EPILOGO
Pegasus camminava con Lamia nel giardino dell’orfanotrofio
St. Charles, sorridendo rilassato e prendendo in giro l’amica di infanzia per i
suoi buffi codini. Sereno e scanzonato com’era solito essere. Come non era da
parecchio tempo.
Lamia era stata molto in pena
per lui, negli ultimi mesi in cui l’aveva frequentato, perché, essendo il
ragazzo sotto l’effetto del Talismano della Dimenticanza, si era sentita
impacciata nel parlargli, sapendo di celargli qualcosa di molto importante per
lui. In seguito l’aveva visto di meno e aveva trascorso molte notti insonni a
pregare davanti alla sua foto e a chiedersi in quale luogo della Terra, e
contro quale nemico, Pegasus stesse combattendo. Per lei, e per tutti gli
uomini.
“Vieni, Pegasus!” –Gli disse
improvvisamente, prendendo il ragazzo per mano e conducendolo via, lungo la
strada che portava al porto di Nuova Luxor, mentre Smarty, Sancho e gli altri
bambini li salutavano a gran voce.
“Ma quando vi mettete insieme?!”
–Scherzò Smarty, che tanto avrebbe voluto Pegasus come fratello maggiore.
Trovarono Patricia sotto casa di
Pegasus, alla Darsena, intenta a parlare con Kiki, che le stava raccontando le
loro ultime avventure, illustrandole con simpatiche smorfie.
“Non le avrai nascosto quando ti
sei fatto la pipì addosso?” –Ironizzò Pegasus, a cui Kiki rispose subito con
una linguaccia.
“Pegasus, non sono più un
bambino! Adesso sono un uomo!” –Rispose il fratello di Mur, mentre Pegasus,
Patricia e Lamia scoppiavano a ridere. Sotto un cielo terso e solcato da
bianchi gabbiani.
Da un’altra parte del porto,
nella zona riservata allo scalo delle grandi imbarcazioni, un giovane
dall’accento scozzese supervisionava le attività di carico sul mercantile della
Grande Fondazione, controllando che tutte le casse venissero imbarcate. Quella
volta, i rifornimenti per l’Isola del Riposo dovevano essere abbondanti.
“Tutto procede per il meglio,
Milady!” –Esclamò il giovane, rivolgendosi alla fanciulla dai lunghi capelli
viola.
“Stai facendo un ottimo lavoro,
Cliff!” –Commentò Lady Isabel con un sorriso, prima di incamminarsi
verso Andromeda e Phoenix, in piedi sulla banchina, per scambiare
un ultimo saluto, mentre nuove casse venivano issate a bordo della Nike.
“Strano nome per una barca, non
trovi Andromeda?” –Esclamò Phoenix, voltandosi verso suo fratello, che ci pensò
un po’ su, prima di rispondere.
“No, in fondo!” –Sorrise
Andromeda. –“Nike ci ha sempre portato fortuna, e ci ha protetto fin
dall’inizio della nostra avventura! Meritava di essere ricordata anche lei!”
Lady Isabel si accostò ai due
fratelli, abbandonandosi a qualche raccomandazione nei confronti di Andromeda,
il quale, sebbene fosse cresciuto, era per lei sempre lo stesso ragazzo
sensibile che avrebbe preferito ferire se stesso piuttosto che un nemico.
“Porta i tuoi saluti a Nemes!”
–Esclamò la ragazza.
“Non mancherò!” –Sorrise lui,
prima di voltarsi verso il fratello ed abbracciarlo.
Aveva deciso di ritornare
sull’Isola di Andromeda, per prendersi cura di Nemes e per dirle quanto
l’amasse. E in cuor suo, per quanto in parte gli suonasse strano, avrebbe
voluto che anche Phoenix avesse qualcuno da cui tornare.
Sirio era partito prima di tutti, assieme a Cristal e
Fiore di Luna, diretto verso i Cinque Picchi, dove, grazie all’antidoto
consegnatogli da Mur, avrebbe estirpato quel che restava della rose di rabbia,
ponendo definitivamente fine a quella vicenda.
Il Cigno lo aveva accompagnato
dalla Grecia fino in Cina, che non aveva mai avuto occasione di visitare, prima
di proseguire per la Siberia, dove Jacob, Katia e gli altri abitanti lo
aspettavano presso il villaggio di Kobotec. E dove avrebbe potuto sedere alla
tomba del suo mentore, il Maestro dei Ghiacci, per ringraziarlo di averlo
avviato sulla strada che lo aveva condotto fin lì. E dove avrebbe pregato per
sua madre, rimirando le eterne superfici del mare ghiacciato ove riposava.
