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Autore: Niglia    03/08/2010    12 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo XIX

 

 


















Il pesante silenzio che si era creato in macchina fu spezzato proprio da lui. D’altra parte io non avevo nulla da dirgli – a parte l’impellente bisogno di inveirgli contro e al limite supplicarlo di non intromettersi ancora nella mia vita.

Purtroppo avevo capito che tanto erano sforzi inutili.

“Hai letto i miei messaggi?” Esordì a bassa voce, cercando di essere gentile.

Io scossi la testa, decidendo che trincerarmi in un mutismo ostinato non avrebbe giovato a nessuno, tantomeno a me. “No, ho il cellulare spento da ieri notte.” Mormorai, odiandomi per la mia voce roca a causa del lungo pianto.

Dalle sue labbra sfuggì una sorta di sospiro sollevato. “Bene, non farlo allora.”

Non potei impedirmi di essere curiosa, così mi voltai inarcando un sopracciglio e osservandolo con fare interrogativo. “Che significa?”

Vidi la sua mano stringersi sopra il cambio, facendo guizzare gli agili muscoli delle braccia, lasciate scoperte dalla T-shirt blu a maniche corte. Com’è che non avevo mai fatto veramente caso a quanto fosse muscoloso? Sbattei più volte le palpebre, stupita da quel mio stesso pensiero, e mi sforzai di ascoltare la sua risposta titubante. “Continuavi a non rispondermi dall’ultima volta che ci siamo visti, e anche se avrei potuto capirlo, non sopportavo il tuo silenzio. Sapevo che stavi bene, ma quando ho saputo di tuo nonno, beh… Non ho potuto tollerare che mi tenessi fuori anche in questa… occasione. Ero preoccupato e arrabbiato, e mi sono lasciato un po’ prendere la mano nei messaggi. Ti chiedo scusa.”

Probabilmente il vero evento fu il fatto che si fosse appena scusato, ma non ci feci poi molto caso. Non mi degnai neppure di guardarlo e così tornai ad osservare la strada, innervosita ma troppo stanca per dimostrarlo. “Questa è la mia vita, Enrico, non hai nessun diritto di farne parte. Soprattutto in questa occasione.” Specificai, giocherellando con le cinghie della mia borsa. “Credevo che dopo il nostro ultimo incontro avessi deciso di lasciarmi stare.”

“Invece ti sbagliavi.” Sussurrò, senza approfondire oltre l’argomento. Io feci finta di niente e non risposi, in parte perché non ne avevo voglia e in parte perché effettivamente non sapevo cos’altro replicare. Era talmente cocciuto da far perdere la pazienza ai santi.

Senza più dire una parola, alla fine, raggiungemmo il bar. Enrico parcheggiò all’ombra, sotto un pino, e mi accompagnò dentro precedendomi, come se si fidasse che l’avrei seguito senza cercare di andarmene. Cosa che comunque non avevo intenzione di fare, visto che mio padre sapeva che ero in sua compagnia e lui non poteva né rapirmi né farmi del male. Aprì la bocca solo per chiedermi che cosa volessi.

“Credo che un thè freddo possa bastare.” Risposi, guardandomi pigramente intorno.

Lui annuì. “Okay. Vai a sederti, allora, arrivo subito.”

Con la coda dell’occhio lo vidi dirigersi al bancone, mentre io andai a cercare un tavolino appartato, in un angolo, in modo da non essere disturbata. Purtroppo la parete del locale era ricoperta da specchi, così mi trovai ad osservare di malavoglia il mio riflesso: beh, non avevo di certo un bell’aspetto. Malgrado l’abbronzatura, il mio viso era estremamente pallido, e gli occhi erano arrossati dal pianto e leggermente violacei. Mi strofinai il viso con i palmi delle mani e mi pizzicai le guance per farvi tornare un po’ di colorito, in modo che la gente non pensasse che fossi una drogata o una moribonda, e per un po’ l’effetto sembrò funzionare. Ma per quello che m’importava…

Enrico non si fece attendere molto e, quando tornò, aveva un bicchiere di gelido thè alla pesca in una mano e un croissant al cioccolato nell’altra. Posò entrambe davanti a me, costringendomi a sollevare sconcertata un sopracciglio. “Non ho chiesto un croissant…”

Lui abbozzò un sorriso, annuendo. “Lo so, te l’ho preso io. Credo che tu abbia bisogno di zuccheri, fuori c’è troppo caldo e tu sei troppo pallida.”

