Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Pikky    10/07/2010    5 recensioni
[NUOVO CAPITOLO ON-LINE]
Daniela è cotta di Marcello. Fin qui tutto normale, no?
C'è solo un 'piccolo' problema, tuttavia, oltre al fatto che lui abbia otto anni in più di lei: Marcello è il suo professore.
Daniela sa benissimo che tra loro non potrà mai esserci niente, eppure, in partenza per la gita a Parigi, continua a sperarci e ad abbandonarsi a sciocche fantasie da diciottenne innamorata.
Contrariamente ad ogni aspettativa, Daniela scopre che anche Marcello prova per lei i suoi stessi sentimenti. Come affronteranno la situazione?
[Dal capitolo 5:
Come continuavo a ripetermi, dovevo archiviare il passaggio di quella stupida rondine che aveva sbagliato stagione, e dedicarmi ad altro.
[...] Ormai non sarebbe stato più come prima: se avessi dato spazio alla mia fantasia, questa avrebbe immaginato un seguito a ciò che era successo il giorno prima, e sapevo benissimo che così non sarebbe stato. Mai.
Avere avuto quell’assaggio aveva cambiato tutto. Prima, infatti, quando mi lasciavo andare a quelle sciocche fantasie da ragazzina innamorata, sapevo che sarebbero rimaste tali, mentre ora, se l’avessi fatto, avrei segretamente sperato che si attuassero, che avrei finalmente avuto la mia primavera.
]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO due

 

Giovedì pomeriggio, come da programma, ci trovavamo al Louvre. Date le sue dimensioni, i professori avevano deciso di dedicarvi un intero pomeriggio, per quanto fosse impossibile riuscire a visitarlo tutto in così poco tempo. Per questo motivo, quindi, i professori ci avevano lasciati liberi di poter guardare le opere che più ci interessavano, eccettuata la professoressa di storia dell’arte che accompagnava la classe di Valerio, che per ovvi motivi preferiva andare insieme ai propri alunni a vedere le opere studiate ad inizio anno.

- Sei sicura di voler andare da sola? – mi chiese Alessia, dopo che avevo comunicato a lei e a Greta la mia decisione di voler visitare il museo per i fatti miei: era infatti mia abitudine soffermarmi davanti ad una qualsiasi opera per molto tempo, osservandone ogni minimo particolare e cercando di imprimerla nella mia mente. Talvolta, inoltre, se dal vivo un’opera mi colpiva particolarmente, tentavo di riprodurla, facendone uno schizzo; disegnare era uno dei miei passatempi preferiti, e girovagare per i musei stuzzicava la mia fantasia e al contempo la mia continua voglia di migliorarmi, imparando dai grandi del passato. Per questo motivo preferivo visitare il Louvre da sola, non volevo certo costringere le mie amiche ad aspettare che finissi un mio disegno o che riproducessi un quadro. Le avrei soltanto fatte annoiare.

- Sì, sono sicura. – risposi ad Alessia, con un sorriso. – Ormai dovresti sapere come divento, nei musei.

- Ci vediamo alle sei qui nell’atrio, allora. – ribatté quindi la mia amica, con un’alzata di spalle. – Andiamo, Gre?

- Aspetta! – si bloccò quest’ultima, di fronte a me. – E sei poi ti perdi? Il Louvre è grande, dopotutto… E se resti chiusa qui dentro?

Non potei fare a meno di emettere una breve risatina. Greta era incredibile. Aveva visto troppi film, molto probabilmente.

- Ho la cartina. – la rassicurai, sventolandogliela sotto gli occhi. – Ce l’hanno data i prof poco fa, ricordi?

- Ah, già. Hai ragione. – convenne dunque Greta, ricordandosi di averne in mano una anche lei. Pareva cadere dalle nuvole, talvolta. – Ci vediamo dopo, allora. – mi salutò quindi, prima di raggiungere Alessia.

