CAPITOLO quattro
Quando arrivammo nella sala da pranzo
per la colazione i prof non dissero nulla, ma le loro occhiate di rimprovero
furono molto eloquenti. Perfino quella di Marcello, che dopo avermi vista
entrare mi aveva rivolto uno sguardo inespressivo, per poi tornare a dedicarsi
al proprio tè.
C’era da aspettarselo, dopotutto. Il
giorno prima al Louvre si era comportato freddamente, dopo il nostro bacio, e
così stava continuando a fare. Non dovevo stupirmi, eppure faceva male.
Alessia, Greta ed io ci dirigemmo al
tavolo su cui si trovava tutto l’occorrente per la colazione, prendemmo ognuna
un vassoio e ci servimmo con quel che più ci aggradava. Grazie al cielo erano
rimaste un po’ di cose, così non dovemmo accontentarci di ciò che agli altri
avevano lasciato.
- Abbiamo un quarto d’ora scarso per
nutrirci. – constatò Greta, non appena ci fummo sedute ad un tavolo rimasto
libero. Da brava salutista, sosteneva infatti con fervore l’importanza della
prima colazione, che non andava presa alla leggera e dunque consumata con tutta
calma. In quel caso, però, era già tanto che fossimo arrivate, avevamo perfino
rischiato di saltarla.
- A me basta e avanza. – commentò
Alessia, con un’alzata di spalle. – Non ci metto secoli a bere un tè e mangiare
una brioche.
- Croissant, Ale, si chiama croissant. Siamo in Francia. – la corresse bonariamente Greta, poco
prima di spalmare un po’ di marmellata su una fetta biscottata.
- Eh sì, perché ‘brioche’ è di
derivazione spagnola, vero? – ribatté Alessia, con un sopracciglio inarcato.
Ridacchiai per via dell’ennesimo battibecco tra le mie amiche; tra loro era
sempre così. Avevano opinioni spesso divergenti su qualunque cosa, e ogni scusa
era buona per beccarsi. Nonostante ciò si volevano lo stesso molto bene, così
come io ne volevo a loro.
- Va bene, non ti correggo più… - si
arrese Greta, colpita nel segno. – Però croissant era più appropriato, secondo
me.
- Fa niente. – la liquidò Alessia, prima
di bere un lungo sorso di tè.
La discussione sembrava essersi chiusa,
e così anche la mia dose di divertimento mattutino si concluse. Spalmai un po’
di crema alle nocciole su una fetta biscottata, dopodiché l’addentai con gusto.
Quella era la mia colazione abituale, ma quella mattina speravo che mi fosse
d’aiuto nel combattere la tristezza che sentivo per via di Bassi.
Dovevo pazientare solo per due giorni,
più il viaggio di ritorno verso casa. Lì poi sarebbe stato facile dimenticare
tutto, tornando alla mia vita di sempre. Avrei avuto a disposizione tutte le
distrazioni possibili, e avrei visto Bassi solo sei ore a settimana: un’ora al
giorno tranne al giovedì, che era il suo giorno libero, e al venerdì, in cui
avevamo due ore, una di storia e l’altra di filosofia. Rispetto al vederlo
tutto il giorno tutti i giorni, era molto meglio così. Dovevo solo aspettare.
Così come avevo atteso la partenza,
infatti, ora desideravo ardentemente il ritorno, per potermi lasciare tutto
alle spalle. Nonostante il passaggio di quella maledetta rondine, avrei
lasciato che l’inverno si prolungasse, perché così doveva andare.
Le tappe di quella mattina erano
Pigalle, il quartiere a luci rosse, e Montmartre, il quartiere degli artisti,
così dopo colazione prendemmo la metropolitana e ci avviammo verso le nostre
mete. Dovevamo fare un bel pezzo a piedi, e per lo più in salita, dato che i
prof non avevano la minima intenzione di farci andare sulla funicolare perché
altrimenti, a loro avviso, ci saremmo persi il magnifico panorama di cui
avremmo goduto salendo man mano.
