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Autore: Dira_    17/07/2010    25 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Woah, come al solito devo ringraziare tutti quelli che mi hanno recensito! Adoro assoluto!
@Agathe: Ahaah, epidemia gay? Mannò, è solo che qualcuno in famiglia (Weasley) prima doveva esserci, altrimenti qua sembra tutta colpa di Harry! XD Jamie non è proprio… ehm, gay, sì, gli piacciono anche i maschietti, ma lo definirei più bisessuale. XD Ahaahah, Ron è un padre protettivo come era un fratello rompipalle. Ma vedrai che Rosie saprà difendersi. Tom si darà una mossa… e non chiamarlo TomStu, poverino, non se lo merita di essere accumunato ad una Mary Sue XD

@Altovoltaggio: Ahaaha, beh, in realtà ho guardato su internet!XD (Che vergogna) Dunque, het sta per ‘etero’ e vuol dire storia anche con etero (se è una storia a maggioranza slash come qui) e ‘gay uber alles’ vuol dire ‘gay sopra ad ogni cosa’ … è un modo di dire! XD
Wow, tu mi fai sempre delle recensioni me-ra-vi-glio-se! E grazie per i complimenti, mi fa piacere sapere di essere migliorata da DP! Per uno scrittore è uno dei migliori complimenti che può ricevere! Sul Babylon mi hai scoperto… io non ho idea di come sia una discoteca gay, e così ho preso un po’ spunto da quel che ho visto. Anche se in effetti (sono malata, premetto) la discoteca che ho descritto esiste veramente, e sta proprio dove ho detto io. Sono addirittura andata a vedere le foto del sito per capire com’era fatta. XD Ah, GoogleMaps, sempre siano lodate. Mike del resto è un ragazzo di diciassette anni, che ha il chiodo fisso di un altro ragazzo. Diciamo che gli vuole bene, ma è… umano. E Loki, beh, in quel caso Al scherzava. Anche se chissà… XD Per il resto, grazie per i complimenti… davvero. Ed ah, ho controllato anche io, in effetti in Germania siamo sulla stessa latitudine, ma Rugen è proprio sul mare e dicono sia un posto eccessivamente ventoso. Quindi qualche grado in meno lo fa. Ma grazie per la precisazione, hai ragionissima! Me stupida!
@MyryamMalfoy: Ci saranno, cuoricini e roselline, promessisismo! Solo che ora devo recuperare un po’ qualche disperso e rimettere assieme qualche rincoglionito! XD Lils spero di riuscire a farla come voglio io… ah, è un grosso punto interrogativo! XD
@Andriw9214: Mi fa onore avere tutti questi complimenti, thanks! ^^ Sapere che leggermi rilassa solo un po’ qualcuno mi fa davvero piacere! :D Dovevo mettere qualche altra ragazza, sennò qui diventava un collegio maschile cattolico! XD No, no… glielo dovevo. Harry… gli passerò, e gli altri l’hanno presa bene perché beh, alla fine dopo guerre, morti e quant’altro, penso che tu sia meno disposto a farla lunga su cose che poi alla fine non sono la fine del mondo. Vedremo il resto del clan però. Mike… beh, è il tipico ragazzo che cerca di esserti amico, ma poi no, scusa, è che ti voglio… E’ un serpeverde dopotutto! :P
Grazie per il commento! ^^
@ElseW: Grazie! Spero di non deludere le tue aspettative su Lils. È un personaggio potenzialmente molto interessante, e non mi andava di fare la classica copia di Ginny o similia. Vediamo se mi riesce^^ Oddio, il fatto che tu legga tutto mi fa un piacere immenso, perché confesso, anche io a volte salto. E pure tanto. -_-

@MikyVale: Grazie per i complimenti a Lils e Ginny! Me l’hai inquadrata perfettamente, grazie!:D Mike purtroppo è Mike… e non brilla per essere sensibile. -_- Beh, da uno che andava a letto con Jamie, che t’aspetti? XD Molly C. Quinn è in Castle. Appena l’ho visto ho urlato e detto “È lei!”
@Panuela: Ciao! Grazie mille! Beh, sì… la gelosia tra cugini è un po’ strana, ma c’è da dire che il clan Potter-Weasley è cresciuto come fratelli, più che come cugini! Tranquilla, ci sarò lieto fine! E grazie per esserci!^^
@Trixina: Ehi, non preoccuparti! XD L’importante è il commento, chi se ne impippa se arriva presto o tardi! E poi mica è come pagare le tasse! E’ opzionale (Anche se assai gradito *_*) Oddio La Meyer… mi dispiace, ma qua non possiamo andare d’accordo. Non ho mai letto niente di lei né visto un film. Adoro solo le colonne sonore dei film, ma perché sono fantastiche. Quindi non sapevo che anche la Meyer avesse usato questo espediente. Bbr… Beh, che ci si vuol fare, succede. xD

@MadWorld: Grazie mille! Piacciono anche a me!
@Cloto: Non vedevo l’ora di scrivere di Lily in effetti! Essì, anche a me piace Mike, e penso di avere qualcosa in serbo anche per lui ;)

@Simomart: Wow, grazie davvero… sì, ci ho messo un po’ a scrivere di Al, perché volevo che fosse il quanto più possibile realistico. Anche a me piace parlare di Lily e Ginny, dopotutto sono una ragazza anche io! Ogni tanto una girl-talking ci vuole! XD Sì, penso ci sarà un po’ più di etero in questa seconda parte… rimarrà sempre una storia slash, comunque :P
@NickyIron: Grazie ancora per la gentilezza con cui mi hai spedito quel pm! Rimangono valide le mie idee! ;)
@LucediLuna: Wow, grazie mille! Davvero ti piace Rose? Mi fa piacerissimo, visto che spesso è messa un po’ in ombra. E Herm… beh, non è detto che non farà qualche piccola apparizione? ^^ Lily l’hai proprio inquadrata bene, essì’! Grazie per tutti i complimenti!
@Ombra: Ehi! ^^ Ahaah, mi fa piacere che ti piaccia il legame tra fratelli, mio fratello mi chiederebbe da dove ho tirato fuori tutto ‘sto spalleggiamento, visto che ci mordiamo spesso e volentieri!XD Nah, Al anche se babbano non avrebbe mai preso niente del genere… se si è ubriacato, è semplicemente perché non regge! XD
LauraStark: Accidenti, tre giorni! Che lampo! O_O Ma che c’entra, io sono arrivata a scrivere (decentemente) solo dopo mille e mille riprove e tentennamenti. Solo l’esperienza, ecco che ci vuole! ^^ Beh, se ti può consolare Jamie in realtà è piuttosto bisex, ma ehi… E’ più o meno Teddy-oriented XD Grazie mille per la recensione, e alla prossima!
 
 
****


Capitolo II
 

 
 


Sleight of fate/ And borrowed clothes

Songs of places/ No one knows
Draped in lace we all lean over
To greet the great/ It's time
(Mind over Time, Interpol)¹
 
 
 
Germania, Isola di Rügen.
Mattina.


