Le
parole che non mi hai detto
by Lady Memory
Disclaimer: è tutto
suo, nel caso ci fossero dubbi.
Ancora
grazie infinite alla mia previewer Tearsofphoenix. E a tutti coloro che
vorranno lasciarmi un messaggio.
...
8 ...
Era la sera del
giorno dopo Natale, e Severus vagava senza meta
per il castello.
Il momento si
avvicinava sempre di più, e la situazione sembrava
precipitare. Dumbledore era morto, ucciso da Severus su ordine di
Dumbledore
stesso, e l'Oscuro Signore aveva steso il suo manto tenebroso sulle
attività
della comunità magica, instaurando un regime di terrore
senza neanche dover
combattere una battaglia. La paura aveva compiuto il suo lavoro
subdolo, e
sempre più maghi preferivano cedere ed accettare il nuovo
corso, piuttosto che
mettere in pericolo le loro vite e quelle dei loro cari.
Perso nei suoi
pensieri, Severus continuava a camminare nel
castello, dimentico di ciò che lo circondava e del percorso
che stava seguendo.
La sua irrequietezza lo portava comunque a ripercorrere un cammino che
gli era
familiare, perchè alla fine si trovò, quasi senza
sapere come, nel corridoio
che portava all'ufficio del Preside.
Quel luogo era
diventato il suo rifugio nelle ore più buie,
perchè
da quell'anno il Preside era lui. Così aveva stabilito il
Signore Oscuro, e
così era stato fatto, nonostante sulla testa di Severus
pendesse ancora
un'accusa di omicidio. Ma nella stanza che sapeva di occupare
abusivamente,
tutto ancora parlava di Dumbledore e gli rammentava come il suo destino
era
stato foggiato lì dentro. Quella sera non si
sentì di entrarvi: non aveva altre
notizie da riportare, nè azioni da intraprendere,
nè ordini da ascoltare. Aveva
seguito quasi ciecamente il cammino che gli aveva tracciato Albus,
cercando
riscatto fino all'ultimo, ma ormai sentiva di aver perso la speranza.
Stancamente, si avvicinò ad una finestra e guardò
fuori.
La neve cadeva
candida in larghe volute, cancellando le tracce che
aveva lasciato quando era sgattaiolato furtivamente fuori dai portoni
di
Hogwarts, per cercare un luogo adatto dove smaterializzarsi non visto.
Faceva
tanto freddo nella campagna circostante e nel suo cuore, ma ne era
valsa la
pena. Il ragazzo lassù nel Nord ora aveva la spada.
Chissà se avrebbe saputo
usarla. Chissà a cosa pensava adesso. Chissà se
avrebbe mai saputo con quale
ansia gli occhi di Severus Snape, il suo più odiato
professore, guardavano
lontano nel buio, cercando di indovinare e di prevenire ogni possibile
pericolo. Chissà se sapeva che, a rischio della vita,
Severus mentiva ogni
giorno a coloro che lo circondavano, per proteggerlo e per proteggerli
dal
rischio che il suo legame con Voldemort rappresentava.
Rinnegato, assassino,
traditore...
I suoi colleghi
lo guardavano con malcelato disprezzo. Solo
Slughorn cercava inutilmente di giustificarlo in nome dell'appartenenza
alla
stessa Casa, ma Severus vedeva il timore e la delusione apparire sempre
più
spesso in quei vecchi occhi tristi e desolati.
Il cuore gli
batteva dolorosamente. Perso nella sua meditazione,
Severus ricordò ancora una volta il ragno della sua
infanzia, fermo sul banco
in attesa della libertà, un attimo prima di essere
schiacciato dalla mano di
Mulciber. Allora, mortalmente stanco, appoggiò la fronte
contro il freddo della
vetrata del corridoio e rimase immobile, incapace di muoversi e di
pensare,
sprofondando in un nulla benedetto.
Poi
sentì i passi lievi alle sue spalle.