Rimasta sola, diedi inizio alla visita del museo, partendo dalle opere più conosciute. Contemplai ‘Amore e Psiche’ di Canova, rimanendone davvero estasiata e tracciandone uno schizzo, seppure trovavo fenomenale ogni angolazione da cui la scultura poteva essere osservata.

Non avevo però tempo da perdere; il museo era grande ed io avevo solo tre ore e mezza per visitare ciò che più mi interessava. Per quanto mi dispiacesse, non potevo vedere tutto, né soffermarmi troppo su un’opera, per cui mi diedi una mossa a finire di abbozzare lo schizzo e mi diressi nella sala in cui era contenuta la ‘Gioconda’, salendo su una scalinata posta di fianco alla Nike di Samortracia. Mi soffermai per un minuto ad osservarla, dopodiché  mi diressi nella galleria degli italiani e quindi nella sala che ospitava l’opera più celebre di Da Vinci.

Giunta davanti al quadro mi bloccai, osservandolo bene. La maestria con cui Leonardo aveva dipinto i particolari era davvero notevole, così come l’enigmaticità dell’espressione del soggetto. Mi trovai di fronte al secolare enigma: sorrideva o era solo una mia impressione?

Però…

- Deludente, vero? – disse una voce alle mie spalle. Mi voltai e mi trovai di fronte al professor Bassi, per cui volsi nuovamente la mia attenzione al quadro, per occultare il fatto che fossi violentemente arrossita. La sua improvvisa apparizione mi aveva sorpresa.

- Perché? – chiesi a mia volta, con noncuranza, nonostante il mio cuore battesse a mille. Cercai di calmarmi, dopotutto non volevo che si accorgesse delle mie reazioni che sembravano quelle di una dodicenne alla sua prima cotta.

- Non puoi negarlo. È la prima volta che la vedo, e personalmente mi aspettavo qualcosa di meglio. Non tanto per la tecnica con cui Da Vinci l’ha dipinta, ma per le dimensioni, più che altro. – rispose Marcello, serio. – Poi devo dire che metterla di fronte alle ‘Nozze di Cana’ è stata una scelta infelice. Non trovi?

- Beh, effettivamente… - risposi, non sapendo bene cosa dire. Mai avrei immaginato un discorso simile fra me e lui, ma soprattutto mai avrei pensato che l’occasione che cercavo da ben due giorni mi si sarebbe presentata davanti così, senza preavviso. Non ero per niente preparata.

- Sei da sola? – mi chiese poi Marcello, e gliene fui grata. Inconsapevolmente, mi aveva appena salvato dall’imbarazzo. Annuii, stringendomi al petto il blocco da disegno.

- Posso unirmi a te, allora?

Sgranai gli occhi, incredula. Dovevo aver sentito male, era l’unica spiegazione, per cui non risposi. Stavo iniziando forse a confondere i sogni con la realtà?

- Se non ti dispiace, ovviamente. – aggiunse quindi, vedendo che non dicevo nulla. – Sono pur sempre un tuo professore, e se i tuoi compagni ti vedono con me potrebbero prenderti in giro. Lo capisco, se non mi vuoi.

Avevo capito bene, allora! Ero al settimo cielo, dovetti trattenermi dal non esultare. – No, assolutamente. Non si preoccupi. – riuscii a farfugliare, stentando ancora a crederci. Come diavolo faceva a pensare una cosa simile? Non me ne importava nulla di quel che avrebbero pensato i miei compagni, volevo solo stare con lui e sfruttare ogni attimo a mia disposizione. Nei limiti, ovviamente. Certo, non mi sarebbe dispiaciuto attirarlo con l’inganno in uno sgabuzzino, ammesso che ce ne fosse stato uno, e saltargli addosso, ma dovevo mantenere un minimo di ritegno. Sapevo bene, inoltre, che mi sarebbe mancato il coraggio per compiere un’azione del genere o anche solo per comportarmi in modo lievemente più audace, per cui vi rinunciai in partenza. Mi sarei limitata ad essere me stessa, pur sapendo che ciò avrebbe prodotto scarsi risultati.

Marcello mi sorrise, ed io ricambiai, così ci incamminammo verso le altre sale.