Quando si svegliava Thomas sentiva il rumore del mare.
Era continuo, lento e lo accompagnava ogni sera quando si addormentava e tutte le mattine quando la luce filtrava dai vetri incrostati di salsedine battendogli sul viso.
Nulla di diverso quella mattina; il sole sorse dietro la spessa coltre di nubi che affliggeva quasi perennemente Rügen e lo svegliò impietoso.
Dormire dentro un faro poteva sembrare poetico, ma portava a problemi non indifferenti quando camera tua era il vecchio ambiente della lanterna.
Si tirò a sedere sul letto, intontito. Sentiva il canto del gallo della fattoria annidarglisi nelle orecchie. Odiava quel pennuto.
Non viveva con Cordula e Meike. Era stata una scelta presa poco dopo esser riuscito finalmente a fare qualche passo fuori di casa senza rischiare di trovarsi bocconi a terra.
Era loro grato, ma sentiva che non sarebbe mai riuscito a vivere nella casa: era troppo… familiare.
Cordula così gli aveva proposto di stabilirsi nel vecchio faro che sorgeva a ridosso della scogliera. Agli occhi dei babbani sembrava un vecchio rudere privo di interesse, ma apparteneva agli Wollin da dieci generazioni – o qualcosa del genere. Una volta serviva per dirigere il traffico delle navi magiche della zona, ma adesso era adibito a deposito di cianfrusaglie.
A Tom non dispiaceva quella sistemazione. Era isolata, era sicura. E aveva imparato ad amare la vista a picco sulla scogliera. Se si metteva al lato ovest della stanza circolare l’unica cosa che vedeva era l’oceano Baltico.
Poteva passare ore a fissarlo.
Si infilò i pantaloni avvicinandosi allo specchio, che rifletté la sua figura pallida e vagamente ossuta.
Meraviglioso.

Aveva l’aspetto di un malato scampato alla morte. Secondo Cordula gli donava.
Lanciò un’occhiata allo stomaco, privo del segno che identificava ogni essere umano come cresciuto nel ventre materno, l’ombelico.
Fece una smorfia, distogliendo lo sguardo e infilandosi una camicia in cui praticamente nuotava.
Tra poco Meike sarebbe venuto a chiamarlo e dal quel momento sarebbe tornato Ian.
Adesso, per poco, sono ancora Tom…
Nessuno conosceva Thomas Dursley e c’erano dei giorni, c’erano stati dei giorni, i suoi primi giorni lì, in cui aveva fatto fatica a ricordarlo anche lui.
Tutti conoscevano Ian Morris, lo straniero venuto da lontano, come si sentiva chiamare spesso. Era ridicolo, ma da menti ristrette come gli abitanti di Putgarten si era aspettato precisamente quello.
E gli stava benissimo. 
Sentendo il freddo della mattina pungergli la pelle si infilò il maglione infeltrito che ormai era compagno delle sue giornate. Sapeva di sale e alghe e gli andava troppo corto sulle braccia. Glielo aveva dato Cordula, assieme a molti degli effetti personali di suo figlio. 
Non abbiamo la stessa taglia, e Cordula non sa né cucire né usare una bacchetta.
A parte questo, la donna si era rivelata la sua alleata più fidata. Era una maganò, tagliata fuori sia dal mondo magico che da quello babbano. Viveva a cavallo trai due mondi, quasi in un limbo.
Era perfetta.  
Strana donna, Cordula Wollin: aveva passato tre mesi ad accudirlo senza un ripensamento. Lo aveva sfamato, lavato e vegliato come se fossero parenti, ma potevano contarsi sulle dita di una mano le volte che si erano parlati per più di cinque minuti.
 
“Ian! Scendi, è pronta la colazione!”
 
Raggiunse Meike in fondo alle scale a chiocciola: la bambina giocherellava con un fiore, divertendosi a cambiargli colore. Tom sorrise: era un gioco che Lily adorava fare da bambina.
“Non farlo al villaggio.” La ammonì distratto.
Meike si imbronciò. “Non sono mica scema, sai?” Si aprì immediatamente in un sorriso però. “Oggi ho colto un mazzo di fiori bellissimo per la nonna… Mi piace l’estate, ci sono tanti fiori!”
La fattoria dei Wollin si estendeva per pochi, sparuti ettari. Un tempo doveva aver avuto delle ottime coltivazioni, ma adesso era lasciata all’incuria. Cordula viveva dei proventi del suo negozio di prodotti a base di alghe, e sembrava non servirgli altro.  

Tom guardò Meike saltellare trai ciottoli bianchi della stradicciola che congiungeva il vecchio faro alla casa. In quei mesi era stata una continua macchia di colore davanti agli occhi.
Era una bambina buffa. Aveva le lentiggini, e non le piacevano, i capelli sempre pieni di sale e vispi occhi verdi.  Parlava velocemente, mangiandosi le parole i primi tempi aveva avuto serie difficoltà a capirla. Una volta se l’era trovata ai piedi del letto, intenta a tastargli le gambe con attenzione scientifica: solo dopo due mesi Cordula si era degnata di spiegargli che sua nipote era assolutamente certa fosse un tritone venuto dal mare.
In effetti… è praticamente ciò che è successo, visto dove mi ha scaricato la passaporta.
Nel bel mezzo dell’oceano Baltico.  
 “Oggi andiamo in spiaggia, per le alghe!” Lo informò aggrappandosi al battente della porta di casa, tirando forte per farsi sentire, sebbene la porta fosse sempre aperta. “C’è bonaccia, si starà bene!”
“Vuoi portare il costume?” La prese in giro.
Meike gonfiò le guance, irritata. “L’acqua è sempre troppo fredda, lo sai! Mi è successo una volta sola che non lo era… ed era perché ho usato la magia, anche se non so come!” Fece un sorrisetto furbo. “Ma tu puoi scaldarla per me.”
“Non credo che tua nonna sarebbe contenta…”
“Non glielo diciamo!”
“Lo saprebbe comunque. Dovresti tornare a casa a cambiarti.” Le fece notare. Meike sbuffò contrariata, entrando con una spinta dentro la casa.
Tom la seguì e si sedette senza una parola al tavolo della colazione. La fattoria era una casupola di una manciata di stanze, con un’intonacatura che doveva risalire alla prima guerra mondiale e utensili non di molto più giovani. La figura bassa e tarchiata della padrona di casa sembrava parte dell’arredamento.

Lo era anche quella mattina mentre si affaccendava attorno ai fornelli.
Meike si stese annoiata sul tavolo, cercando di raggiungere la caraffa di succo di arancia con la punta delle dita. “Nonna, oggi posso andare a fare il bagno?”
“No, non se ne parla.” Fu la prevedibile risposta, mentre gli faceva scivolare nel piatto salsicce croccanti e uova spumose. Tom cercò di controllare la nausea che lo assalì. Non era colpa della cucina di Cordula, peraltro ottima, ma del suo corpo.

