CAPITOLO due
Giovedì pomeriggio, come da programma,
ci trovavamo al Louvre. Date le sue dimensioni, i professori avevano deciso di
dedicarvi un intero pomeriggio, per quanto fosse impossibile riuscire a
visitarlo tutto in così poco tempo. Per questo motivo, quindi, i professori ci
avevano lasciati liberi di poter guardare le opere che più ci interessavano,
eccettuata la professoressa di storia dell’arte che accompagnava la classe di
Valerio, che per ovvi motivi preferiva andare insieme ai propri alunni a vedere
le opere studiate ad inizio anno.
- Sei sicura di voler andare da sola? –
mi chiese Alessia, dopo che avevo comunicato a lei e a Greta la mia decisione
di voler visitare il museo per i fatti miei: era infatti mia abitudine
soffermarmi davanti ad una qualsiasi opera per molto tempo, osservandone ogni
minimo particolare e cercando di imprimerla nella mia mente. Talvolta, inoltre,
se dal vivo un’opera mi colpiva particolarmente, tentavo di riprodurla,
facendone uno schizzo; disegnare era uno dei miei passatempi preferiti, e
girovagare per i musei stuzzicava la mia fantasia e al contempo la mia continua
voglia di migliorarmi, imparando dai grandi del passato. Per questo motivo
preferivo visitare il Louvre da sola, non volevo certo costringere le mie amiche
ad aspettare che finissi un mio disegno o che riproducessi un quadro. Le avrei
soltanto fatte annoiare.
- Sì, sono sicura. – risposi ad
Alessia, con un sorriso. – Ormai dovresti sapere come divento, nei musei.
- Ci vediamo alle sei qui nell’atrio,
allora. – ribatté quindi la mia amica, con un’alzata di spalle. – Andiamo, Gre?
- Aspetta! – si bloccò quest’ultima, di
fronte a me. – E sei poi ti perdi? Il Louvre è grande, dopotutto… E se resti
chiusa qui dentro?
Non potei fare a meno di emettere una
breve risatina. Greta era incredibile. Aveva visto troppi film, molto
probabilmente.
- Ho la cartina. – la rassicurai,
sventolandogliela sotto gli occhi. – Ce l’hanno data i prof poco fa, ricordi?
- Ah, già. Hai ragione. – convenne
dunque Greta, ricordandosi di averne in mano una anche lei. Pareva cadere dalle
nuvole, talvolta. – Ci vediamo dopo, allora. – mi salutò quindi, prima di
raggiungere Alessia.
Rimasta sola, diedi inizio alla visita
del museo, partendo dalle opere più conosciute. Contemplai ‘Amore e Psiche’ di
Canova, rimanendone davvero estasiata e tracciandone uno schizzo, seppure
trovavo fenomenale ogni angolazione da cui la scultura poteva essere osservata.
Non avevo però tempo da perdere; il
museo era grande ed io avevo solo tre ore e mezza per visitare ciò che più mi
interessava. Per quanto mi dispiacesse, non potevo vedere tutto, né soffermarmi
troppo su un’opera, per cui mi diedi una mossa a finire di abbozzare lo schizzo
e mi diressi nella sala in cui era contenuta la ‘Gioconda’, salendo su una scalinata
posta di fianco alla Nike di Samortracia. Mi soffermai per un minuto ad
osservarla, dopodiché mi diressi nella
galleria degli italiani e quindi nella sala che ospitava l’opera più celebre di
Da Vinci.
Giunta davanti al quadro mi bloccai,
osservandolo bene. La maestria con cui Leonardo aveva dipinto i particolari era
davvero notevole, così come l’enigmaticità dell’espressione del soggetto. Mi
trovai di fronte al secolare enigma: sorrideva o era solo una mia impressione?
Però…
- Deludente, vero? – disse una voce
alle mie spalle. Mi voltai e mi trovai di fronte al professor Bassi, per cui
volsi nuovamente la mia attenzione al quadro, per occultare il fatto che fossi
violentemente arrossita. La sua improvvisa apparizione mi aveva sorpresa.
