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Autore: ferao    14/07/2010    9 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Inviti... tardivi




- Ha l’aria stanca, signor Weasley. Ha dormito male stanotte?
Magari avessi dormito! Invece il tuo stupido Paguro mi ha tormentato tutta la notte, come ieri e l’altro ieri!
- No, signorina Bennet. Ho solo lavorato fino a tardi.
- Capisco - rispose lei. - Il capo deve sempre dare l’esempio, eh?
Percy aggrottò le sopracciglia. Che razza di commento era?
- E questa filosofia spicciola, da dove viene? Da Adams, forse?
- No, è che ho fatto gli scout da piccola. Era una frase che sentivo spesso ripetere dai miei capi.
- Non le hanno dato un grande esempio, se ha lasciato perdere gli scout.
- Beh, sarebbe stato difficile continuarli, dovendo stare ad Hogwarts. E non tutti avrebbero apprezzato la mia capacità di montare le tende con una bacchetta.
- Capisco. Conflitto d’interessi, eh?
- All’incirca…
Scuotendo la testa, Percy rientrò in ufficio. La scoperta del fatto che la Bennet era fidanzata lo aveva messo parecchio di malumore (ma, più di tutto, era stata la scoperta che il Paguro era una specie di Mister Regno Unito più alto di lui di almeno una testa). Tuttavia era riuscito a superarlo grazie ad Adams.
Il suo dipendente, due giorni prima, lo aveva letteralmente bloccato in corridoio e gli aveva detto, col suo classico cipiglio da poeta dandy:
- Non creda di potersi arrendere così facilmente, lei.
- …
- C’è una bella differenza tra lei, signor Weasley, e quel biondino, e conoscendo sufficientemente Audrey e la sua intelligenza devo dire che non avrei dubbi circa un suo eventuale orientamento nel caso lei decidesse di non gettare via quello che sta creando.
-…
- Buona giornata, capo.
Al di là della confusione momentanea in cui lo aveva gettato il discorso senza capo né coda di Adams, dopo averci riflettuto lungamente aveva capito che il ragazzo gli stava dicendo di ritentare e di non arrendersi di fronte al Ben-Paguro.
Anche se non del tutto convinto, aveva deciso che, in fondo, quella che gli aveva portato Adams era una buona notizia.

- Adams, ho paura di aver fatto un danno.
- Di che genere?
Audrey sospirò. Si sentiva a disagio a parlare di qualcosa che non conosceva bene, ma doveva farlo.
- Non so se ho fatto bene a presentare Ben al capo.
- E perché?
Già. Perché? Perché aveva quella sgradevole sensazione?
Era una cosa del tutto normale. Il suo ragazzo era venuto a trovarla in ufficio, il suo capo era lì presente, e lei li aveva presentati. Stop.
- Non lo so, Adams.
- Forse perché il capo lo ha praticamente scuoiato vivo con lo sguardo?
- Può darsi. Non lo so.
- Audrey, non hai niente da preoccuparti. E comunque, a me ha fatto piacere vedere finalmente il tuo uomo.
La ragazza sussultò. Sentire pronunciare le parole “il tuo uomo” l’aveva turbata.
Un pensiero le passò fulmineo nella mente, senza nessun legame apparente con il resto.
Quanto tempo era che non “stava” con il suo uomo? (Sì, proprio in quel senso…)
E da quanto tempo nessuno dei due si proponeva all’altro?
Fece due calcoli. Quando era venuto a trovarla a lavoro, due giorni prima, erano già dieci giorni che non si vedevano. Contando due settimane in cui si erano solo sentiti per telefono, o avevano discusso su cose assolutamente futili, faceva quasi un mese.
Un mese che non andavano a letto insieme.
Sarà grave?
Sperò di non essere arrossita, per non dare modo ad Adams di tirare fuori un altro dei suoi saggi consigli.

