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Autore: Lirin Lawliet    16/07/2010    13 recensioni
Questa storia ormai è iniziata e forse tutti noi ci siamo dentro fino al collo, anche se non lo sappiamo... Perchè non esiste nulla di casuale; perchè il nostro nome è già stato scritto, anche se il destino di ogni uomo è un segreto sepolto nel silenzio. Una poliziotta medium dal grilletto facile... Un assassino che agisce nell'ombra sfidando L con una scia di enigmi incomprensibili... Un gioco di seduzione e morte che non risparmierà nessuno; neanche te! Questo è il Caso-Doomsday: l'ultima sfida per L, l'ultimo enigma da risolvere prima che il Giorno del Giudizio giunga anche per lui.
[LXOC][Mello x Matt]
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: L, Matt, Mello, Near, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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IL GIORNO DEL GIUDIZIO
 

-1 giorno

 

Ore: 11:50 pm

Matt correva.
Non avrebbe saputo dire con certezza da cosa stesse scappando, nè da quanto tempo lo stesse facendo. Sapeva solo che doveva correre.
Le sue scarpe da ginnastica producevano uno strano rumore liquido sui marciapiedi umidi, spruzzati qua e là da torbide pozzanghere maleodoranti che rimandavano una visione distorta dei negozi e dei pub che stava superando a gran velocità. Si sentiva stordito: il chiacchiericcio concitato dei passanti, l'ululato feroce delle sirene della polizia, l'abbaiare impazzito di un cane in lontananza... Tutto, ogni voce, ogni rumore, si era trasformato in un sibilo ovattatato, che gli dava l'impressione di aver perso l'udito tanto iniziava a mancargli il fiato a causa di quella corsa fuori programma.
L'unico rumore che gli teneva compagnia durante quella fuga disperata contro tutti e nessuno era il battito frenetico del suo povero cuore sotto sforzo...

Tump Tump Tump

Il latrato isterico delle sirene divenne più chiaro; più vicino.
Una dolorissima fitta alla milza costrinse Matt a strizzare le palpebre e a stringere i denti. Avrebbe tanto voluto fermarsi per riprendere fiato, ma respirare non era un lusso che poteva concedersi; non in quel momento. Mai come in quell'istante Matt maledisse se stesso per aver abituato i propri polmoni ad essere ingordi di nicotina e catrame, tanto che, se avesse avuto un pacchetto in tasca -con ogni probabilità- se ne sarebbe sbarazzato all'istante.
In ogni caso, non doveva fermarsi.
Non poteva fermarsi!

Tump Tump Tump

Ma perchè, dannazione, lo stavano cercando? Cosa volevano da lui? Perchè non gli davano un attimo di tregua?
Solo un attimo, sì... Un attimo per guardarsi intorno, per capire il senso del dramma che lo pretendeva come protagonista.
E lui, Mail Jeevas, non era pronto per un risvolto simile: lui non era mai stato protagonista di nulla. Neanche della propria vita.

Tump Tump Tump

Senza indugi, urtò un'anziana signora e la sorpassò senza scusarsi nè fermarsi. Era grassa? Era bionda? Non ricordava.
Non sapeva dove stesse andando.
Ogni piazza, ogni strada, ogni vicolo gli sembrava perfettamente identico a quello precedente e ormai aveva la sensazione terrificante di aver girato in circolo per più di un'ora. Il tappo ovattato che gli riempiva le orecchie di strano silenzio si trasformò in un fischio doloroso e destabilizzante, simile a quello di una vecchia teiera panciuta che, per un attimo, gli ricordò L e le sue tazze di porcellana bianca colme di zucchero e sporcate da qualche sporadica goccia di earl grey tea...
A quel pensiero, inconsciamente increspò le labbra in una smorfia disgustata: l'immagine di L riprodotta dalla sua mente gli aveva causato un moto di stizza inspiegabile, come se a quel volto scarno e a quel corpo gracile fossero legati solo pensieri spiacevoli.
Perchè era convinto di dover essere arrabbiato con il detective? Perchè il solo ricordo della sua voce piatta gli faceva annodare l'intestino come se fosse stato un grosso cobra pronto ad attaccare? Perchè il solo pensiero di L lo faceva sentire in collera con l'universo intero?
Non lo sapeva.

Tump Tump Tump

Sgusciò in un vicolo.
Qualcuno lo stava seguendo? Lo sciabordìo che sentiva era dovuto al suo sangue che ribolliva come una cascata di lava e orrore sotto la sua pelle, o era dovuto a decine, centinaia di piedi che ad ogni passo si avvicinavano a lui? Una cosa era certa: non si sarebbe voltato per verificare.

Tump Tump Tump

Il vicolo era buio e anonimo. Evitò agilmente un cassonetto dell'immondizia e, senza pensarci troppo, lo rovesciò con il braccio destro per ostacolare la corsa dei suoi inseguitori senza volto e senza nome. Alzò gli occhi, ritrovandosi ad un passo da una rete di metallo arrugginito, che divideva il vicolo da un cortile privato. Non gli occorse più di un ottantesimo di secondo per calcolarne l'altezza: due metri e mezzo.
Poteva scavalcarlo, si disse.

Tump Tump Tump

Disperato più che mai, Matt afferrò la rete di ferro e la strattonò, come se fosse lei la colpevole di tutti i suoi guai.
Infilò un'altra mano nel reticolato e, inavvertitamente, si tagliò il pollice. Il sentore pungente del sangue gli invase le narici e si mescolò al tanfo di ruggine e pioggia. Non aveva importanza. Introdusse un piede, come se volesse sventrare quella creatura di ferro che gli ostacolava il passaggio.
Ne infilò un altro, con più decisione.
Doveva farcela o lo avrebbero preso. Lo avrebbero catturato senza motivo. Gli avrebbero puntato contro le loro vigliacche dita accusatrici e gli avrebbero rovesciato addosso accuse senza fondamenta.
Lui non aveva fatto niente.
Lui era innocente!

Tump Tump Tump

Era dall'altra parte. Ci era riuscito.
Si voltò, trionfante e allo stesso tempo terrorizzato, pronto a fissare negli occhi gli uomini che volevano la sua testa per qualche assurdo motivo...
Sbattè più volte le palpebre, incredulo, ritrovandosi a contemplare il vicolo deserto. Non c'era nessuno.
Nessuno lo stava inseguendo...
Una goccia di sangue percorse l'unghia del suo pollice e si tuffò in una pozzanghera ai suoi piedi...
In fondo al vicolo, un camioncino bianco attirò la sua attenzione: un'ambulanza, cazzo! Un'ambulanza, non una volante della polizia!
Stanco e confuso, lasciò vagare lo sguardo alle suole delle scarpe e osservò i suoi stessi occhi riflessi nella pozzanghera. L'altro Matt sembrava spaventato quanto lui.

