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Autore: Niglia    14/07/2010    5 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo XVIII















 

Avevo smesso di rispondere ai suoi messaggi.

Il giorno dopo Enrico aveva iniziato a tempestarmi di SMS dalla mattina alla sera, ma io li ignorai tutti e non spensi il telefono solo perché avrebbe potuto chiamarmi Alessandra. Non avevo nessuna idea di cosa volesse da me – forse si era pentito di avermi trattata come la prigioniera di un carcere di massima sicurezza? – e sinceramente non mi interessava. Che facesse pure quello che voleva, l’importante era che smettesse di stressarmi. Non avrei più voluto vedere la sua faccia, di questo ero del tutto certa.

Sfortunatamente, qualche giorno dopo iniziai il corso di scuola guida. In realtà, si trattava solo di seguire le lezioni di teoria – dato che avrei compiuto diciotto anni solo dopo tre settimane – ma l’insegnante mi aveva detto che non sarebbe stata una cattiva idea iniziare a portarsi avanti con lo studio. L’unico problema era che avrei dovuto andarci a piedi, e da sola.

Questo aumentava notevolmente le possibilità che avrei avuto di trovarmi faccia a faccia con Enrico, dato che, a giudicare dagli ultimi messaggi, non sembrava ancora essersi rassegnato.

Anzi, in alcuni sembrava quasi minaccioso…

Beh, non avevo più tempo da dedicare a lui e ai suoi capricci: avevo già abbastanza problemi per conto mio. Da quando mio nonno era stato ricoverato io avevo iniziato a dormire a casa di mia nonna per farle compagnia, così le mie uscite notturne si erano ridotte notevolmente – per non dire direttamente che si erano annullate. Mia nonna non sopportava l’idea di andare a dormire sapendomi in giro, da sola – il fatto di essere in compagnia dei miei amici non contava, per lei – e così anche i miei genitori mi avevano chiesto di fare uno sforzo e resistere per un po’. Okay, potevo anche adeguarmi.

Di mattina andavo al mare con Alessandra, in pullman o accompagnata dai suoi genitori, e di sera andavo con i miei in ospedale, in una routine che presto divenne abituale. Non avrei potuto vedere Enrico nemmeno se l’avessi voluto, perciò…

Oh, che diavolo, ma perché continuavo a pensarci?

Forse perché alternava i suoi SMS a mazzi di fiori che mi faceva arrivare a casa e che riceveva in gran parte mia madre, tanto che più volte mi telefonò per chiedermi, sinceramente preoccupata, se avessimo per caso litigato. Ma se non stavamo neppure insieme! Ovviamente, aggiornarla su una simile notizia era fuori discussione, dato che in tal caso avrebbe avuto parecchio da ridire sulle numerose uscite che avevo fatto con lui. Accidenti, avevo le mani davvero legate: non potevo sfogarmi con nessuno, perché ognuno conosceva una versione diversa della storia! Che nervoso.

 

Ma, per tornare alle lezioni di scuola guida, fu esclusivamente colpa loro se non riuscii a levarmi Enrico dai piedi una volta per tutte.

Accadde alcuni giorni dopo la prima lezione. Non avevo idea di come fosse entrato a conoscenza di quel mio nuovo impegno – anche se era altamente probabile che mi avesse messo qualcuno dei suoi amici alle costole, come sempre – fatto sta che, non appena uscii dall’autoscuola, notai subito la sua macchina parcheggiata di fronte, dal lato opposto della strada. Sgranai gli occhi, stupida, e imprecai silenziosamente: dovevo tornare a piedi, quindi non avrei potuto evitare di passare di fronte a lui…

Feci finta di non averlo visto e accelerai il passo, andando per la mia strada con lo sguardo fisso davanti a me: inutile dire che nemmeno pochi secondi dopo venni affiancata dalla sua macchina, e iniziò a seguirmi a passo d’uomo. Aveva i finestrini abbassati – era sempre la sua decapottabile, solo che ora aveva il tettuccio sollevato – e in quel modo potei sfortunatamente sentire la sua voce.

“Ciao, Giulia. Ti va di salire?” Domandò, con una strana voce gentile.

Sempre senza guardarlo scossi la testa, alzando gli occhi al cielo. “No, grazie. Anzi, sei pregato di lasciarmi in pace.” Sbottai, sottolineando velenosamente il finto ringraziamento. Naturalmente mi sarei dovuta immaginare la sua risposta.

“Non era una domanda. Sali.” Replicò: ed eccolo tornare al tono minaccioso.

