandovi una mano e grattandosi con nervosismo la testa china per l’imbarazzo.

Stavo giusto per avvicinarmi a lui per chiedergli scusa quando vidi attraverso l’aria scura della notte le sue spalle irrigidirsi e la sua testa scattare dritta, puntando con gli occhi verso un preciso punto dell’orizzonte.

Indirizzai istintivamente lo sguardo più meno nella sua stessa direzione e sentii chiaramente il cuore cominciare a pulsarmi più forte nel notare qualcosa di diverso galleggiare sulla imperturbata distesa d’acqua.

Due ombre grandi e scure, si ergevano poco sotto la linea del cielo, oscurando di poco la vibrante e cristallina superficie del mare. La sagoma di tante forme quadrate trafitte da qualcosa di perpendicolare ad una terza forma indefinita si ripeteva una seconda volta creando uno strano effetto di specularità, nonostante le dimensioni delle due figure variassero di poco essendo chiaramente distanziate tra loro di qualche metro.

Realizzai che si trattava di due navi solo quando mi sentii afferrare per mano da Marco e tirare via da lì, portandomi  giù per la sottocoperta, e mi venne quasi da obiettare quando i miei occhi vennero duramente feriti dalla luce delle lampade che illuminavano l’interno dell’imbarcazione, costringendomi a coprirmi il viso con una mano, mentre davanti a me l’altro borbottava qualcosa con una punta di irritazione.

Hōmon suru ni hitobito Akagami wa shiranai. 

 

Atto 6, scena 6, Red Force

“Ehi Shanks.” La voce di Yasopp arrivò stranamente limpida alle orecchie intorpidite del capitano, facendogli socchiudere oziosamente un occhio, ma solo per poi richiuderlo non appena un clamoroso sbadiglio proruppe dalla sua gola, allargandogli di almeno tre volte tanto la bocca.

Mmmh?” mugugnò poi, mentre cercava di focalizzare bene il paesaggio notturno che circondava la sua nave, calata nel più completo silenzio con l’arrivo dell’oscurità. Si strofinò la guancia destra con la mano, rialzandosi faticosamente dal parapetto sul quale era crollato dopo aver fatto uso del proprio haki per ben 18 ore di fila.

Diamine, ma dove la prendeva tutta quell’energia il nonnetto?

Se il vecchio Marine non si fosse provvidenzialmente addormentato in piedi durante la sua ennesima scarica di lanci diretti alla sua nave, era certo che sarebbe stato costretto a chiudere velocemente il loro piccolo diverbio con una ritirata strategica.

Cosa che, tra l’altro, non avrebbe fatto che sia peggiorare l’umore di Garp, sia mandare a monte i propri progetti. Eh no, aveva aspettato da mesi un’occasione simile e non se la sarebbe fatta sfuggire così facilmente!

Fortunatamente, anche se il vice ammiraglio era stato interrotto da un inaspettato attacco di narcolessia, i suoi sottoposti sembravano sempre più intenzionati a non perdere di vista la Red Force ed a stare loro appiccicati come delle sardine sul ventre di una balena.

Tanto meglio per loro.

Ridacchiò tra sé e sé, mentre al suo fianco il suo fidato cecchino lo squadrava dubitando seriamente della sua salute mentale… non che avesse mai fatto il contrario, ma, dopotutto, quello di essere un completo pazzoide con un potere senza eguali tra le mani era una cosa che lo aveva spinto a diventare suo compagno di disavventure.

Soprattuto disavventure.

“Siamo arrivati, bell’addormentato.” Disse semplicemente il rasta, godendosi la vista dell’imperatore Rosso sbarrare gli occhi per la sorpresa e scoccargli un’occhiata incredula, con ancora l’unico braccio alzato nell’atto di scompigliarsi la fulva capigliatura.

“Davvero? Così tardi?” esclamò il capitano guardando il cielo completamente scuro sopra di loro “Ma è notte!” obbiettò infine, ribadendo l’ovvio a quei pochi della ciurma che, per godersi lo spettacolo fino in fondo si erano letteralmente accampati sul ponte scolandosi del buon sake fresco di botte fino a ritrovarsi più ubriachi che addormentati.