"Sii sincero" disse all'immagine riflessa nell'acqua torbida "Dimmi la verità almeno tu: è il mondo che è sottosopra, o sono io che sto impazzendo?"

Con uno sbuffo liberatorio, Matt si accasciò al suolo, incurante dell'umidità che gli impregnava i vestiti e che gli irrigidiva le ossa, e chiuse gli occhi, in attesa che il respiro si stabilizzasse e che il cuore tornasse a battere con regolarità. Si prese stancamente la testa fra le mani, affondando le dita gelide fra i capelli fradici e induriti dalla pioggia.
Cosa diavolo gli stava accadendo? Perchè qualcuno lo stava cercando? Soltanto pochi giorni prima, la polizia lo aveva sorpreso a passeggiare nei pressi di Covent Garden e un giovanotto biondo in divisa gli aveva gridato di alzare le mani sopra la testa, puntandogli contro un'arma da fuoco.
Si era spaventato, doveva ammetterlo. Era scappato, senza sapere perchè le forze dell'ordine volessero catturarlo, e iniziava segretamente a pentirsi di averlo fatto... Di sicuro, doveva esserci stato un malinteso; forse, se lo avessero lasciato spiegare, avrebbero capito che qualsiasi cosa credessero lui avesse fatto era fasulla.
C'era di sicuro un errore.
Doveva esserci!

Frugò fra le proprie tasche alla ricerca del cellulare. Non ricordava quando, ma purtroppo si era rotto: il touchscreen si era spaccato a metà, e la scheda prepagata era andata inspiegabilmente perduta. Possibile che l'avesse persa? Era piuttosto improbabile che qualcuno avesse smontato il suo telefono senza che lui se ne accorgesse. Eppure, non si sentiva di escludere quella possibilità. C'erano troppi buchi neri nella sua memoria.
In ogni caso, non poteva telefonare a Mello e chiedergli di raggiungerlo; non aveva soldi per chiamare da una cabina telefonica e chiedere ad un passante di prestargli il cellulare non gli sembrava l'idea migliore. Cosa doveva fare? Cosa poteva fare?

La pioggia si trasformò in neve, candida e gelida. A Matt, quella visione paradisiaca e pacifica non ricordava il tepore di un caminetto o l'emozione del Natale: per Matt, la neve aveva lo stesso odore del sangue; del fuoco.
Della morte.

"Dove sei, Mello? Perchè non sei qui con me?" sussurrò, avvertendo improvvisamente gli occhi pungergli dolorosamente.

...E così, in preda alla paura e alla confusione, Matt finalmente pianse.

 

"Matt, dove cazzo sei finito!?" chiese Mello, alzando presuntuosamente il mento contro il cielo plumbeo.

Era stato costretto ad abbandonare la sua moto sul ciglio della strada, all'incrocio fra St.James's Park e Buckingham Palace, a causa della neve che aveva iniziato, poco a poco, a ricoprire le strade come una spolverata di gelido zucchero a velo. Intorno alla suola dei suoi costosissimi stivali di pelle lucida si era formata una cornice di nevischio grigiastro e sporco; il solo osservare quell'imperfezione gli causò un moto di stizza misto a rassegnazione.

Quando e se avesse trovato Matt, gli avrebbe messo in conto anche i suoi inestimabili stivali Dainese!*

Provò per l'ennesima volta a rimettere in moto il suo veicolo, ma il motore gemette, esausto, come uno strumento a fiato tenuto sott'acqua...

"Merda! Ci mancava solo questo"

Avrebbe dovuto chiamare Near e chiedergli di continuare le ricerche al suo posto? Neanche a parlarne! Di sicuro, il principino apatico avrebbe gradito la sua generosa richiesta - tanto più che, dall'alto della sua fraccomodità, avrebbe proseguito le ricerche a bordo di una calda e accogliente limousine. Mello sbuffò, contrariato all'idea di lasciare a quel testone di Near tutto il divertimento; perchè per Near, di divertimento si sarebbe trattato. Invece per lui, ritrovare Matt era di importanza vitale: era una questione personale.

...O, almeno, così gli piaceva pensare.

Di mala voglia, comunque, compose il numero del cellulare di Yana. Non sopportava quella ragazza e, ancor meno, sopportava l'idea che L le avesse dato il compito di visionare le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso di tutte le banche, grandi magazzini e musei di Londra, al solo scopo di cercare di ricostruire l'ipotetico percorso compiuto da Matt. Cos'erano quelle preferenze? Persino Matsuda avrebbe potuto occuparsi di un compito del genere. Perchè solo la Principessina sul Pisello Paranormale poteva permettersi il lusso di non mettere il suo impudente nasino patrizio fuori di casa, mentre lui era costretto a congelarsi le membra nel bel mezzo di una tormenta di neve?

Sbuffò di nuovo, contrariato dai suoi stessi pensieri. In fondo, lui era il nuovo L, ed era giusto che si mobilitasse in prima persona. E poi, di sicuro per Yana non sarebbe stato semplice dare fisicamente la caccia a suo fratello. E ancora, se quel compito pratico era stato affidato a lui, era perchè era l'unico in grado di portarlo a termine con una più alta percentuale di successo.

Sì, doveva essere così: L non era così buono da privilegiare qualcuno senza una motivazione valida.

Il cellulare squillò a vuoto per qualche secondo, quando la voce di Yana finalmente chiese "Mello?"

"No, la Fata Turchina! Sì, certo, Mello... Chi altri?!" chiese il biondo, stanco "Non posso proseguire con la moto" spiegò poi, riservando un'ultima occhiata alla carcassa della suo veicolo "Rientro a Scotland Yard con la prima metropolitana che trovo; tu manda un carroattrezzi a recuperare la mia due ruote il prima possibile, ok?"

"Aspetta! Ci sono delle novità" ribattè la ragazza "Seguendo le registrazioni siamo riusciti a ricostruire il percorso compiuto da Matt nelle ultime ventiquattro ore"

"Davvero?" chiese Mello, leggermente stupefatto "Qual è la zona?"

"Sta girando in tondo senza un obiettivo preciso... E' come se fosse disorientato" spiegò l'altra "Sta facendo su e giù fra Bridge Street e Victoria Station"

"Quindi è vicinissimo a Broadway e a Scotland Yard" ipotizzò Mello, controllando la piantina digitale sul display del suo cellulare.

"Secondo l'ultima registrazione, si sta allontanando verso Westminster Abbey; però L dice che c'è un margine di errore del 40% sul calcolo del percorso"

"Ci vado subito"

"Stiamo inviando anche delle volanti di soccorso" disse l'altra, e poi aggiunse "Ti raggiungiamo anche noi!"

"Non ho bisogno dell'aiuto di nessuno" replicò il biondino, leggermente a disagio per la forzata intromissione della polizia nella sua faccenda personale.

"Neanche di un F.N. Nemesis e di proiettili al narcotico?"