Per settimane, dopo che era stato portato in quella casa, si era rifiutato di assimilare qualsiasi sostanza che non fosse brodo di pollo.
Ancora adesso poteva contarsi le costole una per una.
Facendosi forza ingoiò una forchettata di uova, ascoltando pigramente il battibecco tra l’anziana e la bambina.
Meike aveva un bel caratterino. Ignorava platealmente i suoi silenzi i suoi malumori per seguirlo ovunque e chiacchierare, sempre. Non riusciva a capire perché quella bambina gli si fosse tanto affezionata.

Non sono certo un tipo simpatico…
 A dire la verità, gli ricordava per molti versi… Albus.
Ricordi?
Sentì di nuovo la nausea attaccargli la gola e la spense con un sorso di succo d’arancia.
Ricordava tutto. Nessuna amnesia, non era un romanzetto d’appendice per casalinghe: se le prime settimane le aveva passate in preda ad una febbre altissima, polmoni in fiamme e incoscienza quasi perenne, quando le pozioni avevano fatto effetto aveva cominciato ad avere momenti di lucidità abbastanza lunghi per poter dire loro chi era.
E aveva mentito.
Non esattamente.
Aveva omesso informazioni su di sé, ma inizialmente solo per temporeggiare: non sapeva chi fosse Cordula, se non che era era una maga. L’equazione era stata semplice: doveva nascondersi finché non capiva se era tra amici o nemici.
In seguito aveva scoperto che Cordula era una maganò e che viveva in un villaggio babbano dove gli abitanti erano ignari del fatto che al mondo ci fossero streghe vere.
A quel punto avrebbe potuto dir loro tutto. Ma non l’aveva fatto.
Per lo stesso motivo per cui non si era messo in contatto con Harry e la sua famiglia.
Perché devo sparire.
Se Doe era caduto con lui nella passaporta rotta poteva essere presumibilmente morto nell’oceano… ma Hohenheim era ancora vivo. E se aveva montato tutto quel teatrino, durato quasi un anno, per ritrovarlo…
È ancora una minaccia. E se tornassi da loro… Harry e Al sono quasi morti a causa mia.
Per mano mia.
Non si era trattato di un semplice rapimento. Aveva praticamente aiutato, o se non altro coperto, Doe mentre rubava i Doni; erano morte delle persone e ne erano state ferite altre.
Non deve succederà mai più …
E c’era dell’altro: quando finalmente si era rimesso in forze la sua magia aveva ben pensato di rivoltarglisi contro. Ogni volta che aveva tentato di avvicinarsi ad una bacchetta aveva quasi rischiato di far saltare in aria la casa. Lampadine rotte, vetri schiantati, piatti esplosi… Per non parlare di quando si infuriava di conseguenza.
Per mesi era stato un pericolo.
Cordula gli era stata vicina. Non riusciva neppure a far lievitare una piuma, ma in compenso aveva avuto un figlio mago, con una magia non intenzionale infantile piuttosto vivace.
La situazione si era stabilizzata negli ultimi due mesi. La sua salute si era del tutto ristabilita e la sua magia aveva smesso di comportarsi come se non gli appartenesse.
“Ian riscalderebbe l’acqua per me!” Sentì protestare Meike. “Ti prego, nonna, solo un bagno!”
“Ho detto di no.” La voce della donna era seccata, e gli lanciò un’occhiata esasperata. “Non esiste una magia simile, diglielo.”
“Ma l’ho fatta sul serio. E Ian saprebbe rifarla, lui è bravo!”

Tom a quel punto recitò il suo ruolo di ospite condiscendente. “Meike, non posso scaldare l’oceano Baltico solo per fartici fare il bagno. Non ne sono in grado e credo che comunque danneggeremo l’ecosistema.”
Meike si imbronciò di nuovo. “Non faccio mai niente di divertente!” Proclamò irritata, prima di scostare la sedia con uno stridio brusco e infilare fuori dalla porta.
“Si annoia, temo.” Disse, tanto per spezzare il silenzio che si era creato una volta uscita la bambina. Scostò il piatto, sperando che non notasse che l’aveva appena toccato. “Ed io non sono di compagnia.”
“Stravede per te.” Stornò Cordula con una scrollata delle spalle. “E mangia, non credere di fare il furbo.”
“Non ho fame.”
“Mangia.” Ripeté, ignorando le sue proteste. Tom fu costretto a obbedire. Sarebbe stata capace di piantarglisi davanti se non avesse finito tutto. Infatti lo fece, mettendolo a disagio finché non ingoiò l’ultimo pezzo di salsiccia. Solo a quel punto gli tolse il piatto, lanciandogli una lunga occhiata valutativa. “Sei cresciuto ancora?” Chiese.
“Non credo, sarebbe grottesco.” Ironizzò. In questi mesi i dolori alle giunture erano stati poco più che un effetto trascurabile. Poi, verso maggio, Meike gli aveva fatto notare che la sua testa non aveva sempre sfiorato la parte superiore della porta. Si era sottoposto docilmente alla misurazione e la bambina aveva annunciato entusiasta il metro e novanta.

Sperava davvero di aver smesso di crescere.
“Grottesco? Se tu sei grottesco, io cosa sarei?” Sbuffò sarcastica, dirigendosi verso la piccola cucina. Da che era lì, Tom aveva sempre visto qualcosa sobbollire sul fuoco. Sempre. “Per questo la fidanzata del figlio del sindaco ti ha messo gli occhi addosso.”
Cordula poteva sembrare una vecchia stramba, ma non le sfuggiva niente. Mai.
“Davvero?” Non che non lo sapesse: se la ritrovava ovunque, non appena metteva piede al villaggio. Era imbarazzante.

E pure inutile…
“Ha il sangue cattivo, il giovane Heinemann. Vedi di stare attento.” Replicò, sedendosi con fatica, artrosi galoppante, sulla sedia di fronte a lui. Aveva il viso tondo di una mela raggrinzita e capelli vaporosi, bianchi, lasciati sciolti. Gli occhi piccoli e acuti trafiggevano le persone, non si limitavano a guardarle. Per questo probabilmente la chiamavano La Pazza: non era normale in nessuno dei due mondi.
Una maganò nel mondo magico, una strega, con quei suoi intrugli, nel mondo babbano…
Tom sentiva di capirla. Non c’erano mai state grandi conversazioni tra di loro, ma era scattata una sorta di empatia a pelle in quei mesi.
“Non sono particolarmente preoccupato per le spacconate del ragazzo immagine del villaggio.” Ironizzò.
“Eh, certo…” Sbuffò. “Ma devi tenere un profilo basso. Già la gente ti parla troppo addosso. Lo sentono, che sei strano. E pensa che i babbani non avvertono la forza magica…”
Tom serrò le labbra: la magia non era solo questione di sangue o dinastie. Era anima, carne e sangue.  
Ed io sono un stramaledetto patchwork.
“Cosa dovrei fare allora? Non posso certo nascondermi.”
Già lo faccio.
La donna raccolse con le dita delle briciole di pane. “Vedi tu…”
Ci fu un lungo silenzio, che Tom intuì preludesse un discorso serio. E infatti…

“Puoi restare qui quanto ti pare. Un ragazzo che sa usare la bacchetta mi è utile …”
“Ma…?” La incalzò. Cordula non sembrò impressionata dal suo tono freddo e inquisitorio. Non lo era mai del resto.
“Tu non sei un magonò come me. La magia ti respira addosso…” Soggiunse, con uno di quei suoi strani detti che non era mai sicuro di tradurre bene. “Questo posto non fa per te. Non fa neppure per Meike, infatti se ne andrà a Durmstrang a settembre.”
“… Come?”

