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Autore: RobTwili    07/07/2010    8 recensioni
Elizabeth, una ragazza universitaria che vive in una piccola cittadina del Nord Italia, conduce una vita monotona, ma siamo proprio sicuri che sappia distinguere con esattezza tutto quello che ruota intorno a lei?
Dal prologo: I loro volti si fecero seri, quando incontrai quegli occhi marroni che amavo con tutta me stessa, li trovai terrorizzati dopo le mie parole.
La stanza cominciò a girare e le mie gambe diventarono troppo, troppo molli per sostenermi.
Senza nemmeno accorgermene cominciai a scivolare per terra, fui pronta allo scontro con il pavimento; ma appena un attimo prima qualcosa riuscì a prendermi, nell’ultima fessura prima di cadere nell’incoscienza fui in grado di vedere il colore degli occhi.
Azzurro. '

CAPITOLI REVISIONATI E BETATI
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Red Damon'
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prologo
Pioggia






‘Ciao Liz. Oggi salto perché sto male. Un bacio’. 
Perfetto.
Lunedì mattina, ore 6.30 e il messaggio di Diletta mi mise ancora di più di malumore.
Come diavolo era possibile?
Non ero sveglia da nemmeno mezz’ora e già c’era qualcosa che non andava.
Sarei dovuta andare al laboratorio senza Diletta, questo voleva dire in stazione da sola, tragitto da sola e per finire lezioni da sola.
Odiai quella materia e ancora di più mi odiai perché pur di rimanere nello stesso gruppo di Diletta mi ero messa nel primo laboratorio.
Il lunedì dalle 8.30.
Ogni lunedì dovevo svegliarmi alle sei e, arrivata in facoltà, ci dovevo rimanere fino alla fine delle lezioni, alle sei di sera.
E quel lunedì sembrò ancora più nero.
Non c’era Diletta, quindi non sarei di certo andata in mensa da sola.
Mi vedevo già, seduta sugli scalini della facoltà, intenta a mangiare un trancio di pizza leggendo un libro.
Come ogni giorni mi ritrovai a fare mille pensieri nel tragitto fino alla stazione. Non volevo più sbirciare dentro quella casa. Stava diventando un chiodo fisso, soprattutto Garcia.
Ma non lo facevo apposta, era naturale.
Da quando lo avevo visto quel pomeriggio, quando aveva sgridato Miguel, era come se lui fosse entrato nella mia mente.
Arrivai al binario fiera di me stessa perché ero riuscita a non sbirciare dentro al buco della siepe e non avevo usato nemmeno il cellulare come scusa.
Come ogni lunedì ero in anticipo, odiavo essere in ritardo, anche perché quando si trattava di mezzi pubblici sapevo che non aspettavano di certo i comodi di una studentessa.
Mi dondolai da un piede e l’altro, in attesa che arrivasse il treno.
“Scusa, è questo il binario per il treno che va a Padova?”.
Guardai verso il sole, era l’alba, quella voce ero quasi sicura di riconoscerla. Era la voce del ragazzo che da una settimana popolava la mia mente.
Mi girai di scatto e trovai il suo viso a pochi centimetri dal mio.
“Si, c’è scritto nel tabellone”.
Nel display luminoso compariva a grandi caratteri arancioni la destinazione del treno, e continuai a chiedermi se per caso mi avesse riconosciuta.
C’erano un sacco di persone che aspettavano il treno, perché chiedere proprio a me?
Facendo finta di nulla mi girai ancora verso il sole che sorgeva tentando in tutti i modi di ignorare il mio istinto che mi gridava di girarmi verso di lui.
Il tono di voce che aveva usato per chiedermi la destinazione del treno era quasi musica. La sua voce speciale, roca e dolce allo stesso tempo, aveva creato una melodia con quelle parole.
Forse mi ero immaginata la scenata con il giardiniere?
Non sembrava nemmeno lontanamente possibile che una voce così dolce fosse stata in grado di sgridare qualcuno o tanto meno alterarsi.
In più non si poteva ignorare la sua bellezza.
Gli occhiali che gli erano scesi leggermente sul naso quando si era chinato verso di me avevano lasciato scoperti gli occhi e le sopracciglia che avevano una linea così disordinata ma allo stesso tempo così perfetta.
Non ragionavo di certo in modo normale, soprattutto perché il suo sorriso sembrava volermi prendere in giro per qualcosa.
Poi, mentre le porte del treno si aprivano e salii, un’illuminazione improvvisa si fece spazio dentro di me.
Lui abbassandosi aveva voluto farmi vergognare per la mia bassezza.
Lui con quel gesto aveva voluto sentirsi superiore.
O forse io la visionaria che voleva immaginarsi tutto.
In fin dei conti probabilmente lui non si ricordava nemmeno chi fossi.
