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Autore: Dira_    24/07/2010    27 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Ciao! Causa vacanze mi sa che siete diminuiti, ma ehy, chi si lamenta ancora? Sarei un bel po’ ipocrita! Partendo per Budapest domani l’aggiornamento della prossima settimana… err, salta.
Sorry, e buone vacanze! :D
@altovoltaggio: non penso tu sia pazza, penso tu sia fantastica! Commenti così meravigliosi ogni volta… mi vizi! :D Sì, l’errore sul Baltico è stato grossolano, e non sei l’unica a segnalarmelo… quindi, grazie! (fa sempre piacere, so che è strano, ma è perché vuol dire che ci tenete alla completezza delle informazioni e state attenti :P) Al è alto 1,75 circa… è un po’ nanerottolo per la media Weasley ma è comunque nella media maschile. È Tom che è esagerato come al solito XD Se vuoi ti dico l’altezza di tutti (perché sì, l’ho supposta, perché sono una donna malata) Se Tom è cresciuto così tanto è… beh, i ragazzi crescono a quell’età, è vero, ma Tom non è un ragazzo normale. Comunque era già alto di suo, quindi ha solo aggiunto centimetri. XD Se Tom tornerà a scuola… beh, diciamo solo che gli faremo frequentare il Settimo, anche se dovrà avere un piccolo escamotage, perché teoricamente non ha passato il sesto, come hai detto tu. ^^ Grazie mille per i complimenti! :D
@ElseW: Wow, troppi complimenti, rischi di farmi arrossire! XD Tom muoverà il dannatissimo culo qui, promesso. O forse qualcun altro lo farà per lui :P
@MyriamMalfoy: Teddy è un gran fusto, vero? E vedrai che s’aggiusterà tutto! ^^
@Agathe: Ahaaha, beh, in effetti Meike dovrà per forza andare a Durmstrang ^^ TomStu diventerà il prossimo soprannome… anche se mi ricorda troppo GaryStu XP
@Andriw9214: Ciao! Precisamente, hai capito perfettamente Al! XD La nonnetta è calcata su mia nonna, e quindi non poteva non essere sveglia… XD Grazie a te per la recensione! :D
@Mikyvale: Beh, cavolo, accidenti, grazie! :P Beh Al diciamo che ha un sesto senso per quel coglione di Tommy. Sempre avuto. XD Meike non credo la abbandonerà. Del resto ci sarà un certo Torneo TreAccademie… e Durmstrang è una di quelle, ergooo… XD Alla prossima!
@MissBlackSpots: Ciao! Ahaha, beh, non è facilissimo in effetti, non avendo messo lo stesso titolo (err, odio le ripetizioni) ma grazie comunque per essere passata! Ciao!
@Lillyylunap: Adoro quando qualcuno mi trova per caso! XD No, apparte gli scherzi, grazie per aver letto tutto! Non sai quanto piacere mi faccia! Specie se non sei una fan dello slash… e qui siamo pieni! XD Specie se di solito ti piace il canon Teddy/Victoire (che io non sopporto, ma vabbeh, odio quasi tutto quello che la Row ha accoppiato -_-) … e se ti piacciono le Lily/Scorpius e sei passata all’altra fazione… ti stringo la mano! XD Grazie mille, per tutto!
@Simomart: Ciao! Beh, sì… forse mi riesce meglio perché è un originale. Tendenzialmente lo sono tutti, visto che la Row non ci ha scritto sopra che per un paio di righe. Però non lo so, sarà una cosa psicologica. Wow, l’idea del Faro-prolungazione-di-Tom è… intensa. E chissà, forse incosciamente ho seguito proprio il tuo ragionamento! (Adoro i fari, comunque ;P) Meike sì, assomiglia un po’ a Lily… beh, anche perché siamo all’inizio e ancora non ho caratterizzato la piccola di casa Potter (Che comunque non è certo innocente come una decenne XD) In ogni caso i capitoli personaggio-centrico sono finiti, anche perché mi serviva fare una panoramica totale… forse ce ne saranno degli altri su ciascun personaggio, su Lily di sicuro, ma sarà in seguito, si riprende con il vecchio adagio adesso. XD Mi piace molto anche che vi sia piaciuta Cordula. Era sta pensata come un personaggio secondario, ma tutti me l’avete fatta vedere quasi come un cardine. E poi volevo parlare meglio della condizione dei maghinò. Quanto c’è di più triste? Non appartieni ad entrambi i mondi… ed era qualcuno così che doveva vegliare otto mesi su Tom, per me… XD E magari sensibilizzarlo un po’. Ho corretto le imprecisioni che mi hai segnalato… grazie!
@Trixina: Oh, guarda se parliamo della Meyer potrei fare un flame mai visto… la odio, la detesto per tanti e molteplici motivi XD Essì, Tom è un codardo… ma ci penserà Al! XD
@LauraStark: Cordula rulez! XD Apparte gli scherzi, hai proprio ragione!
Sophie: Essì, otto mesi sono tanti, era ora! (lo dice lei, che ce l’ha spedito… err, esigenze di trama!) Sicuramente il pugno di Al non glielo leva nessuno.
@Cloto: Meike penso che sarà presente anche in seguito nel “cast” XD … e comunque tranquilla, Tom non andrà a Durmstrang… ma ad Hogwarts, con annessi e connessi del caso… Ciao e grazie!
 
****

Capitolo III
 



 
 

Che sia l'amore tutto ciò che esiste è ciò che noi sappiamo dell'amore;
e può bastare che il suo peso sia
uguale al solco che lascia nel cuore.
(Che sia l'amore tutto ciò che esiste - Emily Dickinson)
 
 
 
 
31 Luglio 2023
Inghilterra, Devon, Ottery St. Catchpole.
La Tana.
 
La festa di compleanno di zio Harry era un modo per ritrovarsi. Non proprio tutto il clan Potter-Weasley ma buona parte sì.  
In ogni caso, Rose Weasley era tornata.
Hugo accanto a lei, tirò su con il naso e si aggiustò tra le braccia l’enorme pacco regalo.
“Cristo, se m’era mancata casa! Cara e vecchia Inghilterra…” Borbottò, con un sorrisetto ispido. Era cresciuto ancora, diventando ancora più allampanato. I capelli colo carota erano stati rasati sulle tempie, seguendo l’esempio guerriero di zio Charlie. Le efelidi gli erano esplose in faccia assieme ad un’onesta abbronzatura. A lui piacevano, Rose era felice di non essersele trascinate dietro nel corredo genetico.

