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Autore: Gloom    31/07/2010    1 recensioni
Polverano è un tristissimo paesino, dimenticato tra le montagne abruzzesi, ed è anche la nuova casa di Angela: quindicenne abbattuta che vi si è traferita per seguire sua madre.
Polverano è anche la casa di Corrado e Raffaele: due gemelli, amici per la pelle, che saranno i primi ad accogliere Angela.
I tre diventeranno inseparabili... abbastanza per aiutare Angela a far pace con il suo passato, con suo padre e con un paio di conti in sospeso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mattina dopo fui svegliata, dopo una dormita turbolenta, dal fastidioso suono della sveglia del cellulare. Non avevo mai avuto bisogno della sveglia, di solito ci pensava mia madre a farmi alzare dal letto in tempo per farmi prendere l'autobus per la scuola. Ma in città mamma ci metteva pochi minuti per arrivare al lavoro, qui invece avrebbe impiegato tre quarti d'ora: non aveva potuto portare il lavoro a Polverano, quindi era costretta a uscire di casa praticamente all'alba.
 Mi svegliai, accorgendomi di aver accumulato un'ansia a cui non ero abituata. Il primo giorno alla mia nuova scuola. Mi sembrava strano immaginare un liceo in un paese di vecchi. Ma non del tutto spiacevole.
 Guardai rapidamente il mio riflesso assonnato nello specchio: qualche mese prima avevo tagliato i miei capelli, ormai più rossi che castani, molto corti; probabilmente così li avrei tenuti per molto tempo. Erano arruffati e pieni di nodi, avevano bisogno di essere lavati. Invece era opinione comune che i miei occhi fossero belli, verde scuro, ma mi ricordavano talmente tanto quelli di mio padre che provavo ribrezzo anche per loro.  
 Mugugnando, mi avviai verso il bagno; sapevo cosa mi aspettava, ricordavo le torture quando la zia era ancora viva... la cabina della doccia era minuscola, c'era appena lo spazio sufficiente per muoversi. Quel bagno aveva ancora bisogno di essere personalizzato come si deve. Arraffai da uno scaffale di plastica (comprato al centro commerciale spendendo solo una banconota blu) shampoo, balsamo e bagnoschiuma e mi infilai sotto il getto d'acqua. Con mia grande sorpresa, l'acqua uscì subito calda e il getto fu uniforme. Con qualche difficoltà alzai lo sguardo e sorrisi: mamma aveva cambiato la cipolla, garantendomi un lavaggio confortevole.
 Una volta uscita, calda e fumante, frizionai i capelli con un asciugamano e tornai in camera. Dal guazzabuglio dell'armadio tirai fuori i miei jeans preferiti, abbastanza larghi da non mostrarmi troppo ma sufficientemente stretti da non sfociare nello stile anni '70, e una felpa scura. Non volevo farmi notare troppo, non quando avrei preferito essere invisibile. Ovviamente quindi niente trucco. Feci una rapida colazione, ficcata in gola a fatica, poi rimasi seduta in cucina con la testa fra le mani. Guardai l'ora: era presto, troppo presto. A casa ero abituata a scapicollarmi per prendere l'autobus, ma qui avrei potuto camminare tranquillamente fino a scuola impiegando non più di cinque minuti. Chissà come avrei ingannato il tempo...
 Un sonoro miagolio interruppe i miei pensieri. Mi affacciai dalla finestra, in tempo per vedere una signora nella casa vicino alla nostra che scacciava via un minuscolo gatto tigrato con una scopa. Il gatto si allontanò risentito e rimase a girovagare un po' davanti al cancello. Presi una fettina di pancetta dal frigo e feci capolino nel giardino, dopo aver battagliato con la porta.
 -Pss!- Sussurrai. Il gattino mi guardò con moderato interesse, facendo orgogliosamente mostra di un pezzino di orecchio mancante.  -Ehi gatto, tieni!- Gli sventolai davanti la strisciolina di carne. Quello si avvicinò circospetto e l'annusò. Poi si ritrasse con espressione schifata. Sbuffai e gli lanciai la pancetta tra i trifogli, stizzita, poi mi chiusi la porta alle spalle. Che gatto insolente.
 Dopo altri dieci minuti pensai che avrei fatto meglio ad avviarmi verso la scuola. L'idea di arrivare in anticipo non mi entusiasmava, ma pensai che almeno non avrei corso il rischio di fare tardi se non l'avessi trovata subito.