- Perché? – chiesi a mia volta, con
noncuranza, nonostante il mio cuore battesse a mille. Cercai di calmarmi,
dopotutto non volevo che si accorgesse delle mie reazioni che sembravano quelle
di una dodicenne alla sua prima cotta.
- Non puoi negarlo. È la prima volta che
la vedo, e personalmente mi aspettavo qualcosa di meglio. Non tanto per la
tecnica con cui Da Vinci l’ha dipinta, ma per le dimensioni, più che altro. –
rispose Marcello, serio. – Poi devo dire che metterla di fronte alle ‘Nozze di
Cana’ è stata una scelta infelice. Non trovi?
- Beh, effettivamente… - risposi, non
sapendo bene cosa dire. Mai avrei immaginato un discorso simile fra me e lui,
ma soprattutto mai avrei pensato che l’occasione che cercavo da ben due giorni
mi si sarebbe presentata davanti così, senza preavviso. Non ero per niente
preparata.
- Sei da sola? – mi chiese poi
Marcello, e gliene fui grata. Inconsapevolmente, mi aveva appena salvato
dall’imbarazzo. Annuii, stringendomi al petto il blocco da disegno.
- Posso unirmi a te, allora?
Sgranai gli occhi, incredula. Dovevo
aver sentito male, era l’unica spiegazione, per cui non risposi. Stavo
iniziando forse a confondere i sogni con la realtà?
- Se non ti dispiace, ovviamente. –
aggiunse quindi, vedendo che non dicevo nulla. – Sono pur sempre un tuo
professore, e se i tuoi compagni ti vedono con me potrebbero prenderti in giro.
Lo capisco, se non mi vuoi.
Avevo capito bene, allora! Ero al
settimo cielo, dovetti trattenermi dal non esultare. – No, assolutamente. Non
si preoccupi. – riuscii a farfugliare, stentando ancora a crederci. Come
diavolo faceva a pensare una cosa simile? Non me ne importava nulla di quel che
avrebbero pensato i miei compagni, volevo solo stare con lui e sfruttare ogni
attimo a mia disposizione. Nei limiti, ovviamente. Certo, non mi sarebbe
dispiaciuto attirarlo con l’inganno in uno sgabuzzino, ammesso che ce ne fosse
stato uno, e saltargli addosso, ma dovevo mantenere un minimo di ritegno.
Sapevo bene, inoltre, che mi sarebbe mancato il coraggio per compiere un’azione
del genere o anche solo per comportarmi in modo lievemente più audace, per cui
vi rinunciai in partenza. Mi sarei limitata ad essere me stessa, pur sapendo
che ciò avrebbe prodotto scarsi risultati.
Marcello mi sorrise, ed io ricambiai,
così ci incamminammo verso le altre sale.
- Come mai non è con gli altri due
prof, o con quella di arte? – gli chiesi, curiosa, giusto per intavolare una
conversazione.
- Semplice. – ribatté lui, con
un’alzata di spalle. – Diciamo che non mi vanno molto a genio. E i vent’anni e
passa di differenza di certo non aiutano! Tu, invece? Come mai non sei con le
tue due inseparabili amiche?
- Quando vado in giro per musei sono un
po’ noiosa. E soprattutto molto lunga nei tempi, dato che se un’opera mi
colpisce particolarmente la riproduco. – risposi dunque io, iniziando a
rilassarmi. Ero infatti tesa come una corda di violino, se non peggio. - È
ancora in tempo a ritirarsi e andarsene in giro da solo, se odia aspettare. –
lo avvertii poi.
- Davvero? – chiese Marcello,
sinceramente sorpreso. – Disegni?
- Sì, è uno dei miei hobby preferiti.
- Interessante. – commentò quindi, con
un sorriso. – Fai bene a coltivare questa passione, se sei brava. Io ero e
rimango totalmente negato, nel disegno. – ammise, con una risatina.