“Puoi dirlo.” Gli sorrise, aggiustandosi una ciocca sfuggita dalla coda di cavallo.  
Ron si voltò, verso i due figli rimasti indietro, ancora psicologicamente dipendenti dall’aria condizionata della macchina, una mercedes che aveva di magico solo la capacità di occultarsi e volare. “Forza, ragazzi!” Esordì allegro. “Siamo in ritardo!”
“Questa è tutta colpa tua Ron.” Lo rimbeccò Hermione, irritata dall’afa che minava il controllo sui suoi capelli. “Non capisco perché non abbiamo usato la materializzazione congiunta, come fanno tutti.”
“Eddai Herm, lo sai che poi Hugo vomita!”
Grazie papà.” Sibilò il ragazzo mentre le orecchie gli prendevano fuoco.
Rose gli accarezzò la spalla, simpatetica. “È anche perché non sono così brava a materializzarmi da sola…” Lo consolò. In ogni caso, c’era un motivo per cui lei aveva sempre scelto la madre.
Guardò con affetto la Tana, che si ergeva sbilenca svoltato il crinale: era sempre pronta ad accogliere e lasciar andare, con la stessa dolce affezione.

Adorava quel posto.
Anche se vorrei trovarti da tutt’altra parte, al momento attuale…
Era tornata solo da poche ore dalla Romania. Tempo di farsi una doccia, indossare un vestito di stoffa fresca ed era stata trascinata in una riunione familiare.
La storia della mia vita…
L’unico motivo per cui non aveva ancora cercato di scappare o addurre scuse era che doveva controllare Albus.
Non lo vedeva da quasi due mesi e le sue lettere non le piacevano. Erano troppo quiete.
Hugo agitò leggermente il pacco, quasi aspettandosi che ticchettasse.
“Tesoro non agitarlo…” Lo ammonì Hermione distratta, varcando il cancello malamente incassato nello steccato che recintava la proprietà.
Hugo lo guardò preoccupato, memore dei traumi conseguiti alla riserva di draghi. “Morde?”
Rose ridacchiò, guardando con inspiegabile urgenza il cielo; del resto non era come se potesse chiamare un gufo.

Devo comunque trovare il modo di contattare Scorpius e fargli sapere che sono di nuovo qui.
Era passato troppo tempo dall’ultima volta che si erano visti. Certo, si scrivevano con frequenza quasi preoccupante, ma una cosa era sentirlo sproloquiare attraverso una penna, l’altra era trovarsi faccia a faccia.
Dubito fortemente che zio Harry l’abbia invitato alla sua festa…
Hugo la guardò con cipiglio depresso. “Stai pensando a lui?”
Rose avvampò, tirandogli una gomitata fraterna che lo fece boccheggiare. “Chiudi quella ciabatta, Hughie.”
“Attenta sorella.” La ammonì serio. “Se papà sapesse…”

Papà lo sa, o non mi avrebbe allontanata dall’isola.
Alzò gli occhi al cielo e si trovò in dirittura di sguardo James, appollaiato sul tetto con una sigaretta tra le labbra. Le fece cenno di fare silenzio, indicando la suddetta.
Scosse la testa, senza riuscire a nascondere un sorriso. Sillabò il nome di Al. Se non poteva assolvere al suo ruolo di ragazza, sarebbe stata cugina.

James scosse la testa, indicando sotto di sé.
In casa. Probabilmente in soffitta. Per Nimue, sta diventando un misantropo.

“Mamma, io vado a cercare Al…” Esordì non appena fu all’ingresso, cercando di evitare gli stritolamenti pieni d’amore familiare di sua nonna. “Tipo, adesso.”
“Saluta prima tuo zio.”
Rose sorrise all’ex eroe dei mondi, che al momento si trovava all’ingresso, un pacco sottobraccio e una tremenda maglietta marrone addosso. Sembrava che la collezione Weasley si fosse implementata dell’elemento primavera-estate.

Agghiacciante.
Lo baciò sulle guance, obbediente. “Buon compleanno zio.”
“Grazie Rosie. Al è in soffitta.” Gli sorrise di rimando, con quell’empatia straordinaria che lo rendeva fantastico agli occhi di tutta la nuova generazione. “Vai a tirarlo giù. Ti va?”
Non se lo fece ripetere.

Mentre saliva le scale tortuose e disassate della Tana, si rese conto che c’era troppo… silenzio, per essere la gioiosa festa di Harry Potter. Solitamente il compleanno di suo zio era un modo per far chiasso: era estate, tutti erano in vacanza e faceva abbastanza caldo per raid al laghetto o per lunghe partite di Quidditch.
O era troppo presto, o sarebbe stato un compleanno assurdamente compassato.
Cosa c’è di diverso quest’anno… a parte. Beh.
Sperava che almeno per un compleanno il dolore della perdita di Tom si sarebbe attenuato.
Vana speranza. E no, non mi sento particolarmente egoista a pensarlo. Stanno tutti soffrendo troppo.
Esitò, prima di posare la mano sul pomello della porta della soffitta.  
Non sembrava così depresso l’ultima volta che l’ho sentito.
In quei mesi di reclusione rumeni aveva cercato in ogni modo di tenersi in contatto con Al, anche se non era stato come essere lì.
Stupido papà.
Era stata tutta un’idea di suo padre spedirla assieme a suo fratello, con la cugina Dominique a farsi una vacanza in Romania.
 
“Così avrai tempo e tranquillità per studiare per gli esami di quest’anno. Sono importanti i MAGO, no Rosie? E poi zio Charlie non vede te e Hugh da sei anni!”
 
Adorava suo padre ma il sospetto, quasi certezza, che avesse una relazione con Malfoy l’aveva completamente obnubilato.
Le era mancato, Scorpius. Non avrebbe mai creduto possibile che le mancasse un membro esterno alla sua famiglia, essendoci cresciuta dentro ed avendo trovato lì tutte le sue figure di riferimento… ma erano stati due lunghi mesi, rotti soltanto dall’improvvisata per il compleanno del ragazzo.
Lo amava, poco da fare.
Anche se è pazzo.
Bussò alla porta. Non ebbe nessuna risposta. Sospirò: dunque Al davvero non aveva voglia di vedere nessuno? Spinse la porta con una mano, visto che era priva di chiavistelli. Trovò Al chino su una grosso mappamondo di legno, seduto a terra in mezzo a chili di polvere con la bacchetta stretta in pugno. Aveva le cuffie di un lettore mp3, per questo non l’aveva sentita.  
Riesce ascoltare la robaccia lugubre che si ascoltava Tom?
“Al!” Lo chiamò ad alta voce.
Il ragazzo alzò la testa, sorridendole in modo accecante. Non c’era più abituata e ne rimase frastornata. “Rosie! Ehi, sei tornata!” Saltò in piedi e andò ad abbracciarla con autentico e sincero trasporto.

Okay. Non sembra depresso.
“Ringraziando Merlino…” Borbottò, ricambiando l’abbraccio. “Ti vedo… bene?”
“Oh, sì. Sto bene.” Si staccò. Era alzato di qualche centimetro rispetto all’ultima volta, superandola e raggiungendo forse il metro e settantacinque. Sembrava che i maschi della sua famiglia crescessero solo d’estate, come le piante. In ogni caso aveva decisamente un aspetto più salubre dall’ultima volta che l’aveva visto. Era lo sguardo, intuì; era di nuovo acceso come un tempo.