Seguì una breve pausa, durante la quale un lieve sorriso affiorò sul viso di Mello.

"Yana?"

"Sì?"

"Non ti ci abituare ma... Non sei così male, per essere una raccomandata"

"Neanche tu sei così male, per essere la brutta copia di Britney Spears*"

"Dacci un taglio, con quel nomignolo!"

Così dicendo, Mello chiuse la comunicazione, si gettò al centro della strada senza curarsi delle macchine e costrinse una Lamborghini Gallardo arancione ad una brusca frenata. L'auto si arrestò a pochi centimetri dalle ginocchia di Mello, con uno stridìo di freni a dir poco assordante.

Il finestrino del pilota si abbassò velocemente, neanche fosse furioso anche lui.

"Ma che cazzo fai?!? Volevi morire, stronzo?" gli gridò un giovanotto dai corti capelli scuri, agitando furiosamente un pugno contro il cielo.

Mello si limitò a sollevare un sopracciglio, si controllò le tasche e ne estrasse una Glock Plus non più lucida a causa del troppo uso; di sicuro il fucile di precisione che gli avrebbe procurato Yana avrebbe fatto più effetto, ma per un figlio di papà pieno zeppo di soldi poteva andar bene anche la sua vecchia compagna di avventure. Nascose l'arma nella manica del giubotto: se il tizio avesse collaborato senza fiatare forse avrebbe anche potuto evitare di sventolare la sua pistola ai quattro venti.

"Allora, ti muovi? Spostati, testa di cazzo!!" continuò a gridare il proprietario della Lamborghini, suonando ripetutamente la tromba dell'auto.

"Hai davvero una bella macchina, amico" disse Mello, calmo, accostandosi al finestrino.

"Ragazzino, ma sei fuso o cosa? Levati oppur..." il povero disgraziato, che tanto povero non era, non riuscì a concludere la frase, poichè lo strano biondino dall'aria annoiata gli aveva appena piazzato la canna di una pistola fra le labbra.

L'uomo sbiancò e sgranò gli occhi, terrorizzato.

"Sarebbe buon'educazione scusarsi con chi si stava per investire, non credi?" chiese Mello, tirando indietro il cane della Glock "Scendi dalla macchina!" gli intimò poi, strappando con la mancina le chiavi dal quadro dell'auto per evitare una possibile fuga del pilota.

L'uomo obbedì, tremante e visibilmente terrorizzato.

Mello lo squadrò durante la discesa dall'automobile: era vestito con un completo grigio perla di Valentino, indossava un Rolex d'oro zecchino con il quadrante tempestato di brillanti e aveva davvero un bel paio di stivaletti neri...

"P-P-P-Prego!" farfugliò l'uomo "E' t-t-tutt-ta tua! Prend-d-dila pure! T-Tanto n-n-ne ho un'a-altra!"

Mello lanciò in aria le chiavi della Lamborghini e le riacciuffò al volo, fulminando quel giovane riccone con i suoi occhi fiammeggianti. L'uomo ebbe un sussulto ed emise un mugolìo strozzato alla vista della Glock, ancora saldamente puntata contro di lui, che si abbassava sino ad indicare le sue calzature...

A Mello per poco non sfuggì un sorriso.

"Ehi amico... Che numero hai di piede?"

Il Big Ben segnò le quattro del mattino, proprio mentre Matt si stava godendo un meritato caffè amaro in un take-away aperto ventiquattr'ore su ventiquattro. Il locale era semideserto, sporco e spartano, e nell'aria aleggiava un vago sentore di salsicce e fagioli, tipici del breakfast anglosassone. Lo stomaco del rosso gorgogliò, protestando sonoramente ad ogni sorsata di caffè bollente, ma a Matt non importava. Era immerso nei suoi pensieri confusi, alla ricerca di qualsiasi cosa gli potesse regalare un po' di normalità e, in quel frangente, persino lo squallido take-away all'angolo di Wenstminster Square faceva al caso suo.

La graziosa cameriera non mancava di scoccargli qualche sorrisino gentile ogni volta che Matt levava lo sguardo verso di lei, per poi riabbassarlo di colpo, scuro in viso. Il sorriso di quella ragazza era troppo luminoso per il suo umore, nero come il caffè che si ostinava ad ingoiare pur non avendo sete. La giovane donna, dagli eccentrici capelli decolorati e tinti di fucsia, corti e a spazzola, avrebbe anche potuto rimediare al vortice di sensazioni sgradevoli che si arrampicavano lungo la sua gola... Ma ogni volta che il pensiero di invitarla a bere un caffè si affacciava alla mente, l'immagine di Mello si appropriava prepotentemente del suo cuore, e lo stringeva in una morsa spinosa e letale.

Dov'era Mello? Perchè non si erano ancora ritrovati?

L'ultimo ricordo che aveva di lui era sbiadito e frammentario come un incubo notturno che svanisce dopo i primi attimi di veglia; come un puzzle senza senso, in cui i pezzi non sembrano trovar modo di combaciare.

Stava bene, Mello? Era forse arrabbiato con lui?

Mandò giù l'ultimo, amaro, sorso di caffè e spostò lo sguardo sulla clientela del take-away.

Non c'era nessuno di interessante: una guardia giurata che probabilmente stava aspettando di iniziare il turno di notte e che, nel frattempo, fumava una Marlboro Light al tavolino più lontano dalla sua posizione; un paio di impiegatucci in giacca e cravatta che sparlavano apertamente del loro capo mentre divoravano muffin ai mirtilli annaffiati con cappuccini che sapevano più di acqua calda che di caffè; e poi, c'era un giovane mediorientale, tutt'intento a cliccare sui tasti del suo pc portatile, incurante di tutto ciò che lo circondava.

Annoiato e stanco, Matt spostò lo sguardo sulla televisione: stava per iniziare il notiziario notturno.

"Scusi, può alzare il volume?" chiese uno degli impiegati alla graziosa cameriera, indicando al contempo il televisore. La donna, a malincuore, distolse lo sguardo da Matt e fece quanto le era stato ordinato. Il rossino era sicuro che, non appena l'avesse fatto, sarebbe tornata a concentrarsi su lui, ma inaspettatamente lei non lo fece: qualcosa aveva attirato l'attenzione di tutti, lì al take-away. Così, incuriosito, anche lui si concentrò sul notiziario... E sbiancò.

Un disegno colorato al computer riproduceva perfettamente il suo viso e, in sovrimpressione, lampeggiava pericolosamente la scritta: Matt - Pericoloso Criminale

Matt avvertì una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco: nausea.

"...Il pericoloso criminale -conosciuto come Matt- è sospettato di pluriomicidio volontario. L'omicida sarebbe stato avvistato dagli agenti di Scotland Yard nei pressi di Covent Garden soltanto trentadue ore fa, ma contro ogni previsione è riuscito a far perdere le proprie tracce e ad allontanarsi, indisturbato" annunciò una enchorewoman dai lunghi capelli biondi "Ed ora, facciamo qualche domanda all'ispettore Desmon Black, il responsabile delle indagini"

Il faccione rotondo del noto ispettore di Scotland Yard riempì lo schermo e, allo stesso tempo, riempì d'orrore anche il cuore di Matt.