Non trovai niente di meglio da dire che: “Tu non ti arrendi mai, vero?”

Il suo sorriso si allargò impercettibilmente, mentre incrociava le braccia e le posava sul tavolino. “No, decisamente no.” Rispose, con un tono sin troppo dolce per i miei gusti.

Mi limitai a sospirare, rassegnata. “Va bene, come vuoi. Quanto ti devo per…?”

“Non dirlo neanche per scherzo, mi sembra evidente che qui offro io.” Mi interruppe, risoluto.

Lo guardai a lungo, indecisa su cosa dire. “Enrico, senti, voglio chiarire che…”

Ma neanche questa volta mi diede l’opportunità di parlare.

“Questo non è né il luogo né il momento adatto per parlare di certe cose, Giulia. Adesso non preoccuparti e mangia, ne hai bisogno… Va bene?”

Mi limitai a scrollare le spalle, senza alcuna voglia di discutere. “Okay.” Mormorai, portandomi alle labbra la bevanda ghiacciata – che, effettivamente, mi fece parecchio bene.

Rimanemmo in silenzio, grazie al Cielo avevo la scusa di dover tenere la bocca occupata nel mangiare, altrimenti la mia stupida educazione mi avrebbe costretto a trovare per forza qualcosa da dire. Per quanto il silenzio non fosse eccessivamente imbarazzato, anzi: ma il solo fatto di essere per l’ennesima volta da sola, in sua compagnia – in quello che somigliava terribilmente a uno dei nostri vecchi appuntamenti – beh, diciamo che era qualcosa di cui avrei fatto volentieri a meno.

Quando, finalmente, ebbi terminato sia il thè che il croissant, ci alzammo entrambi e, senza dire una sola parola, come se ci fossimo letti nel pensiero a vicenda, ci dirigemmo verso l’uscita. Una volta fuori notai una panchina libera sotto un albero, nel piccolo giardinetto del bar, e la raggiunsi per cercare un po’ di riparo al calore terribile del sole. Mi sedetti, ma non invitai lui a fare lo stesso.

“Vuoi che ti riporti subito in ospedale?”

Sollevai lo sguardo per incrociarlo lentamente con il suo, notando che i suoi profondi occhi verdi erano colmi di preoccupazione. Per me? Stentavo a crederlo. Poi scossi la testa. “No, non subito. Fra un po’.” Mormorai.

Lui annuì, poggiandosi al tronco dell’albero e facendo per estrarre il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni. Distolsi lo sguardo mentre stava per accenderne una: se avessi anche solo sentito l’odore acre del fumo mi sarei sentita male.

Enrico d’altra parte sembrò capirlo perché ritirò nuovamente il pacchetto, che sparì all’improvviso così com’era apparso. “Scusa,” disse. “Ti prometto che oggi non fumerò.”

Scrollai le spalle, ostentando indifferenza. “Fai come vuoi…”

Lo sentii sospirare paziente, mentre veniva a sedersi accanto a me. “Giulia,” esordì a bassa voce, cercando di sfruttare tutta la calma e la dolcezza di cui era capace. “Sono venuto da te non appena l’ho saputo. Voglio solo starti vicino e consolarti. Ma tu… Tu non me lo permetti. Perché? Mi odi così tanto? So che non è il momento più adatto per affrontare un simile discorso, ma a questo punto voglio saperlo. Non riesco a pensare ad altro, solo a te… Tu credi che sia solo l’ennesimo capriccio di un ragazzino viziato, ma ti posso assicurare che non è così. Io tengo molto a te, davvero… Cosa dovrei fare per dimostrartelo? Neppure i miei regali sono valsi a qualcosa…”