“Ma non mi dire.” Sentenziò sarcastico Ben seduto a gambe accavallate sul parapetto della nave, guardando i ponti della Moby Dick accendersi man mano che il vento li portava più vicini all’imbarcazione nemica.

“E ci siamo giocati l’effetto sorpresa.” Terminò lugubre, parlando con la sigaretta consumata tra le labbra, che ben presto venne gettata senza troppi riguardi in mare.

“Chi c’è al timone?” domandò di getto Shanks accigliandosi più serio che mai, mettendo in allarme i tre suoi ufficiali più fidati, che si irrigidirono da capo a piedi per un istante.

“Rockstar.” Rispose il vicecapitano tenendo ancora in mano la sostituta della prima stecca di tabacco, senza osare accenderla per la tensione. Rockstar era solo un novellino tra loro, e gli sarebbe dispiaciuto vederlo alle prese con uno dei rari, ma comunque temibili, momenti in cui il Rosso si arrabbiava con uno di loro. C’era solo da sperare che il capitano  non esagerasse o sia lui che Lou e Yasopp si sarebbero dovuti coalizzare per evitare inutili scenate.

Ci fu un momento di silenzio sulla nave, durante il quale il volto dell’imperatore Rosso venne oscurato da un’espressione indecifrabile. Gli occhi vennero coperti da un’ombra, accentuata dalla scarsità di luce dovuta all’ora tarda, e gli angoli della bocca rivolti all’ingiù, aumentando l’ansia dei presenti, specie quella del povero Rockstar, ora aggrappato al timone come un bambino colto con le mani nel sacco dalla mamma ed irrigiditosi proprio nella stessa incriminante posizione.

Il povero pirata da 94.000.000 di berry sulla testa tremò al pensiero di dover già rimpiangere i vecchi santini, regalati dalla sua povera mamma il giorno della grande partenza, che aveva incoscientemente buttato via alla prima occasione, ritenendoli “inutili gingilli per creduloni”.

Che male avrebbe potuto fargli qualche piccola, e forse ultima, preghiera?

Poi però accadde qualcosa. Le labbra del capitano si incurvarono lentamente ed inaspettatamente nel senso opposto a come erano prima ed una fragorosa risata esplose dalla gola del rosso, lasciando interdetta tutta la ciurma di bucanieri.

Ahahah! Ehi, Rockstar! Bel lavoro! Continua per questa rotta! Dopo io e te ci scoliamo cinque botti di sake insieme!”

Tutti quanti si guardarono con gli occhi che se non erano usciti dalle orbite poco ci mancava.

Ben e Yasopp si guardarono con altrettanta perplessità: si erano persi qualcosa loro o il loro capitano si era rivelato ancor più ottimista di quanto già non fosse?

Poco importava. L’unica cosa che sembrava certa era che Shanks era riuscito a sorprenderli per l’ennesima volta in circa vent’anni di pirateria.

“Dirigiamoci ancora per un po’ verso la Moby e poi serrate le vele quadre per metterci in panna!” decretò con voce chiara il Rosso, rivolgendosi a coloro che assistevano a quella scena da sopra i pennoni del grande veliero, ergendosi nel bel mezzo del ponte con la mano destra che gesticolava con una certa premura.

“E mi raccomando: issate su la bandiera bianca! Non sia mai che anche il vecchio Newgate decida di prenderci a cannonate per precauzione!”

 

Atto 6, scena 7, Moby Dick

“Quel mocciosetto …” borbotto Newgate con gli occhi puntati sulla nave sempre più riconoscibile che si stava avvicinando a loro, portandosi appresso come un cagnolino una nave della marina.

E non una nave qualunque, pensò allargando ancor di più il proprio sorriso non appena riconobbe l’inconfondibile polena a forma di cane, ma quella del vecchio Monkey D. Garp!

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che l’aveva visto? Dieci anni? Ricordava bene le poche volte che le loro strade si erano incrociate e dire che il divertimento fosse stato esaltante era addirittura poco.

Che motivo poteva avere quel marmocchio dai capelli rossi per portargli un simile regalo?

