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Autore: baby80    07/06/2010    27 recensioni
Questa storia è una sorta di continuazione di "André", ci pensavo da tempo e non ho saputo resistere. Oscar è sopravvissuta al 14 luglio, e dovrà affrontare la propria esistenza senza André. Racconterò di questa nuova Oscar, sbocciata in una notte piena di lucciole e appassita, improvvisamente, con la perdita del suo amore. La "mia" Oscar non è malata di tisi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono una mamma.
Chi l'avrebbe mai immaginato.
Mi sento sfinita, ogni singolo muscolo del mio essere è indolenzito.
Mi è difficile muovermi, anche il gesto più lieve è fonte di dolore, nel mio ventre.
Il sangue tra le mie gambe non accenna a bloccarsi, anche se, non è più così copioso.
Non mi debbo preoccupare, mi ha rassicurato Faustine, è perfettamente normale, mi ha spiegato.
Non mi preoccupo, ma devo dire che mi fa un certo effetto vedere questa enorme chiazza di sangue, macchiare le lenzuola bianche.
Sangue ovunque, sul letto, sulla mia bambina, tra le mie cosce.
Mi sento sporca, vorrei avere la forza per levare il dolore di poco fa, dalle mie gambe.
Giaccio sui cuscini, col sonno che tenta, con ogni mezzo, di sedurre il mio sguardo.
Vorrei cedere, vorrei dormire, ma non posso.
Non posso smettere di guardala.
Lei, mia figlia.
Faustine se ne sta occupando, la osservo mentre, con amorevoli gesti, pulisce il suo minuscolo corpicino.
È così piccola.
È perfetta.
E sana, senza ombra di dubbio, sana, solo una creaturina in piena forma può avere la forza di piangere in questo modo.
Urla con una tale potenza da far male alle orecchie.
Sorrido a questa vita colma di vigore.
Guardo al di fuori della finestra, ho perso la cognizione del tempo, dev'essere notte fonda, ma non ne sono certa.
Una frivola distrazione ed i miei occhi si posano, nuovamente, sulla piccola, il suo pianto si è placato, socchiude gli occhietti mentre Faustine le avvolge un panno tra le gambe e la posa, con delicatezza, nella culla.
La culla che fu di Alain e di Diane, il soldato Soisson ha insistito, al limite della pretesa, ch'io accettassi questo dono.
Non poteva farci un regalo più bello, non è vero piccola mia?
Una deliziosa culla, costruita con la fatica e l'amore di un padre, una semplice culla, priva di tutti quegli inutili gingilli che adornavano, invece, quella che mi accolse, il giorno della mia nascita.
Osservo questa donnina smilza avvicinarmisi, mi sorride, scosta una ciocca di capelli dal mio volto e dischiude le labbra.

“Sei stata bravissima Oscar.”
Le sorrido, con un affetto che mi è nato con prepotenza nel petto.
“Io non... io non avrei potuto farcela senza di te... io non so come ringraziarti... io...”
“Piccola, non devi ringraziarmi, è stata una gioia poterti essere d'aiuto. Faccio nascere bambini da una vita intera, e devo dire che questa bambina aveva una gran fretta di incontrare la sua mamma.”
Le sorrido e le lacrime ritornano a leccarmi le guance.
“Ora vediamo di dare una ripulita anche a te, vedrai che poi ti sentirai meglio.”
Faustine mi aiuta ad alzarmi in piedi e mi sorprende quanta forza vi sia in questa donna, all'apparenza, esile.
Sostengo il mio corpo, instabile, alla testata del letto, un capogiro mi sorprende.
Il dolore al ventre pulsa, all'unisono col mio cuore.
Faustine priva il mio corpo della veste che ancora avevo indosso, un abito chiaro macchiato di rosso, macchiato di quel sangue che sento, anche ora, scorrere lungo le cosce.
Socchiudo gli occhi abbandonando il capo dinnanzi a me, sono così stanca, eppure il tocco della benda, calda, che deterge la mia pelle sembra destare i miei sensi.
La donna mi porge una veste pulita, della biancheria, e delle pezzuole di tessuto che dovrò indossare fino a quando smetterò di perdere sangue.