A quel punto scossi la testa, voltandomi finalmente per fronteggiarlo. “I tuoi regali non servono a niente, Enrico, e sai perché? Perché non puoi comprarmi con soldi e fiori profumati, io non sono quel tipo di ragazza! E mi sembra di avertene dato prova in più di occasione. E sai cosa ti dico? Sì, è vero, credo che il tuo sia solo un capriccio, perché se tenessi davvero a me non mi obbligheresti a frequentarti e non ti arrabbieresti se non rispondessi ad uno dei tuoi cento messaggi giornalieri! Anch’io ho una vita, lo sai questo? Non ho sempre il cellulare in mano, e se non ti rispondo c’è una ragione! Uscivo con te ogni santo giorno, ho trascurato i miei amici e la mia famiglia per te, Dio! Ma questo non ti è bastato, perché sei l’essere più egoista del mondo, e allora hai pensato di farmi tenere sotto controllo anche le poche volte che non ero insieme a te. Ti sembra un comportamento da persona matura? No, non direi proprio. Quindi, se davvero tieni a me – cosa di cui, lasciami dire, ma dubito – vedi di cambiare atteggiamento, perché io non sono una cosa tua.”

Lui mi fissava improvvisamente rabbuiato, ma non mi importava: era ora finalmente che capisse a che cosa mi aveva portato il suo stupido orgoglio e il suo egoismo. E se ero riuscita a farlo arrabbiare, tanto meglio: forse era la volta buona che si stufava e mi lasciava stare una volta per tutte. Distolsi nuovamente lo sguardo da lui, fissando un punto imprecisato davanti a me. Speravo con tutta me stessa che se ne andasse e mi lasciasse in pace, ma avevo sottovalutato – per l’ennesima volta – la sua testardaggine.

“Non c’è proprio niente che io possa fare per farti cambiare idea?” Mormorò tristemente.

Oh no, caro, pensai. Non usare quel tono da cucciolo bastonato con me!

Mi presi la testa tra le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia e lasciando che i capelli sciolti mi piovessero sul viso per nascondermi al suo sguardo. Sospirai profondamente prima di rispondergli. “Potresti sempre lasciarmi in pace. Rinuncia e ritirati con onore.” Citai, senza guardarlo.

Dalle sue labbra fuoriuscì una strana risata, a metà tra l’amaro e il divertito: forse perché il mio tono era risultato talmente tanto stanco – e con una linea sarcastica di troppo – che preferì non prendermi sul serio.

“Mi dispiace, ma questo non rientra nei miei piani.” Mormorò, suadente.

Beh, valeva la pena tentare. Scrollai le spalle, rimettendomi a sedere normalmente. Non parlai per un po’, e lui rispettò il mio silenzio. Dopo quelli che mi parvero i minuti più lunghi di tutta la mia vita mi alzai, sempre senza guardarlo: temevo che i suoi occhi avrebbero potuto incantarmi un’altra volta.

“Mi puoi riportare in ospedale?”

Lui annuì.

 

 

***

 

 

Se c’era qualcosa che avrei dovuto riconoscergli, in quella occasione, era che non mi aveva lasciata sola per un attimo durante tutta la sera. Persino quando l’orario delle visite fu terminato e dovemmo tornare a casa, Enrico ci seguì in macchina – senza forzarmi ad andare con lui, cosa di cui gli fui grata – e rimase a farmi compagnia, mentre la casa di mia nonna veniva invasa da un via vai di parenti che sembrava non voler cessare.

Dopo averne visti talmente tanti da non ricordarne neppure il nome, però, ne ebbi abbastanza. Andai a rifugiarmi nel salone che la nonna non usava più – e che serviva soltanto per conservarvi libri, foto, vasi e soprammobili di vario genere. Era la stanza più fresca di tutta la casa, probabilmente, e senza alcun bisogno del condizionatore: perciò mi chiusi dentro e mi accoccolai sul divano, stringendo con forza il cuscino. Ormai non avevo nemmeno lacrime da versare.

Tuttavia non rimasi sola molto a lungo. Anzi, forse non passarono nemmeno cinque minuti. Dopo un po’ infatti la porta si aprì e sentii il rumore attutito di passi sopra il tappeto: temevo di sapere a chi appartenessero, e infatti non mi sbagliavo.