- Come mai non è con gli altri due prof, o con quella di arte? – gli chiesi, curiosa, giusto per intavolare una conversazione.

- Semplice. – ribatté lui, con un’alzata di spalle. – Diciamo che non mi vanno molto a genio. E i vent’anni e passa di differenza di certo non aiutano! Tu, invece? Come mai non sei con le tue due inseparabili amiche?

- Quando vado in giro per musei sono un po’ noiosa. E soprattutto molto lunga nei tempi, dato che se un’opera mi colpisce particolarmente la riproduco. – risposi dunque io, iniziando a rilassarmi. Ero infatti tesa come una corda di violino, se non peggio. - È ancora in tempo a ritirarsi e andarsene in giro da solo, se odia aspettare. – lo avvertii poi.

- Davvero? – chiese Marcello, sinceramente sorpreso. – Disegni?

- Sì, è uno dei miei hobby preferiti.

- Interessante. – commentò quindi, con un sorriso. – Fai bene a coltivare questa passione, se sei brava. Io ero e rimango totalmente negato, nel disegno. – ammise, con una risatina.

- Come in tutte le cose ci vuole tanta pazienza, ma soprattutto tanta voglia di migliorarsi. – ribattei io, scrollando le spalle. – Disegnare mi è sempre venuto naturale, ma ho comunque continuato ad esercitarmi, nel tempo libero. Mi rilassa.

- Fai bene, davvero. – approvò lui, con un sorriso.

Ricambiai timidamente il gesto, dopodiché proseguimmo la visita del museo.

 

 

 

- Sono esausta! – esclamai, con un sospiro. Io e Marcello ci trovavamo nel reparto dedicato alle antichità egizie, dove, in una saletta, avevamo trovato due sedie libere. Inutile dire che mi ci ero fiondata sopra, non appena le avevo viste.

Il professor Bassi si sedette di fianco a me, dopodiché diede un’occhiata all’orologio e disse: - Manca mezzora al ritrovo con gli altri. Propongo di passarla qui, seduti.

- Sono d’accordo, prof. – convenni io, aprendo il mio blocco da disegno. Dovevo ammettere che Marcello era stato paziente e riservato, mentre riproducevo le opere che più mi avevano colpito; aveva sempre aspettato che concludessi il mio schizzo, guardandosi intorno e senza tentare di sbirciare il mio operato, cosa che onestamente odiavo. Non era il massimo della vita lavorare con una persona appollaiata sulla tua spalla a mo’ di avvoltoio, e lui doveva averlo intuito.

- Posso vedere? – mi chiese, porgendomi una mano per invitarlo a tendergli il blocco. Annuii, quindi glielo diedi, e lui iniziò a sfogliarlo. Vi erano disegni di tutti i tipi, lì dentro. Ritratti del mio gatto e del mio cane, vedute dalla finestra della mia camera, caricature, nature morte, riproduzioni di quadri famosi, schizzi, bozzetti, creature immaginarie, ritratti di amici e parenti… Di tutto, insomma.

- Sei davvero brava, cavoli. – si complimentò il mio professore, senza staccare gli occhi dai miei disegni. – Hai mai pensato di fare di questa tua passione un futuro? – mi chiese dunque, guardandomi negli occhi. Abbassai lo sguardo, riavviandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

- A volte. – ammisi. – Ma il mio futuro è ancora un grosso punto di domanda. So che manca poco alla maturità, e che presto dovrò darmi una mossa… Però davvero, non ne ho la più pallida idea. Più cerco di pensarci, più la mia mente si offusca. – mi confidai, tenendo gli occhi bassi.

Era un tasto dolente, quello. Cercavo di parlarne il meno possibile con chiunque, specialmente in casa, nonostante i miei facessero pressione affinché prendessi una benedetta decisione. Continuavo a rimandare, dicendo che c’era tempo, in fondo. In realtà speravo che prima o poi mi sarebbe venuta l’illuminazione.

Storia? Filosofia? Lettere? Medicina? Scienze dell’Educazione? Biotecnologie farmaceutiche? Scienze dei beni culturali? Lingue e letterature straniere?