“Ce la fai a rimanere in piedi ancora un attimo? Te la senti? Giusto il tempo di cambiare le lenzuola, va bene?”
“Si, certo, ce la faccio.”
Le rispondo in un soffio.
Volgo il viso, compio un paio di passi, ed osservo mia figlia dormire beatamente.
Vorrei avvicinarmi a lei, prenderla in braccio ma non vi è più forza in me, cadrei come una foglia se provassi a fare un altro passo.
Faustine m'informa d'aver quasi terminato la sistemazione del letto quando la porta della stanza da letto si spalanca, con forza.

“Madamigella Oscar!”
Ho dinnanzi Rosalie, pallida come un cencio.
“Rosalie...”
Le sorrido, ancora con le mani strette alla testata di legno.
“Oh mio Dio... Oscar, voi... Oh Dio del cielo...”
Piange, come al solito, la nostra Rosalie.
“Rosalie! Che ci fai qui? Conosci Oscar?”
“Faustine! Si, ci conosciamo da anni ma... dimmi... cosa... come...”
“Calmati Rosalie, è andato tutto a meraviglia! Abbiamo qui una bellissima signorina.”
Si porta le mani alla bocca, Rosalie, ed il pianto diviene convulso, si avvicina alla culla e la odo piangere e ridere, nel medesimo istante.
La vecchia donnina mi riconduce al letto, finalmente pulito, di nuovo candido, mi adagio su di esso con la stanchezza in ogni muscolo, felice, ma stremata.

“Madamigella Oscar, è bellissima! Guardate che piedini, e il nasino, è un amore.”
Rosalie è euforica.
“Mi dispiace così tanto di non essere stata qui per assistervi Madamigella Oscar. Alain è passato a cercarmi ma ero al lavoro.”
“Non ti angustiare Rosalie, davvero.”
Le sorrido a fatica.
Sentiamo bussare al di là della porta.

“Ehm... posso entrare?”
E' la prima volta che sento la sua voce così lieve e imbarazzata.
“Entra Alain...”
E' la prima volta che vedo Alain così turbato, mi pare di scorgerlo più piccolo di quel che è effettivamente.
“Giovanotto non stare li impalato, entra!”
Faustine mi ricorda sempre di più la cara vecchia Nanny.
“Oh, certo... io... io ho sentito piangere, potrei vedere il piccolo Grandier?”
Si gratta la testa e abbassa il viso.
“La piccola Grandier.”
Annuncio con un filo di voce.
“Una bambina? Per tutti i diavoli, André darebbe di matto se fosse qui!”
Lo dice, con la spensieratezza sulle labbra, con quella gioia che a me è ancora sconosciuta.
“Alain!”
Il rimprovero di Rosalie.
“Oscar, ti chiedo scusa, sono uno stupido.”
“Non è accaduto nulla Alain, credimi, la penso esattamente come te... Se fosse qui impazzirebbe di gioia.”
Mi rendo conto che i miei occhi stanno piangendo solo quando, una lacrima, mi si posa sulle labbra, risvegliando la mia lingua, col sapore del sale.

“Comandante, avete fatto davvero un ottimo lavoro, questa bambina è bellissima.”
Scherza, Alain, senza distogliere lo sguardo dalla piccola.
“Oscar...”
“Si, Alain...”
“Credo che abbia il tuo carattere.”
Mi dice voltandosi e fissandomi con espressione divertita.
“Davvero? E come mai questa affermazione?”
“L'ho sentita gridare! Credo che l'intera Francia l'abbia udita questa notte! Non c'è dubbio Oscar, questa bambina ha il tuo stesso caratterino! Ah ah ah ah!”
“Se solo avessi la forza di alzarmi... Ringrazia la tua buona stella Alain.”
Dico cercando di mantenere un'espressione seria, serietà che dura il tempo di un soffio, le mie risate echeggiano nella stanza.