Quando arrivammo in cima, dunque, eravamo
tutti un po’ stanchi, ed io iniziavo a risentire delle ore di sonno che avevo
perso la notte precedente. Sembravo uno zombie ambulante e camminavo per
inerzia, trascinandomi dietro i piedi come se fossero due zavorre. Un po’ ero
stanca, un po’ ero triste per ovvi motivi, e perciò non ero di ottima
compagnia. Greta e Alessia tuttavia capivano, e non me ne facevano una colpa.
Volevo godermi quel che restava della gita, ma sentivo di non esserne in grado.
La mia determinazione di non voler lasciarmi influenzare da ciò che era
successo con Bassi non era abbastanza forte, evidentemente.
- Dani, non è per romperti le scatole…
- esordì Alessia, cauta, mentre ci stavamo dirigendo verso la basilica del
Sacro Cuore. – Ma goditi il quartiere, no?
Inarcai un sopracciglio, perplessa. –
Scusa?
Alessia scosse la testa, esasperata. –
Questa storia di Bassi ti ha un po’ rimbambita, eh?
- Deficiente! – la rimproverai, prima
di guardarmi intorno per essere sicura che nessuno ci avesse sentito. – Non è
il caso di sbandierarlo ai quattro venti! – rincarai dunque la dose, a bassa
voce. L’ultima cosa che mi ci voleva in quel momento, infatti, era che qualche
impiccione captasse qualche frammento dei nostri discorsi e si immaginasse
chissà che cosa, magari anche azzeccandoci. Non volevo finire nei guai, e non
volevo nemmeno che ci finisse Marcello, nonostante un po’ se lo meritasse.
- Appunto, Ale. – mi spalleggiò Greta.
– Se devi dire certe cose, dille almeno a bassa voce.
- Va bene, scusate! – disse Alessia,
alzando le mani in segno di resa. – Comunque, Dani, quello che volevo cercare
di farti capire è che siamo nel tuo ambiente naturale. È il quartiere degli
artisti questo, no? Quindi goditelo ed evita di andare in giro come se fossi
un’ameba!
Mi paragonava addirittura ad un’ameba?
Forse poco prima avevo sbagliato nel pensare che lei e Greta capivano il mio
stato d’animo senza rimproverarmelo. O almeno, riguardo ad Alessia avevo fatto
male i miei calcoli! Le rivolsi un’occhiata torva, ma dovetti sforzarmi per non
scoppiare a ridere. Era riuscita in quello che probabilmente era stato il suo
intento fin dall’inizio, e gliene ero molto grata. Cercava di capirmi e di
tirarmi su il morale a modo suo, come sempre.
- Hai ragione. – ammisi quindi, con un
sorriso. – Mi sto guastando la mattinata, e non è il caso.
- Brava, così ti voglio! – esclamò,
felice, prima di prendermi a braccetto.
- Non sono d’accordo sui metodi di Ale,
ma sono contenta dei risultati ottenuti. – convenne Greta, prendendomi
anch’ella a braccetto, dall’altro lato. Scossi la testa, con un sorriso.
- Grazie, ragazze. – dissi, poi iniziai
a guardarmi intorno. Alessia aveva ragione: mi stavo perdendo la bellezza di
quel quartiere, che era a dir poco magnifico. Si respirava davvero un’atmosfera
ricca d’arte e creatività, e la mia fantasia ne fu stimolata. Sforzandomi,
potevo immaginare come Montmartre doveva essere a cavallo tra Ottocento e
Novecento, con tutti i vari artisti che avevano contribuito a rendere celebre
la nomea del quartiere. Con sguardo trasognato, non potei fare a meno di
collocarmi tra quelle personalità. Mi sarebbe piaciuto, in fondo, vivere in
quell’epoca di cambiamenti dovuti alla profonda crisi delle certezze del
passato, la quale però aveva dato vita a fiorenti correnti artistiche e
letterarie come l’espressionismo e il decadentismo, per citare i più noti.