"Ispettore Black, sarebbe così gentile da elencare i capi d'accusa?" chiese la telecronista.

"Certamente. Il ragazzo conosciuto come Matt era uno degli studenti del famoso istituto Wammy's House, andato distrutto nel corso di un incendio circa una settimana fa. L'incendio stesso, doloso, è da imputare alla follia di Matt, che fra le altre cose sarebbe colpevole di omicidio plurimo ed intenzionale"

"Come mai i nomi delle vittime non sono stati resi noti dalla polizia?"

"Per motivi di riservatezza. Dovevamo fare il possibile per non compromettere le indagini"

"Con il vostro consenso, possiamo mostrare i volti delle vittime al pubblico?"

"La pregherei di limitarsi a citare i nomi"

Il cuore di Matt perse un battito, in attesa.

"Le vittime del pluriomicida sono: Michael Parker - 24 anni; Andrew Mc Gregor - 24 anni; Roger Ruvie - 76 anni; You S. Nosobani - 21 anni..."

Cosa stava dicendo quella puttana? Come si permetteva di dire tali assurdità? Lui non aveva ucciso nessuno!

Nessuno!

"... Il detective Ryuuzaki - 25 anni; un suo compagno di studi conosciuto come Mello - 19 anni; un'agente di polizia - Yana Yaromira, 22 anni..."

No.

Non era possibile.

Non era vero. Non c'era niente di vero.

Mello e Yana...? Loro... Loro erano morti?

E li aveva uccisi lui? No. Non era possibile! MENZOGNE! Erano tutte menzogne!

"Stai mentendo!!" gridò Matt, in preda al panico, incurante delle occhiate cariche di sgomento e di terrore dei presenti "Sta mentendo! Fatela smettere!"

"E' lui!" gridò uno degli impiegati, sconvolto "E' l'assassino!"

"Tutti a terra!" strillò la guardia giurata, estraendo la propria pistola di servizio. La prima ad obbedirgli fu la giovane cameriera che, fra uno strillo acuto ed uno più alto ancora, si stese dietro il bancone.

Quel che successe dopo, fu semplicemente un'altra corsa contro il tempo: un'altra corsa verso il baratro.

Matt sollevò il tavolino da caffè, incurante della tazza di ceramica che andò in frantumi un attimo dopo. Si fece scudo con la superficie di alluminio, riuscendo così a proteggersi dai tre proiettili che erano diretti contro di lui.

Un ulteriore proiettile distrusse la vetrata alle sue spalle, mandandola in pezzi.

Era la sua occasione!

Con abile mossa sgusciò dall'apertura appena creatasi e si fiondò in strada, accompagnato dalle grida dei clienti del take-away e dallo scoppiettìo provocato da altri due colpi di pistola: uno di essi si incastrò nella rotula destra. Perse l'equilibrio ma riuscì a non rovinare a terra. Strinse i denti, con gli occhi fuori dalle orbite per il dolore lancinante che si espandeva in tutto il corpo. Forse non sarebbe più stato in grado di camminare, in futuro, ma in quel momento non poteva fermarsi: doveva assolutamente riuscire a scappare.

Stancamente, si trascinò sino all'uscita ovest di Wenstminster Street e si calò nella metropolitana, puntualmente seguito dalla guardia giurata. Aveva sparato in totale sei colpi: gliene rimaneva soltanto uno.

Poteva farcela.

Nonostante il dolore gli paralizzasse la gamba destra, Mett trovò la forza di risalire i gradini che lo avrebbero condotto all'uscita sud della stessa linea della metro e, quando riemerse in superficie, si accorse che stava ancora nevicando. Il sangue, che gli colava copiosamente dalla ferita fresca, izuppava di rosso la neve che si era depositata al suolo. Si costrinse a distogliere lo sguardo per non vomitare. Doveva restare lucido.

La cattedrale di Westminster Abbey, sede del Parlamento britannico, si ergeva dinanzi a lui e il Big Ben svettava contro il cielo violaceo come un immenso e famelico dinosauro di pietra...

Poteva farcela - si disse nuovamente.

"Mello..." sussurrò il fuggiasco, pensando alle notizie del telegiornale "Yana" aggiunse, sorpreso dalla sua stessa voce, incrinata dal dolore "Io..."

Vi ho davvero uccisi? Io?

"Vi raggiungerò presto... Non temete..." sussurrò, arrancando in direzione della cattedrale "Non vi lascerò soli"

L osservava la strada senza vederla davvero. Continuava a rosicchiarsi l'unghia del pollice, incurante del fatto che stesse già sanguinando da un bel pezzo, con aria assorta e sguardo fisso nel vuoto. Yana, al posto di guida, accarezzava con sicurezza il volante e la leva del cambio, destreggiandosi abilmente in un labirinto di strade coperte di neve, senza batter ciglio.
Nessuno dei due parlava.
La poliziotta era ridotta ad un fascio di nervi; masticava nervosamente il suo chewing-gum alla fragola e sussultava ogni volta che faceva scoppiare uno dei palloncini di gomma americana, nonostante fosse consapevole di essere lei stessa a produrre quelle piccole esplosioni: quel rumore le ricordava troppo il suono di uno sparo, nonostante quello prodotto dal chewing-gum fosse molto più dolce e basso. In quel momento, l'unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era la strada. Quel semplice premere i piedi sui pedali e fermarsi agli stop era un gesto meccanico, che le veniva naturale, ed era anche l'unica azione che le permetteva di non soffermarsi troppo a pensare alla situazione generale. Ogni volta che era costretta a fermarsi ad un semaforo, i pensieri tornavano ad investirla, crudeli e pericolosi come un'onda anomala: il tempo di L stava per scadere, la vita di Matt era in pericolo, e poi c'era ancora quell'altro problema... Quel problema che, in quel frangente, non sembrava tale, ma che per qualche strana ragione sembrava premere e scalciare dentro di lei, voglioso di essere esternato ed affrontato.
Ancora una volta, la poliziotta resistette all'impulso di inchiodare la macchina al centro della strada, aprire la portiera e scappare il più lontano possibile da tutti i guai che l'affliggevano. Doveva resistere; doveva farlo per L, per Matt e per se stessa.

La radio della polizia gracchiò.

"Gatto Silvestro a Duffy Duck, mi ricevete? Passo"

Oh sì... Matsuda avrebbe potuto benissimo inventarsi dei nomi in codice migliori!