“Sarà meglio che io vada, si è fatto tardi. È stato un piacere conoscerti, Oscar, mi raccomando cerca di riposare e per qualsiasi cosa non esitare a farmi chiamare da Rosalie, intesi?”
Mi posa una dolce carezza sul volto.
“E' stato un piacere anche per me. Grazie di tutto Faustine.”
Le stringo la mano e la guardo abbandonare la stanza.

“Bene, Alain, credo sia arrivato il momento che tu te ne vada, madamigella Oscar deve riposare.”
“Che modi Rosalie, adesso dovrò chiamare te, Comandante!”
Ride sguaiatamente il solito Alain.
“Vai via di qui Alain!”
Anche Rosalie fatica a trattenere le risate.
Si allontana da noi, quest'uomo grande e grosso, oltrepassa la soglia della camera da letto per poi farvi ritorno, un istante dopo, e domandare, con sincera perplessità.

“Oscar?”
“Si...”
“Che nome hai dato alla bambina?”
Un nome.
Non ci ho ancora pensato.
“Nessun nome per ora, Alain.”
Annuncio con un lieve imbarazzo.
“Pensaci Oscar, non potrà rimanere in eterno la piccola Grandier. E mi raccomando, niente nomi maschili!”
Lo sento camminare per la cucina e poi giù, lungo le scale, accompagnato dalle proprie risate.
Alain ha ragione, devo pensare ad un nome.
Il pianto, il suo pianto, mi distoglie dai pensieri, vedo Rosalie avvicinarsi alla culla, avvolgere la bambina in una copertina e avvicinarsi al mio letto.

“Credo che abbia fame...”
Mi posa la bambina tra le braccia, la sento piangere, la vedo agitarsi e il panico blocca ogni mio movimento.
Non so cosa devo fare.
Qualunque cosa debba fare, non so come farla.
“Rosalie io...”
Imploro, con lo sguardo terrorizzato, un cenno d'aiuto.
Con una pazienza infinita la piccola Rosalie mi spiega come nutrire la mia bambina.
Annuisco alle sue spiegazioni donandole un sorriso.

“Vi lascio da sola Madamigella Oscar, sarà nell'altra stanza, se avete bisogno chiamatemi. Buonanotte.”
“Buonanotte Rosalie e... grazie.”

Rimango sola con mia figlia, respiro profondamente e cerco di mettere in pratica le parole appena udite da Rosalie.
Faccio scivolare oltre la spalla, e poi giù lungo il braccio, la mia veste, lasciando scoperto il mio seno, gonfio.
Volto la bambina verso il mio petto, avvicino il suo visino, rosso per il pianto, al mio seno.

“Shhhh piccolina... non piangere.”

Compio innumerevoli movimenti, ma la bambina sembra non volerne sapere di attaccarsi al seno.
Respiro profondamente e tento nuovamente.
Con una mano le cingo il corpo, avvicinandolo, delicatamente al mio petto.
Poso l'altra mano attorno al mio seno, cercando, con la goffaggine di una giovane madre, di placare mia figlia.
Tento di trovare un contatto, sfiorando, col capezzolo, la boccuccia della bambina e, con immenso stupore sento, inaspettatamente, le sue labbra chiudersi attorno.
Guardo le sue labbra carnose succhiare con avidità.
Sento, attorno al mio capezzolo, la sua lingua e la sua bocca bere con forza.
Provo una sensazione che mi è difficile spiegare, un amore smisurato e la consapevolezza d'essere indispensabile, per la sua vita.