Sicuramente ero io a farmi film mentali su quello che era successo, sul povero Miguel che doveva sopportare le ire del sergente Garcia e che doveva arrampicarsi sugli alberi al tramonto.
Pensai a tutte queste cose lungo il tragitto in treno e anche lungo il tragitto a piedi.
L’unica cosa che riuscì a distrarmi dai miei pensieri fu il cielo che improvvisamente nascose il sole che si coprì con strati su strati di nuvole minacciose di pioggia.
Se avesse piovuto proprio quel giorno la sfortuna avrebbe stretto la mano alla sottoscritta per stipulare un patto per la vita.
Sfortuna e Liz Baggio, nemiche-amiche per l’eternità.
La fortuna invece aveva imparato a tenersi a debita distanza da me.
Sembrava che avessi fatto qualche strano torto alla fortuna tanto da tenerla lontana da me per anni.
O forse per sempre.
Magari sarei diventata di nuovo fortunata da vecchia.
Chi avrebbe potuto saperlo?
Ma, nonostante le mie speculazioni, che avevano impegnato la mia mente per tutta la durata del laboratorio, non avevo ancora trovato una soluzione alla domanda che da ore vagava per la mia mente.
Che cosa andava a fare il sergente Garcia a Padova?
Perché aveva preso quel treno proprio il lunedì mattina?
Perché proprio quello che arrivava prima delle otto quando ce n’erano due che partivano ad un’ora ragionevole e non all’alba?
Perché aveva chiesto l’informazione proprio a me quando il binario era pieno di studenti?
Perché non l’avevo visto salire nel treno, anzi, perché non l’avevo più visto dopo che mi aveva chiesto l’informazione?
Perché non l’avevo visto scendere dal treno una volta arrivati a destinazione?
Le domande si accumularono nella mia mente ed erano sempre di più. 
Inutile, non c’era soluzione.
Mi fece infuriare il fatto di non riuscire a togliere i tratti del suo viso dalla mia mente.
Cera ancora la sensazione che una fotografia si fosse impressa nella mia retina.
Non era di certo un comportamento normale.
Almeno…non era un comportamento normale per una ragazza di vent’anni che poteva considerarsi intelligente nella norma.
Forse, come pensavo spesso da due settimane, stavo semplicemente impazzendo.
La pazzia sembrava sempre la risposta a tutto.
Presto sarei stata rinchiusa in una stanza con le pareti imbottite con una camicia bianca con le maniche lunghissime, ne ero sicura.
Finito il laboratorio uscii a prendere una boccata d’aria.
Inconsciamente sperai che l’aria fresca del mattino riuscisse a farmi togliere dalla mente la sua immagine.
Invece rimasi in piedi come una scema davanti all’entrata della facoltà.
Il cielo, ricoperto da nuvoloni neri, fece sembrare quelli della mattina quasi nuvolette bianche.
Minacciava pioggia, ma non una pioggia tranquilla, la pioggia che assomigliava ai monsoni Indiani.
Presi il telefono e con quello anche una decisione.
Avrei saltato le lezioni e sarei andata a casa prima che fosse cominciato a piovere, mi accorsi infatti che avevo dimenticato l’ombrello a casa.
‘Mamma salto le lezioni e torno a casa. Non ho l’ombrello.’
Spedii il messaggio e cominciai a camminare velocemente verso la stazione perché non volevo perdere il treno.
Raggiunsi il binario con il fiatone per la corsa, ma fortunatamente asciutta perché riuscii ad arrivare prima che la pioggia cominciasse.
Durante il tragitto in treno, continuai a guardare fuori dal finestrino, osservando il panorama che vedevo quasi sempre con il buio al ritorno. Mi persi nei ricordi del laboratorio.
Non erano certo pensieri importanti quelli, ma mi sembrò che la mia mente ultimamente non funzionasse benissimo.
Scesi dal treno mentre una ragazza mi spintonava scrivendo al cellulare; scesi le scale con calma aspettando che l’afflusso di gente andasse verso il parcheggio per lasciarmi via libera.
Pioveva a dirotto.
Rimasi quasi dieci minuti davanti alla biglietteria aspettando che smettesse di piovere, ma sembrava che più che smettere, se possibile, l’intensità della pioggia aumentasse.
Dopo quasi un quarto d’ora mi decisi.
Avrei fatto una corsa dalla stazione al parcheggio; probabilmente sarei arrivata alla macchina zuppa, ma non potevo di certo rimanere dentro alla stazione per ore aspettando che smettesse di piovere.
Mi sistemai la tracolla della borsa e mi avvicinai alle porte automatiche.
Arrivata sotto alla tettoia, quando mentalmente cercai di capire quale strada fosse la più breve, una macchina mi passò vicina alzando da una pozzanghera una quantità d’acqua tale che riuscì a bagnarmi fino al ginocchio.
Perfetto.
Le mie scarpe verdi diventarono quasi nere a causa dell’acqua. Bagnata ero bagnata, tanto valeva correre.
