Era
stato come un lampo a ciel sereno.
Quel gesto mi aveva colpita profondamente. Come quando prendi una
pallonata in
pieno viso, ecco poteva essere così.
Solamente che la mia di pallonata era molto, ma molto, ma molto
piacevole.
Tenevo in mano quel foglio tremante, avevo paura di romperlo o di
spezzare le
sue dolci note solo guardandolo.
Ce l’avremmo fatta anche senza prove, era sicuro,
perché il talento non si crea
provando, però la mia paura era che non avrei cantato come
lei se lo era
immaginato. Che avrei rovinato come al solito quel suo gesto.
La mia goffaggine era infinita e per quanto potesse essere simpatica a
volte la
temevo tremendamente.
La mia voce e le note si intrecciavano da sole, senza sforzi, creavano
una
melodia unica.
La folla era in delirio, c’era chi piangeva, chi urlava, chi
faceva segno di
strapparsi i capelli.
Sorridevo o quasi ridevo mentre cantavo, perché la
felicità che avevo dentro
era come un vulcano, si preparava ad uscire.
Amavo dormire, ma quella mattina mi ero svegliata prima per pensare a
cosa
potevo fare a quella mia amica così speciale, quella
così importante.
Scartai subito le idee banali e sempliciotte, amavo le cose in grande e
a volte
pacchiane se così si poteva dire.
Non sapevo se ciò che mi veniva in mente potesse piacergli.
Non mi era passato neanche per la testa di scrivere una canzone,
chissà come
mai.
Scese dal palco le saltai letteralmente addosso facendola barcollare.
Il concerto era stato favoloso, probabilmente il più bello,
proprio perché lei
mi aveva fatto quella sorpresa enorme. Mi aveva riempita di gioia
così tanto
che non avrebbe neanche capito quanto.
Sorrisi a Gianlu e Marghe, come per ringraziarli di aver tenuto il
gioco ad
Ary.
«Voi non sapete quanto amo le sorprese!», gridai
nei corridoi dietro le quinte
saltellando e muovendo le braccia.
Passavo seguita da loro tre in mezzo a collaudatori e preparatori che
ci
seguivano ovunque.
«Forse, Socia, tu lo sapevi, visto che me l’hai
fatta, e anche grande», dissi
girandomi e guardandola mentre camminavo all’indietro.
Lei rideva, rideva tantissimo, le brillavano gli occhi. Forse si stava
congratulando per ciò che aveva fatto, per avermi resa
felice.
Ora io cosa potevo fare per augurarle tanti altri anni così?
Dovevo trovare
qualcosa di importante, che gli ricordasse sempre che io ero con lei e
che non
si sarebbe mai e poi mai scollata una come me di dosso.
Le idee sfumavano come al solito.
Finito il concerto ci fiondammo alla nostra Porche.
Stavo quasi per entrare al posto di guida come una scheggia quando mi
fermai e
mi girai sorridendo verso di lei, tranquilla.
«Vuoi guidare tu?» Intanto nella mia testa speravo
con tutto il cuore che
dicesse di no.
«Stai sperando che dica di no. Comunque guida tu,
tranquilla.»
«Oh cavolo, mi sgami sempre. Sicura? »
«Sicurissima, c’è bisogno di te per la
mia fame.»
«Allora ho proprio quello che fa al caso nostro.»
Saltellai per poi entrare in
macchina.
Almeno alla cena avevo pensato, l’avrei portata nel
ristorante sulla nave. Io
lo adoravo, ma insieme non ci eravamo mai state.
Avevo preso il tavolo migliore, con la vista sulla terra ferma tutta
illuminata. Sarebbe stato spettacolare vista la serata.
Ci eravamo preparate proprio per andare fuori a cena, l’avevo
già avvertita che
l’avrei portata in un posticino.
Spesso agli inizi qualche sera andavamo a cena fuori in qualche
ristorantino io
e lei, per stare insieme e mangiare allo stesso tempo e non come al
solito in
casa, ma ultimamente, con i concerti e gli impegni,
non avevamo più quella bella abitudine che piaceva tanto a
tutte e due.
Erano momenti di relax in compagnia fondamentali per me e credevo anche
per
lei. Chissà se le avrebbe fatto piacere.
Arrivate al parcheggiò scese già con gli occhi
illuminati, in effetti il posto
era magnifico. Questa nave attaccata bene alla terra in modo da non
dondolare
durante la cena, era gigante e tutta illuminata.
Faceva caldo quella sera, molto caldo. Io avevo già
indossato il mio mini vestitino
estivo. Meno male, almeno saremmo state benissimo.