"Sì, Matsuda. Parla pure" rispose Yana, svoltando ad un incrocio.
"Hai dimenticato di dire -passo-" la corresse il poliziotto "Comunque, abbiamo avvistato Doomsday: abbiamo ricevuto la segnalazione da una guardia giurata che presta servizio a Wenstminster Abbey. Io e Near stiamo andando lì. Passo"
"Stiamo arrivando. Passo" rispose L, staccando finalmente le labbra dalle proprie unghie.
"E' arrivato anche Mello. Passo e chiudo!"

Per una manciata di secondi, il silenzio tornò a regnare sovrano all'interno dell'abitacolo.
Poi, Yana parlò...

"Era proprio necessario diffondere la notizia della nostra morte?"
"Sì"
"Perchè?" insistette la poliziotta, stanca dei monosillabi del detective.
"Perchè esiste la possibilità che Matt abbia rinunciato al quaderno"

Yana si rosicchiò l'interno delle guance, cercando di capire il senso di quella spiegazione.

"Cosa te lo fa pensare?"
"Il fatto che lui stesso sia ancora vivo"
"Non ti seguo..." ammise la poliziotta, nervosa.
"Doomsday non è come Kira; non ha la stessa forza e la stessa sete di potere. Lui non vuole regnare come un Dio di un ipotetico mondo perfetto"
"Stai insinuando che Matt sia un debole?"
"No. Lo sto affermando"

Seguì un'altra pausa.

"Continuo a non capire questo cosa c'entri con il fargli credere che noi siamo morti"
"Voglio che si senta in colpa..."

Yana schiacciò con violenza il piede sul freno, tanto che per poco L non sbattè la testa contro il tergicristallo.
La poliziotta sbiancò e cercò lo sguardo del detective, orripilata.

"Tu... Vuoi indurlo al suicidio"

Il detective si limitò a ricambiare lo sguardo, con lucida calma.

"E' l'unico modo per indurlo ad uscire allo scoperto. Se si rendesse conto di aver ucciso te e Mello, di sicuro sceglierebbe di togliersi la vita, e lo farebbe in modo piuttosto plateale... In effetti, trovo che sarebbe proprio un gesto stupido"
"Tu avevi previsto che avrebbe rinunciato al quaderno?! Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?" sbraitò la poliziotta, furiosa.
"Non avevo scelta"
"C'è sempre una scelta, L" dichiarò Yana "Non lascerò che mio fratello si tolga la vita"
"...Allora, saresti capace di premere il grilletto contro di lui?"

Yana non rispose e, come se il detective non avesse aperto bocca, inserì la prima marcia e partì.
Segretamente, la sua risposta fu un implicito e secco no.

Matt osservava rapito i coriandoli di neve che vorticavano attorno a lui, che scendevano dal cielo e che proseguivano in graziose piroette verso il Tamigi. Il vento gli frustava le guance e il sangue colava dal suo ginocchio ferito, scivolando velocemente verso il quadrante dell'orologio del Big Ben - pochi metri sotto di lui. Si era trascinato a fatica sulla cima della torre, simbolo di Londra, e ora che aveva raggiunto la sua meta non poteva far altro che osservare le acque scure del fiume che presto avrebbero accolto le sue spoglie mortali.
Si sarebbe suicidato.

Dopotutto, se lo meritava no? Aveva commesso molti peccati; aveva provato invidia, lussuria, superbia... E li aveva trasformati in morte.
Aveva ucciso Mello e Yana e, anche se non ne aveva memoria, non poteva ignorare di averlo indiscutibilmente e innegabilmente fatto.
Come li aveva uccisi? Non lo ricordava.
Avevano sofferto? Non lo sapeva.
Cos'avevano visto prima di morire? Le sue mani che stringevano le loro gole? Non poteva ricordarlo.

Un'ennesima fitta al ginocchio gli ricordò di essere ancora vivo. Non avvertiva più il freddo... Il freddo era qualcosa che, mai come in quel momento, gli sembrava piacevole. Gli ricordava la morte e la morte era proprio ciò che più desiderava.
Voleva morire per espiare le sue colpe. Per redimersi. Per pulire la sua anima dal male che aveva fatto a se stesso e alle persone che amava...

Lui doveva morire.

Chiuse gli occhi e piegò il ginocchio sinistro, quello sano, in procinto di lanciarsi nel vuoto, quando una voce alle sue spalle gli gelò il sangue nelle vene.

"Non è una grande idea"

Quella voce... L'avrebbe riconosciuta fra mille.
Si voltò, rischiando di perdere l'equilibrio, e si scontrò immediatamente con l'angelica bellezza di Mello.
Com'era possibile? Era già morto? Si era lanciato nel vuoto ed era spirato senz'accorgersene?
Mello non c'era più. Lo aveva ucciso lui. Com'era possibile che fosse lì, a pochi metri di distanza?

"Dicevo... Non è una grande idea farsi un bagno con questo freddo..." proseguì Mello, osservando il volto di Matt, congelato dallo stupore.
"Ma tu... Come mai non sei...? Tu non...?"
"Come mai non sono morto? Dio, Matt! Mi credi così debole da morire per mano di uno stupido quaderno?"
"Quaderno? Io non capisco... Come...?"
"Hai dimenticato tutto" non era una domanda, quella di Mello "Dammi la mano e lasciati arrestare. Ora hai bisogno di cure"
"No, io... Questo dev'essere un sogno. Tu sei morto! Ti ho ucciso io!" replicò Matt, arretrando di un passo e avvicinandosi pericolosamente al baratro alle sue spalle.
"Tsk! Stupido... Sono vivo, no? Quelle che hai visto al telegiornale erano notizie false. Ora vieni qui, che devo metterti questo paio di braccialetti!" gli intimò Mello, mostrandogli un paio di manette di lucido metallo. Così dicendo, Mello avanzò di un passo e, contemporaneamente, Matt ne fece uno indietro.
Perse l'equilibrio e avverì immediatamente il vuoto sotto i suoi piedi.
Le mani afferrarono l'aria, finchè qualcosa non strinse con violenza il suo polso destro.
Quando Matt ebbe nuovamente il coraggio di aprire gli occhi si rese conto di avere decine di metri sotto di sè, ma la distanza che lo separava da una morte certa non si accorciava perchè qualcosa lo stava trattenendo con energia: la mano di Mello.
I loro occhi si cercarono, disperati.

Mello stava facendo forza sui gomiti per non essere trascinato nel vuoto insieme a Matt, e con l'altra mano tentava disperatamente di aiutarlo a risalire, ma era tutto inutile: i piedi di Matt penzolavano nell'aria, circondati da mille fiocchi di neve bianca. Non c'erano appigli.
Mello strinse i denti, in una smorfia di dolore.

"Resisti" sibilò al rosso "Cerca di darmi l'altra mano"
"No... Io non me lo merito. Perchè lo stai facendo?" rispose il biondino, con lo sguardo offuscato dalle lacrime.
"Smettila di essere così egoista!!!" gridò Mello, fuori di sè "Dammi quella cazzo di mano, e lasciati salvare!"
"Ma... Perchè...? Io ho..."
"Non mi importa di quello che hai fatto! Mi importa di quello che puoi ancora fare per rimediare... E non è certo con la tua morte che cambierai il passato!"
"Mello..."
"Ora dammi l'altra mano!"