I suoi grandi occhi s’impuntarono su qualcosa che lentamente stava risalendo l’albero maestro di quella barchetta, chiamata così pomposamente veliero, sventolando freneticamente come se scalpitasse di venire notata.

Una bandiera bianca. Addirittura.

“Moccioso irritante…” ribadì quasi dimenticandosi di essere in mezzo ai propri figli che, come lui, si erano riuniti sul ponte principale dopo essere stati avvertiti dal primo comandante Marco dell’arrivo di un’imbarcazione nemica all’orizzonte.

E si poteva ben immaginare lo scalpore generale quando la nave in questione si era rivelata essere quella di Shanks il Rosso.

“Ma che diavolo vuole il Rosso a quest’ora?!” “Non lo so, ma di certo nulla di buono.” “Accidenti a lui…” “Ma siete ciechi o idioti?! Non avete visto che a messo su bandiera bianca?!” “Bandiera bianca?!” “Vuole arrendersi?!” “Se, se… aspetta e spera. Il Rosso non si arrende mai.” “Al massimo viene qui a rompere le scatole.”

“Piantatela di fare i bambini.” Sbottò con tono piatto la voce di Marco, passato accanto senza neanche rivolgere loro lo sguardo con le mani infilate stancamente nelle tasche dei suoi pantaloni, attirando così su di sé le occhiate di buona parte della ciurma da lui zittita che però non perse tempo a ricominciare a bisbigliare, questa volta riferendosi proprio al primo comandante della Moby.

“Ma che ha il comandante Marco?” “Già, oggi sembra addirittura irritato.” “Chissà perché…” “Ma non l’avete la testa voi? Non vi ricordate con chi era quando ha avvisato tutti in sala da pranzo?” “Con chi?” “Sveglia! Era con Momo!” “Momo chi? Vuoi dire la naufraga?” “E chi se no…” “Aaaah! Vuoi dire che il comandante Marco…?”

L’imperatore bianco vide i volti dei propri figli allargarsi in sorrisetti sornioni e compiaciuti almeno quanto il suo in quel momento, avendo sentito tutta la conversazione.

Bene bene. Altre novità in arrivo.

“E dovè adesso?” “L’ha di nuovo affidata alle cure di Penelope, ma neanche lei sembrava molto contenta di essere separata dal comandante.” “Oh-o! Quindi gatta ci cova per davvero!” “Ma non era la gallina a covare?” “È solo un modo di dire, idiota.”

Intanto, vicino a Satch e gli altri comandanti, la Fenice stava appoggiato al parapetto della nave, guardando con dovuto astio la Red Force farsi sempre più vicina. Non gli era andata giù quell’interruzione da parte del Rosso e, il fatto che sembrasse essere capitato tra capo e collo solo per infastidire con la propria presenza il babbo, non faceva che rafforzare considerevolmente il nodo che gli stringeva fastidiosamente la bocca dello stomaco.

Sbuffò più rumorosamente del solito, voltando le spalle a quello spettacolo che rischiava di fargli venire la prima ulcera della propria vita, e dirigendo gli occhi al cielo dove le stelle continuavano tranquillamente a scintillare, facendogli ritornare alla mente quella surreale situazione vissuta pochi minuti prima in compagnia della naufraga.

Nelle orecchie parve riecheggiare la voce appena sospirata e soave di Momo, mentre ripeteva insistentemente ogni più piccola parola da lui presentata e spiegata, e sullo sfondo del cielo nero sembrarono apparire due iridi dorate.

Aggrottò la fronte.

Non era normale.

 Non era normale che una persona per parlare sentisse spontaneo pronunciare interi discorsi in quel modo dannatamente dolce e melodioso.

 Non era normale che lui, non appena scorta all’orizzonte la nave del Rosso, avesse desiderato ardentemente che il tempo si fermasse solo per dargli ancora un po’ di tempo.

Tempo per capire sia lei … che lui.

Perché, soprattutto, non era assolutamente normale che lui avesse provato il forte desiderio di avvicinarsi a quella bocca vibrante tanto da poterne avvertire sulle labbra i suoni prodotti.

Merda, era l’unico pensiero che riusciva a realizzare, mentre si copriva gli occhi con una mano, covando l’inutile speranza di riuscire ad oscurare quelle immagini che continuavano però a tormentarlo.