Scossi la testa e tornai bruscamente
alla realtà: era inutile abbandonarsi a fantasie di quel genere, perché sapevo
che poi mi avrebbero portato a contemplare la possibilità di poter diventare
un’artista nella mia epoca, piuttosto che in quella passata. Il passo da una
fantasia all’altra sarebbe stato breve, e non avevo intenzione di compierlo.
Quelle, però, sarebbero rimaste solo sciocche fantasie a cui era inutile
abbandonarsi, perché dovevo essere realista: dovevo darmi una mossa a trovare
una facoltà ed un mestiere adatti a me e che soprattutto mi dessero concrete
possibilità lavorative. Non avevo bisogno di altri grilli per la testa, ne
avevo già fin troppi.
Per questo motivo, mi diressi verso le
bancarelle di alcuni pittori di strada, per osservare i loro dipinti. Nessuno
mi impediva di guardare, dopotutto. Se davvero avessi dato alle mie capacità
artistiche una possibilità, ero certa che sarei finita esattamente come loro:
una semplice pittrice di strada, che per guadagnarsi da vivere era costretta a
vendere ai turisti le proprie opere. Non mi sarebbe minimamente dispiaciuto,
perché nel mio piccolo sarei stata felice, e quello mi sarebbe bastato.
Sarebbero stati i miei genitori a non esserne per nulla lieti, e non volevo
certo incorrere nelle loro ire.
Dopo la visita alla basilica del Sacro
Cuore, i professori ci lasciarono un’oretta di tempo libero. Poi avremmo
intrapreso la discesa, ma nel frattempo potevamo trastullarci come meglio
credevamo. Stavo per dirigermi verso un negozio di souvenir con Greta e
Alessia, quando venni bloccata per un gomito; mi voltai e mi trovai di fronte
Valerio.
- Ciao. – lo salutai, senza fare a meno
di chiedermi come mai mi impedisse di proseguire verso il negozio con le mie
amiche.
- Ciao, Vale! – lo salutò Greta, non
appena si accorse della sua presenza. Alessia lo imitò, sorridendogli
calorosamente. Era solo una mia impressione o sembravano felici di vederlo,
probabilmente più di me? Speravano forse in un ritorno di fiamma che mi
distraesse definitivamente da Bassi? Era altamente probabile, come ipotesi, e
non potevo nemmeno dar loro tutti i torti perché giustamente, vedendomi a
pezzi, desideravano solo che mi riprendessi il più in fretta possibile. Ma
Valerio era davvero la strada giusta?
Scacciai dalla testa quei pensieri,
poiché non era il caso di fare i conti senza l’oste. Quel che avevo capito fino
a quel momento era che Valerio voleva la mia amicizia, per cui era inutile, da
parte delle mie amiche, sperare che mi chiedesse di tornare con lui. Voleva
ricostruire un rapporto basato sulla fiducia reciproca, e non era
necessariamente un rapporto di tipo amoroso.
- Ciao ragazze. – le salutò a sua volta
sua, sorridendo cortesemente. – E ciao, Dani. – si rivolse dunque a me. –
Ascolta, visto che i prof ci hanno lasciato del tempo libero che ne dici se
andiamo a mangiarci una crêpe? Così ne approfittiamo per chiarire bene la
situazione. Se ti va, ovviamente.
Soppesai con attenzione quelle parole,
e non vi colsi nulla di ambiguo. Dalle espressioni che vedevo dipinte sui volti
di Greta e Alessia, però, avrei potuto giurare che in quella richiesta loro
avevano colto una sorta di appuntamento, e mi trattenni dall’incenerirle con lo
sguardo. Non volevo che mi facessero fare figure con Valerio, né che lui
capisse male, interpretando l’esaltazione delle mie amiche come derivante da un
mio inesistente entusiasmo per via del nostro riavvicinamento.
- Sì, mi va. – risposi quindi, in tono
neutro. – Anch’io sono desiderosa di chiarire.