Con una forza che Matt credeva di non possedere sollevò il braccio sinistro e strinse con forza la mano contro il polso di Mello, ma proprio in quel momento il biondino venne trascinato verso il vuoto...
Accadde tutto molto lentamente: prima il corpo di Mello slittò verso quello di Matt, i loro occhi si guardarono, spalancati e terrorizzati, poi le gambe di Mello fendettero l'aria, con i piedi che svettavano in direzione del cielo... E poi iniziò la discesa...
Con la coda dell'occhio Matt osservò le acque scure del Tamigi che si avvicinavano, pronte ad inghiottirli. Era finita.
Non avevano vie di scampo.

"Perdonami Mello..." gridò il rosso proprio in quel momento...

Sarebbero morti insieme. E, ancora una volta, era colpa sua.
Chiuse gli occhi con forza, pronto a scontare anche quell'ulteriore fardello... Quando il suo corpo atterrò su qualcosa di morbido, per essere subitamente schiacciato dal peso di Mello. Un attimo dopo, svenne a causa del dolore al ginocchio.

Mello si fece coraggio ed aprì piano un'occhio... Poi li spalancò entrambi a causa della sorpresa.
Lui e Matt erano atterrati su una specie di alto materasso ad acqua. E si trovavano a bordo di un motoscafo.

"Ma come...? Chi...?" blaterò, incredulo.
"Mi devi un favore" disse una voce infantile alle sue spalle: quella di Near.

La figura bianca ed esile del ragazzino fece capolino da sottocoperta; al timone c'era Matsuda, intento nel fare manovra per tornare incolumi verso il molo.
Li avevano salvati per il rotto della cuffia! Near aveva avuto un'idea eccezionale, questo Mello glielo doveva proprio riconoscere, ma soprattutto era riuscito ad attuarla in tempo grazie all'aiuto del poliziotto giapponese...
Era incredibile!

Mello si costrinse a chiudere la bocca, ancora spalancata per la sorpresa. Non poteva impressionarsi per così poco, no?

"Non ti aspetterai mica che ti dica grazie?" replicò Mello, cercando di rimettersi in piedi.
"No... Ma mi renderai il favore, vero?" chiese Near, accennando un sorriso.
"Ci puoi contare"

Seguì una breve pausa, in cui i due rivali si sorrisero sommessamente; pausa, che venne interrotta da Matsuda, armato di manette.

"Dobbiamo arrestarlo lo stesso, Mello" gli disse il poliziotto, che appariva dispiaciuto.
"Lo so... Ma dobbiamo portarlo in ospedale. E' ferito" disse il biondino, esaminando la ferita di Matt.
"Certo. Il dottor Cox è già arrivato al molo con un'ambulanza"

E così, Mello finalmente si rilassò, e osservò il motoscafo che ripiegava placidamente verso la riva...
Forse, adesso poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo...

Matt venne portato via d'urgenza all'ospedale più vicino a bordo dell'ambulanza...
L osservò la vettura che si allontanava a sirene spiegate, con la sensazione di essersi definitivamente spogliato d'un peso: poteva definitivamente ritenersi soddisfatto di come si erano svolti i fatti...

Yana in quel momento appariva più tranquilla, ora che il fratello sembrava essere tornato quello che lei conosceva.
Fu segretamente felice di vederla più rilassata; dopotutto, quella ragazza ne aveva passate di tutti i colori da quando lui era piombato nella sua vita...

Mello e Near sostavano l'uno accanto all'altro e osservavano la neve che scendeva placidamente giù dal cielo...
Anche fra loro due sembrava essersi instaurato un certo equilibrio.
Insieme sarebbero stati in grado di sostituirlo egregiamente: Near sarebbe stato una lucida mente, mentre Mello sarebbe stato un valido braccio.

E Matsuda... Matsuda ormai sembrava aver preso a cuore il piccolo Near.
I primi disagi e timori nei confronti di quello strano ragazzino sembravano essere stati sostituiti da tenerezza e da affetto sincero.
E lui era sicuro che il poliziotto giapponese sarebbe stato ben felice di prendersi cura di qualcuno; dopotutto, Near era pur sempre un bambino di tredici anni.

Era andato tutto bene -si disse- era andato tutto per il meglio. C'era solo un'ultima cosa da fare, prima che il sipario calasse sulla scena...

Timidamente afferrò la mano fredda di Yana. La strinse con forza, come se volesse cercare disperatamente di infonderle un po' di calore.
La poliziotta si voltò a guardarlo: i suoi grandi occhi verdi brillavano di sollievo. Ad L si strinse il cuore: avrebbe dovuto lasciarla...
Era davvero un peccato aver scoperto l'amore così tardi, quando ormai mancava così poco tempo... Così troppo poco tempo...
Si avvicinò alla ragazza e le sfiorò la fronte con un bacio leggero, lungo ed immensamente triste.
La ragazza si strinse contro il suo piccolo corpo, in cerca di calore. Immaginò che stesse chiudendo gli occhi... Quegli occhi così belli...
Involontariamente, L le circondò la vita con forza, come se avesse tutta l'intenzione di restare così per sempre.

"L... Cosa c'è?" chiese lei con un filo di voce. Aveva capito. Lui lo sapeva che lei aveva capito.
"Non è un problema"
"Cosa?" chiese la ragazza, confusa.
"Quello che volevi dirmi... Quello che volevi farmi sapere e che non trovavi il coraggio di dire... Non deve essere un problema"
"L..." le lacrime iniziarono a rigare il volto della poliziotta.
"Ti prego di averne cura, di quel problema... Me lo prometti, Yana?"
"Sì! Sì, L, te lo prometto" rispose la poliziotta, piangendo di dolore e di gioia "Certo che voglio prendermene cura, ma tu..."

L soffocò le parole di Yana con un lungo bacio. Near e Matsuda distolsero lo sguardo, mentre Mello li osservava, curioso.
Da quando quei due stavano insieme?

"Ti amo, L"

A quella rivelazione, che suonò più come una supplica che come un'affermazione, L stiracchiò le labbra in un sorriso mesto.

"Ora vorrei restare solo..."
"Ma non...!" le parole della ragazza vennero fermate dall'indice del detective, che si andò a posare sulla sua bocca.

Yana capì e si sforzò di annuire, nonostante non avesse il coraggio di accontentare la richiesta del suo amato...
Subitamente, Mello, che non aveva mai potuto soffrire la poliziotta, la prese per un braccio, con delicatezza, e la costrinse ad allontanarsi. L osservò Yana voltarsi più e più volte, in cerca di un ultimo sguardo... E poi la vide piangere nell'incavo della spalla di Mello.
Si sforzò di non gridarle di tornare indietro e di restare con lui.
Si voltò a guardare Matsuda e Near, pur di non continuare a seguire le orme lasciate da Yana nella neve...
Gli occhi del giapponese erano lucidi di lacrime, al contrario di quelli di Near, perfettamente asciutti, ma sinceramente addolorati.