- Come in tutte le cose ci vuole tanta
pazienza, ma soprattutto tanta voglia di migliorarsi. – ribattei io, scrollando
le spalle. – Disegnare mi è sempre venuto naturale, ma ho comunque continuato
ad esercitarmi, nel tempo libero. Mi rilassa.
- Fai bene, davvero. – approvò lui, con
un sorriso.
Ricambiai timidamente il gesto,
dopodiché proseguimmo la visita del museo.
- Sono esausta! – esclamai, con un
sospiro. Io e Marcello ci trovavamo nel reparto dedicato alle antichità egizie,
dove, in una saletta, avevamo trovato due sedie libere. Inutile dire che mi ci
ero fiondata sopra, non appena le avevo viste.
Il professor Bassi si sedette di fianco
a me, dopodiché diede un’occhiata all’orologio e disse: - Manca mezzora al
ritrovo con gli altri. Propongo di passarla qui, seduti.
- Sono d’accordo, prof. – convenni io,
aprendo il mio blocco da disegno. Dovevo ammettere che Marcello era stato
paziente e riservato, mentre riproducevo le opere che più mi avevano colpito;
aveva sempre aspettato che concludessi il mio schizzo, guardandosi intorno e
senza tentare di sbirciare il mio operato, cosa che onestamente odiavo. Non era
il massimo della vita lavorare con una persona appollaiata sulla tua spalla a
mo’ di avvoltoio, e lui doveva averlo intuito.
- Posso vedere? – mi chiese, porgendomi
una mano per invitarlo a tendergli il blocco. Annuii, quindi glielo diedi, e
lui iniziò a sfogliarlo. Vi erano disegni di tutti i tipi, lì dentro. Ritratti
del mio gatto e del mio cane, vedute dalla finestra della mia camera,
caricature, nature morte, riproduzioni di quadri famosi, schizzi, bozzetti,
creature immaginarie, ritratti di amici e parenti… Di tutto, insomma.
- Sei davvero brava, cavoli. – si
complimentò il mio professore, senza staccare gli occhi dai miei disegni. – Hai
mai pensato di fare di questa tua passione un futuro? – mi chiese dunque,
guardandomi negli occhi. Abbassai lo sguardo, riavviandomi una ciocca di
capelli dietro l’orecchio.
- A volte. – ammisi. – Ma il mio futuro
è ancora un grosso punto di domanda. So che manca poco alla maturità, e che
presto dovrò darmi una mossa… Però davvero, non ne ho la più pallida idea. Più
cerco di pensarci, più la mia mente si offusca. – mi confidai, tenendo gli
occhi bassi.
Era un tasto dolente, quello. Cercavo
di parlarne il meno possibile con chiunque, specialmente in casa, nonostante i
miei facessero pressione affinché prendessi una benedetta decisione. Continuavo
a rimandare, dicendo che c’era tempo, in fondo. In realtà speravo che prima o
poi mi sarebbe venuta l’illuminazione.
Storia? Filosofia? Lettere? Medicina?
Scienze dell’Educazione? Biotecnologie farmaceutiche? Scienze dei beni
culturali? Lingue e letterature straniere?
C’era l’imbarazzo della scelta. Dovevo
però trovare qualcosa che mi offrisse vaste possibilità lavorative, stando a
sentire i miei. La scelta dell’università, secondo loro, era il primo passo
verso la mia vita da adulta, e avrei dovuto ponderare bene come compierlo.
Sarebbe stato difficile tornare indietro, poi. Non potevo permettermi di
sbagliare, dovevo fare una scelta consapevole e responsabile. Ma ne ero in
grado?
- Certo, mi piacerebbe vivere dei miei
disegni, non lo nego. – proseguii. – Però… Mi sembra un’opzione troppo
irrealizzabile, obiettivamente. Ogni volta che penso a come sarò tra dieci
anni, immaginandomi come un’artista di successo, torno bruscamente con i piedi
per terra. Amo disegnare e dipingere, ma non è detto che questo mi darà il pane
di cui vivere.