“Ahi..”
La dolce sensazione al seno diviene, senza preavviso, un delizioso supplizio.
La piccola mi infligge innumerevoli pizzicotti, il capezzolo mi duole ma non ho cuore di staccarla.
Attendo senza smettere di guardarla.
Attendo fino a quando, sfinita, si addormenta con le labbra ancora poggiate alla mia pelle.
Ed eccoci qui, noi due sole, io e la mia bambina.
La mia bambina.
La nostra bambina, non è bellissima André?
Osservo la sua carnagione rosata, la sua pelle così morbida.
Guardo le sue guance paffute, le sue labbra rosse e piene, il naso, piccolo e rotondo.
Carezzo la sua testa, ricoperta da una leggera peluria.
La osservo e mi pare di vedere i tratti di André, nel taglio degli occhi, nella delicata e quasi impalpabile forma delle sopracciglia.
Si, non vi sono dubbi.
Sorrido di questa nuova scoperta.
Sorrido chiedendomi quale sarà il colore dei suoi occhi, ancora celati da un velo scuro.
Avrai preso l'azzurro del cielo o il verde dello smeraldo?
Avrai lo sguardo della tua mamma o quello del tuo papà?
Guardo questa creaturina, questa vita che è al mondo per merito mio, ma ancor di più per merito di suo padre.
Se il tuo papà non mi avesse amata con una tale intensità, per tutti questi anni, tu non saresti tra le mie braccia, ed io sarei sola.
Sola senza un cuore.
Sola senza l'amore.
Sola senza di te, piccola mia.
Ma non lo sono, grazie ad André, non lo sono.
Grazie a lui ho compreso il mio cuore, grazie a lui ho scoperto l'amore, il suo ed il mio.
Grazie a lui ho avuto te, e tu hai dato un senso alla mia vita.
Questa vita che, in un certo qual modo, sarà sempre dura, non vi sarà giorno in cui io non sentirò la sua mancanza, non vi sarà giorno in cui, il mio cuore a metà, urlerà il proprio dolore, ma avrò te, ed in te rivedrò lui.
In te, piccola, rivedrò tuo padre.
Oh, André, se solo potessi vederla, se solo potessi vedere cosa abbiamo fatto.
Come vorrei averti accanto.
Come vorrei  poterti guardare con nostra figlia tra le braccia.
Come vorrei potermi perdere nel tuo sguardo, in quei bellissimi occhi verdi che splenderebbero guardando la nostra bambina.
Come vorrei poter dire, a parole, quell'amore che nutro per te, anche adesso, oltre la morte.
Come vorrei poterti dire mille volte ti amo.
Ti amo André, per ogni volta che hai placato le mie lacrime, da bambina.
Ti amo per ogni sorriso, ed ogni rimprovero, che mi hai donato.
Ti amo per tutte le volte che mi sei stato accanto, come un ombra, per proteggermi.
Ti amo per ogni volta che hai creduto nel mio amore spaventato.
Ti amo perché hai svegliato la donna che era sopita in me.
Ti amo perché mi hai amato dal primo giorno, nel bene e nel male.
Ti amo perché hai amato di me il bello e il brutto, il buono e il cattivo.
Ti amo perché mi hai insegnato ad amarti.
Ti amo perché mi hai donato lei.

“Ti amo André.”
Sussurro senza vergogna, a questa stanza vuota.
Un sussurro che si posa sulla mia bambina, destandola.
Muove le braccia, stringe la manine in delicati pugni e mi guarda, con quegli occhioni scuri, che ancora mi nascondono il loro colore.
Avvicino il mio viso al suo, inspiro il suo profumo, odoro l'aroma della sua pelle.
Mi avvicino al suo volto e le poso, sulle labbra, un leggerissimo bacio.
Un bacio che ne richiama subito un altro, ed un altro, e un altro ancora.
Bacio le sue piccole mani, i suoi altrettanto piccoli piedini.
Bacio la sua testa, il suo naso, le guance morbide.
Lascio, su ogni centimetro della sua pelle, i miei baci.
Si può amare così prepotentemente al primo sguardo?
Si può.
Io la amo di già, la amo più di qualsiasi altra cosa a questo mondo.
La amo perché è parte di me, la amo perché è parte di André, la amo perché è la purezza del nostro amore.
Ci guardiamo e sui nostri volti vi nascono espressioni interrogativi.