Li riconobbe
subito. Minerva. Ultimamente utilizzava spesso la sua
forma di Animagus per andare in giro senza farsi notare, e poi
compariva
inaspettatamente a sorprenderlo. Era come la sua coscienza. Non lo
lasciava mai
solo. Si girò di scatto e cercò di assumere
un'aria sprezzante.
Lei lo guardava,
inclinando la testa con quell'espressione strana
che era diventata una sua caratteristica negli ultimi tempi. Lui le
sorrise
freddamente.
"Stavi andando
dal Preside, Minerva?" chiese, incrociando le
braccia.
La domanda era
stata uno sbaglio, se ne rese conto subito, ma
Severus, dopo tutti quesi mesi, pensava ancora a Dumbledore come al
legittimo
direttore della scuola. L'anziana donna strinse le labbra come faceva
sempre
quando si preparava ad attaccare. Ma questa volta, le parole le
uscirono lente
e sdegnose.
"Non cercavo il Preside, Severus.
Speravo di parlare con te."
Lui aveva
inghiottito l'amarezza di quel distinguo, ma non era
riuscito ad impedirsi di abbassare la testa per nascondere gli occhi.
Come
avrebbe voluto dividere il suo carico con qualcuno più
vecchio e più saggio di
lui! Aveva sempre invidiato la fermezza e la rettitudine di Minerva, ma
sapeva
fin troppo bene che non avrebbe mai potuto chiederle conforto.
L'anziana strega
aveva sposato Hogwarts e le sue istituzioni, e sarebbe stata felice di
donare
la sua vita per la salvezza dei suoi studenti. Ma non per Severus
Snape,
vincolato al segreto e impossibilitato a difendersi di fronte a lei.
Le lesse in
volto delusione e tristezza: stanco di combattere,
rimase in silenzio, aspettando di sentire le sue accuse. Voldemort o
no,
Minerva sapeva che non l'avrebbe toccata con un dito. Mai.
La donna
continuava a fissarlo, altera.
"Non avrei mai
creduto di passare un Natale così orribile,
Severus," disse infine sdegnosamente. Stava cercando le parole per
ferirlo e,
per un momento, lui sentì un moto di ribellione a quelle
accuse ingiuste. I
Carrow erano aguzzini spietati, non lui! Non lui, che deviava ogni
punizione e
cercava di ridurne gli effetti fingendo di inasprirli! Ma a cosa
serviva
parlare? Severus scosse la testa, come per scacciare un insetto molesto.
"Mi spiace,
Minerva," commentò piano. "Gli elfi hanno fatto tutto
il possibile per preparare un banchetto degno di questo nome."
"Come se avesse
importanza!" scattò lei, visibilmente infuriata e
delusa per quella risposta elusiva. "A cosa serve riempire lo stomaco
quando il
cuore è vuoto?"
Lui si
irrigidì. Il dolore lo stava riprendendo, sordo,
implacabile, continuo.
"A cosa serve
addobbare di luci la Sala Grande quando le nostre
anime annaspano nel buio?" continuò lei amaramente. "Abbiamo
tradito la nostra
missione e coloro che credevano in noi. Nessuno studente ha voluto
rimanere a
Hogwarts durante le feste. Ed è giusto così.
Ormai qui si respirano solo odio e
tradimento."
Severus strinse
i pugni, protetto dall'oscurità del corridoio.
"Basta!"
pensò. "Basta, ti prego! Non torturarmi oltre!"
Ma Minerva
continuava a guardarlo. Lentamente gli si avvicinò,
come a sfidarlo, poi il viso le si alterò di pena.
"Non avrei mai
pensato di vedere un Natale come questo," sussurrò,
e improvvisamente una lacrima le rigò la guancia. "Il giorno
in cui dovrebbero
regnare pace e felicità trasformato in un incubo grottesco."
La voce le si
incrinò. "Come hai potuto, Severus? Dopo tutto quel
che Albus ha fatto per te, come hai potuto tradirlo... come hai potuto
tradirci
tutti?"
La domanda si
spense in un singhiozzo desolato. Ma l'anima di lui
si protese dolorosamente verso di lei, verso quegli occhi che cercavano
i suoi
con tanto ostinato desiderio di credergli.