Aggiunsi enfasi a quell’ultima parola
per far sì che le mie amiche comprendessero il concetto: io e Valerio avremmo
solo parlato, a dispetto dei loro film mentali. Certo, loro erano liberissime
di interpretare quello come il primo passo verso un ritorno insieme, ma
sarebbero state in torto.
- Vi saluto, ragazze. – mi congedai,
agitando la mano in direzione di Greta e Alessia. – A dopo.
- A dopo! – dissero in coro, prima di
dileguarsi verso il negozio di souvenir, ansiose di lasciarmi sola con Valerio.
- Sbaglio o stanno pensando chissà cha
cosa? – mi chiese quest’ultimo, con una nota di divertimento nella voce.
Grazie al cielo non ha pensato male!, mi dissi mentalmente, sollevata. – No, non sbagli. – gli
risposi. – Ho spiegato loro come stanno le cose, e quel che è successo ieri
sera, ma continuano a vederla a modo loro. Specialmente Greta.
- Immagino. È sempre stata una mia fan…
– commentò dunque lui, scatenando la mia ilarità.
- È vero… – convenni, tra una risata e
l’altra. – Ogni volta che litigavamo diceva che era colpa mia e che tu eri un
santo, a sopportarmi!
Valerio si unì a me nell’attacco di
risa dovuto a lieti ricordi del passato, dopodiché ci avviammo verso un bar.
Entrammo e ci sedemmo ad un tavolino, poi procedemmo con le ordinazioni. Io
optai per una classica crêpe al cioccolato, mentre lui volle provare quella al
Grand Marnier.
- Alcolizzato! – lo rimproverai
scherzosamente, dopo che il cameriere si fu allontanato.
Valerio diede un’alzata di spalle, per
nulla toccato. – Siamo in Francia, e devo provare le specialità locali. Non
sono un alcolizzato, quindi. – si difese con un sorriso.
Scossi la testa, divertita. – Mi hai
convinta. – gli comunicai in tono ilare.
- Spero di convincerti anche con quello
che ho da dirti. – esordì, tornato serio nel giro di qualche istante. Cambiai
umore anch’io, a quelle parole. Quello era il momento della verità, e in parte
ne ero felice, perché avrei potuto chiarire la situazione, ma d’altro canto
temevo che mi chiedesse il motivo per cui la sera prima ero scoppiata in lacrime.
Non sarei stata in grado di raccontargli la verità, su quel punto.
- Ti ascolto. – lo esortai, senza dare
a vedere la mia titubanza.
- Come sto cercando di farti capire da
settimane, per me è un periodo un po’ no, e ho bisogno di te come amica. – mi
comunicò, guardandomi negli occhi. Era sincero; nel suo sguardo non vi era
alcuna ombra di menzogna. – E come mi è parso di capire da quello che è
successo stanotte, anche tu non te la passi poi così bene.
Trasalii. Ecco, pensai, ora mi chiederà cosa cavolo mi passa per la
testa. Che diavolo mi invento?
- Quindi anche tu hai bisogno di un
amico, no? – proseguì, ed io tirai mentalmente un sospiro di sollievo. Ero
salva, per il momento.
- Sì, beh… - risposi. - Ho Greta e
Alessia, ma un amico in più mi farebbe comodo. – lo assecondai, con un sorriso.
Prima di metterci assieme, infatti, avevamo un bel rapporto di amicizia, che
prevedibilmente si era evoluto in qualcosa di più profondo, pur mantenendo
intatte alcune caratteristiche. Quando stavamo insieme lo consideravo anche un
grande amico, oltre che il mio ragazzo. Un po’ mi era dispiaciuto, perciò,
quando ci eravamo lasciati, perché avevo perso uno dei pilastri fondamentali
della mia vita. Non avevo accettato però di tornare sua amica perché credevo
che quella richiesta celasse secondi fini, e in più ero ancora ferita per il
modo in cui mi aveva lasciata. Fino alla sera prima mi ero lasciata guidare
dall’orgoglio, che però ora avevo messo da parte.