A quel punto mi fermai e mi voltai verso di lui, innervosita. “Smettila, Enrico, io non ti devo niente! Smetti di seguirmi, smetti di mandarmi messaggi e stupidi regalini, smettila di fare tutto quello che fai! Ti ho assecondato anche per troppo tempo, mi sembra il caso di finirla qui.”

Avevo alzato leggermente la voce, cercando comunque di contenermi e non urlare per evitare di far sapere tutta la storia agli abitanti delle case lì intorno. Mi sentivo incredibilmente orgogliosa dopo quel piccolo sfogo, e visto che Enrico sembrava non avere nessuna risposta pronta gli diedi di nuovo le spalle e feci per andarmene, camminando a passo sostenuto.

Quando però sentii il motore della sua macchina spegnersi e il rumore della portiera che si apriva e si richiudeva, compresi che non sarei riuscita a liquidare l’intera faccenda con così poco. Infatti mi raggiunse subito, afferrandomi al polso e facendomi voltare verso di lui. Aveva un’espressione terribilmente seria e arrabbiata in viso, tanto che fu capace di terrorizzarmi benchè ci trovassimo in mezzo ad una strada, con il sole alto e circondato da case abitate – insomma, volendo avrei potuto urlare e qualcuno sarebbe anche venuto a salvarmi, ecco.

“Dimmi, ho fatto qualcosa di sbagliato?” Sibilò, chinandosi pericolosamente verso di me. “Perché tutt’ad un tratto hai smesso di rispondere ai miei messaggi? Ti ho offeso? Oppure non ti piacciono le rose? Strano, perché credevo fossero i tuoi fiori preferiti…”

Con uno strattone riuscii a liberarmi, indietreggiando poi di qualche passo e guardandolo furiosa. “Tutta questa storia è sbagliata, Enrico!” Proruppi, stringendo gli occhi. “Non essere così stupido da pensare che l’errore sia nei fiori, Dio!, ti facevo più intelligente!” Scossi la testa, ignorando il suo sguardo furibondo e pericoloso. “Credi che mi faccia piacere uscire di casa e avere l’ansia di essere spiata da te o dai tuoi amici, solo perché hai questa mania di volermi tenere sotto controllo? Ma stai scherzando? Non sono la tua ragazza, come ti permetti di comportarti in questo modo! Fatti un esame di coscienza e dimmi se mi sto sbagliando! Cercati qualcun’altra vittima da tempestare con le tue attenzioni e i tuoi capricci, perché io ne ho abbastanza! E se continuerai, Enrico, non esiterò ad andare a denunciarti, non sto scherzando. Non so perché ti sei impuntato con me ma voglio che tu la smetta, e soprattutto dimenticati dove abito perché non voglio più ricevere neppure uno spillo da parte tua. Ti è chiaro il concetto?”

Tacqui, riprendendo il respiro, e mi allontanai ancora di più da lui. “Adesso me ne vado, e se provi a seguirmi mi metterò ad urlare. Questa situazione è durata sin troppo.”

Poi, prima che potesse in qualche modo ribattere e costringermi ad andare con lui, gli diedi le spalle e corsi via, ignorando il caldo e desiderando raggiungere la casa di mia nonna nel minor tempo possibile. Speravo che Enrico avesse afferrato il concetto, perché non volevo davvero arrivare a denunciarlo. Ma, ovviamente, l’avrei fatto se mi ci avesse costretta.

Fu solo quando fui al sicuro dietro la porta di casa che riflettei su quanto erano state avventate le mie parole: oddio, avevo aggredito in quel modo un tizio con la pistola nascosta probabilmente in macchina… Che cosa mi era saltato in mente?

Crollai a terra, paralizzata dalla paura, e nascosi il viso tra le gambe per soffocare i singhiozzi di ansia respressa.

 

 

Dal giorno trascorsero quasi due settimane. Non accadde nulla di particolare, ma Enrico non si era arreso proprio per niente: aveva continuato a mandarmi messaggi su messaggi, ma in genere si limitava a quelli della buonanotte alternati, ogni tanto, con brevi SMS di scuse. Non avevo mai risposto a nessuno di questi.

Alla fine mia madre mi aveva chiesto se avevamo fatto pace, ma avevo deviato l’argomento e non le avevo risposto, visto che avevamo tutti altre cose a cui pensare. Per esempio, il fatto che le condizioni di mio nonno avevano iniziato drasticamente a peggiorare.