“Non tornerai ad Asgard?” –Gli
avevano chiesto Andromeda e gli altri, al momento di separarsi.
“Lo farò! Ma non adesso!” –Aveva
risposto Cristal. –“Voglio lasciare un po’ di tempo a Flare… per pensare a se
stessa… a cosa vuole realmente!”
Andromeda aveva sorriso,
riflettendo su quanto l’amico fosse cambiato, su quanto tutti fossero cambiati,
da quando si erano ritrovati, dopo sei anni di duro addestramento, intorno al
ring del Palazzo dei Tornei. Sembrava passata un’epoca, invece era soltanto l’anno
prima.
La voce di Cliff O’Kents
disturbò i pensieri di Andromeda, riportandolo sulla banchina, a salutare il
fratello che avrebbe accompagnato Atena sull’Isola del Riposo.
“Siamo pronti per partire!”
–Esclamò il giovane.
“Molto bene! Grazie Cliff!” –Annuì
la donna, prima di voltarsi verso Andromeda e abbracciarlo. In parte restia ad
abbandonare Nuova Luxor.
Phoenix e Andromeda si
scambiarono un breve cenno con lo sguardo, prima che il ragazzo dai capelli blu
si incamminasse, con le mani in tasca, lungo la passerella che conduceva sulla
Nike. Lady Isabel lo seguì poco dopo, fermandosi un attimo prima di salire a
bordo, quasi come aspettasse di vederlo arrivare di corsa, tra i capannoni del
porto, per darsi un ultimo saluto.
Ma non arrivò nessuno. E il
comignolo della nave sbuffò più volte, mentre Isabel poggiava il piede sul
ponte di comando, e la passerella alle sue spalle veniva ritirata. La nave
salpò all’istante, uscendo dal porto di Nuova Luxor, diretta verso l’Indocina,
alla nuova base petrolifera che Mr Newcomber vi aveva impiantato, e poi verso
il Mediterraneo.
Pegasus, seduto in cima al molo,
con Lamia e Patricia, la osservò scomparire in lontananza, abbandonandosi ad un
sospiro.
“A presto, Isabel!” –Mormorò.
–“Abbiamo ancora tante cose da dirci, molto di cui parlare!” –E ripensò a
quando, una decina di giorni prima, l’aveva aggredita alla Tredicesima Casa.
Ma, come Ioria gli aveva ricordato, la rosa di rabbia non aveva inventato
niente, limitandosi ad estremizzare sentimenti latenti nell’animo di ognuno. E
Pegasus sapeva cosa voleva dire. Ciò che aveva trovato il coraggio di ammettere
durante lo scontro con Orochi. L’amore che provava per lei. Per la sua Dea.
Un amore profano, un amore
disperato. Un amore umano.
Lo stesso amore che anche Asher
dell’Unicorno aveva accettato, ben sapendo che non vi era posto per lui. E
che Isabel lo avrebbe sempre visto come uno dei suoi più fedeli e cari
Cavalieri, ma niente di più. Quella consapevolezza, per quanto lo rattristasse
di frequente, aveva contribuito a farlo crescere e a farlo sentire meglio con
se stesso.
Unicorno rimase al Grande
Tempio, vivendo con i soldati semplici nelle residenze a loro assegnate e
allenandosi continuamente. Non più per compiacere la donna che per lui era
stata tutto. Ma per sé. Per migliorare ancora.
Si scontrava spesso con Tisifone
del Serpentario, nell’arena del Grande Tempio, in brevi ma intensi incontri
in cui la donna voleva saggiare le sue capacità difensive e aiutarlo a coprire
le sue mancanze, notando quanto il ragazzo fosse migliorato da quando avevano
combattuto assieme contro Sterope e Flegias, davanti alla Casa di Ariete.
Il Cavaliere di Libra aveva deciso di non tornare ai Cinque Picchi. Dopo due
secoli trascorsi seduto vicino a una cascata, voleva godersi quella vita che in
passato aveva dovuto sacrificare in nome di uno scopo più grande. Inoltre,
riteneva che Sirio avesse diritto a trascorrere del tempo con Fiore di Luna. Si
stabilì quindi alla Settima Casa, aiutando Ioria e Asher nell’opera di
ristrutturazione del Grande Tempio. E Mur e gli altri Cavalieri furono felici
di saperlo vicino.