“Che stavi facendo?”
Al arrossì, colto in castagna. “Stavo per scendere. Facevo, sai, un altro tentativo…”
“Per cosa?”
Corrugò le sopracciglia sorpreso. “Non te l’hanno detto?”
A Rose sembrò come essersi persa un passaggio importante. Fondamentale.

Solo, quale?
“Ehm, no… Vuoi andare in vacanza da qualche parte?”
Al fece una smorfia, rabbuiandosi di colpo, come si era illuminato. Era maledettamente su di giri, ecco cos’era. Esaltato. “Dovevo immaginarlo. Non mi crede nessuno. Beh, a parte papà.”
“A proposito di cosa?” Lanciò uno sguardo verso il mappamondo. Doveva essere appartenuto a qualcuno degli zii; ricordava fosse magico. Era incantato per segnalare la posizione di ciascun membro della famiglia. Probabilmente era servito per tracciare i viaggi di Bill e Charlie, prima che si stabilissero definitivamente.
“Tom ha telefonato.”
Rose sentì una voce dentro di sé emettere un urlo frustrato. Sapeva che era ingiusto nei confronti di Thomas e soprattutto di Al, ma era stufa marcia di quella storia.
È passato dentro una passaporta rotta. È praticamente come passare sotto il Velo in cui è morto Sirius Black, con solo una minima possibilità di essere rimaterializzato.
Zio Harry è stato chiarissimo!
Ma la sorpresa e la curiosità erano troppe, quindi chiese. “Ci hai parlato?”
Al si morse un labbro. “Beh, no, non proprio…”
“Al…” Se sua zia Ginny non era ancora riuscita a farlo ragionare, allora qualcuno doveva farlo.

Bentornata in Inghilterra Rosie.
“No, senti! So che era lui!” La fermò immediatamente. “L’ho riconosciuto!”
Rose sentì investirla un incipiente senso di impotenza. Di nuovo. L’aveva provato per tutto l’ultimo semestre scolastico, quando vedeva Al isolarsi dall’umana specie senza poter fare niente.
Elaborazione del lutto, zero.
Aveva letto molto in merito. Tomi di psicologia babbana, soprattutto. Era ridicolo sopravvalutarli, quando ne sapevano così tanto.
Potrei dire che questa è la fase di rifiuto… ma mi prenderei in giro da sola.
Al ha la certezza che quello stronzo non sia morto. E finché non l’abbandona, non potrà processare un bel niente.
“Sì, ma da cosa lo deduci?”
“Una sensazione.” Replicò. Poi si passò una mano dietro la nuca, guardando alle sue spalle, verso il mappamondo, unico oggetto là dentro non coperto da strati e strati di polvere. “Non mi crede nessuno, mi guardano tutti come se gli facessi pena. E probabilmente è così. Ma tu mi credi, vero?”
Rose deglutì, guardando i grandi occhi pieni di speranza – ridicolo gioco di parole con il colore dell’iride – del cugino. Desiderò trovare uno spigolo in cui sbattere la testa, come il più contrito degli elfi domestici.

“Sono tornata da un paio d’ore…” Disse semplicemente.
Al si morse di nuovo il labbro. Poi capì e prese un’espressione quasi umile. “Scusa… bentornata. Mi dispiace se ti ho aggredita. È che, capisci…”
“Va tutto bene.” Sorrise suo malgrado. “E poi, sì, mi sei mancato anche tu.” Sospirò: a parte il dovere di farlo rinsavire, del tutto irrilevante considerando che era cocciuto come un troll di montagna, doveva essere simpatetica. “Che incantesimo stavi provando?”
“Incantesimo localizzatore. Il mappamondo segnala la presenza solo di zio Bill e Charlie, perché erano presenti quando è stato incantato, ma stavo provando…”
“Ad incantarlo senza una traccia?” Meditò. “Non so se si può fare, o credo che zio Harry l’avrebbe già provato, no?”
Il sorriso sicuro di Al vacillò per un attimo, ma si riprese subito. “Sì, lo so. Ma tentare non costa nulla, no?” Scrollò le spalle. “Era per tenermi occupato, sai. È successo ieri e …”

 
“Non riesci a piantarla almeno per il compleanno di papà?”


Rose si voltò per trovarsi di fronte James, accaldato e di cattivo umore. Probabilmente si era beccato una strigliata da nonna Molly per aver fumato sul suo tetto.
Al serrò le labbra. “Lasciami in pace, sei asfissiante. E comunque stavo parlando con Rosie, non con te.”
“No, fammi capire.” Sbuffò incrociando le braccia al petto. Da dove erano spuntati tutti quei muscoli?

Sta davvero prendendo sul serio la cosa di fare il paladino della giustizia…
“Cosa dovrei farti capire?”
“Dovrei lasciare che ti rintani qui quando sotto tutti aspettano te per festeggiare papà?”
“Deve ancora arrivare Teddy e zia Dromeda. È per questo che sei nervoso?” Rimbeccò aspro, con una velocità di battuta che sorprese Rose. Di solito tendeva a non sfruttare i punti deboli altrui.
James illividì palesemente, scoccandogli un’occhiataccia. “Scendi, o ti ci porto di peso nanerottolo.”
“Ragazzi…” Tentò senza successo.
Lasciami in pace. Quale parola non capisci delle tre?” La ignorò Al: sembrava incredibilmente agitato. Probabilmente James tentava di smontare la sua tesi dalla sera prima, a giudicare dall’atmosfera tesa che si era palesata con il suo arrivo.

“La parte in cui blateri cazzate su Tom. Non è risorto, è morto.” Sbottò brutale. Rose ebbe l’istinto di prenderlo a calci, quando vide l’espressione ferita di Al.
Beh, questo prima che il suddetto alzasse la bacchetta contro James e mostrasse al mondo intero come avesse seguito le lezioni del secondo semestre di Incantesimi.
Il riverbero giallastro dell’incantesimo non verbale le sfrecciò a pochi centimetri dal viso, quando James lo vanificò con un sortilegio scudo.
“Siete impazziti?!” Tentò di farsi ascoltare, prima che James caricasse come un toro Albus e lo sbattesse a terra con uno spintone. “No, ehi!” Niente. Lo immobilizzò salendogli a cavalcioni e piantandogli una mano sul petto.