Marcello mi sorrise, comprensivo,
dopodiché mi porse il blocco, che io posai sulle mie gambe.
Era la prima volta che mi confidavo con
qualcuno riguardo al mio futuro, non ne avevo mai parlato così apertamente. Con
lui, tuttavia, mi era venuto naturale, una volta iniziato a parlare avevo
proseguito a ruota libera, esternando tutti i miei pensieri, senza forzature.
Non capivo come mai, o forse lo intuivo.
Scossi la testa, sconsolata. Dovevo
smetterla con certi pensieri, ma soprattutto di illudermi da sola.
- Stai tranquilla. – mi rassicurò
Bassi, posandomi una mano sulla spalla. A quel tocco mi sentii ardere, così
continuai a fissare il pavimento, per celare il mio rossore, mentre un calore
familiare mi invadeva il petto. – Prima o poi ti si chiariranno le idee, devi
solo avere pazienza, e non devi scartare del tutto la possibilità del disegno,
a mio parere.
- Lei dice? – gli chiesi, alzando lo
sguardo. Così facendo incontrai i suoi occhi castani, e il mio cuore accelerò
nuovamente i propri battiti. Odiavo che un qualsiasi individuo di sesso
maschile avesse un simile effetto su di me, specialmente quando costui era il
mio professore, ma potevo farci ben poco a riguardo. Potevo solo sperare che
lui non si accorgesse del particolare ascendente che aveva nei miei confronti.
- Sì, davvero. – mi confermò Marcello,
serio. – Dovresti continuare a coltivare questo tuo talento, magari a livelli
più alti. Pensaci.
- Grazie. – gli dissi, abbozzando un
sorriso. Con quella chiacchierata, i miei timori riguardo al futuro si erano
attenuati, seppur molto lievemente.
Marcello ricambiò il sorriso, e solo in
quel momento mi accorsi che aveva continuato a tenere la sua mano sulla mia
spalla; ma non finiva lì. I nostri volti erano pericolosamente vicini, ed io
avrei potuto non rispondere delle mie azioni. Il fatto che in marzo il Louvre
fosse poco frequentato, e che la sala in cui ci trovavamo noi due fosse vuota,
inoltre, non aiutava certo le mie intenzioni.
Dovevo assolutamente spostarmi, eppure
ero paralizzata, non so se volontariamente o meno. Una parte di me voleva
sfruttare quell’occasione fino in fondo, e mi ordinava di sporgermi verso Marcello
e baciarlo. Quando avrei avuto di nuovo una simile opportunità, d’altronde?
Le diedi retta, ma non del tutto. Mi
avvicinai solo di qualche millimetro, di modo che lui capisse le mie
intenzioni, se mai fosse stato interessato, altrimenti non avrebbe colto, se
così non fosse stato.
Poco dopo la mano che era posata sulla
mia spalla risalì verso la mia nuca, avvicinandomi al suo volto e continuando
così l’opera che avevo debolmente iniziato e che lui grazie al cielo aveva
percepito. Le sue labbra premettero sulle mie, ed io chiusi gli occhi, a quel
contatto, schiudendo le labbra, permettendogli così di approfondire il bacio.
Non mi sembrava vero, ma non volevo
guastare quel momento per nulla al mondo. Se quella era la mia unica
possibilità, l’avrei sfruttata fino in fondo, facendo tutto ciò che era in mio
potere.
Mi strinsi a lui, buttandogli le
braccia al collo, dopodiché Marcello mi cinse la vita con il braccio libero,
avvicinandomi ancora di più a lui. Così facendo, però, il mio blocco da disegno
cadde a terra, e quel tonfo ci riportò bruscamente alla realtà.