Arrivate all’entrata il cameriere ci salutò.
«Avete prenotato?»
«Sì.» Dissi il mio cognome, ma nel
frattempo Ary si era già persa a girare fra
i tavoli.
«Quella è la mia amica», sorrisi
imbarazzata, anzi non imbarazzata, ma stranita
dal suo comportamento.
«Prego, seguitemi.» Ci accompagnò al
tavolo che avevo richiesto, sulla punta in
fondo, il migliore.
Ci fece sedere e ci portò dell’acqua mentre
controllavamo il menù.
«Virgy, è spettacolare questo
ristorante.»
«Questa ristonave più che altro.»
«Già! Che prendi? Pesce?»
«No, no, io carne. Odio il pesce.»
«Immaginavo. No, io prendo pesce.»
«Ah, immaginavo», dissi imitandola.
Dopo aver ordinato, iniziammo a parlare di ricordi. Che belli i
ricordi, molti
però mi facevano male solo al pensiero. Pensare che erano
passati tanti anni e
che spesso ci eravamo allontanate per delle stupidate, mentre ora
eravamo lì
più coccolone che mai.
Sapevo cosa avrei fatto dopo, ma già me ne vergognavo, non
era nel mio stile né
nel mio carattere,
Mi davano fastidio quelle cose, ma per le persone a cui volevo bene mi
sforzavo
volentieri, sofferente.
Mi resi conto di tutto quello che aveva fatto per me nella giornata e
non solo
oggi per l’anniversario della nostra splendida amicizia, ma
in tutti quei sei
anni.
Se solo a volte fossi stata più attenta, avremmo evitato
tante banali
discussioni, ma ormai ci eravamo affezionate… Erano
all’ordine del giorno.
«Ti ricordi quando abbiamo costruito quel mega castello sulla
sabbia? Quello
che poi ci siamo tuffate dentro!»
«Sì, quanto era grande e soprattutto
bello!», rispose. «Poi quando siamo andate
a cavallo e quello non stava fermo, sembrava un toro?»
«Sì, Ary non me lo ricordare. Io amo i cavalli, ma
quello era un bue!»
«Ma dai, eri tu che non lo sapevi portare, su.»
«Ma cosa dici, dopo anni di equitazione non sapevo portarlo?
Avrei voluto
vedere te su di lui!»
«Io sarei stata più brava!»
«Ma figuriamoci», dissi lanciandole qualche
briciola di pane.
Almeno mi riuscivo a divertire liberamente con lei. Ormai ci
conoscevamo meglio
delle nostre tasche e non c’erano limiti.
Non sapevo se era un bene o un male per lei, a volte dovevo essere
insopportabile, però con le nostre diversità
eravamo perfette. Ci bilanciavamo,
insomma.
Arrivò anche il primo: il mio un intero
menù di carne e il suo di pesce. Anche
qua ci contrastavamo, ma i gusti sono gusti e poi questo poco importava.
Iniziai a canticchiare la canzone che aveva scritto per me. Mi piaceva
così
tanto che mi era bastato sentirla una volta per ricordarmela benissimo.
Era
molto strano vista la mia scarsa memoria e
di solito ci mettevo del tempo per imparare addirittura quelle che
scrivevo io.
In effetti era da un po’ che non scrivevo qualche canzone, mi
sarei dovuta
mettere in pace da qualche parte e scrivere qualcosina
perché altrimenti mi sarei
depressa.
Magari avrei scritto qualcos’altro su di noi. Oppure
chissà, la fantasia è
infinita.
«Canti la mia canzone?», mi chiese felice.
«In realtà è anche mia.»
«Però l’ho scritta io.»
«E cosa centra? È per me!»
Mi fece assaggiare un po’ di pesce, ma la mia faccia disse
tutto: non potevo
sopportare né l’odore né il sapore di
quella roba; mentre lei assaggiò volentieri
i miei piatti che alla fine condividemmo, perché
più di tanto non avevo fame, avevo
già mangiato tanto a colazione ed era meglio non rovinare la
linea.
La cena ormai era finita, ci eravamo divertite abbastanza e avevamo
fatto le
nostre belle figuracce perché come al solito non ci eravamo
contenute né con le
risate né con le battute.
Stavo benissimo così, con la mia amica e nessun altro, senza
pensieri e solo
con la tranquillità di essere sicura di avere qualcuno
accanto. Qualcuno di
stabile e sincero, sempre pronto ad afferrarti quando stai per cadere.