"Non ti dimenticherò mai, L"
"Abbi cura di te, Matsuda..."

E fu così che L rimase solo. Respirò a lungo l'aria gelida dell'alba dell'ultimo giorno.
I primi, timidi raggi di sole spazzarono via la coltre di nubi che oscuravano il cielo; i colori dell'aurora dipinsero il cielo, l'aria e persino l'acqua con ampie e distratte pennellate d'oro. Tutto il mondo attorno a sè veniva risaltato da una splendida e rasserenante aura dorata e luccicante. Era tutto così... Perfetto. E bello. Non si era mai soffermato ad osservare quanto potesse essere splendido il mondo; aveva sempre cercato di capirne le funzioni, gli sviluppi, i cambiamenti... Ma c'erano delle cose, così semplici, che non potevano essere spiegate. E così era quel momento: il sorgere del sole.
Un moto antico, eppure sempre nuovo e diverso...

Chiuse gli occhi.

Le lancette del Big Ben si spostarono sino a segnare le sei del mattino.
L'orologio rintoccò una prima volta...
Una seconda...
Una terza...

Sarebbe stato bello -pensò- restare ancora un po' ...

Il Big Ben rintoccò una quarta volta: il cuore di L si contrasse in uno spasmo.
Rintoccò una quinta volta: le ginocchia cedettero.
Rintoccò una sesta volta: i suoi occhi si chiusero.
L si era spento serenamente, all'alba del ventitreesimo giorno: il giorno del suo giudizio.

L, l'uomo che aveva sventato la terza guerra mondiale, l'uomo che da solo aveva cambiato il destino del mondo, l'uomo che aveva sconfitto Kira, l'uomo che aveva piegato la morte al proprio volere, l'uomo che si era sacrificato in nome della Giustizia... Da quel giorno, divenne LEGGENDA.

Epilogo

 

10 anni dopo

 

Mello attraversò i corridoi del carcere con passo sicuro e mento in sù, sgranocchiando di tanto in tanto una barretta di cioccolato fondente; conosceva a memoria ogni angolo ed anfratto di quel luogo, tanto che avrebbe saputo orientarsi in quell'intricato alveare di grigio cemento anche ad occhi chiusi e su una gamba sola. Salutò Scotty, il nuovo ispettore della centrale di polizia: era un omaccione alto e muscoloso, dai corti capelli biondi e dai luminosi occhioni turchini, che incuteva timore al solo vederlo... E dire che lo aveva conosciuto quand'era ancora solo un pivellino, smilzo e timidone!
Scotty ricambiò il saluto e, come faceva ogni dì, si congratulò con Mello per i suoi bellissimi stivali.
Mello ormai non ci faceva più caso; ogni minimo gesto faceva parte del grande ingranaggio della sua quotidianeità: quel posto era diventato come una seconda casa per lui, ma lo sarebbe stato ancora per poco perchè presto Matt sarebbe stato rilasciato e sarebbe stato affidato alla sua custodia.
Si sarebbe accollato lui stesso tutte le responsabilità del caso, e lo avrebbe fatto con immenso piacere.

Attraversò un'ultima porta, oltre la quale avrebbe incontrato nuovamente Matt e gli avrebbe parlato da un vetro blindato per mezzo di un telefono. Prima di andare, osservò la sua immagine riflessa allo specchio posto sulla parete destra del corridoio...
Non era cambiato molto, in quei dieci anni: aveva tagliato i capelli, che ora erano cortissimi, quasi da militare; la sua mascella si era squadrata ed era ricoperta da una sottile peluria bionda, morbida e molto curata. Per il resto, era rimasto lo stesso Mello di sempre.

Abbassò la pesante maniglia d'ottone e si ritrovò faccia a faccia con Matt, seduto al di là del vetro.
Non appena lo vide, gli occhi del giovane si illuminarono di gioia e gli angoli delle sue labbra si inarcarono verso l'alto, rivelando una fila di dentini piccoli e bianchi come perle. Anche Matt non era cambiato troppo: aveva ricominciato ad indossare i suoi caratteristici occhialini con l'elastico e aveva lasciato crescere i capelli, che ora portava raccolti in un codino basso; nel complesso, assomigliava molto più ad un surfista americano che ad un criminale.

Ah... E poi c'era il cambiamento più significativo: a causa della pallottola che lo aveva colpito dieci anni prima, il suo ginocchio destro aveva riportato una frattura insanabile, tanto che, ormai, il povero ragazzo non poteva più camminare senza l'ausilio delle stampelle o della sedia a rotelle. Ma Matt aveva accolto quell'handicap con naturalezza, quasi come fosse segretamente felice di poter espiare i suoi peccati in qualche modo, anche a costo di dover dipendere da qualcun altro per il resto dei suoi giorni... E in ogni caso, ci sarebbe stato sempre la solida spalla di Mello alla quale appoggiarsi.
Mello ricambiò il sorriso, anche se meno platealmente, e si accomodò sulla poltroncina di pelle scura che sostava dall'altro capo del vetro blindato. Afferrò la cornetta del telefono e se la portò all'orecchio sinistro...

"Ti trovo bene..."
"Anche tu non sei niente male, Britney"
"Risparmiati il sarcasmo per quando sarai fuori di qui"
"Non vedo l'ora... Sono cambiate tante cose in questi dieci anni..."
"Già"
"Ma tu non sei cambiato" continuò Matt, sciogliendosi in un sorriso dolcissimo.
"Ah no? Potresti ricrederti... Sai, credo di essere diventato più irritabile da quando lavoro con Near"
"Oh... Vorrà dire che quando tornerai a casa ci penserò io ad ammansirti"
"Vorresti domarmi?" chiese Mello, lasciandosi sfuggire una mezza risata soffocata.
"Solo se me lo chiederai... Dopotutto, sono sempre stato piuttosto bravo nel farti ruggire..."

E andarono avanti così, ridendo e scherzando in un modo tutto loro, finchè per Mello non arrivò l'ora di andar via. I due si salutarono, felici di potersi riabbracciare nel giro di poche ore; presto non ci sarebbero stati più nè vetri blindati nè telefoni a dividerli... E il fuoco della loro passione sarebbe tornato ad ardere come un tempo.
Mello lasciò il carcere e si diresse a passo svelto verso il ciglio della strada dove, non soltanto la sua moto, ma anche una splendida limousine nera lo stava attendendo...

Il finestrino dal vetro oscurato si abbassò silenziosamente e il viso pallido di un giovanotto dai capelli candidi fece capolino dall'interno dell'autovettura.