Ormai le nostre giornate ruotavano intorno all’orario delle visite dell’ospedale, visto che eravamo lì sia di mattina che di sera, e in quel modo avevo anche una scusa più che ragionevole per non pensare ai miei problemi con Enrico – come se non bastasse, mi innervosiva il modo in cui avevo iniziato a pensare a lui, quasi come se fossi in debito con lui o come se gli dovessi qualcosa: semplicemente ridicolo.

Alessandra ormai faceva coppia fissa con Riccardo, e le poche volte che era capitato di trovarci tutti e tre insieme si erano mostrati molto sollevati per il fatto che avevo deciso di mettere la parola fine a quella situazione, orgogliosi come dei genitori di fronte alla prima parola pronunciata dal loro bambino. Inoltre non avevo più notato nessuna macchina sospetta – segno che anche gli amici di Enrico avevano smesso di spiarmi. Eppure, quando lessi uno dei suoi ultimi messaggi nel quale mi chiedeva come stesse mio nonno, non potei che ricredermi sul fatto delle ‘spie’: insomma, chi diavolo poteva averglielo detto? Naturalmente, non risposi neppure a quel messaggio. Non aveva nessun diritto di intromettersi anche in quella parte della mia vita, aveva già visto abbastanza di me.

Ben presto, però, le cose cambiarono radicalmente – per l’ennesima volta.

 

 

***

 

 

Era il sedici agosto.

Da due settimane non parlavo più con Enrico, ormai, benchè avessi continuato ad avere sue notizie tramite i messaggi che dimostravano che non si era mai arreso di fronte all’evidenza. Il tempo era passato così in fretta da lasciarmi piuttosto interdetta – nel frattempo avevo compiuto diciotto anni e la mia migliore amica aveva ‘festeggiato’ anche il suo primo mese insieme a Riccardo – eppure la piccola parentesi delle uscite con Enrico mi sembrava sempre recentissima.

Negli ultimi giorni, comunque, le condizioni di mio nonno erano sembrate migliorare, tanto che i medici furono del parere di trasferirlo nuovamente dal reparto di rianimazioni a quello, più ‘sereno’, di cardiologia. Com’era prevedibile tutti noi avevamo iniziato a contare i giorni che mancavano dalle sue dimissioni, tanto che il quindici avevamo festeggiato Ferragosto con assoluta tranquillità.

Il mattino dopo, invece, le cose precipitarono improvvisamente come un castello di carte.

Stavo facendo colazione – erano all’incirca le 8 – quando i miei genitori erano arrivati a casa di mia nonna con una strana agitazione, dicendomi di sbrigarmi perché sarei dovuta tornare a casa per far compagnia a mia sorella mentre loro andavano in ospedale, dove a quanto pare le condizioni di nonno erano peggiorate. Fu mio padre a riaccompagnarmi a casa prima di tornare a prendere mia madre e mia nonna per andare in ospedale, lasciando me e mia sorella da sole a casa con la promessa che mi avrebbero fatto sapere il prima possibile.

Attesi fino alle 10, impaziente, andando su e giù per tutta la casa cercando di distrarmi con qualsiasi cosa, ma alla fine non resistessi. Afferrai il cordless e digitai freneticamente il numero del cellulare di mio padre, ascoltandolo però squillare a vuoto. Leggermente in ansia chiamai invece al telefono di mia madre, chiamandola un paio di volte perché sembrava non sentire la suoneria: la terza volta, invece, rispose.

“Mamma?” Chiesi, preoccupata. “Va tutto bene?”

Dall’altra parte del telefono sentivo il suo respiro pesante, come se stesse prendendo dei profondi respiri. “Giulia…” Mormorò, con la voce che tremava.

Il mio cuore prese a battere all’impazzata: improvvisamente non ero più tanto certa di voler avere una risposta, ma la mia bocca si aprì per conto suo. “Cos’è successo?” Balbettai.

Altri respiri, un singhiozzo… E lì compresi ancora prima che rispondesse. “Nonno…” Sussurrò. “Il nonno… Non ce l’ha fatta…”

Sgranai gli occhi, sentendo le lacrime iniziare a inondarli immediatamente. Scossi la testa, più volte, come a voler scacciare quell’orrenda verità. “No…” Mormorai. “No, no…”

“Tesoro…” Mormorò anche lei, tra le lacrime. “Tesoro, vorrei essere lì… Non volevo dirtelo così…”

Ma io non l’ascoltavo già più. Piangevo in modo incontrollato, cercando di non farmi sentire da mia sorella che si trovava in camera sua: uscii in veranda, richiudendo la porta dietro di me e continuando a mormorare “No, no, no…” come se questo fosse potuto servire.