C’era l’imbarazzo della scelta. Dovevo però trovare qualcosa che mi offrisse vaste possibilità lavorative, stando a sentire i miei. La scelta dell’università, secondo loro, era il primo passo verso la mia vita da adulta, e avrei dovuto ponderare bene come compierlo. Sarebbe stato difficile tornare indietro, poi. Non potevo permettermi di sbagliare, dovevo fare una scelta consapevole e responsabile. Ma ne ero in grado?

- Certo, mi piacerebbe vivere dei miei disegni, non lo nego. – proseguii. – Però… Mi sembra un’opzione troppo irrealizzabile, obiettivamente. Ogni volta che penso a come sarò tra dieci anni, immaginandomi come un’artista di successo, torno bruscamente con i piedi per terra. Amo disegnare e dipingere, ma non è detto che questo mi darà il pane di cui vivere.

Marcello mi sorrise, comprensivo, dopodiché mi porse il blocco, che io posai sulle mie gambe.

Era la prima volta che mi confidavo con qualcuno riguardo al mio futuro, non ne avevo mai parlato così apertamente. Con lui, tuttavia, mi era venuto naturale, una volta iniziato a parlare avevo proseguito a ruota libera, esternando tutti i miei pensieri, senza forzature. Non capivo come mai, o forse lo intuivo.

Scossi la testa, sconsolata. Dovevo smetterla con certi pensieri, ma soprattutto di illudermi da sola.

- Stai tranquilla. – mi rassicurò Bassi, posandomi una mano sulla spalla. A quel tocco mi sentii ardere, così continuai a fissare il pavimento, per celare il mio rossore, mentre un calore familiare mi invadeva il petto. – Prima o poi ti si chiariranno le idee, devi solo avere pazienza, e non devi scartare del tutto la possibilità del disegno, a mio parere.

- Lei dice? – gli chiesi, alzando lo sguardo. Così facendo incontrai i suoi occhi castani, e il mio cuore accelerò nuovamente i propri battiti. Odiavo che un qualsiasi individuo di sesso maschile avesse un simile effetto su di me, specialmente quando costui era il mio professore, ma potevo farci ben poco a riguardo. Potevo solo sperare che lui non si accorgesse del particolare ascendente che aveva nei miei confronti.

- Sì, davvero. – mi confermò Marcello, serio. – Dovresti continuare a coltivare questo tuo talento, magari a livelli più alti. Pensaci.

- Grazie. – gli dissi, abbozzando un sorriso. Con quella chiacchierata, i miei timori riguardo al futuro si erano attenuati, seppur molto lievemente.

Marcello ricambiò il sorriso, e solo in quel momento mi accorsi che aveva continuato a tenere la sua mano sulla mia spalla; ma non finiva lì. I nostri volti erano pericolosamente vicini, ed io avrei potuto non rispondere delle mie azioni. Il fatto che in marzo il Louvre fosse poco frequentato, e che la sala in cui ci trovavamo noi due fosse vuota, inoltre, non aiutava certo le mie intenzioni.

Dovevo assolutamente spostarmi, eppure ero paralizzata, non so se volontariamente o meno. Una parte di me voleva sfruttare quell’occasione fino in fondo, e mi ordinava di sporgermi verso Marcello e baciarlo. Quando avrei avuto di nuovo una simile opportunità, d’altronde?

Le diedi retta, ma non del tutto. Mi avvicinai solo di qualche millimetro, di modo che lui capisse le mie intenzioni, se mai fosse stato interessato, altrimenti non avrebbe colto, se così non fosse stato.

Poco dopo la mano che era posata sulla mia spalla risalì verso la mia nuca, avvicinandomi al suo volto e continuando così l’opera che avevo debolmente iniziato e che lui grazie al cielo aveva percepito. Le sue labbra premettero sulle mie, ed io chiusi gli occhi, a quel contatto, schiudendo le labbra, permettendogli così di approfondire il bacio.