La sera stessa, Audrey prese il telefono e chiamò Ben, decisa a capire una volta per tutte se una situazione del genere poteva essere o meno normale e accettabile nella vita di una coppia.
- Pronto?
- Sono io, Aud…
- Aud, ciao! Non mi aspettavo che…
- Devo parlarti. Assolutamente.
Ben tacque un istante, ma Audrey si accorse che aveva sospirato.
– Dimmi pure. È successo qualcosa?
- Da quanto è che non “stiamo” insieme?
- In che senso?
- Hai capito in che senso. Allora?
Altro silenzio.- Mah… Non lo so… Credo una settimana…
- Quattro, Ben. Quasi un mese.
- Cavolo, è tanto… - Audrey credette (volle credere) che fosse colpa del telefono, ma la voce del suo ragazzo le era sembrata inespressiva. Vacua. Come se non gli importasse.
- Ma la cosa più strana – insistette allora, - è che, in tre anni che ci frequentiamo, non hai mai resistito più di cinque giorni senza vedermi. - Rieccola, quella tensione nervosa. Audrey odiava arrabbiarsi, ma ultimamente le prendeva sempre più spesso, e sempre con Ben. Non sopportava la sua leggerezza, il suo non pensare a loro.
Due settimane prima avevano litigato per che cosa prendere per cena.
Ma è possibile?
- Aud, lo so, ma…
- Ma? - La ragazza iniziava a sentirsi a disagio. Sapeva che quel discorso valeva anche per lei. E sperava tanto che Ben le desse una risposta che fosse valida anche per se stessa.
- Il fatto è che… Lavoro un sacco, in questo periodo, e a volte non faccio in tempo a cambiarmi o a cenare che mi addormento di botto…
- L’altro giorno, quando sei venuto a prendermi al lavoro, mi hai accompagnata a casa e te ne sei andato subito. Eppure non mi sembravi stanco morto.
- Beh, non è che tu mi abbia certo trattenuto.
La voce di Ben tradiva la stizza che provava. Audrey tacque, capendo di averlo stuzzicato abbastanza.
Con voce incerta, disse: - Ben… Non è che ci sta succedendo qualcosa?
Silenzio. – Può darsi, Aud. Può darsi.
- Secondo te, è normale?
- Normale? No. Non credo. Forse siamo stanchi. Io sono stanco.
Fece più male del previsto. Audrey si aspettava una risposta meno diretta, da uno come Ben.
- Senti, devo proprio andare adesso, ho il turno di notte…
- Aspetta, Ben.
- Che altro c’è?
Scostante. Ferito. Stanco di lei.
- Ben, io… - Non sapeva più cosa dirgli. Una parte di lei sapeva che era giusto così, che si erano divertiti ma ora non volevano più stare insieme; ma la parte di lei che ancora voleva bene a Ben non riusciva a credere di poterlo lasciare così. – Ecco… Per la vigilia di Natale, il Ministero organizza una festa per tutti i dipendenti. Ti va di venirci con me?
- Sai che odio le feste. Buonanotte.
Audrey non fece in tempo a rispondere. Ben le aveva attaccato il telefono in faccia.

Passò dell’altro tempo. Ben non si faceva più vivo. Eppure, nonostante la sofferenza momentanea, Audrey non pensava più a lui. Era come… sollevata. In fondo, la loro era stata poco più di una storiella tra ragazzi; e nonostante l’animo romantico, Audrey era anche una ragazza concreta che sapeva come risollevarsi da queste piccole cadute.

Anche l’umore di Percy, verso metà dicembre, era alto. Sembrava migliorare di giorno in giorno.
I più maligni potrebbero collegare questo stato di grazia al fatto di aver colto, in una conversazione tra la Bennet e Adams, la frase: - Che vuoi che sia, sta già passando… Non è certo la prima volta che rompo con un ragazzo, e questa non era nemmeno la storia più soddisfacente della mia vita…
Beh, bisogna essere proprio maligni e cinici per collegare il buonumore a una cosa del genere! No, ve lo dico io: era lo stomaco.
Quello stomaco che si annodava in tutti i modi possibili e immaginabili quando Audrey passava con le braccia cariche di fascicoli, o quando la sentiva ridere dall’archivio.



È vero, sembra una dannata frase stucchevole uscita da un dannato libro pseudo adolescenziale per ragazzine sull’innamoramento; ma credete forse che io mi diverta a scrivere certe cose? Prendetevela con Percy! Guardatelo ora: seduto alla scrivania, ha finito il suo lavoro da un pezzo, e cosa fa? Fantastica ad occhi aperti! Certo, non ha l’aria sospirosa dei quattordicenni alle prese con la prima cotta, ma dietro a quello sguardo che vaga sulla Gazzetta del Profeta senza leggerla si celano pensieri abbastanza simili.