Bassi si separò da me come scottato,
quindi si chinò a raccogliere il blocco. Dopo essersi rialzato me lo porse,
tenendo gli occhi bassi, mentre io lo afferravo con mani tremanti.
- Forse è meglio se ci avviamo verso
l’atrio. – suggerì poi, dandomi le spalle. Titubante, mi alzai e lo seguii,
confusa e ancora stordita dalle emozioni appena provate. Pian piano il battito
del mio cuore stava tornando ad un ritmo regolare, eppure la mia mente vagava
tra le nuvole. Ciò che agognavo da settimane, senza mai poterlo credere
possibile, si era appena avverato, prendendomi in contropiede.
Forse ho qualche possibilità, dopotutto, pensai, con un sorriso.
Osservando la schiena di Marcello,
però, il mio sorriso svanì; mi aveva trattato con freddezza, e così stava
continuando a fare, mentre ci accingevamo a raggiungere gli altri.
Abbassai lo sguardo, mesta, mentre mi
tornava alla mente uno dei proverbi preferiti di mia nonna.
Una rondine non fa primavera.
- Sei sicura di stare bene? – mi chiese
Alessia, quella sera in camera. Io, lei e Greta ci eravamo appena messe sotto
le coperte, dopo essere state con gli altri a giocare a carte in camera di
Francesco, Giulio e Marco, dei nostri compagni.
- Sì. – mentii io, facendo un sorriso
forzato.
Non avevo detto nulla alle mie amiche.
Quando mi avevano visto arrivare con Bassi nell’atrio del Louvre mi avevano
subito tempestato di domande, ma io le avevo sviate dicendo loro che l’avevo
incontrato solo a fine visita, mentre stavo incamminandomi verso il ritrovo.
Dovevo essere stata abbastanza convincente, poiché non mi avevano più chiesto
nulla, ed io mi ero sentita sollevata. Purtroppo ero una di quelle persone che
si tenevano tutto dentro: difficilmente riuscivo a confidarmi con qualcuno,
quando stavo male. Preferivo contare sulle mie forze ed uscirne da sola, e in
quella situazione non sarei stata da meno. Me l’ero cercata, e non mi meritavo
il conforto che le mie amiche mi avrebbero offerto.
- Non mi sembra molto… - mi contraddisse
Greta, prima di emettere uno sbadiglio. – Sputa il rospo.
- Non c’è nessun rospo da sputare. –
continuai la messinscena. – Sto bene, davvero. Sono solo un po’ stanca.
- Lo siamo tutti, cara mia. – mi
spalleggiò Alessia, prima di chiudere gli occhi. – Per cui ora spegniamo le
luci. Al massimo ne riparliamo domattina, visto che la notte porta consiglio.
Non capii molto bene il collegamento
fatto dalla mia amica, visto che era stata lei a tirare fuori il discorso, ma
le fui enormemente grata.
- Ok. Notte, allora. – si arrese Greta,
prima di sporgersi verso l’interruttore della luce e spegnerlo.
- Notte. – ricambiai l’augurio io, non
ricevendo però risposta da Alessia, che molto probabilmente era già nel mondo
dei sogni. Si addormentava con una facilità imbarazzante, quella ragazza.
Chiusi gli occhi, tentando di seguire
il suo esempio, ma senza successo. Dopo essermi rigirata nel letto parecchie
volte, mi arresi. Sapevo benissimo perché non riuscivo a prendere sonno.
Sbuffai, in preda alla frustrazione, dopodiché mi misi a sedere sul letto e mi
sporsi verso il comodino, prendendo il mio blocco da disegno lì appoggiato.
Forse disegnare mi avrebbe aiutato a
staccare la spina, però non potevo certo farlo in camera, dove le mie amiche
dormivano. Attenta a non fare rumore, sgattaiolai fuori dalla stanza, portando
con me la chiave.
Scesi nella hall, dove vi erano dei
divanetti, e mi sedetti lì, a gambe incrociate. Guardai l’orologio che portavo
al polso e vidi che era la una e mezza: era un po’ tardi, effettivamente, e
avrei fatto bene a dormire un po’, visto che la giornata successiva, che
sarebbe stata anche l’ultima, si prospettava pesante.