Attraversai di fretta la strada e cominciai a camminare davanti alla casa senza nemmeno lanciarle uno sguardo.
In quel momento il mio unico pensiero era quello di potermi teletrasportare fino alla macchina per non bagnarmi.
Poi, improvvisamente, non sentii più le gocce fredde che mi sbattevano sulla testa e sul viso, sembrava avessi avuto un ombrello a ripararmi.
Alzai il viso e mi resi improvvisamente conto che c’era veramente un ombrello a ripararmi, un ombrello sorretto da una persona che avevo visto anche quella mattina.
Senza nemmeno accorgermene mi fermai di colpo mentre lui avanzava di un passo per poi tornare subito indietro per ripararmi.
“Guarda che non sei proprio asciutta. Ti conviene stare qui sotto se non vuoi ammalarti domani”. Poi sorrise mostrando una perfetta fila di denti bianchi e dritti.
“Grazie”. Abbassai timidamente il viso e continuai a guardami i piedi.
“Oh, non c’è di che. Adoro aiutare le fanciulle in difficoltà”.
Mi sentii tremendamente in imbarazzo.
Sembrava così gentile.
Come se non fosse stato lui il ragazzo che aveva sgridato il giardiniere.
Mi schiarii la voce. Era calato uno strano silenzio, nel momento in cui svoltammo la curva della via che conduceva al parcheggio.
La sua presenza al mio fianco mi trasmise una situazione strana, mi sentii protetta.
Mi sentii al sicuro.
Senza mai dire nulla continuammo a camminare e poi, improvvisamente, come se lui avesse saputo quale era la mia macchina, mi precedette schivando una pozzanghera e proteggendomi sempre con l’ombrello dalla pioggia che cadeva insistentemente.
Era poco più avanti di me, ma nonostante tutto sembrò che l’ombrello fosse stato abbastanza grande da contenere entrambi. Non mi sembrava che lui si stesse bagnando.
I suoi jeans erano asciutti così come i suoi scarponi.
Alzai in modo involontario lo sguardo e nemmeno i suoi corti capelli ricci mi sembrarono bagnati.
Si fermò improvvisamente e gli sbattei contro.
“Scusa”. Mormorai arrossendo in viso.
Sentii una piccola risata trattenuta da parte sua, ma non potei vederlo.
Era talmente alto che se non avessi alzato lo sguardo, gli sarei arrivata appena sotto al collo.
Poi mi accorsi che ci eravamo fermati davanti alla mia macchina.
Come faceva a sapere quale era la mia?
Il parcheggio era pieno.
“Come facevi a sapere quale era la mia auto?”. Non gli diedi nemmeno del lei.
Non mi sembrava il caso.
Mi aveva riparata sotto al suo ombrello e mi aveva accompagnata alla macchina.
In più alla mattina lui non aveva detto nulla che avrebbe potuto farmi pensare ad una persona da rispettare tanto da dare del lei.
Mi sembrò un ragazzo normale.
Normale, se non si prendeva in considerazione la bellezza particolare, il suo modo di fare, il suo modo di sorridere e se non si prendevano in considerazione gli occhi castani e le sopracciglia bellissime.
“Oh, ecco.. ho… ho visto le chiavi e ho pensato che questa mattina hai preso il treno presto quindi dovevi aver parcheggiato vicino e questa mi sembrava la macchina più vicina che corrispondesse alle chiavi..”.
Cavolo.
Quante scuse.
E quanta attenzione ai particolari.
Nemmeno mi accorsi di stringere le chiavi della macchina tra le mani.
Come aveva fatto poi a capire che erano proprio le chiavi della mia vecchia Fiesta?
Lo guardavo allibita mentre lui non smetteva di sorridere.
“Oh… ok..”. Aprii la mia auto ma lui continuava a sorridere nervosamente e a ripararmi con l’ombrello.
“Be’, ora direi che posso anche andare”. Sorrise e indicò la via dalla quale eravamo arrivati.
“Si, direi di si. Grazie ancora”. Annuii turbata e lui mi rispose.
“Figurati. Quando non hai l’ombrello mi chiami che io arrivo!”.
Quella volta non riuscii a trattenere una risata che uscì involontariamente dalle mie labbra.
“Sarà fatto!”.
Lo salutai e ringraziai ancora una volta e poi salii in macchina.
Accesi il riscaldamento, mi tolsi scarpe e calzini e cercai di scaldarmi con l’aria.
Sapevo come sarebbe finita.
Avrei guidato fino a casa a piedi nudi, e solo alla fine sarei riuscita a scaldarmi dopo aver fatto una bella doccia.
Mentre guidavo verso casa, con il sorriso da ebete stampato sulle labbra, altre domande cominciarono ad invadere la mia mente.
Come aveva fatto a sapere che quella era la mia macchina?
Cosa voleva dire con la frase ‘quando non hai l’ombrello mi chiami che io arrivo’?
Cosa ci faceva lui fuori di casa proprio mentre passavo io?
Perché non mi aveva ignorato come avevano fatto tutti gli altri e aveva continuato per la sua strada?
Perché aveva continuato a sorridermi e aveva cercato di sembrare gentile?
 