Cadde dalle nuvole. Per otto messi tutto era stato immobile, immutabile. Stranamente quell’annuncio ebbe il potere di agitarlo.
Non deve cambiare niente qui, tutti i giorni devono essere una sequenza di routine identiche.
Non devo accorgermi di quanto tempo è passato…
Oppure…
La donna inarcò le sopracciglia. Tirò fuori dalla vestaglia lisa una lettera che strinse la stomaco di Tom in una morsa. Era praticamente identica a quella che lui aveva ricevuto sette anni prima, sebbene per Hogwarts. “L’ha ricevuta stamattina. Volevo dargliela, ma aspetto che abbia smesso di fare i capricci.” Notò il suo sguardo, e forse per tatto decise di intascarla di nuovo. “Tu cosa hai intenzione di fare?”
“Sono un po’ cresciuto per frequentare il primo anno a Durmstrang.”
“Sai cosa intendo.”
Tom si alzò in piedi. Sentiva un peso spiacevole sullo stomaco. Non lo abbandonava mai.

Ma aveva preso la sua decisione e non sarebbe tornato indietro. Poteva essere vigliacca, poteva essere una fuga.
Ma la storia di Harry Potter e della sua famiglia non avrebbe dovuto comprendermi. Affatto.
Sto solo rimettendo a posto le cose.
“Allora?” Lo incalzò la donna.
“Niente. Assolutamente niente.”
Lo squadrò. Poi scosse la testa, alzandosi e andando a controllare il contenuto della pentola, che bolliva placida e fumigante. Gli dava le spalle, ma Tom ebbe l’impressione che continuasse a fissarlo.
“Quando tornerai a casa, ragazzo?”
Tom sentì le unghie scavargli la pelle morbida dei palmi, implacabili.
“Quando Meike si sarà stanca di giocare…”
“Non parlavo di questo.” Replicò brutalmente. “Ma della tua vera casa.”
“Non mi hai mai fatto questa domanda…”
“Fin’ora, sì.” Ammise. “Ma vedo ogni volta la faccia che fai quando ti ricordi qualcosa.” Replicò seria. “La lettera di Meike cosa ti ha ricordato?”
La mia lettera. I chiarimenti di Harry sulla mia nascita. La mia prima bacchetta. Il mondo di Harry che diventava finalmente anche il mio. Lo Smistamento. Al. Hogwarts. La fine del primo anno, quando papà mi ha chiesto com’era andata. Essere uno studente, essere chiamato Tom Oltre Ogni Previsione, essere un prefetto… Al. 
“Mi sembrava di avertelo già detto.” Sentiva le parole appiccicarglisi al palato come fiele. “Io non ho una casa.”

La donna lo guardò da sopra le spalle. “Allora perché ci pensi continuamente?”
Tom uscì sbattendosi dietro la porta.
 
 
****
 
 
Le onde si infrangevano qualche metro più sotto, sulla scogliera rocciosa dietro Kap Arkona.
Kap Arkona era la metà turistica più rinomata di Rügen e ogni anno centinaia di persone venivano per ammirare la scogliera impervia, interamente fatta di calcare.
Loro erano dal lato opposto della punta dell’isola, dove le scogliere erano un po’ meno bianche e c’erano più alghe. Meike aveva le gambe immerse fino alle ginocchia in una pozza d’acqua, risultato dell’alta marea, che scintillava al sole pallido e cercava di prendere con le mani dei pesciolini.

Tom agitò appena la bacchetta, mandando un consistente nugolo di alghe a riposare nel secchio di raccolta. Dovevano portarne a casa almeno cinque o sei chili. La magia poteva aiutare, ma doveva comunque stare attento anche alla bambina.
“Meike, vieni a darmi una mano…”
“Arrivo subito! C’è un pesce troppo carino! Voglio portarlo a casa!”

“Non sopravvivrà fuori dall’acqua di mare…” Replicò, beccandosi un’occhiataccia.
“E tu che ne sai?” Gli chiese indispettita, ravviandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e arricciando il naso. “Non sei mica un lupo di mare, tu!”
“Semplice deduzione.” Si strinse nelle spalle. “Non può sopravvivere fuori dal suo habitat naturale. È così per tutti gli animali.”
“Anche gli esseri umani?” Chiese curiosa. Non era affatto una stupida. Ormai si era abituato alle sue domande acute, anche se un po’ strambe.

“No, gli esseri umani hanno una cosa chiamata capacità di adattamento.”
“Anche i babbani, vero?”
Tutti gli esseri umani.” La corresse. “Specie, non genere.”
Meike sbuffò, scrollando le spalle. “Parli difficile…” Lasciò perdere il pesce e la pozza, arrampicandosi agilmente sugli scogli, fino alla sua postazione. Gli si accoccolò accanto, pensierosa.

“La nonna ha molta capacità di adattamento. Perché sai, non la vuole nessuno. Né i babbani né i maghi. Però a lei non frega.” Considerò attorcigliandosi attorno alle dita la maltrattata ciocca di capelli. “Perché è una maganò.” Si mordicchiò il labbro. “È una cosa triste, però.”
Tom si tolse le ciocche di capelli dal viso con un movimento ormai automatico; il vento salmastro frustrava la faccia ad entrambi. Entrava nei polmoni e li liberava. Però era solo un’illusione. Non si sentiva libero.

“Sì, lo è…”
“Non sarebbe bello se ci si potesse trovare bene dappertutto?” Calcò sulla parola. “La mamma non mi voleva, perché ero strana … e non ci riuscivo mica, ad essere come voleva lei, ad adattarmi. Così era triste…  e allora la nonna mi ha presa con sé. Ora la mamma ha una nuova famiglia. Credo sia felice.”
Tom non disse nulla, ma lasciò che gli appoggiasse la guancia contro una gamba. Non apprezzava particolarmente l’invasione del suo spazio personale, ma Meike era solo una bambina che aveva ricevuto poche carezze dalla vita. Non gliele elargiva, non era nelle sue corde, ma neanche le rifiutava.