Sospirai, quindi aprii il mio blocco da
disegno, senza aver chiaro in mente ciò che volessi fare. Volevo distrarmi,
certo, eppure continuavo a pensare a quel pomeriggio trascorso in compagnia di
Marcello, e al bacio che ci eravamo scambiati. Ogni volta che la mia mente
tornava a quegli attimi, mi sentivo avvampare, e al contempo m’intristivo
ancora di più, pur non avendone motivo.
Avevo ottenuto ciò che desideravo,
dopotutto. L’avevo baciato, e ciò andava ben oltre le mie aspettative. Non era
quello l’obiettivo che mi ero prefissata per la gita, eppure l’avevo raggiunto.
Avrei dovuto essere contenta, ma volevo di più. Mi sentivo come una bambina
golosa che aveva agognato per molto tempo una fetta di una gustosissima torta
al cioccolato ricoperta di panna e che, dopo il primo assaggio, voleva
completare l’opera, divorando non solo la parte desiderata, ma tutto il dolce.
Sapevo però benissimo che avrei dovuto
limitarmi a quell’assaggio, Marcello me l’aveva fatto capire in maniera
inequivocabile, trattandomi così freddamente.
A quel pensiero, sentii le lacrime
bruciarmi agli angoli degli occhi, ma mi morsi con violenza il labbro
inferiore, per impedirmi di piangere. Sarebbe stato un gesto da stupida,
dopotutto me l’ero cercata. Sapevo fin dall’inizio che avrei sofferto, se il
mio amore platonico fosse diventato realtà, eppure avevo fatto di tutto per
renderlo tale, non appena mi si era presentata l’occasione.
Strinsi con forza la matita nella mia
mano ed iniziai a disegnare, finalmente con un obiettivo: avrei impresso su
carta quel che mi era successo, forse per dimostrare a me stessa che non si era
trattato di una mera illusione, forse per tentare di razionalizzare la cosa e
trovare una soluzione o forse per mettere in atto l’ennesimo delirio di una
stupida ragazzina innamorata.
Non so quanto trascorse prima che
appuntai la data in basso a destra. Ogni qualvolta disegnassi, perdevo la
cognizione del tempo.
Dovevo anche trovare un titolo, però.
Fu allora che, per la seconda volta nell’arco di una giornata, mi tornò alla
mente il proverbio preferito di mia nonna.
Una rondine non fa primavera.
Lo appuntai di fianco alla data, mentre
una lacrima sfuggiva al mio saldo controllo. La asciugai violentemente con la
manica del pigiama, dopodiché con rabbia chiusi il blocco da disegno e tornai
in camera, dove speravo di riuscire a dormire.
Malauguratamente in corridoio incontrai
Valerio, anch’egli che stava tornando verso la propria stanza. Non appena mi
vide, tuttavia, si fermò, ed io accelerai il passo per evitare di incrociarlo,
ormai era troppo tardi per tornare nella hall. Quando gli passai di fianco,
però mi bloccò per un braccio, impedendomi ogni via di fuga.
Bene, ci mancava solo questa, pensai scocciata.
- Che vuoi? – gli chiesi, brusca. –
Gradirei andare in camera mia a dormire, se non ti dispiace.
Valerio sospirò, prima di ribattere. –
Dani, ti prego. Questa tua ostilità non fa bene né a me né a te. Cosa ti costa
rivolgermi di nuovo la parola?
- Mi costa eccome! Sei stato tu quello
che mi ha lasciata, non ricordi? – sbottai, mentre a strattoni cercavo di
liberarmi dalla sua stretta. Non ci riuscii, purtroppo. – Perché non mi lasci
andare a dormire, eh? Perché continui a tormentarmi? Non lo capisci che non ti
voglio più vedere?