Al tentò di liberarsi, ma la differenza di peso era troppa e inoltre il fratello gli aveva bloccato prudentemente la mano che reggeva la bacchetta.
“Lasciami, mi fai male!”
“E tu non volevi farmene quando mi hai lanciato addosso quella roba?!” Sbottò James. “Sei fuori di testa, Albie!”
Non chiamarmi così!” Gli urlò in faccia.
Rose, dal suo cantuccio accanto alla porta, deglutì. Era indecisa se andare a chiamare gli adulti o lasciarli liberi di scannarsi. Il fatto era che la reazione di Al era stata spropositata.
James si comporta sempre da stronzo quando è preoccupato per qualcuno…

Lo so io, e lo sa Al.
Solo in quel momento Rose capì quanto il cugino si sentisse sotto pressione. Non avrebbe mai perso un compleanno di suo padre, né avrebbe levato la bacchetta contro suo fratello, non se…
“Lascialo Jamie.” Mormorò. “Credo che non stia mentendo su Tom…”
Al voltò la testa per guardarla. Non le sorrise, ma Rose si sentì un po’ meno in colpa per averlo lasciato due mesi da solo.
Crede di non stare mentendo.” Replicò l’altro ragazzo con una smorfia e senza mollare la presa. “Ma lo sappiamo tutti che …”

“Io gli credo.” Lo fermò. Non era questione che fosse vero o meno, alla fine. Ma solo quanto Al, la persona che più teneva al mondo a Tom probabilmente, ne fosse sicuro. 
James corrugò le sopracciglia, combattuto. La testa gli si svegliava solo nel momento dell’azione, raramente per ragionamenti logici in situazioni di calma placida. “E allora perché quel figlio di banshee non s’è fatto sentire prima?” Interloquì, soddisfatto.
“Sai, essere stato implicato in una faccenda come il furto dei Doni della Morte, avere un passato non chiaro in termini di nascita e aver collaborato con un ricercato internazionale farebbe venire qualche scrupolo di coscienza a chiunque.” Snocciolò meditabonda. “Anche se fosse in grado di tornare, forse avrebbe problemi a farsene venire la voglia… Sensi di colpa. Al ha rischiato di morire e così zio Harry. E Tom è molto legato ad entrambi.”
“È un cretino.” Confermò Al. “E lo sei anche tu, Jam. Ti togli?”
James sospirò, liberandolo e tirandolo su. Al era diventato parte integrante del pavimento, a giudicare da tutta la polvere che aveva sulla maglietta.

“Mi hai quasi schiantato, serpe…” Mugugnò James, in un’introversa offerta di pace.
“Veramente era una fattura gambemolli.” Accettò con un mezzo sorriso. “E sapevo che l’avresti bloccata. Altrimenti dovresti riconsiderare l’idea dell’Accademia.”
“Vaffanculo.” Sancì James, dandogli una pacca sulla spalla che sollevò un nugolo di polvere. 

“Se solo ci fosse un modo per avere la certezza che è, da qualche parte…” Mormorò Rose, mentre poteva sentire gli ingranaggi della sua testa liberarsi dalle ragnatele dell’isolamento rumeno e cominciare a lavorare. “Un incantesimo tracciante ha bisogno di una traccia. Quindi è escluso. Oltretutto Tom non ha con sé la sua bacchetta, quindi non è rintracciabile tramite quella.” Ci pensò. “Zio Harry che dice?”
“Ha aperto una pratica…” Rispose Al, distendendo i lineamenti in un mezzo sorriso, quasi sereno. Probabilmente il fatto che il padre gli credesse gli dava fiducia. “Ma ci vorrà del tempo. Tom potrebbe non essere nel mondo magico adesso. E se è in quello babbano… le cose si fanno complicate.”
“Procedure, procedure, procedure. Anche inoltrando la richiesta di coinvolgimento della polizia babbana ci vorrebbero settimane.” James fece una smorfia. “Burocrazia magica.”

“Non potrebbero fare la segnalazione i suoi genitori? I Dursley sono babbani.”
“La questione non è così semplice.” Ripeté James e stavolta Al non obbiettò. “Tom è un nato-babbano. Il che significa che sì, esiste per il loro mondo, ma anche per il nostro. E le due identità… come dire, ecco. Configgono. È… un caso di giurisdizione incrociata. Aggiungici lo Stato di Segretezza…” Fece un gesto vago, gemello dell’espressione frustrata del fratello.

“Dobbiamo avere pazienza.” Mormorò Al, e non sembravano parole sue da come praticamente le sputò.
Rose sentì la porta aprirsi dietro di sé. Si voltò e si trovò di fronte gli occhiali tondi e l’espressione perplessa di suo zio Harry.
“Ragazzi, siete pieni di polvere, che avete combinato?”
“Rotolato, mentre cercavo di farlo uscire.” Fece spallucce James. Rose notò una certa tensione nella risposta e imbarazzo generico da parte di entrambi. Sapeva il perché, e tacque.

Chissà se capiterà anche a me la fortuna di avere un padre imbarazzato ma che accetta.
Ah. Pia illusione.
Al ebbe il buongusto di spazzolarsi via un po’ di polvere e di rompere il silenzio. “Scusa papà, scendiamo subito…”
Harry scosse la testa. “In realtà… avrei bisogno un attimo di te.”
Il ragazzo lo squadrò perplesso. “Certo. Per cosa?”
“Per chi.” Lo corresse gentilmente. “Tom.”
La conseguente cosa che Rose vide fu la porta sbattuta. Al non aveva neanche pensato, probabilmente. Semplicemente aveva agito.

James si tolse un batuffolo di polvere dai capelli. “Non ho ancora capito come papà non li abbia scoperti.” Sbuffò. “Voglio dire. Al è palese.”
Rose fece un sorrisetto. “Mai sentito parlare di negazione?”
James alzò gli occhi al cielo, ridendo. “Credimi, fin troppo.”

 
 
****
 
Rügen, Putgarten.
Fattoria dei Wollin, sera.

 
Meike Wollin non era una scema.
C’erano molti indizi a supportare la sua tesi: punto primo, era capace di fare magie. Punto secondo, capiva quasi tutto quello che le diceva Ian. E Ian non era facile da capire, per niente. Un po’ era il suo accento, che cozzava con tantissime parole tedesche. Non glielo aveva mai detto, perché era permaloso. Un po’ perché parlava difficile, punto e stop. Gli voleva bene, beninteso, ma aveva spesso l’impressione che non si rendesse conto che aveva solo dieci anni.
Punto terzo, e ultimo, non la si faceva a Meike Wollin.
Quella sera, a cena, Ian aveva un’aria strana; non che di solito fosse un chiacchierone, ma non apriva proprio bocca e mangiava meccanicamente la buonissima zuppa di patate di sua nonna. Anche la nonna non sembrava aver molta voglia di parlare.
Così ci aveva pensato lei. Doveva essere una bella giornata, aveva ricevuto la sua lettera per Durmstrang!
(Anche se le faceva un po’ paura, comunque.)
“Ian, che succede?”
Nessuna risposta.
 
Meike rifletté: sapeva che non doveva insistere troppo, o si sarebbe irritato. Aveva un gran brutto caratteraccio, quando era di cattivo umore.
Decise di fregarsene, perché aveva quella sensazione. Era una donna, la parrucchiera diceva sempre che le donne dovevano dar retta alle proprie sensazioni.
“Ian?” Ripeté. “Che succede?”
 