In fondo era un buon compromesso.
“E tu Ian? Tu sei bravo ad adattarti… guarda quanto veloce hai imparato la lingua!”
“Non credo di esserlo invece.”
Lo scrutò da sotto in su. Gli occhi di Meike erano verdi. Scuro, a volte castani, ma con quella particolare luce lattiginosa…

 
“Secondo te, Tom… che cavolo c’è di così particolare nei miei occhi?”
“Sono verdi.”
“Mmh, acuto. Il Barone sanguinario… hai presente?”
“Riesci a pronunciarlo senza spaventarti? Notevole, Al.”
“Ma va’ al diavolo! Dicevo… mi ha detto che li ho dello stesso colore di un Avada Kedavra.”
“… poetico…”
“Agghiacciante, vuoi dire! Insomma, perché secondo te sono così particolari?”
“Io penso che siano semplicemente tuoi.”

“Beh, ma anche papà e Lils li hanno così.”
“Non hanno la stessa espressività. Li hai enormi.”
“… cos’è un complimento o in insulto?”
“Vedi tu.”  

 
“Per questo non vuoi tornare a casa?”
La domanda lo colpì quasi con la forza di uno schiantesimo. Smise di raccogliere alghe,  abbassando la bacchetta. “… Chi ti ha detto…?”
“Lo so che ce l’hai… una casa, dico.” Disse piano, quasi si vergognasse. “Ce l’hanno tutti, ce l’ho anche io ad Hannover, da mia mamma e la sua famiglia. Però non è ci voglio tornare… Non vuoi tornare neanche tu?”

Tom sentiva il legno consumato della bacchetta del padre di Meike tra le dita. Era freddo, estraneo.
“È complicato… Non è questione di volontà.” Inarcò un sopracciglio, dissimulando. “Vuoi che me ne vada per caso?”
Meike scosse la testa con forza. “Oh, no! A me dispiacerebbe tantissimo se te ne andassi! Ora che ci sei tu non mi annoio più così tanto.” La vide arrossire. “E tu non pensi che sono strana.”
“Non sei strana, sei una strega.” Replicò. “Quando andrai a Durmstrang conoscerai gente come noi. Ti farai degli amici e troverai persone che ti pesano esattamente per ciò che sei.”

“Ma tu non verrai con me…” Si imbronciò. “Anche se secondo la nonna non hai neanche finito la scuola.”
Tom suo malgrado sorrise: quella vecchia aveva una capacità ammirevole di misurare le persone.

Se non fossi certo che è incapace del benché minimo incantesimo direi che è un’esperta legimante.
“Te la caverai.”
“Però tu non farai amicizia con Anneke quando non ci sarò, vero?” Alzò la testa, squadrandolo.
Tom fece mente locale.
Ah, la fidanzata del figlio del sindaco…

“Non vedo perché dovrei.”
“Vuole che diventi il suo ragazzo!” Lo accusò, come se fosse colpa sua. Aggiunse anche una botta sul braccio.  

Tom sospirò. “Non lo diventerò.”
Meike parve poco convinta. “Dicono tutti che è molto carina…”
Sospirò di nuovo: otto mesi avevano solo rafforzato le sue convinzioni in materia di attrazione sessuale. Certo, le ragazze del posto non erano particolarmente degne di nota, ma neppure Anneke, oggettivamente graziosa, smuoveva nulla nella sua tempesta adolescente.

C’era una sola persona che l’aveva fatto.
E sarebbe rimasta la sola, per quanto lo riguardava.
“Diciamo… che mi piace più la compagnia dei ragazzi, Meike. Non come i ragazzi del villaggio, no.” aggiunse, vedendo che formava le parole con le labbra. “In ogni caso non troverei piacevole la compagnia di Anneke.”
Meike parve riflettere, poi si aprì in un sorriso. “Meglio! Quella è una scema!” Sogghignò, prima di scendere dallo scoglio. “Le alghe, Ian! Siamo indietro con il lavoro, poi la nonna s’arrabbia!”
Tom sbuffò appena.
Bambini…
Per certi versi era molto meglio spiegare a loro, che al resto del mondo.
La seguì, sorvegliandola mentre raccoglieva manciate di alghe brunite e le depositava nei tre secchi di plastica azzurra.
Meike dopo un po’ alzò lo sguardo verso il mare, rabbuiandosi. Tom fece lo stesso.
Fece una smorfia: conosceva quell’imbarcazione scrostata, che rispondeva al nome cinematografico di Selma. Era quella di Arno Heinemann, il figlio del sindaco. Un paio di ragazzi della sua cricca erano sul pontile e si esibivano in risate gutturali, generosamente innaffiate da lattine di birra.
“Che cavolo vogliono quelli?” Borbottò Meike, giustamente prevenuta. Il figlio del sindaco era un idiota talmente pieno di sé da ricordargli i purosangue del calibro di Terrance Montague.

“Non fare caso a loro.” Disse, prima che un fischio lo facesse inevitabilmente voltare.
“Ehi Morris!” Urlò Arno, con il suo largo viso arrossato, uscendo dalla cabina del timone. “Facciamo quattro chiacchiere!”
“Ian…” Sussurrò Meike. Arno Heinemann era anche conosciuto per avere un temperamento da rissa immediata. Tom aveva smesso di contare le volte che era stato preso di mira.  Avevano sempre evitato lo scontro diretto perché beh… Non era difficile eludere gli incontri con un idiota che girava con un pick-up rumoroso anche per andare a comprarsi le sigarette.
“Va tutto bene.” Le sorrise, irritato.
Ci sono dei momenti in cui sposerei le idee razzistoidi di una parte del mondo magico.
Prima di ricordarmi che certi imbecilli ci sono in entrambi i mondi.
Si premurò di dare le spalle alla barca mentre intascava la bacchetta nei pantaloni. Dopo aver mollato gli ormeggi scesero tutti, Arno in testa.
“Ehi finocchietto!” Latrò raggiungendolo, infastidito dall’essere ignorato.   
L’unica illazione corretta di tutte quelle che hai detto alle mie spalle…
Si raddrizzò, pulendosi le mani dal sale e dai rimasugli di alghe. Fece cenno a Meike di allontanarsi, e quella obbedì, con due occhi grandi di paura. “Hai bisogno di qualcosa?”
“Lo sai.” Confermò sputando tra gli incisivi storti un grumo di saliva che si andò ad infrangere ai suoi piedi. “Devi stare lontano dalla mia donna.”
Tom assottigliò gli occhi, meditabondo. “Quale delle due che hai dietro?”
“Figlio di…” Iniziò quello coi pugni più grossi. Arno lo bloccò con un braccio.

“Sai di che parlo, Morris. Stai lontano da Anneke o ti faccio il culo.” Ruggì. A Tom venne quasi da ridere: avrebbe potuto sbatterlo in mezzo all’oceano solo pensandolo.
Era migliorato negli incantesimi non verbali e la bacchetta, se si fosse concentrato abbastanza, avrebbe anche potuto non servirgli.
Forse.
“Ma davvero…” Cominciò.
“Ian!” Lo chiamò Meike. “No, per favore.”