“Ah, sei qui.” Un tenero sussurro che sembrava però un urlo, nell’avvolgente silenzio della sala. Sollevai una mano in modo che capisse che mi trovavo dall’altra parte del divano, nascosta dietro lo schienale, e subito i passi vennero nella mia direzione.

Fece il giro del divano fino a trovarsi di fronte a me, e qui si inginocchiò sul tappeto, poggiando le braccia incrociate sul divano. “Mi sono spaventato, sei sparita all’improvviso…”

Non potei trattenermi dallo sbuffare, infastidita. “Sono a casa mia, Enrico, dove diavolo sarei potuta andare?”

Il suo sguardo – ferito? – mi fece capire di aver frainteso le sue parole, come del resto si affrettò a spiegare lui stesso.

“Sai bene che non intendevo quello.” Ribattè infatti, aggrottando le sopracciglia. “Credevo fossimo arrivati ad una tregua, noi due.”

Lo fissai ancora un po’ poi sospirai, arrendendomi. “Sì, lo so. Hai ragione. Scusa.” Ammisi, senza guardarlo negli occhi. “Sono solo un po’ nervosa…”

“Posso capirlo benissimo…” Replicò, con rinnovata tenerezza. “Sai, quando… Quando è morta mia madre… Credevo che il mondo mi fosse crollato addosso. È stato come essere privato dell’ossigeno…”

Quell’improvvisa quando inaspettata confessione mi colse del tutto impreparata. Sgranai gli occhi, stupita e malgrado tutto addolorata, e non potei fare a meno di provare pena per lui e di sentirmi male al solo pensiero. “Tua madre… Enrico, non lo sapevo… Mi dispiace così tanto…” Balbettai, incerta se sfiorarlo o meno.

Ma lui scosse la testa, con un amaro sorriso sulle labbra. “Ero più che un bambino, avevo otto anni. Non ricordo molto di lei.” Mormorò, abbassando lo sguardo. Le folte ciglia scure gli sfiorarono la pelle sotto gli occhi, tremando impercettibilmente.

A quel punto non potei fare a meno di allungare una mano e posarla sulla sua spalla, cercando di confortarlo con un misero tocco – non sapevo in che altro modo fargli sentire la mia presenza. “Non me ne hai mai parlato…” Sussurrai poi, come ripensandoci.

A quel punto alzò lo sguardo, immobilizzandomi con quei maledetti occhi ora incredibilmente cupi. “Non volevo fare la parte del povero orfanello, Giulia. Magari questo avrebbe influito sull’idea che tu avevi di me e forse mi avresti visto diversamente, ma… Ad essere sincero, preferivo che tu odiassi il vero me piuttosto che farti provare un affetto derivante dalla compassione.”

La fermezza con cui aveva pronunciato quelle parole – vere, d’altronde – mi diede l’opportunità di riflettere brevemente e farmi un ennesimo quadro generale della situazione. Come aveva detto lui, in effetti mi sarei aspettata di più che usasse quella tragedia per toccare quella maledetta sensibilità femminile che sembra appartenere ad ogni essere privo del cromosoma Y – se mi avesse detto una cosa simile, dovevo ammetterlo, ma l’avrei guardato con occhi diversi. Probabilmente anche giustificando le azioni che invece, nella mia beata ignoranza, mi facevano innervosire.

Ma quello che mi aveva davvero colpito era stata la sua ultima frase. Preferivo che tu odiassi il vero me piuttosto che farti provare un affetto derivante dalla compassione. Che cosa voleva dire con questo? Perché queste sue parole non coincidevano minimamente con l’idea di ragazzo egoista e arrogante che mi ero fatta di lui? Credevo che uno della sua risma potesse arrivare a tutto pur di raggiungere il proprio scopo, e se davvero il suo scopo ero io, allora, perché non usare anche quella triste verità?

Possibile che fosse sul serio… Poteva essere…?

Che diavolo, certo che no!