- Mi fa piacere che tu lo dica. – disse
Valerio, con un sorriso. – Perché vedi, a dispetto di quel che pensavi tu, non
ti ho lasciato con una scusa. Ti ho detto la verità; ero confuso e lo sono
ancora. Avevo, ed ho, mille casini per la testa, e non volevo incasinarti
ulteriormente.
- Io… Mi dispiace per aver dubitato di
te. – mi scusai. – Mi sono sentita uno schifo, quando mi hai lasciata, e
prendermela con te mi è sembrata la cosa più facile da fare. Ho sbagliato, lo
so. – gli spiegai, ad occhi bassi. Iniziavo a sentirmi una pessima persona per
come lo avevo trattato, non se lo meritava.
- Non ti preoccupare. Posso capire quel
che ti è passato per la testa. – mi tranquillizzò Valerio, prima di posare una
mano sulle mie, giunte sulla superficie lucida del tavolino. Gli sorrisi con
gratitudine, e in quell’istante arrivò la cameriera con le nostre ordinazioni,
quindi ci separammo.
- Mi dispiace lo stesso, però. –
continuai, ormai decisa a farmi perdonare. Sapevo che lui lo aveva già fatto da
tempo, ma se non gli avessi esternato quel che provavo, non mi sarei sentita a posto
con me stessa. – Insomma, avevi già i tuoi casini per la testa, e mi sa che
comportandomi in quel modo ho peggiorato la situazione, pur non avendone la
minima intenzione.
- Basta, non colpevolizzarti. – mi
intimò Valerio. Afferrò coltello e forchetta e tagliò un pezzo della propria
crêpe, poi, prima di portarselo alla bocca, mi disse: - Tu non c’entri
assolutamente nulla con i miei problemi, anzi. Stare con te era l’unica cosa
che mi dava un po’ di sollievo.
Aggrottai le sopracciglia, confusa: se
era davvero così, perché mi aveva lasciata, allora?
- Perché non hai continuato a godere di
quel sollievo, dunque? – gli chiesi, non appena ebbi finito di masticare un
boccone di crêpe. – Non ti seguo.
- Io… Te l’ho detto. Avevo troppi
problemi per la testa, e non volevo che diventassero anche i tuoi. – mi
rispose, ad occhi bassi.
- Problemi di che tipo, Vale? –
indagai, iniziando a preoccuparmi. C’era sotto qualcosa di grave?
- Di vario genere. – spiegò lui. – Però
preferirei non soffermarmi oltre.
- Magari parlarne può farti bene… - suggerii, desiderosa di voler capire cosa lo avesse
turbato tanto per costringerlo a lasciarmi e continuasse a tormentarlo per
spingerlo a riavvicinarsi di nuovo a me come amico.
- No, Dani, direi di no. – mi liquidò
bruscamente lui. – Io non ti ho chiesto nulla riguardo ieri sera, tu fa’ lo
stesso. – proseguì dunque, imperativo.
Abbassai lo sguardo, ferita.
Touchée.
Valerio aveva colto nel segno, e
dovetti riconoscere che aveva ragione: non avevo il diritto di farmi gli affari
suoi, specialmente quando io ero la prima a non volermi esporre.
- Hai ragione. – ammisi dunque, ad alta
voce, rendendolo così partecipe dei miei pensieri. – Non ti chiederò più nulla.
– promisi. – Ma come faccio a starti vicina come amica, se non mi dici cosa c’è
che non va? – domandai, rendendomi conto di quanto fosse difficile.
- Io come ho fatto ieri sera? – mi
chiese a sua volta lui, spiazzandomi per la seconda volta nel giro di pochi
minuti.
- È vero. – riconobbi. Di nuovo,
dovetti dargli ragione. – Seguirò il tuo esempio, a questo punto.
Valerio sorrise, ed io ricambiai il
gesto.
- Sapevo che avresti capito. – disse. –
Io e te siamo molti simili, dopotutto. Anche io quando c’è qualcosa che non va
preferisco tenerlo per me, lo sai bene.