"Ce ne hai messo di tempo..." ironizzò Near, con voce piana.
"Sei tu che sei in anticipo" lo incalzò Mello, accomodandosi sul sellino della propria motocicletta.

Un secondo finestrino, quello del pilota, si abbassò e rivelò il volto di Matsuda -che nel frattempo era diventato parte della Squadra L.

"Vogliamo star qui a chiacchierare o andiamo ad incastrare il serial killer di Brighton?" chiese il poliziotto.
"Facciamo una gara" propose Mello, calandosi il casco sulla testa "Chi arriva prima risolve il caso... Ci stai, Near?"
"Non c'è sfida che io non accetti, Mello" rispose l'altro, sollevando il finestrino.


E così, il nuovo L -cioè Near e Mello- continuava a liberare il mondo dagli oppressori e dai disonesti, in nome della Giustizia.

...O almeno, questo era quello che il giornale che stava leggendo Yana riportava...

La poliziotta bevve un lungo sorso di spremuta d'arancia prima di chiudere il quotidiano e lasciar vagare lo sguardo lungo le colline verdeggianti e il lago che si trovava a poca distanza dalla villetta di campagna che il vecchio ispettore Black le aveva regalato dieci anni prima. L'ispettore Desmond ormai aveva raggiunto la sua tanto agognata pensione e si era trasferito con Yana in quella casetta accogliente, lontana dal caos e dallo smog della Capitale. Spesso e volentieri, il dottor Perry Cox andava a trovare il suo vecchio amico e trascorreva con lui intere giornate a giocare a carte; oppure, quando il tempo era particolarmente bello, proprio come in quella giornata d'estate, i due amici se ne andavano a pesca e facevano a gara a chi catturava la carpa più grossa.

A Yana piaceva quella vita, ma avrebbe potuto essere ancor più bella se soltanto L fosse stato lì con lei...
Non c'era giorno che non pensasse a lui, alle sue unghie rosicchiate, ai suoi capelli scompigliati e ai suoi occhi d'inchiostro... Eppure, c'era un problema che riusciva ad alleviare le sue sofferenze e a trasformarle in gioia sconfinata: e quel problema le stava venendo incontro di corsa, a grandi falcate, sporco di fango da capo a piedi e con i capelli zuppi d'acqua.

"Mamma! Mamma!"

Yana storse il naso e si lasciò scappare una risata "Justice, si è fatto tardi! Vieni a mangiare!"

Ebbene sì, Yana aveva avuto una figlia da L.
Il suo nome era Justice, ed aveva ormai nove anni. Fisicamente ricordava molto il padre: era gracile, ma non debole; era candida, ma non pallida. Il suo visetto era magro ed appuntito, ma era anche semplicemente dolcissimo, con i lunghi capelli corvini, perennemente scompigliati, che le incorniciavano l'incarnato, e con gli enormi occhi verde smeraldo che le illuminavano il volto.
Gli occhi verdi erano l'unica cosa che Justice aveva preso dalla madre...
O meglio, non proprio l'unica...

Justice non era silenziosa come lo era stato il padre; era una bambina vispa e solare, ed era anche incredibilmente intelligente: a quattro anni già parlava tre lingue e faceva di conto, leggeva dozzine di libri e costruiva altissimi castelli di carte... E, sotto questo punto di vista, di sicuro Justice era più simile ad L che a Yana.
Ma c'era un particolare che alla madre non era sfuggito: Justice aveva ereditato il suo sesto senso. I suoi poteri.

Justice non parlava molto di questa sua dote, ma Yana spesso la vedeva parlare da sola.
E tutte quelle volte, Justice rideva e scherzava con una persona invisibile, ma che per Yana era inconfondibile...

Quella persona, Justice la chiamava "papà"

"Non voglio mangiare il pesce del nonno Desmond! Non mi piace!" protestò la piccola Justice "Voglio il gelato!"
"Tale e quale a tuo padre, non c'è che dire!" disse Yana, battendosi una mano sulla fronte "Se mangi solo dolci finirai per ingrassare!"

Justice rimase un attimo in silenzio e guardò alla propria destra. Poi rise.

"Papà dice che se i dolci li si mangia con la testa non si può ingrassare!"
"Di' al tuo papà che deve inserire le proteine all'inizio del suo alfabeto" disse Yana, ironica. Ormai si era abituata a questo scambio di battute silenziose fra sua figlia e lo spirito di L, e lo trovava anche molto rassicurante.

La bambina ripetè l'operazione, ma stavolta non rise. Sembrava perplessa.

"Che c'è tesoro?"
"Non ho capito una cosa che mi ha detto papà"
"Oh, davvero?" chiese la madre, inginocchiandosi davanti alla figlia.
"Ha detto di dirti che all'inizio del suo alfabeto c'è solo Я"**
Yana abbracciò forte sua figlia e disse sotto voce "Grazie L"

FINE

*Britney Spears - Yana chiama in questo modo Mello nel 4° capitolo di questa fic
** Richiamo alla frase "Я è l'ultima lettera dell'alfabeto" che Ruvie era solito dire a Yana - la trovate nel 4° e nel 7° capitolo

E così sono finalmente arrivata a scrivere questa parola. Fine. E' davvero strano per me annunciare la conclusione di questa storia che, nel bene e nel male, con gioia e con dolore, mi ha aiutata a migliorare. Posso ritenermi discretamente soddisfatta di ciò che ho scritto; credo di aver ideato una buona trama e un buon personaggio femminile che -spero- non sia considerato una MarySue solo perchè ha una figlia da L. L'idea di Justice è sorta alla fine, al solo scopo di prolungare l'esistenza di un L che non poteva essere in alcun modo salvato. Sono soddisfatta di come ho parlato di L; e anche di Mello e Matt posso ritenermi piuttosto compiaciuta. Mi dispiace invece per Near e Matsuda, che non ho saputo sviluppare come e quanto avrei voluto.
In sostanza, questa storia è per me motivo di orgoglio nonostante sia consapevole di non averla scritta come avrei dovuto. Mi riprometto di ricontrollarla nuovamente in futuro e cercare di aggiustare la sintassi e la grammatica. Detto questo, ragazzi cari, è veramente la fine ^^

Ringrazio con immenso affetto e con sconfinata gratitudine:

ICEMAN
REDSEAPERL
AVLY
SMOOTH CRIMINAL
PADME86
MYROSE
ZIO KIRA
PICH_91

Inoltre ringrazio chi ha messo questa storia fra le preferite:

FUJIMAYA
GBR_IVAN90
ICEMAN
LAYLA94
SMOOTH CRIMINAL
ZIO KIRA

Ringrazio ancora chi ha messo questa storia fra le seguite:

AVLY
BIKA
BLACKYGRACE
GOKUMICIANERA
LAYLA94
MYROSE
PADME86
PICH_91
REDSEAPERL
SMILE989
_BONNIE_

 

   
 
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