Non mi sembrava vero, ma non volevo guastare quel momento per nulla al mondo. Se quella era la mia unica possibilità, l’avrei sfruttata fino in fondo, facendo tutto ciò che era in mio potere.

Mi strinsi a lui, buttandogli le braccia al collo, dopodiché Marcello mi cinse la vita con il braccio libero, avvicinandomi ancora di più a lui. Così facendo, però, il mio blocco da disegno cadde a terra, e quel tonfo ci riportò bruscamente alla realtà.

Bassi si separò da me come scottato, quindi si chinò a raccogliere il blocco. Dopo essersi rialzato me lo porse, tenendo gli occhi bassi, mentre io lo afferravo con mani tremanti.

- Forse è meglio se ci avviamo verso l’atrio. – suggerì poi, dandomi le spalle. Titubante, mi alzai e lo seguii, confusa e ancora stordita dalle emozioni appena provate. Pian piano il battito del mio cuore stava tornando ad un ritmo regolare, eppure la mia mente vagava tra le nuvole. Ciò che agognavo da settimane, senza mai poterlo credere possibile, si era appena avverato, prendendomi in contropiede.

Forse ho qualche possibilità, dopotutto, pensai, con un sorriso.

Osservando la schiena di Marcello, però, il mio sorriso svanì; mi aveva trattato con freddezza, e così stava continuando a fare, mentre ci accingevamo a raggiungere gli altri.

Abbassai lo sguardo, mesta, mentre mi tornava alla mente uno dei proverbi preferiti di mia nonna.

Una rondine non fa primavera.

 

 

 

- Sei sicura di stare bene? – mi chiese Alessia, quella sera in camera. Io, lei e Greta ci eravamo appena messe sotto le coperte, dopo essere state con gli altri a giocare a carte in camera di Francesco, Giulio e Marco, dei nostri compagni.

- Sì. – mentii io, facendo un sorriso forzato.

Non avevo detto nulla alle mie amiche. Quando mi avevano visto arrivare con Bassi nell’atrio del Louvre mi avevano subito tempestato di domande, ma io le avevo sviate dicendo loro che l’avevo incontrato solo a fine visita, mentre stavo incamminandomi verso il ritrovo. Dovevo essere stata abbastanza convincente, poiché non mi avevano più chiesto nulla, ed io mi ero sentita sollevata. Purtroppo ero una di quelle persone che si tenevano tutto dentro: difficilmente riuscivo a confidarmi con qualcuno, quando stavo male. Preferivo contare sulle mie forze ed uscirne da sola, e in quella situazione non sarei stata da meno. Me l’ero cercata, e non mi meritavo il conforto che le mie amiche mi avrebbero offerto.

- Non mi sembra molto… - mi contraddisse Greta, prima di emettere uno sbadiglio. – Sputa il rospo.

- Non c’è nessun rospo da sputare. – continuai la messinscena. – Sto bene, davvero. Sono solo un po’ stanca.

- Lo siamo tutti, cara mia. – mi spalleggiò Alessia, prima di chiudere gli occhi. – Per cui ora spegniamo le luci. Al massimo ne riparliamo domattina, visto che la notte porta consiglio.

Non capii molto bene il collegamento fatto dalla mia amica, visto che era stata lei a tirare fuori il discorso, ma le fui enormemente grata.

- Ok. Notte, allora. – si arrese Greta, prima di sporgersi verso l’interruttore della luce e spegnerlo.

- Notte. – ricambiai l’augurio io, non ricevendo però risposta da Alessia, che molto probabilmente era già nel mondo dei sogni. Si addormentava con una facilità imbarazzante, quella ragazza.

Chiusi gli occhi, tentando di seguire il suo esempio, ma senza successo. Dopo essermi rigirata nel letto parecchie volte, mi arresi. Sapevo benissimo perché non riuscivo a prendere sonno. Sbuffai, in preda alla frustrazione, dopodiché mi misi a sedere sul letto e mi sporsi verso il comodino, prendendo il mio blocco da disegno lì appoggiato.