"Minerva,"
Severus mormorò piano, e la sofferenza che vibrava in
quella voce colpì l'anziana donna, tanto più
fortemente in quanto inaspettata.
Il sospetto, il dubbio, la speranza di essersi sbagliata, la
costrinsero a
rialzare il capo e a guardarlo fissamente.
"Non sono sicura
di volerti ascoltare." Minerva si strofinò il
viso quasi con rabbia, asciugandosi le lacrime che continuavano a venir
fuori
quietamente. ""Eppure devo provare: se hai qualcosa da dirmi, dimmela
adesso
che siamo qui da soli."
Lui chiuse gli
occhi.
"Severus, ti
prego..." Minerva supplicò a bassa voce. Aveva usato le
stesse parole di Dumbledore, e lui sentì una fitta
trapassargli il cuore. Ecco,
l'occasione gli veniva offerta, ma non poteva accettarla, anche se il
suo
spirito implorava una tregua. Non poteva tradire la sua missione. E,
per non
tradire la sua missione, doveva tradire la fiducia della donna di
fronte a lui.
"Non capisco,
Minerva," rispose quindi col suo odioso tono
sarcastico. "Mi rendo conto che il pranzo forse non era all'altezza
delle tue
aspettative. O è la mancanza di studenti che frustra i tuoi
istinti materni
delusi? Ti prego comunque di considerare con chi stai parlando. Il
Signore
Oscuro non sarebbe felice di sapere quello che stai pensando. Lo
troverebbe
oltremodo... ingrato."
Lei
sgranò gli occhi a quelle parole. Le labbra le tremarono e
le
iridi si accesero di un bagliore pericoloso dietro gli occhiali; ma poi
-
ferita, delusa, adirata - strinse i pugni, controllando la sua ira.
"Avrei dovuto
immaginarlo, Severus. Eppure, per un attimo mi sono
illusa. Che sciocca sono stata! Credevo di parlare con un uomo e con un
amico.
Invece..."
La voce le
vibrò di nuovo, minacciando di spezzarsi, ma subito si
riprese e concluse con fredda cortesia, "Buona notte allora, signor
preside.
Domani tu e i fratelli Carrow, i tuoi degni compari, vi troverete
intorno al
tavolo per festeggiare questa finzione di festa. E gli elfi, poveri
schiavi
creduloni, ancora una volta si daranno da fare."
La sua amarezza
bruciava come una fiamma, mentre concludeva con
sarcasmo. "Divertitevi pure, vi prego: ma non mi aspettate per il
brindisi,
perchè io non ci sarò."
Si
girò di scatto e si avviò a passi decisi verso le
scale, poi si
fermò e si rivolse di nuovo a lui, con rabbia feroce. "Sei
libero di riferire
le mie parole a chi credi meglio, Severus. Una volta avevo stima di te,
ma
adesso... adesso mi disgusti."
Chinando la
testa per nascondere le lacrime che, ancora un volta,
fluivano senza controllo, l'anziana donna uscì barcollando
dalla galleria, si
appoggiò per un attimo contro il muro soffocando un
singhiozzo, poi rialzò il
capo orgogliosamente e proseguì senza più
voltarsi indietro.
Il buio e il
freddo invasero l'animo di Severus. Solo
nell'immensità di quel tunnel oscuro, guardò la
sottile figura di Minerva
scomparire in lontananza, camminando dritta e severa.
La speranza aveva abbandonato anche lui. Come poteva esserci perdono per le sofferenze che era costretto a infliggere? Come poteva esserci sollievo per il tormento che lo scavava dentro e che non poteva in alcun modo manifestare?
Sentì
la voce di Albus sussurrare nella sua mente. In qualche
modo, i ricordi parlavano dentro di lui, offrendogli ragioni e
speranze. Ma
Severus era troppo amareggiato. Per la prima volta nella sua vita,
chiuse
ostinatamente il suo cuore e rifiutò di ascoltare la voce
che cercava di
consolarlo. No. Non sono queste le parole.
(continua)