Scossi la testa, sentendomi la bocca improvvisamente arida. “Non so… Non so cosa dire, Enrico.” Mormorai infine, scrollando lievemente le spalle. Ero dispiaciuta, certo, e mi odiavo per provare l’irritante impulso di abbracciarlo, ma quelle parole mi avevano confuso e scioccato più del lecito.

Il mesto sorriso che apparve sulle sue labbra non fece che terminare di mandare al diavolo tutto il mio severo autocontrollo. “Non c’è nulla da dire, Giulia. Volevo solo dirti che capisco come ti senti.”

Oh bene, perfetto. Io mi riferivo alla seconda parte del discorso mentre sembrava che lui avesse deciso di ignorarla, come se si fosse pentito delle parole che gli erano sfuggite di bocca in un momento di appartente intimità… Che fare con un ragazzo così?

Sospirai, scostandomi per fargli spazio sul divano. “Vieni, su. Devi essere scomodo lì per terra.” Dopotutto avevamo firmato una tregua, no?

Un angolo delle sue labbra si curvò verso l’alto, mentre Enrico prendeva posto di fianco a me e si posava un cuscino sulle gambe. Poi fece qualcosa che – senza ombra di dubbio – non mi sarei mai aspettata. Picchiettò leggermente sul cuscino e mi sorrise, dolcemente, indicandomi di avvicinarmi. “Metti la testa qui e sdraiati, forza. So che hai bisogno di riposarti.” Mi invitò, senza nessuna ombra di maliziosità o doppi sensi.

Il mio sguardo dovette esprimere tutto il mio scetticismo perché il suo sorriso si fece leggermente più ampio. “Davvero, Giulia, sono serio. Non voglio fare nulla di male, soltanto… Permettimi di essere il tuo conforto adesso, senza nulla in cambio. Non ti chiedo altro.”

Con parecchia esitazione mi avvicinai a lui, senza mai distogliere lo sguardo per paura che potesse fare qualcosa di cui mi sarei sicuramente pentita. Tuttavia si comportò proprio da bravo ragazzo e non fece nulla di tutto quello che mi ero invece immaginata io, lasciando che posassi la testa sul suo cuscino e rannicchiassi le gambe lungo il divano, in lungo.

Rimanemmo immobili per un tempo che mi parve infinito, prima che le sue mani, capricciose, raggiungessero i miei capelli e lì si fermarono, intrufolandosi tra i ciuffi e accarezzandomi con una strana dolcezza che preferii non considerare tale, perché in caso contrario sarei stata costretta a cambiare completamente il parere che avevo di lui.

Il rumore del suo respiro e le carezze tra i miei capelli mi cullarono, trascinandomi in un lieve sonno senza sogni. Ero troppo stanca per combattere anche quella battaglia, ed Enrico di certo non ne avrebbe approfittato. Speravo solo che non si facesse strane idee, perché io non avevo nessuna intenzione di cambiare o di rivedere la mia posizione al riguardo.

Enrico era cattivo, egoista, arrogante e presuntuoso. Ed io dovevo stargli alla larga.

O forse no?

























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AA - Angolo Autrice:
Acciderbola, che parto! Chiedo scusa per il ritardo - okay, tutti i miei aggiornamenti contengono delle scuse, che bello -.-'' ormai mi conoscete! :D
Dunque! Siccome è tardi e sono stanca, non mi dilungherò nelle note come mio solito... Ma corro a ringraziare i miei fedeli discepoli che, bene o male, seguono tutti i miei aggiornamenti ^^
Un enorme grazie a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, ossia Rosella, Alebluerose91, Ada Wong e lara27;
grazie infinite alle 108 fantastiche persone che l'hanno aggiunta alle preferite e alle 162 che l'hanno messa tra le seguite! Grazie, grazie, grazie! =*
Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate dei nuovi capitoli e di come si sta evolvendo la storia di Giulia ed Enrico, sono ansiosa di sapere che ne pensate e - soprattutto - che idea vi siete fatta! Si metteranno insieme o no? Giulia è troppo cinica? Enrico troppo stronzo? Mistero! :O
Lo scoprirete alla prossima puntata... Forse xD
Un bacio e un abbraccio a tutte! Vostra,
GiulyRedRose




   
 
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