Forse disegnare mi avrebbe aiutato a staccare la spina, però non potevo certo farlo in camera, dove le mie amiche dormivano. Attenta a non fare rumore, sgattaiolai fuori dalla stanza, portando con me la chiave.

Scesi nella hall, dove vi erano dei divanetti, e mi sedetti lì, a gambe incrociate. Guardai l’orologio che portavo al polso e vidi che era la una e mezza: era un po’ tardi, effettivamente, e avrei fatto bene a dormire un po’, visto che la giornata successiva, che sarebbe stata anche l’ultima, si prospettava pesante.

Sospirai, quindi aprii il mio blocco da disegno, senza aver chiaro in mente ciò che volessi fare. Volevo distrarmi, certo, eppure continuavo a pensare a quel pomeriggio trascorso in compagnia di Marcello, e al bacio che ci eravamo scambiati. Ogni volta che la mia mente tornava a quegli attimi, mi sentivo avvampare, e al contempo m’intristivo ancora di più, pur non avendone motivo.

Avevo ottenuto ciò che desideravo, dopotutto. L’avevo baciato, e ciò andava ben oltre le mie aspettative. Non era quello l’obiettivo che mi ero prefissata per la gita, eppure l’avevo raggiunto. Avrei dovuto essere contenta, ma volevo di più. Mi sentivo come una bambina golosa che aveva agognato per molto tempo una fetta di una gustosissima torta al cioccolato ricoperta di panna e che, dopo il primo assaggio, voleva completare l’opera, divorando non solo la parte desiderata, ma tutto il dolce.

Sapevo però benissimo che avrei dovuto limitarmi a quell’assaggio, Marcello me l’aveva fatto capire in maniera inequivocabile, trattandomi così freddamente.

A quel pensiero, sentii le lacrime bruciarmi agli angoli degli occhi, ma mi morsi con violenza il labbro inferiore, per impedirmi di piangere. Sarebbe stato un gesto da stupida, dopotutto me l’ero cercata. Sapevo fin dall’inizio che avrei sofferto, se il mio amore platonico fosse diventato realtà, eppure avevo fatto di tutto per renderlo tale, non appena mi si era presentata l’occasione.

Strinsi con forza la matita nella mia mano ed iniziai a disegnare, finalmente con un obiettivo: avrei impresso su carta quel che mi era successo, forse per dimostrare a me stessa che non si era trattato di una mera illusione, forse per tentare di razionalizzare la cosa e trovare una soluzione o forse per mettere in atto l’ennesimo delirio di una stupida ragazzina innamorata.

Non so quanto trascorse prima che appuntai la data in basso a destra. Ogni qualvolta disegnassi, perdevo la cognizione del tempo.

Dovevo anche trovare un titolo, però. Fu allora che, per la seconda volta nell’arco di una giornata, mi tornò alla mente il proverbio preferito di mia nonna.

Una rondine non fa primavera.

Lo appuntai di fianco alla data, mentre una lacrima sfuggiva al mio saldo controllo. La asciugai violentemente con la manica del pigiama, dopodiché con rabbia chiusi il blocco da disegno e tornai in camera, dove speravo di riuscire a dormire.

Malauguratamente in corridoio incontrai Valerio, anch’egli che stava tornando verso la propria stanza. Non appena mi vide, tuttavia, si fermò, ed io accelerai il passo per evitare di incrociarlo, ormai era troppo tardi per tornare nella hall. Quando gli passai di fianco, però mi bloccò per un braccio, impedendomi ogni via di fuga.

Bene, ci mancava solo questa, pensai scocciata.

- Che vuoi? – gli chiesi, brusca. – Gradirei andare in camera mia a dormire, se non ti dispiace.

Valerio sospirò, prima di ribattere. – Dani, ti prego. Questa tua ostilità non fa bene né a me né a te. Cosa ti costa rivolgermi di nuovo la parola?

- Mi costa eccome! Sei stato tu quello che mi ha lasciata, non ricordi? – sbottai, mentre a strattoni cercavo di liberarmi dalla sua stretta. Non ci riuscii, purtroppo. – Perché non mi lasci andare a dormire, eh? Perché continui a tormentarmi? Non lo capisci che non ti voglio più vedere?