E non pensate che Audrey stia tanto meglio! A parte il fatto che lei non ha ancora finito di lavorare, e i suoi occhi non scorrono la Gazzetta ma un contratto di comodato, la situazione mentale è sempre quella. Suffragata, inoltre, dal fatto di aver scorto il capo che la osservava senza dirle niente dal suo ufficio mentre lei prendeva il caffè da Greg. Tuttora è sotto l’effetto della strana emozione – sommamente adolescenziale! – che le ha dato questa scoperta.
“E chissà, magari potrebbe volermi invitare al ballo… E non ci sarebbero problemi, perché ormai sono una dipendente da più di due mesi… Ma sarebbe bello anche se non ci fossero seconde intenzioni dietro, anzi sarebbe meglio, perché potremmo chiacchierare, e potrei capire che cos’è che lo tormenta… Sono certa che potrei aiutarlo in qualche modo…”
(Ehi, io ve l’avevo detto che era una romantica…)
Ah, i giovani…
Tutta colpa di quel dannato caffè…

“A proposito, potrei provare a invitarla di nuovo da Marcus. Sì, perché no, mi pare un’idea fattibile e senza troppe ripercussioni…”
Non ti starai mica innamorando, Weasley?
“Ma che dici? Io? Figurati…”
So quello che dico. Sei cotto. Lesso. Andato.
“E anche se fosse? Come ho già detto, non posso sempre fare il vedovo infelice, no?”
Concordo.
“Meno male. Almeno il mio cervello è d’accordo con me”.
Si riscosse da quelle deliranti riflessioni quando qualcuno bussò alla porta.
- Sì?
- Sono io, signor Weasley. Le ho portato il fascicolo che le serviva.
Il ragazzo deglutì, guardando Audrey. Quella strega lo faceva apposta.
Se avesse indossato, che ne so, una gonna che la ingrassasse, o una camicia volgare, avrebbe potuto distogliere lo sguardo e, anzi, riscuotersi del tutto dai suoi bei pensieri. Invece, sembrava che ogni abito, addosso, le stesse bene. E lo costringeva a guardarla inebetito.
Cotto. Lesso. Andato.
La ragazza non se ne accorse per niente, tutta intenta a sistemare un libro che rischiava di cadere da uno scaffale. - Finalmente è finita, eh?
Ehi, Weasley, sta parlando con te. Sveglia. Sveglia. Smetti di guardarla e rispondi, per Morgana!
- Eh?
- Il lavoro - fece Audrey, perplessa. – Domani iniziano le ferie, no?
- Oh. Certo, già. - Tanto io sarò sempre qui a lavorare…
Audrey si sistemò una ciocca dietro l’orecchio, tanto per fare qualcosa e riempire quei secondi di silenzio.
- Allora a presto, capo.
- Ma certo. - Percy fece un lieve sorriso. – Ci vedremo al ballo della vigilia?
Subito dopo averlo chiesto se ne pentì. E se, per l’occasione, Audrey si fosse rimessa col Paguro? O peggio, con qualcun altro? Magari con Adams? L’idea di Audrey che ballava col Paguro o con Adams gli diede una fitta allo stomaco.
Ma il Paguro posso ucciderlo, invece Adams posso solo licenziarlo!
- Ecco, io temo di no…
- Ah no? Come mai?
- Perché… - L’espressione di Audrey si fece un po’ triste. - Non ho nessuno che mi accompagni, ecco.
Qualcosa scalpitò dentro Percy. Nessuno l’accompagna, quindi il Ben-Paguro non è con lei, quindi è libera, quindi… quindi puoi fare solo una cosa, idiota, e allora perché non la fai, santo Godric?
- Mi dispiace - fece, serio. - Allora, ci vedremo dopo le ferie. Buone feste e buone vacanze, signorina Bennet.
Lo sguardo della ragazza brillò per un momento in maniera strana, poi si spense. Era forse… Delusa?
- Va bene. A gennaio. Buone feste, signor Weasley.
Uscì di corsa, con l’abito che le svolazzava leggermente attorno alle gambe.

Passarono esattamente tre secondi.
Non i tre secondi del modo di dire, ma davvero tre secondi, più qualche decimo e un insieme di centesimi.
Insomma, tra ticchettii di orologio. Tic. Tic. Tic.
Poi Percy sbatté la testa sulla scrivania.
Imbecille!
Imbecille!
Imbecille!