Volevo che sapesse che anche io ero al suo fianco sempre e comunque e
che non
sarebbe mai caduta, non avrebbe mai sfiorato neanche il terreno
perché l’avrei
afferrata prima ancora che si muovesse.
Arrivammo sulla spiaggia, i tacchi li portavamo a mano. Detestatissimi,
ormai
li avevo sopportati abbastanza.
La luna era piena, come fatto apposta, e il mare calmo con il suo unico
profumo…
Sembrava già estate o forse era quella sera magica a fare
quell’effetto.
Mancava l’ultima parte del mio regalo e poi anche quel giorno
splendido sarebbe
finito. E sarebbe cominciato un altro anno, perché per noi
il 13 maggio era
come capodanno: dal 14 si iniziava un nuovo anno, con le solite storie
e paure.
Speravo di festeggiare altri cento di anniversari come quello, almeno
avrebbe
voluto dire che eravamo ancora insieme e ancora così amiche,
come lo eravamo state quella volta, improvvisamente.
Ci eravamo incontrate o scontrate come un uragano, ma era stato
abbastanza
piacevole, come diceva la canzone. Io avevo trovato lei, ma per puro
caso e
questa volta il destino aveva funzionato alla grande direi.
Ci sedemmo sulla sabbia, calda visto il clima. Guardammo il mare in
silenzio,
dovevo tirare fuori l’ultima piccola parte.
Aprii la borsetta e ne estrassi un pacchettino piccolino e glielo
porsi. Le si
illuminarono gli occhi ed iniziò a scartare.
«Cos’è?»
«Cosa me lo chiedi a fare, brutta pinguina storta!»
«Senti, cucciolo di orso polare, era una domanda
spontanea… Ma… Che bello…»
Tirò fuori il ciondolo argento, dove c’era scritto
“I’m by your side” inciso in
piccolino. Mi era sembrato carino e avevo voluto lasciarle scritto che
in
qualsiasi momento, se avesse avuto bisogno di me, io sarei arrivata.
«Se hai bisogno, io ci sono.»
Mi abbracciò forte, non rispose, ma era felice, si vedeva.
«Grazie, quando fai così sei proprio
dolce.»
Le indicai un bigliettino all’interno del pacchetto, era
quello che mi ero
sforzata a scrivere, perché aprire il mio cuoricino al mondo
era la cosa più
complicata per me: non mi andava di far sapere quanto ci tenessi a una
persona
visto che la maggior parte delle volte venivo
“tradita” in qualche modo.
Quanto sono banale con le
parole lo sappiamo tutte e due, ma spero con queste
banali e semplici righe tu possa capire quanto tengo a te, amica mia.
Sono passati sei anni e sembrano pochi, ma sono tanti.
Ci siamo attaccate e riappacificate, eravamo spesso l’una al
fianco dell’altra
e abbiamo creato noi tutto questo successo.
Ti regalo questo ciondolo in modo che mi avrai comunque sempre con te.
Ti chiedo scusa per il mio carattere e modo di fare e ti porgo i saluti
del mio
pessimismo sempre ben attivo in me.
Ti dico Grazie, per esserci al mio fianco, per capirmi e sopportarmi
sempre e
ovunque.
Non mi trascurare né ora né mai e non mi cambiare
con nessuna perché, ricordi?
Come avevo un fucile e svariate asce sei anni fa, le tengo ancora ben
custodite
per quelle che vogliono prendere il mio posto.
Sei e rimarrai una parte di me.
A quest’amicizia, che spero non possa finire mai.
Socia mia, ti voglio davvero bene.
Si commosse o almeno lo sperai, perché ci avevo messo tutto
il mio impegno per
fare quello.
Mi ero aperta come una conchiglia o come la cozza che aveva assaggiato
prima.
Restammo un altro po’ stese lì a parlare alla luce
della luna, poi tornammo
alla Porche ed infine a casa.
«Prima», dissi saltando sul mio letto.
«E cosa centra adesso?», richiuse la porta di
camera mia. «Virgy, devi
scolorire questa camera, è un flash.»
«Mi rendi felice così, Socia. Era questo il mio
intento.»
«Bene, direi che per oggi siamo state bravissime tutte e due.
Grazie mille, Socia»,
disse toccandosi il ciondolo che si era già messa al collo.
Ci stendemmo sotto le coperte e ci salutammo visto che saremmo entrate
nel
mondo dei sogni.
L’abbracciai prima di addormentarmi.
Non mi avrebbe abbandonata, era quella la sensazione che mi
trasmetteva.
Anche un altro anno era passato ed ancora eravamo forti e
improvvisamente
amiche più che mai.