 
 
 
 
Ok ragazze, lo so.
Anche questo capitolo non ha senso e forse è dispersivo.
Ci sono parecchie cose che non si capiscono e ne sono consapevole.
Liz sembra una pazza perché pensa a mille cose sempre e tutto quanto.
Per non parlare poi del tipo che non si sa che cosa centri e che cosa faccia, vero?
Allora, spero di dare presto una risposta alle vostre domande.
E soprattutto, vedrete che presto saprete il nome di Garcia! :)
Ringrazio come sempre chi ha messo la storia tra i preferiti e tra i seguiti!
Ringrazio anche quelli che lasciano un commentino-ino-ino-ino che mi fa sempre piacere ricevere e che mi sprona a continuare.
Non so se lo sapete, ma oltre a questa ora sto scrivendo una storia che era nata come os, ha Robert Pattinson come protagonista (questa volta niente Ian Somerhalder come in ‘Suddenly one day in your life..) e quindi, se non sono costantissima negli aggiornamenti di questa storia sapete che è anche perché scrivo l’altra, che si chiama ‘Like a fairy tale..’.
Ammetto anche che la protagonista pazza dell’altra storia mi fa ridere e mi riesce più facile perché è una storia ‘leggera’, non devo impegnarmi per scriverla.
Prometto però di mantenere un aggiornamento a settimana per questa.
Per quelli che leggevano ‘Suddenly one day in your life..’ ho buone notizie!
Oggi ho avuto l’illuminazione divina per l’inizio della OS! Credo di pubblicarla questa settimana se ce la faccio a scrivere! :)
 
Ora rispondo alle recensioni e mi raccomando.. se avete risposte alle domande che si è posta Liz, o se volete pormi dubbi, domande, insulti, potete tranquillamente recensire che non mangio! :P
 
_Miss_: Grazie mille per i complimenti! :) come ti ho già detto non sono soddisfatta della storia perché mi sembra molto confusionata, spero di migliorarla andando avanti! Per Liz, posso dirti che è abbastanza autobiografica. Più di tutte lei assomiglia a me. Però se dovessi veramente descrivere il mio carattere ti direi: prendi Liz, metti dentro tutte le paranoie di Dawn e le pazzie di Faith e allora io sono quella! :P eh, lui, lui è lui, è bello ed è anche tutto misterioso. Non si capisce molto, vero? :) lei si, è Alexz, oltre a quello ha recitato anche in Final destination 3, ma è lei! Brava!
 
Angyr88: si, l’ho sempre detto che Liz sarebbe stata molto me, anche perché, come tu sai molte di queste cose esistono realmente, la casa, l’alzataccia al lunedì mattina, Diletta (anche se povera non è così..) per il disperdersi lo so, me ne accorgo anche io.. ora vedo come vanno i prossimi capitoli altrimenti mi fermo e lascio stare questa storia.
 
Stellinaxx: eh, il nome non te lo posso dire altrimenti tolgo tutta la suspance! :P lo scoprirai presto! :) anche a me mancano Dawn e Ian, ma come hai letto ho avuto l’illuminazione vera e propria per la OS!

   
 
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