“Sono la tua mamma, piccola.”
Le dico sorridendole.
La guardo e penso che non potrò chiamarla piccola in eterno.
“Hai bisogno di un nome, piccola.”
La scruto cercando di scorgere, in lei, una sorta di rivelazione.
Sono impreparata ad un compito tanto arduo, durante i 9 mesi non ho mai pensato seriamente a dei nomi, cerco di pensare a quelli che sarebbero piaciuti ad André, ma non rammento, nei nostri discorsi, questo tipo di informazione.
Non vi è stato il tempo, tra noi, di palesare il desiderio di un figlio, tanto meno dei nomi che ci sarebbero piaciuti.
Guardo la mia bambina, posandole addosso, come soffi di respiro, i più svariati nomi.
Claude.
Julie.
Cécile.
Adèle.
Nessuno pare adatto al suo volto.

“Riuscirà la tua mamma a trovarti un nome?... che ne dici piccola... che ne dici... Marianne.”
Marianne.
Si, eccolo.
“Benvenuta... Marianne Isabeau Grandier.”




Arras - 13 luglio 1793


“Marianne per l'amor di Dio non ti rotolare così nell'erba!”
“ah ah ah ah”
“Oh signore, Marianne, no! Ti farai male!”
“Uuuuuuuuuh... ah ah ah ah... uuuuuuuuuuuuuh”

Sorrido osservando la vecchia Nanny affannarsi per rincorrere mia figlia.
Mia figlia, la guardo e in lei rivedo me e suo padre.
La guardo correre tra l'erba, da lontano, osservo il vento scompigliarle i deliziosi riccioli scuri che le incorniciano il viso.
Una piccola parte di me e di suo padre.

“La senti tua nonna, André? Non è cambiata in questi anni, è sempre la stessa. Marianne la fa diventare matta, non ne vuol sapere di comportarsi come una signorina, in questo deve aver preso da me! Ah ah ah.”

Siedo sull'erba, accanto alla croce bianca che sovrasta una piccola vallata di Arras.
Una piccola croce bianca su cui vi è inciso un nome ed una data.
Il suo nome.
André Grandier.
Siedo accanto a quella che è divenuta la dimora del mio unico amore, siedo accanto al suo spirito, con un caldissimo sole a baciarmi la pelle.
Siedo sull'erba con la serenità nel mio cuore a metà.
Siedo sull'erba conversando con lui, come se fosse qui, presente, al mio fianco.

“Marianne! Adesso basta!”
“Signora, non vi agitate, ci sono io con lei.”
“Alain! Disgraziato, non ti ci mettere anche tu! Alain, non farla correre!”

Rido, fin quasi alle lacrime.
Rido di Nanny che deve combattere contro Marianne, una personcina che ha, in sé, ciò che eravamo io e André, da bambini.
Due piccole pesti, due piccoli ribelli.
Rido di Alain che pare essere ritornato bambino, con lei.

“Guarda il tuo amico, André, il grande e grosso Alain, più che uno zio, per Marianne, sembra un fratello, un compagno di giochi.
Non fanno che giocare insieme, e lui le ha insegnato una serie infinita di boccacce, per la gioia di tua nonna! Ah ah ah.
In fin dei conti, però, Alain le vuole un bene dell'anima, credo che in lei riveda Diane, e Marianne impazzisce per lui.”

“Mamma!”
La vedo correre verso di me, con le braccia aperte e un enorme sorriso sulle labbra.
La guardo avvicinarsi avvolta nel suo abitino bianco sporcato d'ogni macchia possibile.
Sorrido quando il suo abbraccio, impetuoso, ci fa precipitare all'indietro.
Giaccio sull'erba di schiena, con Marianne sopra di me, le braccia attorno al mio collo e il suo visino a pochi centimetri dal mio.
Ride come una matta.
Ci mettiamo a sedere e lei mi porge qualcosa.