Serrò la mascella mentre scrutava il viso volgare e sarcastico di Arno.
Meike aveva ragione. Anche se li avesse obliviati, dopo aver dato loro qualche lezione di magia… nessuno gli assicurava che non sarebbe arrivato il Ministero tedesco a far luce sull’accaduto.
Lo statuto di segretezza è una norma a rilievo internazionale…
Fece per afferrare uno dei secchi, ma Arno fu più veloce e glielo calciò addosso, infradiciandolo. Le risate dei suoi amici furono l’immediata conseguenza.
“Ops, scusa. Volevo solo passartelo…” La smorfia sulla brutta faccia di Arno gli ricordava quella di John Doe e quella di Montague.

E come loro, aveva il potere di passare ai fatti all’azione più velocemente di quanto credesse.
Sentì il cazzotto del ragazzo colpirgli lo stomaco. Crollò a terra, sbattendo duramente le ginocchia contro la roccia degli scogli.
“Ian! Lasciatelo stare!”
“Vattene dal nostro villaggio, stramboide!”
La bacchetta era solo nella sua tasca. Avrebbe potuto…
Un secondo calciò lo spedì lungo disteso a masticare sabbia e fanghiglia.
Ian!” Meike fece per raggiungerlo, ma fu afferrata di peso da uno dei tre, e bloccata.
“Sono otto mesi che stai qui, inglese… e sono successe cose strane. Esplosioni, lampioni che scoppiano come pop-corn… strane luci sulla collina. Dì, un po’, che mostro sei?”
Tom rimase in silenzio. La prima parte l’aveva accolta senza preoccuparsi: nessuno poteva provare che fosse stato lui, tanto che si pensava a sbalzi di corrente elettrica, frequenti in quella parte ventosa dell’isola. Solo un idiota suggestionabile come Arno poteva avvicinarsi alla verità… e non rimanerne illuminato.

Ma le luci sulla collina…?
Credevo fossero questi idioti con le luci dei loro furgoni…
“Pensi che sia un alieno?” Ghignò, mentre tentava di relegare il dolore dei colpi in un angolo della sua testa. “Sei piuttosto lontano dalla verità…” Alzò lo sguardo e si specchiò negli occhi slavati e furenti dell’altro ragazzo. “E lasciate stare la bambina.”
“Perché, altrimenti cosa fai? Ci vomiti addosso?”

Altre risate. Meike soffocò un singhiozzò, mentre tentava di liberarsi senza riuscirci. Sua nonna le aveva insegnato a non usare la magia con i babbani, ed era troppo spaventata per usare quella non intenzionale.
Allora pensaci tu, no?
Tom sentì quella voce accarezzargli i meandri più nascosti del suo animo. Gli aveva fatto compagnia spesso in quei mesi. 
Non era pazzo, era più uno spillo nella sua coscienza.
Non aveva idea se fosse Lui. O se fosse semplicemente una parte di sé.
Farebbe poi differenza?
Però a volte si faceva sentire, e …
Perché no?
“Lasciateci in pace.” Chiese, o forse pretese.  
“Solo se mi lecchi la suola delle scarpe, Morris. Magari ti piace, finocchietto…”
Non permettergli di parlarti così. Non a te.

Sarai un patchwork, ma gli permetti di umiliarti?
Sentì la magia incendiargli le vene. Vide con la coda dell’occhio Meike irrigidirsi: era una bambina sensibile. Non c’erano lampadine che segnalavano qualcosa che non andava, ma lei lo aveva sentito lo stesso.
Gli chiese, si chiese se gli sarebbe piaciuto, per caso, schiacciare la testa di quel ridicolo idiota con un sasso. O fargliela sbattere sugli scogli, tutto da solo.
Poi ricordò. Di nuovo.
 
“Cosa dici Doe, anche se non sono il padrone, funzionerà per ucciderti?”
“Tom!” Gridò Al. “No! Sei impazzito?!”
“Thomas, non ne vale la pena.

 
Inspirò bruscamente e prese la bacchette da dietro la schiena, dove l’aveva incastrata trai passanti della cintura. La infilò sotto la manica. Era un movimento che in quei mesi aveva fatto tante volte.
Everte Statim.
Quell’incantesimo era un po’ il suo marchio di fabbrica. Come l’expelliarmus per Harry.

Arno perse l’equilibrio e fu letteralmente scaraventato nel mare spumoso sotto di loro.
 Arno!” Urlò uno dei ragazzi, quello che reggeva Meike, liberandola e correndo assieme agli altri verso la riva. “Oh merda, Arno!”
Tom si sentì comunque deluso. Sensazione curiosa, come se avesse tradito se stesso.

E visto chi ero, è la cosa migliore che potessi fare.  
Si rialzò e recuperò i due secchi superstiti allungando il terzo, vuoto, a Meike che lo guardava incerta. I tre ragazzi per fortuna sembravano essersi dimenticati della loro presenza, più occupati a cercare di recuperare il loro leader.
“Non dovevi…” Sussurrò piano.
“Un po’ d’acqua non lo ucciderà.” Le sorrise appena. “Torniamo a casa.”
Avrei potuto fare di peggio.
“La nonna si arrabbierà…”
“La nonna non lo saprà.” Le accarezzò una guancia bruciata dalle efelidi. “Non è vero?”
Meike arrossì e Tom seppe che non avrebbe detto nulla. Lanciò però un’occhiata alle sue spalle, e perse colore.

“Ian…”
Tom sospirò, e quando si voltò vide all’imbocco del sentiero per la scogliera la figura tozza e piantata di Cordula, quasi una sfinge giudicante.
Nessun riposo per i cattivi²…

 
 
****
 
 
Non aveva pranzato e stava rischiando di non cenare.
Cordula doveva proprio avercela con lui.
Tom si puntellò sulla vecchia sedia a dondolo che la donna gli aveva concesso di riparare e portare nella sua stanza, al faro. Non aveva mai avuto una sedia a dondolo. Era comoda.
Un gatto sulle ginocchia e potrei fare il signore del male…
Per il momento, in mancanza di cibo, si limitava a litigare con il vetusto lettore cd che era riuscito a scovare all’emporio del villaggio. L’aveva pagato pochi euro e andava ancora a pile. Alcaline.
Vivo nel ventesimo secolo…
Era stato più difficile reperire dei cd con cui usarlo. Ma una gita alla città più grande dell’isola, ottenuta con la compiacenza del padrone stesso dell’emporio che gli aveva dato un passaggio, aveva risolto il problema.
Era riuscito a recuperare poca roba, ma se non altro aveva sventato l’eventualità di suicidarsi dalla noia in quei mesi.
Non sarebbe stato male avere il suo lettore mp3. Chissà se era stato ridato ai Dursley come suo effetto personale…
È questa la procedura, no?
La sua famiglia… la sua vera famiglia. Gli mancava. Quello poteva ammetterlo senza conseguenze dolorose. Si sentiva in colpa. Suo padre non avrebbe capito molto, sua madre avrebbe cercato di farlo, ma senza riuscirci. Vern probabilmente avrebbe cercato di impossessarsi del suo pc. Sperava che Alice difendesse il presidio. Sperava che si fosse trovato un ragazzo migliore dell’ultimo, un completo idiota.
Mi dispiace…
Chiuse gli occhi. Quel particolare gruppo era l’unico gruppo che gli piacesse davvero trai pochi cd che aveva recuperato nella sua spedizione verso la modernità babbana. Quella canzone, poi, era stata fidata compagna di tante serate.  Al avrebbe detto che era triste e incazzata.
Icastico.
 