Quella bambina era una continua sorpresa.
Era sensibile ai cambiamenti di umore altrui in maniera incredibile, considerando che aveva solo dieci anni. Alla sua età lui era completamente concentrato su sé stesso.
Ero una carognetta…
Ma Meike non era così, aveva capito che c’era qualcosa che non andava. E c’era.
Aveva deciso di andarsene, quella sera stessa. Cordula doveva averlo capito, ma taceva.
Non era stata una decisione facile: doveva loro molto e l’idea di lasciarle non gli arrideva particolarmente.
Ma vedeva uscite: con la bella pensata della sera prima sarebbe stato questione di poco tempo prima che gli auror inglesi, capeggiati da Harry Potter, rintracciassero la sua presenza.
E lui non si sentiva ancora pronto ad affrontare tutto quello: le spiegazioni ai suoi genitori, al mondo magico, il suo coinvolgimento in una vicenda che avrebbe potuto spedirlo dritto ad Azkaban, considerando che le leggi magiche erano molto meno flessibili di quelle babbane, illuminate dal principio della correzione.
Nel mondo magico si pagava, e basta.
E considerando che sono già maggiorenne…
“Ian?” Lo richiamò Meike. “Ti sei di nuovo messo a pensare?”
Le sorrise. Gli sarebbe mancata. Per otto mesi quel folletto di ragazzina era stata una presenza costante. Gli aveva permesso, e questo glielo doveva riconoscere, di non chiudersi nell’auto-recriminazione. Non poteva pensare cose orribili di sé stesso quando doveva ascoltarla o badare che non si sfracellasse contro uno scoglio o cadesse in mare.

“Meike, voglio essere onesto con te…” La vide arrossire e si sentì davvero disgustoso. “Me ne sto andando.”
Lo guardò confusa. “Dove…?”

“Via.” Riassunse conciso, rimestando il cucchiaio nella zuppa. Era persino riuscito ad abituarsi a quella cucina maledettamente speziata. Ma non gli sarebbe mancata, no.
La bambina lo guardò, succhiandosi un labbro pensierosa. Poi ci arrivò e sgranò gli occhi, in maniera dolorosa. “No! Ma perché? Torni a scuola anche tu?”
“No, lascio l’isola.”
“Vuoi tornare in Inghilterra?” Chiese finalmente Cordula, scrutandolo.

“No, non credo.” Dovette ammettere. “Non credo sia una buona idea.”
Prima o poi si torna sempre a casa…

Era una voce continua, nella sua testa, a cui cercava di sottrarsi. Ed era quella di Al.
Vuoi definitivamente rovinargli la vita? Perché non gli fai una bella cicatrice in faccia e lo reclami come tuo?
Serrò le labbra.
Meike gli tirò una botta sul braccio, riscuotendolo. “Non puoi andartene! Non sai neanche dove!”
“Ha ragione.” Le fece eco Cordula. “Dove hai intenzione di andare, se non sei in grado neanche di badare a te stesso?”

“Io so badare a me stesso.”
“Quanto può riuscirci Meike.” Ribatté impietosa. “Anzi, forse lei se la caverebbe meglio. Non è orgogliosa, testarda e viziata.” Soggiunse, facendolo sentire esattamente quelle tre cose. “Dovresti mantenerti, ti rendi conto? Trovarti una sistemazione e un lavoro. Anche se ti lasciassi la bacchetta di … la comunità magica tedesca è molto chiusa. A Berlino non c’è posto per un ragazzetto inglese pieno di sé…”
“Forse non intendo rimanere in Germania.”
“Considerando che sai solo la tua lingua madre e il tedesco, e male, credo proprio che tu abbia due sole opzioni.” Rimbeccò. Tom si frenò dallo scattare. Perché Cordula aveva ragione: era cresciuto amato e accudito, e lì, in Germania, era stato trattato praticamente come un ospite.  

“Imparerò.” Rispose aspro. “Non sono idiota.”
“Non lo sei, certo, ma prima di imparare a sopravvivere faresti meglio a finire di imparare ad essere un mago. Devi tornare a casa tua, pensavo lo avessi capito.”
“Non ho ancora deciso…” Replicò: c’era una parte di sé, la stessa che era consapevole fosse solo un bamboccio viziato, che voleva tornare a casa. Dalla sua famiglia, dalle sue due famiglie.

E l’altra, pragmatica, che gli faceva notare come a casa potessero aspettarlo anche diffidenza ed una cella ad Azkaban.
Sentì alla sua destra la sedia di Meike spostarsi di scatto. Si voltò in tempo per vedere la bambina infilare il corridoio. Poi il rumore della porta d’ingresso, sbattuta con forza.
Cordula non disse nulla, limitandosi a coprire il piatto della nipote.
“Ma che gli è preso?”
“Non riesce a capire cosa tu abbia in testa…” Commentò dopo un silenzio pesante come piombo. “Stai facendo soffrire tutti. Chi ti aspetta a casa, te stesso e persino lei…”
“Se ne andrà a Durmstrang.” Osservò confuso.

Cordula non rispose subito, di nuovo. Bevve un sorso di birra. “Proprio non capisci, eh? Sua madre l’ha abbandonata e mio figlio è morto da babbano. Meike sa bene quanto sia importante avere una famiglia. Potrebbe accettare che tu torni a casa, ma non che tu scappi… come ha fatto sua madre.” Fece una pausa in cui gli fece sentire tutta la sua disapprovazione. Dannato sguardo acuto. “Ora capisci, zucca vuota?”
E Tom capì. C’erano ancora un sacco di cose che non sapeva, se ne rendeva conto ogni giorno di più. Sulle persone, sulle cose. Ma poteva sempre imparare. Del resto, era la cosa che gli riusciva meglio.
Uscì fuori, dove batteva una pioggia fredda e torrenziale. Meike stava correndo verso la scogliera, ignorando lo scroscio d’acqua.
Sbuffò, raggiungendola di corsa, prima che si facesse venire la brillante idea di arrampicarsi durante uno scoglio durante la tempesta. La magia accidentale non avrebbe sempre potuto proteggerla.
“Meike!” La chiamò, mentre il rumore della sua voce si attutiva col rombo di un tuono. “Meike, vieni qui!”
La bambina si voltò, avendolo evidentemente sentito. “Va’ via!” Gli urlò, con la faccia lucida d’acqua, o forse di lacrime. “Sei uno stupido, Ian!”
“… Non è la prima volta che me lo dicono.” Mormorò tra sé e sé. “Lo so, sei delusa.”
Meike si morse le labbra, piantandosi in mezzo al sentiero. La luce se ne stava andando, tramontando oltre il mare, rendendo difficile vederla. Poteva solo intuire dov’era. “Sì! Perché hai paura?”
Tom esitò. C’era qualcosa in quelle due. Riuscivano sempre ad andare dritte al punto di tutti i suoi pensieri. Non era legimanzia, non era magia. Era una straordinaria empatia. Inspirò, e poi le rispose. Supponeva glielo dovesse.