“Ho accolto un fioe.”
Mi dice con la sua parlata incerta.
“Hai raccolto una bellissima margherita Marianne!”
Mi sorride.
“Magheita!”
Le sorrido trattenendo una risata.
“Senti, Marianne, vuoi regalare questo bellissimo fiore al tuo papà?”
“Oh, si, si!”
Mi sorride, si alza dall'erba, compie un paio di passi e poggia, alla base della croce, il suo fiorellino.
La guardo posare un buffissimo bacio sul legno, tra le parole incise, e poggiare, poi, la testina sulla croce, stringendola tra le mani, in uno strano abbraccio.
Mi si stringe il cuore.
Continuo a guardare quello che è divenuto un rituale, per la mia bambina, qualcosa di “normale” nella sua insolita vita.
La guardo allontanarsi di pochi passi dalla croce, voltarsi di nuovo verso di essa, e salutare con la manina.

“Ciao papà!”
Le sento gridare.
La sento ridere e poi scappar via, di nuovo tra le mie braccia.
Osservo il suo volto.
Osservo i suoi occhioni, che pochi giorni dopo la sua nascita mi hanno rivelato il loro colore.
Osservo, con emozione, i suoi bellissimi occhi verdi, un piccolo dono di suo padre.
Guardo la sua pelle, candida come il latte, le sue labbra, piene, così simili alla mie.
Le carezzo le gote, rosse, per il troppo calore di questa giornata di luglio.
Mi guarda, la mia Marianne, mi sorride ed il cuore mi si allarga di quell'amore che non ha confini.
Mi sorride e rivedo il dolce sorriso di suo padre.
L'abbraccio stringendomela al petto e lei, la mia piccolina, risponde al mio amore, poggiando la testa sulla mia spalla e stringendosi, a sua volta, al mio corpo.
Rimaniamo unite per un tempo che pare infinito, fino a quando, l'impazienza della sua età si fa sentire.

“Uhm... io vado dallo zio Alain.”
Mi annuncia seria seria.
“Comportati bene con lui, mi raccomando.”
Annuisce col capo e si allontana in direzione di Alain.
Torno a conversare con André, una consolazione che concedo al mio cuore un paio di volte all'anno, quando veniamo quassù.
Nessuno sembra stupirsene, non più almeno.

“Diventa ogni giorno più bella, la nostra Marianne. Sono felice che abbia preso i tuoi occhi, è come se tu fossi ancora qui con me, ogni volta che poso il mio sguardo nel verde dei suoi occhioni.”
Socchiudo lo sguardo e respiro il calore di questa estate.
Odo la vocina di Marianne tra le risate di Nanny e Alain, la guardo fare la buffona tra loro due.

“La vedi André, nostra figlia? Ha compiuto 3 anni e si sente già una donnina. È caparbia, ribelle, estremamente intelligente, forse troppo per la sua età, ma sa essere anche dolcissima e riflessiva. Saresti orgoglioso di lei. Ti somiglia così tanto, ogni giorno di più.”

Cammino, lentamente, verso quella che è divenuta la mia famiglia.
Li scruto, in silenzio.
Nanny distende una tovaglia sull'erba, è quasi ora di pranzo.
Marianne attira Alain verso di sé, gli sussurra qualcosa all'orecchio e insieme, poi, si distendono sotto le fronde di un albero.
Mi avvicino ai due, senza farmi scorgere, li osservo rimanendo in disparte.