A ogni “imbecille” era collegata una testata sulla scrivania. Questo rituale fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta.
- Sì?
- Posso?
- Venga pure…
Adams chiuse piano la porta dietro di sé. Poi si voltò e guardò Percy con le mani sui fianchi. Nella mente di Percy giunse, come un flash, l’immagine della madre che lo rimproverava per aver messo le mani nella marmellata. (Ebbene sì, anche lui l’aveva fatto, una volta…)
Istintivamente gli venne da dire “Non l’ho fatto apposta!”, ma per fortuna si trattenne. Il viso di Adams aveva un’espressione che non ammette repliche.
- Mi permette una parola, signor Weasley?
- Certo, Adams.
- Me ne permette cinque?
- Ehm… Sì.
- Lei è un imbecille, capo.
Passò un intervallo di silenzio. Dopodichè Percy sospirò e si accasciò sulla sedia, tristemente.
- Sì, lo sono.
- Perché non le ha chiesto di venire con lei?
- Non lo so, Adams… è così difficile… - Si prese il viso tra le mani. Erano anni che nessuno lo rimproverava, ed era piuttosto imbarazzante. Perfino le sue scuse sembravano stupide.
- La difficoltà è solo nella sua dannata testa rossa. E finché non lo capisce, sarete tristi entrambi. Mi sono spiegato?
Percy sospirò. Era sempre il capo, ma come arrabbiarsi con uno come Adams?
- Perfettamente.
- Bene. Ora si sbrighi, Audrey sta aspettando l’ascensore.
Appena sentì quelle parole, Percy non ebbe tempo di pensare a cosa fare. Si precipitò semplicemente fuori dall’ufficio, verso gli ascensori, verso Audrey.

“Che stupida che sono… come potevo anche solo pensare che… Mah…”
L’ascensore arrivò.
“Sempre la solita donna Bennet. Uff… vabbè, meglio così, passerò la serata di Natale in gioia e serenità con la mamma… o forse è meglio di no, l’ultima volta non è stata molto serena…”
Audrey si guardò ancora alle spalle, poi mise un piede dentro.
- Bennet!
Il piede ritornò al suo posto.
Il capo stava venendo verso di lei, di corsa. E anche il cuore di Audrey sembrò fare un balzo.
Lasciò andare l’ascensore per andare verso Percy.
Il ragazzo si fermò, con un po’ di fiatone.
- Signor Weasley, che succede?
- Ecco, io… io, veramente…
Lo sguardo di Audrey si fece incoraggiante, mentre sorrideva luminosa.
- Io… Lei… Ha scordato la carta d’identità nell’archivio, poco fa.
Il sorriso si spense.
- Oh, grazie…
- E poi volevo chiederle se vuole venire al ballo con me, il 24 - aggiunse Percy tutto d’un fiato, praticamente senza respirare.
“ … Oh Helga, l'ha fatto…”
La ragazza spalancò gli occhi e la bocca, interdetta dal modo brusco in cui era avvenuto l’invito.
- Dice sul serio?
- Le sembra che stia scherzando?
Audrey lo guardò, trattenendo a stento la risata. Il mantello era storto e i capelli arruffati per la corsa, le guance erano in fiamme così come le orecchie. Non aveva mai visto il capo così. Gli regalò un altro, luminosissimo sorriso.
- Per me va bene.
- Davvero? - Troppo sconvolto persino per sorridere.
- Davvero.
- Ah. Bene, ehm… Allora, ci vediamo il 24.
- Sì…
- Vuole che la passi a prendere?
- Non c’è bisogno, mi Materializzerò qui davanti.
- Va bene. Alle otto.
- Sì.
- Ok, ehm… Buona giornata.
- A lei.
Lo guardò ancora. Sembrava un bambino.
Se ne andò felice e leggera, e aveva voglia di cantare.
Percy, invece, aveva voglia di attraversare l’oceano a nuoto e poi scalare l’Everest, di ballare e di prendere a pugni un Ben-Paguro a caso.
Rientrò a casa fischiettando una vecchia canzone.
Anche Adams iniziò le ferie più contento. Sapere che altri erano felici regalava a lui un decimo di felicità, e al suo spirito filosofico bastava, eccome.

   
 
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