Pavit ritornò ad Angkor assieme
a Tirtha, e il Cavaliere di Virgo andò per un breve tempo con loro, per
celebrare Dhaval e aiutare i discepoli a riparare i danni subiti dall’antico
santuario, decisi a preservarne lo splendore e il valore spirituale.
“Ciò che va fatto è meglio farlo
bene, perché non ci si penta!” –Esclamò il giovane dai capelli fulvi,
sorridendo al maestro, che colse subito la citazione di Buddha.
Ioria del Leone incontrò finalmente Reis di Lighthouse, la ragazza
dagli occhi blu che lo aveva ammaliato quindici anni prima, sotto il sole
d’Egitto. Una scottatura, come l’aveva definita, che non era mai guarita.
“Né voglio che guarisca!”
–Commentò, stringendola sulla riva del mare, in una piccola baia sull’Egeo.
Reis lo lasciò fare, felice per
essersi infine unita a lui, e lo baciò, mentre gli ultimi raggi del tramonto
greco sorridevano loro.
Gli stessi raggi che Castalia
dell’Aquila e Phantom dell’Eridano Celeste, seduti sotto un albero
ai piedi del Monte Olimpo, videro illuminare il gregge che Deucalione stava
conducendo all’ovile, dopo un’altra giornata di pascolo. Abbracciati,
finalmente insieme, mentre il vento della sera smuoveva l’erba e i fiori attorno,
il cui odore stuzzicò il naso della Sacerdotessa, priva ormai della maschera
che intrappolava la sua femminilità. E libera di guardare con i suoi occhi
l’uomo che amava.
Giorni prima Phantom aveva
seppellito il corpo di Teria nel campo dietro casa, dove Elena e Deucalione
avevano pianto per la figlia che non avevano mai conosciuto. La figlia che
sarebbe comunque rimasta nei loro cuori.
“Come non ho mai abbandonato la
speranza di ritrovarti in vita, non la abbandonerò adesso di ritrovarti in
morte!” –Aveva sospirato Phantom, sollevando poi lo sguardo verso la cima del
Monte Sacro.
Il cosmo di Zeus,
ripresosi grazie alle cure di Demetra e alle premure di Era e Ganimede, era
tornato a splendere come vivida fiamma, invadendo di nuovo l’intera collina e
permeandola di quell’infinita primavera che lasciava sempre a bocca aperta ogni
visitatore che vi si recava per la prima volta. In gran segreto, inoltre,
poiché Era paventava la possibilità di un’altra guerra, il Dio dell’Olimpo
aveva ordinato a Ermes di volare in Sicilia e chiedere a Efesto di mettersi al
lavoro quanto prima, nella ricostruita fornace che Tifone aveva distrutto al
momento della rinascita.
“Mio Padre si sta facendo
prudente! Preferisce fare buona scorta di armi e di fulmini!!” –Commentò l’operoso
Efesto.
“O si sta semplicemente
preparando all’ultima guerra?!” –Mormorò il Messaggero degli Dei, con un
sospiro, prima di volare via.
Marins aveva finalmente visitato il santuario del Sole d’Egitto,
camminando a braccetto con il possente Amon Ra, ben lieto di mostrargli lo
splendore dell’arte antica e offrirgli in seguito un sontuoso banchetto di
tipiche specialità locali, alla presenza di Osiride e dei soldati dell’Esercito
del Sole.
Febo li seguiva nei corridoi di Karnak, sorridendo alla vista del
padre, socievole e sereno, lo stesso di cui sua madre si era innamorata
millenni addietro. Iside era al suo fianco, protettiva nei suoi confronti
com’era stata fin da quando era nato, scortati a vista da Horus, il Dio del
Falco, che non perdeva occasione per chiedere a Febo di restare, di trattenersi
ancora in quella che era anche casa sua.
Febo cercava di evitare il
discorso, poiché sapeva che non era quello il suo destino. Non era quello il
luogo ove la sua storia avrebbe trovato conclusione.
Jonathan ritornò a Isla del Sol, sul lago Titicaca, con Andrei,
dopo una breve, e riservata, conversazione che quest’ultimo aveva avuto con
Avalon. Non seppe mai cosa si erano detti, ma era certo che riguardasse
l’ultimo Talismano. Quello che ancora mancava all’appello.
Il Comandante Ascanio,
rientrato in Inghilterra, stava osservando la cittadina di Glastonbury
sprofondare in un fresco tramonto settembrino. Dall’alto del Tor, proprio da
dove l’aveva guardata un’ultima volta mesi addietro, prima di partire per la
Grecia, dopo che Zeus aveva risvegliato la Legione Dormiente.