“Ancora Marianne?”
La voce di Alain, stupita.
“Si, zio Alain, accontamela ancoa, ti pego!”
La vocina di Marianne, supplicante.
“Eh va bene... piccola furbetta... C'era una volta, tanto tanto tanto tempo fa, una bambina che viveva in una grande casa, questa bambina aveva tantissimi riccioli come i tuoi, ma di un diverso colore, i suoi erano biondissimi! La bambina bionda era sola e il suo papà decise che avrebbe dovuto avere un compagno di giochi, così un bel giorno arrivò nel grande palazzo un bambino, un dolcissimo bambino con dei bellissimi occhi verdi, come i tuoi...”
“Il mio papà, il mio papà!”
“Si, Marianne, il tuo papà... vogliamo continuare la storia?”
“Si, si!”

Quasi non mi accorgo delle lacrime che mi scivolano sulle guance, delle lacrime lontane, amare, che di tanto in tanto scavalcano i miei occhi.
Provo una fitta al cuore nel vedere l'amore di mia figlia, per quel padre che non ha mai conosciuto con gli occhi, ma che ha imparato a conoscere, negli anni, attraverso le mie parole e quelle di coloro che l'hanno incrociato nella propria vita.
Provo un piccolo dolore nel guardare la nostra Marianne, stringere, tra le mani, un'ormai sgualcita camicia.
Quella camicia che l'ha avvolta, il giorno della sua nascita.
Quella camicia che ci ha protette durante la gravidanza.
Quella camicia che fu di suo padre.
Quella camicia che ora, è divenuta parte di lei.
Quella camicia da cui non si separa mai.
Guardo mia figlia che ha, in sé, un po' di me e un po' di André.
Guardo Marianne e vedo il nostro amore, fuso, in piccoli particolari di noi due.
Guardo Marianne e ringrazio Dio d'avermi donato questa vita.
Guardo nostra figlia e non posso far altro che ringraziarti, André, per avermi amata.
Ti ringrazio, André, per avermi insegnato ad amarti.
Ti ringrazio, André, perché potrò amarti ogni giorno, da qui all'eternità, guardando nostra figlia, nei tuoi bellissimi occhi verdi.


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Ed eccoci qua.
Ed eccoci giunti alla fine!
Alla fine di questa storia che è stata particolarmente difficile per me, questa storia che è nata così semplicemente nella mia testa, inizialmente, ma che si è complicata col passare del tempo.
Non fraintendetemi, ho amato e amo tutt'ora questa storia, l'ho scritta con piacere, ma è stata dura scrivere di qualcosa che non conoscevo.
È dura per me scrivere di ciò che non conoscono, di cose che non ho provato sulla mia pelle, ed in questo caso si tratta di gravidanza, non sono una mamma e quindi è stato complesso esprimere a parole delle sensazioni sconosciute.
Mi sono documentata parecchio ed ho attinto dalla mia vita, ho cercato di ricordare le gravidanze di amiche e parenti eheh
Quando ho iniziato a scrivere questa ff sapevo che sarebbe stata difficoltosa ma soprattutto incomprensibile per alcune di voi, alcune di voi che, giustamente, non contemplano una storia senza André.
Sapevo che questa storia avrebbe suscitato dei sentimenti contrastanti in voi, ma ho deciso di iniziarla perchè non mi è stato possibile ignorarla (le solite vocine nella mia testa eheh).
Durante questa “attesa” ho incontrato dei momenti di sconforto, dei momenti duri, in cui ho pensato seriamente di mollare la storia (ho il brutto vizio d'essere molto critica con me stessa), ma alla fine sono andata avanti, grazie anche alle vostre parole di incoraggiamento.
In particolare vorrei ringraziare Arte, le sue parole mi sono state di grande aiuto, parole a cui tengo molto.
Vorrei ringraziare tutte quante, tutte quelle che hanno lasciato recensioni e quelle che hanno semplicemente leggo.
Vi ringrazio perchè avete trascorso con me questo nuovo percorso, andando magari contro i vostri “gusti”, leggendo una storia che non comprendeva la presenza fisica di André.
Spero che il viaggio, anche questa volta, sia stato piacevole.
Grazie, infinitamente grazie a tutte voi.
Come sempre vi lascio un doveroso inchino.
Baby80
  
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