 Mi avvolsi nella giacca e misi la borsa dei libri in spalla. Camminare mi faceva sentire meglio, ed in più ebbi modo di osservare per bene Polverano. Non era il massimo. Le insegne dei negozi mi facevano pensare ai vecchi film dello scorso decennio, alcune delle più scrause avevano i colori portati via dal sole estivo come le mollette del mio balcone, mentre le vie erano strette e troppo...pulite, per me che ero abituata a decine di cartacce buttate in terra.
 Non fu difficile trovare la scuola: un brutto palazzo di cemento pieno di finestre dalle veneziane abbassate, racchiuso da un cancello arrugginito e da un muro pieno di graffiti. Dentro il cortile c'erano già un bel po' di ragazzi e ragazze, che chiacchieravano riuniti in campanelli, in piedi o seduti alle panchine, con gli zaini accasciati ai piedi. Alcuni fumavano, altri ridevano; tutto sommato sembrava un normale liceo classico. Mi sentii sollevata: adesso avevo la conferma che Polverano non era solo una città di vecchi.
 Incerta sul da farsi, mi avvicinai al portone. La campanella sarebbe suonata tra pochi minuti, e già alcuni ragazzi stavano entrando a suon di spintoni e risate. Scivolai tra le ante del portone mentre il fiume umano si ingrossava e mi guardai intorno smarrita. Feci un bel respiro e mi avvicinai a un gruppo di ragazze che erano in procinto di salire le scale.
 -Ehm, scusate, sapete dov'è il V A?-Chiesi. Quelle si guardarono per un po', dubbiose. Avevo pensato che fossero più o meno della mia età e che lo sapessero...
 -Mi spiace, non lo so- mi disse una, poi gettò lo sguardo in lontananza osservando un gruppo di studenti. -Oh, aspetta che chiedo, lui lo dovrebbe sapere...- disse ammiccando a uno dei ragazzi. Si alzò un attimo sulle punte gridando:
 -Raffaele! Vieni un attimo qui!-. Un ragazzo, con i capelli biondi che arrivavano quasi alle spalle, si avvicinò.
 -Che c'è?-Chiese.
 -Questa ragazza deve andare in V a...dove sta?-. Raffaele ci pensò un po' su, poi si rivolse a me:
 -Mi sa che è al primo piano...- Alzò lo sguardo come se potesse guardare attraverso il soffitto, mentre rifletteva -Si, ne sono sicuro, sali le scale e poi subito a destra-. Ringraziai e mi avviai dove mi era stato indicato, con la spiacevole sensazione di essere osservata. E infatti quando mi voltai vidi il campanello di ragazze e Raffaele che mi osservavano di sbieco.
 Arrivai in classe in poco tempo. La porta era aperta e dentro c'era la mia futura classe: alcune ragazze erano sedute sui banchi e chiacchieravano tranquillamente, due ragazzi e una ragazza erano chini su un banco a copiare una versione, alcuni maschi si stavano ancora salutando con sonore pacche sulle spalle, altri ripassavano con la grammatica latina davanti al naso.
 Mi guardai intorno spaesata, e pian piano qualcuno si accorse della mia presenza. Tutti smisero di fare quello che stavano facendo, tranne i tre che continuavano a scrivere furiosamente la versione.
 Una ragazza con voluminosi capelli ricci mi si avvicinò: -sei quella nuova?-Chiese.
 -Ehm, si sono io-risposi. Quella mi porse una mano dalle unghie perfettamente smaltate e lucidate:
 -Piacere, io sono Ludovica-. Io le porsi la mia mano, vergognandomi un po' delle mie unghie mangiucchiate. Acc.
Dopo Ludovica si presentarono anche gli altri componenti della classe, curiosi per questa novità dai capelli rossi. Agghiacciata, una volta che ebbero finito mi resi conto di essermi scordata tutti i nomi.
 Mi chiesero di tutto, ma soprattutto da dove venissi. Quando risposi timidamente che venivo dalla città, sembrò che tutti facessero la stessa domanda, quella che non avrei mai voluto sentire, a cui non avrei saputo rispondere: -e allora perché sei venuta qui?!?-. Chissà come me la cavai. Una colossale figuraccia. Alla fine a togliermi dall'imbarazzo arrivò il professore di latino e greco: un uomo imponente ma sgradevole, dai capelli brizzolati. Tutti presero immediatamente posto, sfrecciando ai propri banchi e lasciandomi in mezzo alla classe in bella vista. Il prof sorrise:
 -Tu devi essere Angela Nerella, la nuova studentessa- disse. Annuii.
 -Bene, siediti pure- fece mentre si avviava alla cattedra. Io mi morsi il labbro:
 -Ecco, mi chiedevo dove potrei sedermi...-biascicai. Qualcuna pigolò una risata.