Ma quel giorno non era solo, ma
circondato da tanti compagni, amici con cui aveva condiviso la vita. Amici con
cui aveva seguito un percorso comune.
Adesso, di tutti loro, non era
rimasto niente. Uccisi dai berseker di Ares, schiacciati o inceneriti da
Tifone, massacrati dalle ombre e dai seguaci di Flegias, erano caduti per
difendere la Terra. Quella splendida verde terra che si apriva sotto di lui.
“Gwynn!” –Mormorò Ascanio,
ricordando l’amico che aveva personalmente addestrato. E sollevò un fiore di
biancospino, osservandolo volare via, perdersi nel vento della campagna inglese
e non tornare più.
Anche la sua vita, in fondo, era
cambiata. Per quanto questo non lo stupisse più di tanto, abituato a bruschi
cambiamenti di rotta. Capace, come lo aveva definito una volta l’Antico, di
seguire il vento.
Sospirando, Ascanio discese il
Tor sull’altro versante, addentrandosi nelle nebbie che invadevano perennemente
quella regione. Un territorio sacro, il cui accesso era celato ai più, e che
soltanto i druidi e le Sacerdotesse potevano percorrere senza timore. Un
percorso di silenzio che conduceva al lago.
Espanse il proprio cosmo,
entrando in sintonia con la natura che lo circondava e percependola, in un
istante solo, dentro di sé, con tutta l’ineffabile potenza di cui sapeva farsi
carico. Con tutto quel mistero che in quelle terre era racchiuso.
Una barca arrivò pochi istanti
dopo, ma così intensa era la concentrazione dell’uomo che non udì nemmeno il
rumore del remo che la spingeva. Vi montò sopra, ancora avvolto nei suoi
pensieri, ancora intento a nutrirsi dell’energia spirituale di quel luogo.
Soltanto quando scese dalla barca, mettendo piede sul pontile di legno
dell’isola, aprì nuovamente gli occhi, conscio di essere al di là delle nebbie.
Conscio di essere finalmente ad Avalon.
Si incamminò lungo il sentiero
che correva attorno al colle più alto dell’isola, il cui silenzio era rotto
soltanto dalle campane del Tor, che suonavano sull’altro lato del lago, retaggi
di un mondo che adesso appariva lontano, giungendo infine al tempio dove aveva
completato l’addestramento. Al tempio dove era stato iniziato ai misteri,
stipulando un patto con Avalon, simboleggiato dai serpenti intrecciati tatuati
sulle braccia.
“Benvenuto Ascanio Pendragon,
figlio dell’Isola Sacra, Cavaliere della Natura e Comandante dei Cavalieri
delle Stelle!” –Esclamò la voce del suo maestro, seduto su un trono di legno al
centro del modesto edificio, illuminato solo da candele sparse. –“Bentornato a
casa!” –Aggiunse, mentre Ascanio si inchinava in segno di rispetto.
“Sono lieto di rivedervi,
maestro!” –Commentò il giovane.
“La lontananza non lo ha reso
certo meno educato!” –Commentò allora il Primo Saggio, seduto in ombra sull’altro
lato della stanza.
“Ma ha aumentato il suo dolore!”
–Sentenziò Avalon, scrutando a fondo nell’animo di Ascanio. –“E forse anche il
mio!”
“La scoperta della Cintura
dell’Arcobaleno non può che giocare a nostro favore!” –Intervenne l’Antico.
–“Adesso conosciamo l’ubicazione di tutti i Talismani!”
“Di tutti?!” –Si stupì Ascanio.
–“Credevo ne mancasse ancora uno, il settimo!”
“Esso si trova al sicuro! Nel
luogo più sicuro dell’intera Terra!” –Rispose Avalon con voce ferma. –“Anche se
forse non è proprio il termine adatto per definirlo!” –E rise per la prima
volta, stupendo il figlio del Drago.
“Come valuti il loro operato?
Non credi che i Cavalieri delle Stelle si siano comportati bene?” –Chiese
l’Antico.
“Come prova generale non posso
che essere contento!” –Commentò Avalon, prima di mandare a chiamare alcune
sacerdotesse. Il suo allievo aveva bisogno di lavarsi e di curarsi, per essere
riposato e pronto per le battaglie future. Sospirò, mentre una raffica di vento
fece vibrare l’intera collina dell’Isola Sacra, avvolgendola per un attimo
sotto un manto di gelo.
Un vento che veniva da
settentrione e che anticipava l’arrivo dell’inverno.
© Aledileo
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