“Perché quando tieni a qualcosa, sei sempre terrorizzato che qualcuno te la possa rovinare. E vorresti tenerla stretta, proteggerla e curarla… Ma la soffocheresti, e forse così le faresti ancora più male.”
In quei mesi aveva tacitato il violento bisogno di tornare e assicurarsi che Al non fosse diventato di qualcun altro. Che non l’avesse dimenticato. Che tutte quelle persone che aveva lasciato fossero ancora sue.
Era egoista, se ne rendeva conto: ma non riusciva a smettere di pensarlo.
“Hai paura di fare del male alla tua famiglia?”
“Molta gente prima di me gliene ha fatto.”
“Sì, ma non è mica colpa tua, quello che hanno fatto gli altri…” Calcò sull’ultima parola. “Tu hai solo paura! E non pensavo che eri così!” Lo accusò apertamente. “Mi dici che devo essere coraggiosa e tenere duro per la nonna, che un giorno sarò una grande maga e la porterò via da questo posto… ma tu non sei per niente coraggioso!”
“Meike…” I bambini erano orrendi specchi della verità e Tom cercò di non spazientirsi, o sentirsi particolarmente ferito. Fallì in entrambi. “Torniamo a casa, sta piovendo.”

“No! Tornaci tu!” Proclamò fiera, prima di dargli le spalle e cominciare a correre in direzione della collina che sovrastava la fattoria.
Tom soffocò un’imprecazione e le corse dietro; non poteva lasciarla scorrazzare per la campagna in mezzo ad un maledettissimo temporale con tanto di lampi e fulmini. Si chiese se prima che arrivasse lui Cordula lasciasse Meike libera di vivere la sue bizze in mezzo a fenomeni atmosferici potenzialmente mortali.

Conoscendola era piuttosto probabile. Quello è una scarica di ceffoni sul sedere al ritorno.
“Meike!” La chiamò inutilmente, risalendo il crinale, reso scivoloso dal fango. Quasi scivolò un paio di volte, mentre Meike saltellava allenata di punto fermo in punto fermo. “Torna qui!”
Odiava i bambini.
Alla fine riuscì a salire senza incidenti, sebbene inzaccherato di fango fino ai gomiti. La collina era larga e piatta e si estendeva per diversi chilometri quadrati, disseminata da arbusti e alberi. Terminava in uno strapiombo che si gettava direttamente sul mare, bruscamente, quasi un coltello l’avesse affettato lasciando intravedere la polpa bianca, di calcare.
Meike si era fermata di fronte all’entrata del bosco. La raggiunse, afferrandola per un braccio. Non si sarebbe fatto fregare di nuovo. “Adesso torniamo a casa.” La informò irritato.
Questo prima di vedere cosa Meike stava guardando, a bocca letteralmente spalancata.
Un cancello.
Stava guardando un cancello, alto più di sei metri, in ferro battuto e dalle volute complicate. Quello e la recinzione, sempre in ferro, che racchiudeva l’intera foresta.
… e da dove spunta questo?
“… Non c’è mai stato un cancello qui…” Mormorò la bambina, quasi leggendogli nei pensieri. “Non l’ho mai visto!” Fece per toccarlo con una mano, ma Tom gliela bloccò di scatto. “Ehi!”
“Non toccarlo. È magico.” Replicò, mentre un senso di allarme si faceva spazio nella sua testa. “Se non l’abbiamo mai visto prima è perché era disilluso. È troppo vecchio per essere stato messo di recente… e comunque avremo sentito i lavori.” 

Era magico, non c’era ombra di dubbio alcuno. E quel metallo, che a prima vista gli era sembrato ferro, era troppo lucido e scuro per esserlo. Non c’era ruggine, non c’era salsedine incrostata. Era fatto di un materiale che probabilmente neppure esisteva nel mondo babbano. “Andiamo via.”
“Non vuoi sapere cosa protegge?” Lo apostrofò, mentre gli occhi le brillavano. “Potrebbe esserci un castello! O un palazzo! Nonna non me ne ha mai parlato, potremo essere i primi che lo vedono!”
“Forse lo siamo. Tua nonna è una maganò, potrebbe non sapere che esiste. Probabilmente c’è un incantesimo di repello babbanum. Funziona anche per i maghinò, se non sono all’interno del perimetro incantato…” Ricordava ancora quando il sempiterno Mastro Gazza era rimasto troppo a lungo ad Hogsmeade, una sera di dicembre. L’avevano trovato il giorno dopo mezzo assiderato alla stazione. Non era riuscito a trovare l’entrata del castello.

“Io voglio entrare!” Protestò vivacemente, aggrappandosi alla sua mano, dimentica di averlo detestato cordialmente fino ad un momento prima.
I bambini sono così volubili…
“Se c’è un castello forse c’è anche un principe!”
“Ne dubito. Tua nonna saprebbe se ci fosse della nobiltà magica nei dintorni…”
“Oh, lei non dice un sacco di cose! Se le dimentica!” Replicò disinvolta. “Può darsi che si sia dimenticata di dirmi che qui vivono anche dei maghi! Potrebbero avere dei figli, dei bambini” Continuò. Tom poteva capire il disperato bisogno di Meike di stare trai loro pari. Ma quel senso di allarme continuava a non abbandonarlo. “Ti prego, Ian! Se l’hanno disicoso forse stanno per tornare!”

“Disincantato.” La corresse. “Non credo che tua nonna si potrebbe dimenticare di avere dei vicini di casa maghi, Meike… Torniamo a casa. Torneremo domani.” La blandì.
“Mi stai dicendo una bugia! Tu…” Non riuscì a finire la frase perché Tom dovette acchiapparla da sotto le braccia e tirarla via dalla traiettoria del cancello. Stava arrivando una carrozza a velocità sostenuta tirata, agli occhi della bambina, da funi invisibili.
Tom si nascose dietro il tronco di un albero, tirandosela contro.
La bambina si sporse per vedere. “Non ci sono i cavalli!”
“Ci sono…” Mormorò a mezza voce, mentre milioni di campanelli gli urlavano nella testa. “Solo che non puoi vederli.”
Erano Thestral, dai dorsi scheletrici lucidi di sudore e pioggia e dalle grandi ali membranose richiuse attorno ai fianchi. Non c’era alcun vetturino e la carrozza appariva nera e priva di appigli o bagagli.

Era inquietante.
“Che vuol dire?”
“Sono Thestral…” Le mormorò, posandole una mano sulla testa, nel vano tentativo di farle percepire che non doveva parlare ad alta voce. “Puoi vederli solo sei hai visto qualcuno morire.”
Lui aveva visto Ainsel Prynn. E gli era bastata per il resto della sua vita.