[…]Even though I know, I suppose I'll show
all my cool and cold, like old job
Despite all my rage
I am still just a rat in a cage³

 
“Buonasera, Signor Eroe Tragico.”
Era raro che Cordula usasse il sarcasmo. Non ne era priva, certo. Ma lo usava con parsimonia e solo per frecciatine orribilmente mirate.
Tom aprì gli occhi, voltandosi verso la voce. La donna reggeva una pentola e una bottiglia di birra.
“Non mi piace la birra.”
“Beh, ti arrangi. O il signorino è troppo viziato ed ha bisogno del menù?” Interloquì, abbandonato pentola e bottiglia sul piccolo tavolo pieghevole da pic-nic che gli faceva anche da scrivania di fortuna.

“Stasera sei particolarmente acida…”
“E tu particolarmente stronzo.” Replicò senza battere ciglio o mostrare nessuna emozione. La ammirò.
Si alzò dalla sedia, togliendosi le cuffie. “Senti, per oggi…”
“Meike non voleva dirmi nulla. Sembrava un topolino, muto. Le hai proprio insegnato bene, eh?” Lo accusò, perché era un’accusa, Tom lo intuì dal tono. “Ti giri le persone attorno a un dito, quando vuoi. Peccato che io non ci caschi. Sono troppo vecchia per farmi smuovere da un paio di sorrisi di un mocciosetto pelle e ossa.”
“Ma se oggi avevi detto che sono bello…” Ironizzò, cauto comunque.

Cordula scrollò le spalle. “E lo usi come arma, invece che come caratteristica. Vuoi un applauso?”
Aveva un modo di arrabbiarsi che stimava. Non dava in escandescenze. Affilava la lingua e lo sguardo.
Se non fosse stata una maganò tedesca, sarebbe stata una perfetta serpeverde…
“No…” Ammise, sedendosi al tavolo mentre controllava il contenuto della pentola. Era una zuppa di patate e carne. L’odore gli fece capire che aveva fame. “Perché mi hai portato la cena qui?”
“Perché voglio parlarti senza avere Meike che origlia.” Si sedette davanti a lui.
“Vorrei mangiare…” Tentò.
“Te lo sto forse vietando?” Replicò impietosa. “Allora… parliamo. Ti ho dato la bacchetta di Karl per farti scaraventare ragazzi in mare?”
“Mi aveva picchiato.” Borbottò, prima di ingoiare una cucchiaiata di zuppa. Gli bruciò la trachea, e vide uno scintillio di soddisfazione nelle iridi della donna.

Stronza…
Ingoiò il boccone stoicamente.
“Probabilmente perché hai usato quella lingua da serpentello per stuzzicarlo. Hai imparato anche troppo bene il tedesco…” Sbuffò. “Che ti ho detto milioni di volte? Ignorare, ignorare, ignorare. Questa gente non ha in simpatia quelli come te. Non bisogna dar loro un pretesto…”
“Per insultarmi, darmi dell’omosessuale e aggredirmi?” Le suggerì iroso, buttando il cucchiaio nel piatto, con un rumore secco. “Quel microcefalo non è degno di pulirmi le scarpe con la lingua e voleva che lo facessi io a lui. Non figurativamente.”

Si sentiva un adolescente stupido e irritato. E notando lo sguardo di divertita pazienza della donna, dietro la sua faccia immobile, capì che lo era definitivamente.
“Ti fa rabbia?” Gli chiese. “Essere visto come il mostro del villaggio?”
“Mi hanno accusato anche di fenomeni paranormali, fai tu…” Mormorò, riprendendo a mangiare. Aveva fame sul serio: usare la magia gli metteva appetito.

“Quelle accuse non sono del tutto infondate.” Replicò Cordula con una scrollata di spalle. “Se ti dà tanto fastidio… è perché tu non sei fatto per stare qua.”
“… Ancora con questa storia?”
“Finché non ti sarà entrata in testa.” Corrugò le sopracciglia. Doveva aver avuto un volto gentile, prima che la vita la privasse del marito e del figlio. Adesso era incisa nella pietra. “Ian… non saprò fare magie e non saprò adattarmi alla tecnologia babbana, ma non sono stupida. Tu menti, ti nascondi. Ed hai paura.”
Tom sentì qualcosa di freddo irradiarsi lentamente dallo stomaco. Era la paura con cui si svegliava ogni notte, urlando, fradicio di sudore. Era il volto ghignante di Doe che gli appariva nei sogni, e quello viscido del primo proprietario della sua anima. Voldemort.

Si versò un bicchiere di birra, sorseggiandolo finché non sentì il calore dell’alcool riempirgli lo stomaco.
“Mi hai sempre detto che non mi avresti chiesto niente…”
“E non lo sto facendo.” Obbiettò. “Sono passati otto mesi. Tre li hai passati a letto, tra la vita e la morte. Due a riprenderti… e i restanti a fingere che fosse questo il posto in cui volevi restare.”
“Non…”
“Sei in sospeso.” Alzò la mano per impedirgli di continuare. “Questo posto è un limbo tagliato fuori dalla vita moderna babbana, ma pure dal mondo magico. Ho visto come sei avvezzo alla tecnologia e quanto sei dotato con la magia. Tu sei vissuto in entrambi i mondi e da entrambi stai scappando. Ci ho preso?”
Tom non disse nulla, avendo l’impressione che la donna fosse davvero una legimante.

Quello era un discorso che aveva avuto per molto tempo dentro di sé. Forse era l’idea che la nipote sarebbe partita, ma sembrava che Cordula cercasse di far abituare anche lui all’idea che tutto poteva cambiare.
Che stava già cambiando.
“In questi giorni sei nervoso, più del solito. Cosa succede in questi giorni, Ian?”
“È il compleanno del mio padrino. Domani.” Mormorò, così piano che fece addirittura fatica a sentirsi. Ma nella sua testa rimbombò come dentro una maledetta cattedrale. “Quell’uomo… è stato come un padre per me.”