Dopo aver cercato di consolarmi – cosa pressochè inutile, a telefono – e avermi raccomandato di non farmi vedere da mia sorella in quelle condizioni, perché voleva esserci almeno per dirlo a Clara, mi salutò e richiuse la chiamata, dato che doveva aiutare gli altri a ‘sistemare’ tutto quanto. Rimasi a piangere, fuori, per non so quanto tempo, ignorando il mio cellulare che aveva iniziato a squillare imperterrito. Era Enrico: ma cosa diavolo voleva?

Spensi il telefono, resistendo alla voglia di gettarlo per terra, e piansi ancora, versando tutte le mie lacrime. Non volevo crederci – non potevo farlo. Sentivo un dolore lancinante al petto come se avessero strappato un pezzo del mio braccio, tanto quella notizia mi aveva scioccata. Di certo Enrico era l’ultimo dei miei pensieri, anzi, in quel momento non meritava neppure di farne parte.

 

Quello stesso pomeriggio, dopo pranzo, tornammo tutti in ospedale.

Non credo che mi capiterà ancora un’esperienza così tragica, o almeno lo spero. Com’era ovvio, poiché il nonno era morto in ospedale, era lì che sarebbe dovuto rimanere fino al funerale: nessuno di noi era molto a proprio agio con quest’idea – mia nonna, poi, desiderava disperatamente poterlo vegliare tutta la notte, così come si usava – ma invece ci saremmo dovuti accontentare di andare da lui solo per l’orario delle visite stabilito dall’ospedale.

La differenza tra l’afa terribile che aleggiava fuori e il freddo dell’obitorio, dentro, era notevole. Arrivammo quando ancora non c’era nessuno – solo estranei venuti per i propri cari – e fummo costretti ad entrare a turno nella piccola camera mortuaria dove, tra l’altro, si trovavano anche altre salme. I miei genitori non avevano voluto portare mia sorella proprio per quel motivo.

Non appena vidi mio nonno, però, le altre salme scomparvero, come se nell’obitorio ci fossimo stati solo noi; mi portai accanto a lui, non riuscendo a credere di vederlo in quello stato, e tutte le lacrime che credevo di aver esaurito quella mattina si affacciarono nuovamente dai miei occhi, colando copiose sulle guance. Da quel momento, non so per quanto tempo rimasi in quella stanza.

Vidi parenti su parenti susseguirsi in continuazione per dare il cambio a questo o a quell’altro, mentre la mano elegante di mia nonna non cessava un momento di accarezzare la pelle gelida del volto del marito, come se quelle carezze potessero in qualche modo riscaldarlo e confortarlo nella muta immobilità della morte. Sarei rimasta ancora – chissà quante ore erano passate, a me sembravano un’eternità – ma ad un certo punto mia madre mi si avvicinò e mi strinse in un abbraccio, riscaldandomi con il suo corpo. Non mi ero quasi accorta, infatti, del freddo che c’era in quella camera.

“Giulia, sei gelida.” Mormorò, con la voce leggermente roca. “Esci un po’ fuori, prendi aria e riscaldati, altrimenti ti ammali.”

Annuii, come in trance, ed uscii all’obitorio attraversando la piccola sala d’attesa e raggiungendo direttamente gli altri nel cortile, sotto il caldo sole pomeridiano. Starnutii a causa del brusco cambio di temperatura e, non appena vidi mio padre, mi diressi lentamente verso di lui per poi poggiarmi al suo petto e nasconderci il viso troppo pallido. Rimasi immobile mentre mi accarezzava i capelli, socchiudendo gli occhi e cercando di estraniarmi da quel dolore che non voleva saperne di abbandonarmi.

 

“Giulia…” Mi chiamò ad un certo punto, facendomi sollevare la testa. “C’è un tuo amico.”

Un mio amico? Chi mai poteva essere, visto che non avevo ancora detto a nessuno quanto era successo, neppure alla mia migliore amica? Lentamente mi voltai, sentendo le braccia di mio padre che mi stringevano abbassarsi e liberandomi dal suo abbraccio; fu uno shock ritrovarmi a fissare il volto serio e duro di Enrico.

“Che cosa ci fai qui?” Mormorai, non riuscendo ad impedire alla mia voce di tremare.