Improvvisamente la carrozza, freddo monolite apparentemente senza uscite, si aprì, rivelando una figura vestita di scuro, praticamente irriconoscibile alla scarsa luce del temporale. I movimenti erano veloci e pratici. Doveva essere giovane, Tom riuscì ad intuire soltanto questo.
Si accostò al cancello e tirò fuori dal lungo mantello invernale – considerando il tempo era perfettamente giustificato – una mano guantata. Lo vide togliersi il guanto e posare la mano nuda sulla serratura del cancello.
Quello si aprì di colpo, vibrando di un leggero lucore azzurrino. L’uomo risalì dentro la carrozza e quando il passaggio fu aperto a sufficienza, i Thestral ripresero la loro corsa.
“Entriamo!” Propose o forse ordinò Meike, cercando di divincolarsi. Ma Tom le era vicino abbastanza da poterla tenere ferma.
“No, è pericoloso. Non sappiamo che tipo di maghi siano i padroni di casa…” La prese quasi di peso, recalcitrante e se la mise di fronte, afferrandogli le spalle. “Hai visto com’è arrivato?”
“In carrozza!”
“In una carrozza senza segni identificativi, tirata da creature che sono invisibili alla maggior parte dei maghi. Non vuole che qualcuno lo segua, mi sembra evidente. Quindi noi non lo faremo. Torneremo domani, dopo che tua nonna ci avrà spiegato chi abita dietro questo cancello.”
Meike si morse un labbro, riottosa. Poi guardò oltre il cancello. “Domani. Quindi resti fino a domani.”
Tom suo malgrado sospirò. “Sì. Non avevo comunque intenzione di…”
“Tu resti fino a domani!” Replicò la bambina, afferrandogli la manica del maglione e tirando. “Resta.”

Tom subito dopo si sentì abbracciato. La sua testa gli arrivava poco sotto lo sterno.
Sospirò, stringendo appena la presa. Non era mai stato bravo negli abbracci, e non lo sarebbe stato mai. Era Al, quello bravo per entrambi. “Promesso. Ora torniamo a casa.”
 
 
****
 
 
Inghilterra, Devonshire, Ottery St. Catchpole.
La Tana. Notte.
 
 Al era seduto nelle scalette sul retro. La festa era finita da un pezzo ed era ormai notte fonda. Tutti dormivano nelle loro camere. Tutti, tranne lui.
Si rigirò tra le dita un accendino, che però non lo era.
 
Al guardava perplesso il padre accomodatosi sulla sedia preferita di suo nonno Arthur, nella vecchia rimessa. Sembrava pensieroso, stimò.
“Senti papà, mi spiace…” Aveva esordito, per spezzare il silenzio. “So di stare rovinando la festa.”
Harry aveva sorriso, togliendosi gli occhiali per pulirseli. Spesso Al si chiedeva se fossero davvero sporchi o fosse una routine inconscia. “Non stai facendo nulla, Albie. Sta’ tranquillo.”
“Okay…” Aveva accettato, calciando un batuffolo di polvere con la scarpa da ginnastica. “Volevi parlarmi… di Tom.” Richiamò, speranzoso.
“Ci ho pensato…” Aveva esordito il padre. “Sai, devo dire che questa cosa ancora non mi convince completamente. Tua madre se lo sapesse mi ammazzerebbe, puoi scommetterci. Ma forse c’è un modo per trovarlo.”
“Quale?” Al aveva sentito il cuore dare un’accelerata inquietante mentre deglutiva ansia.
Harry aveva sospirato tirando fuori dalla tasca… quello che sembrava un accendino, soltanto leggermente più grande del normale e di un materiale che sembrava acciaio.
“Che cos’è?”
“Ah, giusto, non l’hai mai visto. Questo …” Se l’era rigirato tra le dita. “… è il Deluminatore.”
L’aveva fissato confuso: sapeva a cosa serviva, ma cosa poteva c’entrare con il ritrovamento di Tom?
“Spegnere una luce ci aiuterà a trovarlo?”
L’uomo aveva riso brevemente. “Temo neppure metaforicamente… No. Quello che non sai, e che io e tuo zio Ron abbiamo creduto che fosse giusto tener nascosto, è l’altro uso che si può fare di questo oggetto.” Aveva preso un breve respiro. “Con il Deluminatore si possono anche trovare le persone, persino se sono lontane chilometri, e persino se non sia ha la minima idea di dove potrebbero trovarsi.”
L’aveva guardato incredulo. “Perché non l’hai ancora usato allora?”
Harry aveva sospirato, passandosi una mano trai capelli. “Non è così semplice. Questa… diciamo altra funzione, non si attiva automaticamente. Non è come farlo scattare per spegnere un lampione. Si attiva tramite un desiderio.” All’espressione confusa del figlio si apprestò a continuare. “Desiderio di essere vicino a quella persona, di… sapere la strada per riportarla da te.”
“Continuo a non capire… tutti vogliamo che torni!”
“Ma non tutti possono farlo funzionare. Ci ho provato, mesi fa. Appena ho avuto la conferma che poteva esserci la possibilità che fosse ancora vivo. Perché vedi… nel caso funzionasse, ma Tom fosse morto… la mia vita sarebbe stata in pericolo. Se è morto… cosa succede alla persona che desidera raggiungerlo?”
“… Muore.” Aveva terminato per lui. “È così?”
“In via teorica, sì. Questo oggetto è stato progettato e costruito da Albus Silente in persona…” Gli aveva sorriso. “Ma neppure lui probabilmente si era reso conto dei suoi poteri… Come tutti gli oggetti magici, può essere costruito per uno scopo, ma finire per averne anche altri. Capisci cosa intendo?”
“Credo di sì.” Aveva convenuto. “… Ma perché non ci sei riuscito papà?”
Harry aveva scosso la testa. “Non ne ho idea. Voglio bene a Tom, lo sai… ma evidentemente non funziona così. Tuo zio Ron riuscì a raggiungere me e Hermione, ma la situazione era diversa. Eravamo in mezzo ad una guerra, lui aveva paura che fossimo in pericolo… c’erano in gioco sentimenti molto forti. Esasperati, per meglio dire.” Aveva corrugato le sopracciglia, mordendosi l’angolo del labbro: era una cosa che aveva ereditato da lui. “Credimi, ci ho provato.”
Al aveva esitato, posandogli poi una mano sul braccio. Vedere suo padre impotente era qualcosa che all’inizio di quella storia l’aveva agghiacciato. Spaventato. Per un periodo ce l’aveva avuta persino con lui, perché non era in grado di fare come quando era bambino: rialzarlo e consolarlo dopo che era caduto e si era fatto male.

Adesso lo vedeva, lo vedeva veramente invece, con gli occhi lucidi e lo sguardo abbattuto. E  aveva capito che dopotutto anche i genitori erano esseri umani, per quanto sembrassero spesso irraggiungibili.
“Lo so papà… So che se avessi potuto, saresti andato a riprenderlo. Perché gli vogliamo bene. Anche se è uno stupido.”
Harry aveva riso, togliendosi gli occhiali per tamponarsi gli occhi con il fazzoletto. “Non hai idea di quanto fossi sciocco io alla vostra età. Ma probabilmente è giusto che sia così…” Si rigirò tra le dita ancora una volta l’accendino, poi glielo aveva passato.
L’aveva preso, senza neanche pensarci: non che ce ne fosse bisogno. Era leggermente tiepido al contatto. Suo padre doveva averlo tenuto in mano per tanto, tanto tempo.