“E ti manca?” Cordula gli mise una mano sulla sua. Era calda e callosa ed era la prima volta che lo toccava da mesi, da quando era tornato ad essere autosufficiente.
“No…” Mentì. Perché usare una particella affermativa, ne era certo, lo avrebbe fatto crollare. Si alzò di scatto, sentendosi improvvisamente compresso. “E comunque non ha importanza. Non posso tornare da loro. Avrei dei guai, avrebbero dei guai. Stargli lontano farà bene a tutti.”
Cordula sospirò, raccogliendo il piatto di zuppa ormai freddo e rovesciandolo nella pentola. “È davvero così grave se tornassi?”
“Ci sono delle persone… che mi cercano. E non sono del genere che lascerebbe in pace me… o le persone a cui tengo. E loro… hanno bisogno di pace. Non l’hanno avuta per anni, hanno combattuto per averla… se la meritano.”
Cordula annuì grave. “La guerra magica, immagino.”
“Già.” Evitò il suo sguardo. “E poi… ho fatto delle cose tremende in Inghilterra. Non ho ucciso nessuno, ma ci sono andato maledettamente vicino.”

Era più di quanto gli avesse detto in otto mesi. Tom non credeva alle ricorrenze come momento che stimolava i ricordi e la nostalgia.
Fino ad adesso.
Il compleanno di Harry era una tappa imprescindibile durante l’anno, da quando era bambino. Significava la Tana Weasley, partite di Quidditch da cui stava lontano miglia, cibo propinato in ogni singola ora del giorno. Ma anche poter leggere alla frescura dell’albero di melo dove Al si dondolava sull’altalena. Parlare fino all’incoscienza prima che Al crollasse. Vedere la luce della luna brillare da una feritoia e illuminargli il viso.
Dannazione…
Cordula studiò la sua espressione. “Sei proprio un eroe tragico.” Scosse la testa. “Pensi a ciò che è giusto e inevitabilmente fai star male tutti, te in testa.”
“Non sono affari tuoi…”
“Che novità.” Ironizzò, riprendendosi la pentola e alzandosi in piedi con uno sbuffo. “Quando mio figlio scelse di abbandonare la magia per sposare la donna che amava… sai perché non l’ho fermato?” Tom attese, visto che probabilmente non serviva dare risposta. “Perché passare una vita lontano da chi e ciò che sia ama, non è vita. E non fai un favore a nessuno, neanche a te stesso… specialmente se rischi di essere rincorso con i forconi da metà dei nostri vicini di casa.” 

Tom capì. “Stai dicendo che devo andarmene?”
“Sto dicendo che è ora di tornare. Non ti sei punito abbastanza?”
Tom serrò le labbra, e si buttò sulla sedia a dondolo.
Non doveva pensarci.
Non…
Cordula che stava prendendo in consegna pentole e bottiglie, alzò la testa al sonoro Pop! della smaterializzazione.
Sorrise.

 
Tom quasi sbatté contro la cabina telefonica a cui aveva puntato smaterializzandosi.
No, non si sarebbe mai abituato alla schifosa sensazione di sentirsi comprimere dentro un tubo. Le prime volte aveva rischiato di spaccarsi, ma per fortuna i suoi episodi di magia accidentale infantile avevano creato un buon precedente su cui lavorare.

Certo, il mio corpo di allora aveva molta meno massa da ricomporre…
Si infilò dentro la cabina. Le dita gli tremavano mentre componeva il numero di casa Potter.  
Sei ridicolo. Smettila subito.
Non smise, naturalmente. Dovette digitare un paio di volte il numero per comporlo correttamente.
La linea era libera e squillava ad intervalli regolare. Gli sembrava, era ridicolo, che il suo cuore battesse a quel ritmo sincopato.
Avrebbe risposto Harry, probabilmente. James ci urlava dentro, con gran fastidio di tutti e Lily lo ignorava. Ginny aveva sempre l’impressione di fare la cosa sbagliata, e delegava volentieri.
Cosa avrebbe potuto dirgli?
Buon compleanno Harry, anche se manca un giorno. Come vanno le cose lì? La mia famiglia sta bene? Ah, sono ancora vivo, sì.

Avrebbe potuto rispondere Harry.
Oppure…
 
“Casa Potter, con chi parlo?”
 
… oppure Al, l’unico che utilizzasse con cognizione di causa il telefono. Glielo aveva insegnato lui, del resto.
Era la sua voce. Era più profonda, più matura adesso. Però c’era sempre quell’intercalare dolce. Non era l’accento del Devonshire, era proprio suo.
Merlino.


“Pronto, ehi? C’è nessuno?”
 
Ci sono io, Al.
Ma non riusciva a aprire bocca. Voleva dire un milione di cose e tutte gli sembravano ridicole, inadatte, inappropriate.
Otto mesi.
Ci fu un’esitazione dall’altro capo del telefono. La magia non correva lungo i fili di comunicazione babbana e di certo il filtro abusato di quel telefono non captava il suo respiro, peraltro maledettamente vicino a rompersi.
Ci furono una manciata di secondi nel quale nessuno dei due parlò.
Al non poteva capire chi era.
 
“… Tom, sei tu?”


Ma poteva sentirlo.
Il suo Al era sempre stato quietamente straordinario, Tom lo pensava davvero.

Riattaccò di colpo, con violenza. Sentiva il sudore, gelido, scorrergli lungo la nuca. Appoggiò la fronte contro la cornetta tiepida. Gli sembrava bollente.
Otto mesi, ridicolo coniglio. E se non ti volessero più?
Come diavolo si usciva da una situazione del genere?
 
 
Harry lanciò un’occhiata al figlio, mentre masticava un boccone. Si bloccò quando vide che Al non parlava con nessuno ed era immobile come una statua di sale.  
“Al, qualcosa non va?” Chiese Ginny, mentre scacciava la mano di James dalla porzione del fratello.
Il ragazzo si voltò. Aveva un’espressione stranissima in viso, stimò Harry.
Sembrava a metà tra la rabbia, l’incertezza e una gioia selvaggia.
“Era Tom.” Disse semplicemente. Sembrava non avere la minima intenzione di lasciare la cornetta.
“… Come tesoro?” Mormorò Ginny.
Harry inghiottì il boccone, pulendosi maldestramente le labbra. “Albus, sei sicuro?”
“Harry…” Sussurrò la donna con sguardo ammonitore.

Non provarci… – sembrava dire la sua espressione – Non dargli corda.
Cercò di ignorarla mentre si alzava, liberando la cornetta dalle dita del figlio e rimettendola al suo posto. Erano serrate forte, fino a farsi sbiancare le nocche, notò.
“Era Tom.” Ripeté Al, e gli tremava la voce. “Era lui.”
 
 
****
 
 
 
Note:
1. Qui la canzone.
2.Titolo di un album dei Black Sabbath “No Rest for the Wicked”
3.Bullet with butterfly wings, Smashing Pumpkins.  
Qui la canzone.
Vabbeh che le ho messe ovunque, ma se a qualcuno fossero sfuggite… Tho.
Tom
Al
Rose
Scorpius
James
Teddy
  
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