 -Oh, mettiti qui, c'è un posto vuoto- disse il prof con un gesto della mano. Io lo seguii e vidi un posto in terza fila, vicino a un ragazzo dai capelli castano chiaro. Lui mi fece posto.
 Una volta seduta, concentrarmi fu difficile. Un po' perché tra gli interrogati del giorno capitò uno di quelli che stava copiando la versione, e lo spettacolo mi sembrò troppo penoso, un po' perché ero distratta dal mio compagno di banco che stava giocando a fantacalcio con i suoi amici al banco dietro il nostro. Accolsi la campanella con un sospiro di sollievo.
 -Che te ne pare di Polverano?- Chiese il mio vicino di banco. Sapere come si chiamava mi avrebbe fatto piacere, ma non osai richiederlo.
 -Oh, è... non mi piace neanche un po' se vuoi saperlo. Senza offesa- risposi. Schietta e sincera. Il tipo rise.
 -Perché?- Chiese, ma lo fece come se si aspettasse la mia risposta.
 -Bè... sembra tutto così vecchio- risposi.
 -Immagino di si, per te che vieni dalla città-.
 -Esatto. E poi vengo qui da quando ero piccola, a trovare la mia prozia, e con lei tutto sembrava antico. Non ho mai pensato a Polverano come a un posto per... per noi-.
 -In effetti, se sei sempre stata circondata da vecchi è normale che non ti piaccia. Ma magari hai bisogno solo di entrare nella generazione giusta di Polverano- sorrise.
 -Credo di si...- mi strinsi nelle spalle, restituendogli il sorriso.
 -Ma quindi perché sei venuta?- Chiese infine. No. Non di nuovo. Abbassai lo sguardo: non dire niente sarebbe stato peggio, quasi come dire la verità, quindi cercai una scusa plausibile. Pensai in fretta, mentre decine di idee andavano in ogni direzione senza incontrarsi mai.
 -Ehm, la casa in città ha bisogno di essere ristrutturata da cima a fondo. L'abbiamo venduta e siamo venute qui- farfugliai. Se non fossi stata così imbarazzata mi sarei scompisciata dalle risate a sentire quella panzana impossibile. Chissà che non meditasse di farlo pure il mio interlocutore. Tuttavia, lui annuì come a dire "capisco", e riuscii a sentirmi sollevata.
 -"Venute"? Tu e chi altro?-Chiese.
 -Io e mia mamma. Ehm, papà non...non c'è da quando ero piccola. Scappato via-. Sorrisi con semplicità a quell'affermazione, quasi rimpiangendo che non l'avesse fatto davvero.
 -Oh, mi dispiace. Sei figlia unica quindi?-.
 -Già. Tu?-.
 -Ho un fratello-.
 -Più grande o più piccolo?-. Lui sogghignò:
 -Gemello. Eterozigote, fortunatamente. Fa questa stessa scuola, solo nell'altra sezione-.
 -Oh, deve essere bello avere un fratello gemello...-sospirai. Il tipo annuì vigorosamente:
 -Andiamo molto d'accordo, è il mio migliore amico. Si chiama Raffaele-. Raffaele? Collegai subito il nome al ragazzo carino che mi aveva indicato la classe.
 -Mmm...ma per caso è alto e biondo?- Chiesi. Ora che ci facevo caso, notavo anche una certa rassomiglianza tra i due.
 -Si! Lo conosci?-
 -Non proprio. Mi ha solo detto dove stava la classe quando sono arrivata a scuola-. Mi chiesi se non si conoscessero tutti in quella scuola; la prospettiva mi faceva orrore. Ma tutto sommato Polverano non era poi così piccolo...
 -Ah, figurati. Dov'è che abiti?- Mi chiese il tipo, di cui continuavo a ignorare il nome. Eppure si era presentato...
 -Ehm, non so il nome della via...vicino all'alimentari, hai presente?-.
 -Non c'è un solo alimentari a Polverano-
 -Bè, non so come spiegarti...è a cinque minuti a piedi da qui...-. Improvvisamente lui proruppe con un "Ah!" significativo.
 -Hai capito?- Domandai. Lui annuì: -si si, credo di si. Noi abitiamo un po' più giù, vicino al cinema-.
 -C'è anche un cinema qui?- Esclamai fingendomi sorpresa. Lui sogghignò:
 -Polverano mica è un paesino! Non è poi tanto più piccolo della tua città, sai?-. L'angolo della bocca mi si arricciò verso l'alto, imitando la sua smorfia.


  
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