“Al, ascoltami…” Gli aveva detto però. “Voglio che tu ti renda conto che potrebbe non funzionare. È successo solo una volta e non è detto che si ripeta.”
Annuì. “Lo so. Ma… se funzionasse?”
“Se funzionasse…” L’aveva guardato dritto negli occhi, e Al si era sentito inspiegabilmente orgoglioso. Suo padre si stava fidando di lui. Da uomo a uomo. “Sapremo dove trovare Tom.”

“Cosa dovrebbe succedermi?”
“Dovrebbe apparirti una sfera blu, molto luminosa. Ti entrerà nel petto, ma non preoccuparti, non farà male… sarà solo… calda, credo.  A quel punto saprai dov’è Tom. Ma devi pensarlo… e anche lui deve pensare a te. Ci dev’essere una comunicazione tra … bisogni, diciamo.”
Gli aveva sorriso: era un sorriso lievissimo, persino un po’ triste.

Se solo sapessi papà…
“Credimi papà, nel mio caso non è decisamente un problema.”
Harry gli aveva arruffato i capelli, alzandosi in piedi. “Adesso è meglio se torniamo alla festa. Tua madre si starà chiedendo dove siamo spariti .”

 


… E questo lo riportava al momento attuale. 
Aveva aspettato di sentire suo cugino Fred russare nel letto accanto al suo e poi era uscito. James aveva il sonno talmente pesante che anche quando aveva sbattuto contro i suoi piedi, uscendo, non si era svegliato.

Si rigirò il deluminatore tra le mani. Se le sentiva sudare.
Deve funzionare. Non può non funzionare.
Se lo strinse nel pugno finché non sentì che gli faceva male. Poi lo aprì con uno scatto secco, e sfregò il pollice contro la pietra focaia, producendo un click! metallico.
Portami da Tom. Portami da lui. Ho bisogno di lui e quel testone ha bisogno di me. Ne ha sempre avuto bisogno.
Portami da Tom.
Soffocò un’esclamazione di sorpresa quando vide quella sfera di luce azzurrina materializzarglisi davanti, simile alla luce fioca di una passaporta, o un fuoco fatuo.  
Ha funzionato!
Si sentì trattenere il respiro mentre si andavano vicendevolmente incontro. Avrebbe saputo finalmente dove si trovava. Finalmente.
Aspettò che gli entrasse nel petto, immobile nonostante si sentisse il cuore in gola. La sfera gli lambì il cotone leggero della maglietta prima di entrargli dentro. Fu come aver bevuto un sorso di burrobirra bollente; non fu una sensazione spiacevole.
Quello che fu spiacevole, fu sentirsi compresso in quello che sembrava terribilmente una materializzazione.
Realizzò solo in quel momento che non gli aveva chiesto di trovarlo, ma di portarcelo.
 
 
 
****
 
 
Germania, Isola di Rügen, Putgarten.
Fattoria dei Wollin. Notte.

 
“E poi il cavaliere nero fece pace con il suo amico, il cavaliere bianco?”
“Naturalmente. Tornarono al castello assieme, per altre mille, emozionanti, avventure.”
Meike sorrise soddisfatta, considerando che era riuscita ad estorcergli una storia. Non che capitasse spesso. Tom era più che certo di avere una fantasia ridicola, più che altro atta a rielaborare libri che aveva letto durante i suoi diciassette anni di vita. Ma alla bambina sembrava non importare.
“Adesso dormi.” Le intimò, ottenendo per tutta risposta una linguaccia. “Dico sul serio. È tardi, se tua nonna ti trova ancora sveglia si arrabbierà.”
“Oh, va bene.” Replicò tranquilla. “Buonanotte Ian.”
“Buonanotte.” Tom fece per uscire dalla stanza, mentre spegneva la luce. 

“Ian?”
Sospirò, ma non se la sentì di irritarsi. Non quella sera. “Cosa?”
“Il tuo amico cavaliere bianco è bello come dici?” Chiese, con quella vocetta sempre venata di curiosità.

Fece finta di pensarci. Sorrise. “Naturalmente.”
“Un giorno me lo farai conoscere allora?”

Tom sospirò divertito. “Buonanotte Meike.”
Scese le scale e vide Cordula seduta sulla poltrona davanti alla tv. Proiettavano un vecchio film in bianco e nero, ma lei dormiva. Si avvicinò e le tolse il bicchiere di liquore dalla mano e si assicurò che fosse ben coperta.
Tutti e due avrebbero trovato imbarazzante quel gesto, ma quella sera glissò. In ogni caso dormiva.
Poi uscì.
Fuori aveva smesso di piovere ed era uscito un sottile spicchio di luna, poco più che una parentesi nel cielo nuvoloso. Si incamminò verso il faro, mentre l’erba bagnata gli lambiva i pantaloni, infradiciandogli le scarpe.
Il castello sulla collina…
Non pensava fosse abitato da gente cordiale, così, d’istinto.
Quindi le luci che i ragazzi del villaggio vedevano erano quelle del Castello… Interessante.
Ma non devo farmi coinvolgere.
Aprì la porta di legno con un colpo secco della mano, prendendo la bacchetta e sussurrando un lumos.
E capì, d’improvviso, di non essere solo in quel brulo pezzo di terra che digradava verso il mare.  
C’era qualcuno che stava risalendo lungo la stradicciola impervia che portava dalla fattoria alla scogliera.
Il Faro era a metà strada.
Sentiva dei passi, per una bizzarra confermazione acustica di quel luogo.
E considerando che quel sentiero faceva parte della proprietà dei Wollin, e quindi era privato…
Diresse il fascio di luce della bacchetta verso il delimitare dello steccato e aprì il cancello di legno. La luna era di nuovo stata oscurata da un grosso accumulo di nubi e non vedeva oltre al suo naso.

Ma i passi, quelli, poteva sentirli.
Richiuse dietro di sé lo steccato. I passi erano sempre più vicini.
Eppure, la cosa assurda era che non si sentiva in pericolo; si era sentito molto più in allarme quando aveva scoperto quel cancello.
Era più… aspettativa.
“Chi c’è? Fatti vedere!” Chiese in tedesco. I passi si fermarono di colpo, come erano apparsi. Poi ripresero. Stava correndo adesso.
Svoltata la curva creata da una roccia che franata anni prima lo avrebbe visto.
Vedrà prima la mia bacchetta…
Ed è quello che l’altro vide, infatti.

Ma lui vide chi era l’altro. Era…
“Al…”
 
 
 
****
 
 
Note:
Cliffhanger! :D
Mi odiate, lo so. Qui la canzone totem.

Per chi vuole vedere la piccola Meike… questa simpatica bambina Qui rende bene l’idea.
  
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