La sua mascella fece un guizzo, irrigidendosi. “Ho saputo… di tuo nonno…”

Sentii i miei occhi riempirsi nuovamente di lacrime, e mi maledii per questo: l’ultima cosa che volevo era piangere di fronte a lui, come se in quel modo potessero crollare tutte le mie difese. Non risposi, ma sfortunatamente fu mio padre a farlo al posto mio.

“Enrico, giusto?” Chiese, mentre il mio incubo personale annuiva. “Ti posso chiedere un favore?”

Lui annuì ancora, mostrandosi incredibilmente cortese. “Certo, signore.”

“Per piacere, portala al bar. È rimasta dentro dalle 2 e mezza, le farebbe bene cambiare un po’ d’aria.”

Sollevai lo sguardo verso mio padre, piuttosto sconvolta dalle sue parole. Mi stava mandando a fare un giro con Enrico? In che razza di dimensione parallela ero finita? Okay, mio padre non lo conosceva e non sapeva cosa tutto c’era dietro, ma chiedergli di tenermi compagnia, io e lui da soli, non mi sembrava il caso… A meno che, certo, mia madre non avesse un po’ gonfiato la storia raccontandogli che stavamo insieme. Ma cavoli, non era di certo il momento più adatto per accettarlo come mio ragazzo, ad ogni modo!

L’altra cosa che mi faceva innervosire era che mio padre non volesse farmi restare in ospedale… Se potevano rimanere loro, perché io me ne sarei dovuta andare?

“Ma papà, voglio restare qui…” Provai a replicare, con scarsi – diciamo pure nulli – risultati.

Infatti lui scosse la testa, risoluto. “No, Giulia, vai. Se rimani qui ancora per molto finirai per sentirti male, e non voglio. Vai con il tuo amico.”

Probabilmente solo a me era suonata male la parola amico riguardo ad Enrico, dato che né lui né mio padre si erano scomposti più di tanto.

“Vieni, Giulia…” Disse Enrico con dolcezza, prendomi la mano.

Con un’espressione piuttosto contrariata e storcendo il naso fissai mio padre, ma poi mi limitai a seguire docilmente l’unica persona che avrei voluto evitare. Tutti gli sforzi che avevo fatto in quei giorni per cercare di non incontrarlo erano svaniti nel nulla, e visto che ci stavo riflettendo, mi accorsi di non avere neanche il cellulare con me qualora avessi dovuto chiamare rinforzi. Davvero fantastico.

Augurandomi che non avesse intenzioni strane, almeno per quella volta, salii nella sua macchina – che per l’occasione aveva il tettuccio rialzato come se in qualche modo si fosse voluto adattare al mio cupo stato d’animo. Bah, sciocchezze.

Ascoltai il ruggire dell’auto che ripartiva, guardando fuori dal finestrino mentre l’aria condizionata iniziava a circolare nell’abitacolo. Non avevo nessuna intenzione di litigare quel giorno, così decisi di issare momentaneamente la bandiera bianca.

Avrei avuto di certo altre opportunità per gridargli ancora quanto lo odiavo.

















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AA - Angolo Autrice:
Ed eccomi tornata con un - alquanto sudato - aggiornamento! Temevate che non fossi sopravvissuta all'esame, vero? Tranquille, la vostra GiulyRedRose rimarrà connessa su questi schermi fino a storia finita, anche se dovessero volerci secoli! ù.ù (In realtà, spero di impiegarci meno tempo :p)
Scherzi a parte, non ho molto da commentare su questo capitolo. La relazione tra Giulia ed Enrico è parecchio tesa, chi sa come si evolverà? Questo tragico avvenimento li avvicinerà oppure no? Sbizzarritevi pure con le ipotesi, sarà divertente sapere che cosa si immaginano le mie lettrici ^^
Perdonatemi per il capitolo tristissimo - temo che anche il prossimo sarà più o meno su questa linea - ma poi le cose dovrebbero tornare "spensierate" come prima. Almeno lo spero!
Voglio ringraziare con tutto il cuore le 100 fantastiche persone che hanno aggiunto questa storia tra le preferite e le altrettante 149  meravigliose che l'hanno aggiunta alle seguite... Grazie grazie grazie, grazie infinite, non so che farei senza di voi =*
Inoltre ringrazio Rosella, Valentina78 e savy85 per aver recensito lo scorso capitolo ^^
Il capitolo 19 è stato scritto già per metà, quindi non dovrete attendere un altro mese per leggerlo... E poi ora che ho finito con la scuola e lo studio avrò più tempo a disposizione ^^
Continuate a seguirmi, vi adoro! <3
Un abbraccio, al prossimo capitolo =*
GiulyRedRose



   
 
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