E mentre Ace lo guardava incuriosito, ignaro dei discorsi di Satch e gli altri sull’arrivo del Rosso, Marco si ritrovò a sperare che l’imperatore riuscisse a dimostrarsi irritante anche per lui.

Almeno avrebbe impegnato la testa in qualcos’altro.

Merda.

 

Fine prima parte Atto Sesto.

Freme tutte! Non uccidetemi! Posate arpioni, cannoni, c4 e armamenti vari!

Lo so! Ho finito l’atto troppo presto e l’ho pubblicato tardi! Non ho fatto entrare in scena Roid e ne sono davvero dispiaciuta! Ma capitemi! Y-Y Non volevo farvi un torto e non è nemmeno mancanza di ispirazione! Giuro!!!

Ok. Sono riuscita ad impietosirvi?

*cicale di sottofondo*

Direi che ho fatto di peggio. Vabbè passiamo al nocciolo della questione così magari evito di venire abbattuta da uno dei vostri cecchini prima di porre le mie motivazioni e SOPRATTUTTO (alza un dito, bloccando il cecchino in apnea) le domande fondamentali che arricchiranno la seconda parte dell’atto!

*partono applausi*

Ah, la sala si è ripopolata. Bene bene.

Partiamo con raccomandazioni e ringraziamenti.

1°: L’incontro tra Momo e Roid S.S.P.M (non dico per cosa sta, fate voi. XD) ci sarà! Eccome!

2°: Ringrazio Mishka per ribadire sempre quanto le piaccia il mio stile di scrittura! ^^

3°: Ringrazio tutte voi che avete recensito, preferito, seguito questa ff, che continuerà, dando un senso alla sua esistenza! Y-Y sob, mi commuovo sempre.

Ok basta. È una ff su One piece non su 100 vetrine o chissà che soap opera.

Passiamo alle domande con le dovute spiegazioni:

1)      Volete dare un aspetto a Momo?

Breve motivazione di quest’assurda ed autolesionistica domanda: mi è stata messa una pulce nell’orecchio da HG (sì! Tu che volevi il disegno!) su un’impellente bisogno di sapere che aspetto ha la nostra Momo, ma, come dissi nel primo capitolo/atto della fan fiction, essendo una readerxPG il personaggio rimane immacolato per lasciare che il lettore (appunto reader) possa immedesimarsi nella protagonista, ma se il vostro volere è dare un aspetto preciso a questa bambolina pucciosa, io, come vostra autrice schiava (calme eh?) asseconderò i vostri desideri.

Quindi, se la risposta alla prima domanda è sì passate direttamente alla seconda:

2)      Se sì, compilate la seguente “scheda”

Occhi: colore

Capelli: colore, lunghezza, consistenza (crespi, spinosi, ricci, lisci, ondulati), frangetta o meno

Pelle: colore/ abbronzata (di quanto)

Altri segni particolari

Come vedete sono solo le cose essenziali. Per scegliere sceglierò i “denominatori comuni” per così dire, ovvero gli elementi più citati nelle vostre descrizioni, componendo alla fine l’aspetto di Momo per mettere un po’ di tutto nella descrizione.

 Ovvio che, se deciderete di darle un aspetto in maggioranza io non mi tirerò indietro e posterò poi più avanti un disegno della nostra pucciosa naufraga! X3 Ed inoltre la seconda parte dell’atto conterrà delle descrizioni fisiche di Momo più dettagliate! Che dite?

Aspetto con ansia le vostre risposte!

Bye bye!

Note di LIBRETTO: Jap  >  Ita

Anata ga tabereba hoo ga ii desu >  Sarebbe meglio se mangiassi.

Anata wa watashi yori yaseta desu  >  Sei più magra di me.

Watashi no shatsu  >  La mia camicia.

Kore wa fune desu ka?  >  Questo è la nave?

Īa, kore wa fune no hashi desu. Kore wa dekki desu  >  No, questo è il “ponte della nave”. È il ponte.

Dekki  >  Ponte (della nave)

Hōmon suru ni hitobito Akagami wa shiranai.  >  Il Rosso non sa quando far visita alla gente

 

   
 
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