Stavo riversando su di lui tutto il
malumore che sentivo per via di Marcello, ma non mi importava. Valerio si era
messo sulla mia strada e ne avrebbe pagato le conseguenze.
- Non ti ho fermato per parlare di noi.
– si difese lui, per nulla toccato. – Ma per parlare di te. Si vede lontano un
miglio che c’è qualcosa che non va.
- Oh, adesso vuoi fare l’amicone? Ma
che tenero! – lo schernii, con tono tagliente. – D’altronde quale occasione
migliore per soccorrere l’amata, se non vederla a pezzi? È la strada migliore
per il suo cuore, no?
- Piantala! – mi rimproverò lui,
evidentemente stufo. – Non ho secondi fini, come credi tu. Voglio solo
aiutarti. Ma ti costa troppo darmi ascolto, vero? Per cui preferisci
interpretare tutto a modo tuo! – aggiunse, duro. Lasciò dunque andare il mio
braccio, ma quell’atto di liberazione fu per me peggio di uno schiaffo. L’avevo
ferito ed ero stata colpita di conseguenza, con la medesima arma: la parola.
Abbassai lo sguardo, perché non volevo
mostrargli i miei occhi pieni di lacrime, dopodiché a passo mesto mi diressi
verso la mia stanza. Svoltato l’angolo del corridoio, però, mi accasciai a
terra contro la parete, gettai lontano il mio blocco da disegno e mi avvolsi le
braccia attorno alle ginocchia, dove avevo posato la testa. Ero in preda ai
singhiozzi, che sconquassavano il mio petto e che mi permettevano di dare sfogo
al malessere che mi permeava da quel pomeriggio, dopo che io e Marcello ci
eravamo separati. Semplicemente, ero scoppiata come una pentola a pressione.
Ci vollero pochi istanti perché
sentissi due braccia che mi avvolgevano per offrirmi conforto.
- Scusa. – mormorò Valerio,
dispiaciuto. – Sono stato duro. Non era mia intenzione.
Senza dire una parola gli buttai le
braccia al collo e piansi ancora di più, pur sapendo che, una volta cessate le
lacrime, la situazione sarebbe rimasta identica. Piangere non mi era di
conforto, ma era l’unico modo per esprimere quello che avevo dentro, dato che
nemmeno disegnare aveva funzionato.
- Stai tranquilla, Dani. – cercò di
tranquillizzarmi Valerio. – Qualunque cosa sia, passerà.
Ma sarebbe passata la mia cotta per
Bassi? Ma soprattutto… Ero sicura che fosse solo una cotta?
Note dell’autrice
Capitolo un po’ lunghetto, ma spero vi
soddisfi. È abbastanza ricco di avvenimenti, perciò spero di suscitare in voi
qualche reazione… Qualunque essa sia! xD
Fatemi sapere il vostro parere, mi
raccomando… =)
Passiamo ora ai ringraziamenti:
Sassybaby:
Ecco qui l’aggiornamento che attendevi… Spero che il capitolo ti sia piaciuto,
fammi sapere che ne pensi, mi raccomando. Grazie per i complimenti e per la
recensione, comunque…^^ Anche io adoro le storie proibite, personalmente… Proibite
ed impossibili… Hanno quel non so che… =) Baci, Pikky91
Fataflor:
Grazie per i complimenti e per la recensione. =) I colleghi di Marcello non
sono proprio sessantenni, diciamo però che hanno oltrepassato i quaranta… Lui è
il più giovane, poverino! Anche a me in questi anni sarebbe piaciuto un
professore di filosofia del genere, anche se non mi posso lamentare della mia,
che rendeva la lezione interessante. E poi beh, c’era quello di biologia con
cui rifarsi gli occhi! xD Grazie per avermi fatto notare la svista, nonostante
i mille controlli qualcosa mi sfugge sempre… Non mi sono per niente offesa,
anzi. Se noti qualcos’altro fammi sapere. =) Baci, Pikky91