- Già. – constatai. Anche prima che ci
lasciassimo, effettivamente, dovevo cavargli fuori le cose con le pinze, quando
lo vedevo turbato, e lui faceva lo stesso con me. In quei momenti ero arrivata
molto vicina a comprendere quanto snervante dovesse essere per Greta e Alessia
essermi vicina nei momenti di difficoltà. – Non è un comportamento corretto,
però. – proseguii. – Non nei confronti delle persone che ci stanno vicino. Non
possono tirare ad indovinare.
- Indubbiamente. – dichiarò Valerio,
dandomi ragione. – Ora però non è il caso di parlarne, credimi. Quando me la
sentirò, sappi che sarai la prima persona che verrò a cercare.
Mi sentii rincuorata, a
quell’affermazione. Ma io potevo dire lo stesso di lui? Davvero un giorno gli
avrei raccontato dei turbamenti che avevo per Bassi, e di quello che era
successo il giorno prima?
No, decisamente. Temevo di ferirlo, nel
caso in cui avesse provato ancora qualcosa per me. Mi aveva lasciato per cause
di forza maggiore, da quanto avevo capito, e perciò era plausibile che i
sentimenti che provava per me non fossero ancora del tutto sopiti.
Stavo per tagliare un pezzo di crêpe
quando mi bloccai, colta da un’improvvisa rivelazione.
- C’è di mezzo un’altra ragazza, per
caso? È per questo che non me ne vuoi parlare? – gli chiesi, dopo aver lasciato
da parte le posate. – Perché se è così, non devi preoccuparti. Capirei, puoi
benissimo…
- No, assolutamente. – mi interruppe
Valerio, quasi divertito. – Non c’è di mezzo nessuna ragazza, fidati.
Cos’era quel senso di sollievo che
iniziai a sentire, a quelle parole? Ero forse felice che Valerio non avesse in
giro nessun’altra?
Un po’ sì, dovevo ammetterlo. Era
innegabile che provassi ancora qualcosa per lui, dopotutto eravamo stati
insieme molto tempo e Valerio era stato la prima vera storia. Ero stata assieme
a qualche altro ragazzo prima di lui, certo, ma nulla era durato più di un paio
di mesi.
Con Valerio era stato diverso; avevo
capito fin da subito che con lui avrei costruito qualcosa di importante. Ero
cotta di lui, e lui lo era di me: insieme stavamo benissimo, talmente eravamo
simili. Mi aveva rapito il cuore, e con lui avevo vissuto la mia prima volta,
per cui era normale che io provassi ancora qualcosa per lui. Il più era
definire cosa fosse, quel qualcosa. Nostalgia? Rimpianto? Amore?
Non ero in grado di dirlo, onestamente.
C’era di mezzo anche Bassi, e dovevo tener conto di quel che provavo per lui,
anche se avrei dovuto lasciarmi alle spalle tutto il prima possibile.
Tornai a dedicarmi alla mia crêpe, che
ormai si era raffreddata. Ne mangiai due boccone, prima che accadesse qualcosa
che mi fece passare l’appetito.
Valerio ed io avevamo tranquillamente
ripreso a parlare, quando nel bar entrarono tutti e quattro i professori, Bassi
compreso.
- Ma guarda un po’ chi c’è qui! –
esclamò la professoressa di storia dell’arte di Valerio. – Boghi, preferisci
stare qui al chiuso anziché goderti le meraviglie di questo quartiere?
Da una professoressa di arte ci si
poteva aspettare una domanda del genere. Valerio mi rivolse uno sguardo
supplichevole, chiedendomi aiuto. Io però ero ancora piuttosto scossa
dall’arrivo degli insegnanti che non seppi come dargli una mano e scrollai le
spalle, per farglielo capire.
- Stavamo giusto per uscire a fare un
giro, prof. – rispose dunque Valerio, prima di alzarsi.
- Già. – confermai io, per quanto mi
rendessi conto che quel mio contributo fosse minimo.