Stavo riversando su di lui tutto il malumore che sentivo per via di Marcello, ma non mi importava. Valerio si era messo sulla mia strada e ne avrebbe pagato le conseguenze.

- Non ti ho fermato per parlare di noi. – si difese lui, per nulla toccato. – Ma per parlare di te. Si vede lontano un miglio che c’è qualcosa che non va.

- Oh, adesso vuoi fare l’amicone? Ma che tenero! – lo schernii, con tono tagliente. – D’altronde quale occasione migliore per soccorrere l’amata, se non vederla a pezzi? È la strada migliore per il suo cuore, no?

- Piantala! – mi rimproverò lui, evidentemente stufo. – Non ho secondi fini, come credi tu. Voglio solo aiutarti. Ma ti costa troppo darmi ascolto, vero? Per cui preferisci interpretare tutto a modo tuo! – aggiunse, duro. Lasciò dunque andare il mio braccio, ma quell’atto di liberazione fu per me peggio di uno schiaffo. L’avevo ferito ed ero stata colpita di conseguenza, con la medesima arma: la parola.

Abbassai lo sguardo, perché non volevo mostrargli i miei occhi pieni di lacrime, dopodiché a passo mesto mi diressi verso la mia stanza. Svoltato l’angolo del corridoio, però, mi accasciai a terra contro la parete, gettai lontano il mio blocco da disegno e mi avvolsi le braccia attorno alle ginocchia, dove avevo posato la testa. Ero in preda ai singhiozzi, che sconquassavano il mio petto e che mi permettevano di dare sfogo al malessere che mi permeava da quel pomeriggio, dopo che io e Marcello ci eravamo separati. Semplicemente, ero scoppiata come una pentola a pressione.

Ci vollero pochi istanti perché sentissi due braccia che mi avvolgevano per offrirmi conforto.

- Scusa. – mormorò Valerio, dispiaciuto. – Sono stato duro. Non era mia intenzione.

Senza dire una parola gli buttai le braccia al collo e piansi ancora di più, pur sapendo che, una volta cessate le lacrime, la situazione sarebbe rimasta identica. Piangere non mi era di conforto, ma era l’unico modo per esprimere quello che avevo dentro, dato che nemmeno disegnare aveva funzionato.

- Stai tranquilla, Dani. – cercò di tranquillizzarmi Valerio. – Qualunque cosa sia, passerà.

Ma sarebbe passata la mia cotta per Bassi? Ma soprattutto… Ero sicura che fosse solo una cotta?

 

 

 

Note dell’autrice

Capitolo un po’ lunghetto, ma spero vi soddisfi. È abbastanza ricco di avvenimenti, perciò spero di suscitare in voi qualche reazione… Qualunque essa sia! xD

Fatemi sapere il vostro parere, mi raccomando… =)

Passiamo ora ai ringraziamenti:

Sassybaby: Ecco qui l’aggiornamento che attendevi… Spero che il capitolo ti sia piaciuto, fammi sapere che ne pensi, mi raccomando. Grazie per i complimenti e per la recensione, comunque…^^ Anche io adoro le storie proibite, personalmente… Proibite ed impossibili… Hanno quel non so che… =) Baci, Pikky91

Fataflor: Grazie per i complimenti e per la recensione. =) I colleghi di Marcello non sono proprio sessantenni, diciamo però che hanno oltrepassato i quaranta… Lui è il più giovane, poverino! Anche a me in questi anni sarebbe piaciuto un professore di filosofia del genere, anche se non mi posso lamentare della mia, che rendeva la lezione interessante. E poi beh, c’era quello di biologia con cui rifarsi gli occhi! xD Grazie per avermi fatto notare la svista, nonostante i mille controlli qualcosa mi sfugge sempre… Non mi sono per niente offesa, anzi. Se noti qualcos’altro fammi sapere. =) Baci, Pikky91

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Pikky