- È una buona cosa. – convenne la
professoressa, dopodiché tornò dai propri colleghi, che nel frattempo si erano
seduti ad un tavolo. Marcello era rimasto impassibile, e così restò anche
quando io e Valerio uscimmo dal locale, dopo aver pagato. C’era poco da
stupirsi, dopotutto. In cosa continuavo a sperare, che cambiasse idea e che me
lo dimostrasse anche solo con un minimo gesto? Ero solo una povera illusa.
- Io odio quella donna! – proruppe
Valerio, non appena fummo di nuovo in strada.
- Mi associo. – gli feci eco io. Se non
fosse stato per lei, infatti, i professori probabilmente non si sarebbero
minimamente accorti della nostra presenza, ed io non avrei subìto l’ennesimo
attacco di gelo polare da parte di Bassi.
Chissà poi cosa doveva aver pensato,
vedendomi con Valerio…
Non mi illudevo certo che si fosse
improvvisamente scoperto geloso, non ero così stupida. Tuttavia temevo che si
facesse di me un’impressione sbagliata che per lui avrebbe costituito una
ragione in più per comportarsi freddamente con me. Non ero certo il tipo che
teneva un piede in due scarpe, e speravo che lui non l’avesse pensato.
Se anche fosse, poco m’importa, pensai. Ormai ho
capito come stanno le cose, e devo togliermelo dalla testa il prima possibile.
Continuavo a ripetere a me stessa quel
concetto per auto-convincermi, e per rendere più facile quella difficile
impresa.
- Andiamo a fare un giro per i
negozietti? – proposi a Valerio, poco dopo. Volevo distrarmi, ed ero certa che
lo volesse anche lui, con tutti i problemi di varia natura che aveva in testa.
- Va bene. – assentì. – Così ne
approfittiamo per ‘goderci le meraviglie di questo quartiere’. – aggiunse
quindi, scimmiottando la sua prof.
Ridacchiai, e insieme passeggiammo per
le strade di Montmartre.
Note dell’autrice
Eccomi qui, lievemente in ritardo. In
questi giorni sono stata un po’ impegnata, tra una cosa e l’altra, per cui ho
scritto quando potevo…
In questo capitolo, comunque,
(anch’esso scritto ex-novo come il precedente) si capisce un po’ di più la
figura di Valerio, o almeno il mio intento era quello… xD
Bassi continua imperterrito a mostrarsi
glaciale, e la nostra Daniela ne soffre.
Spero vi sia piaciuto…
Fatemi sapere i vostri pareri, mi
raccomando^^
Passiamo ora ai ringraziamenti:
Fataflor: Per vedere Bassi in azione dovrai
attendere ancora un po’, per ora gli sto facendo fare lo stronzo, perfida come
sono. xD Qui, però, spero di averti fatto sembrare Valerio più simpatico, anche
se ho idea che ci metterai un po’ a fidarti di lui, visto che tifi per il prof…
Spero che questo capitolo ti sia
piaciuto: non ho inserito molto Bassi, ma in compenso ci sono Greta e Alessia,
che da quanto ho capito ti sono simpatiche… =) Baci, Pikky91
Alaire94: Una fan di Valerio! =) Allora il
riavvicinamento tra lui e Dani in questo capitolo devi averti fatto molto
piacere… E dovrai sicuramente aver odiato Bassi per il suo continuo
comportamento glaciale. Ti ringrazio per avermi segnalato quella vista, ogni
volta qualcosa mi sfugge sempre, per quanto io controlli… -.- Come ho già detto
a Fataflor, se noti qualcos’altro non esitare a dirmelo, così correggo subito!
=) Baci, Pikky91
EmoGirl91: Grazie
a te per la tua recensione! =) Hai analizzato bene i personaggi, sai? Era
proprio quello che volevo trasmettere, e deduco di esserci riuscita. Per cui
grazie, di nuovo.
Se hai gradito Valerio nello scorso
capitolo, comunque, qui mi sa che avrà guadagnato punti, così come le amiche…
xD Bassi invece ne perde sempre più, ma per ora mi serve dipingerlo così… Più
avanti si vedrà…^^ Baci, Pikky91