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Autore: Gloom    13/08/2010    4 recensioni
Polverano è un tristissimo paesino, dimenticato tra le montagne abruzzesi, ed è anche la nuova casa di Angela: quindicenne abbattuta che vi si è traferita per seguire sua madre.
Polverano è anche la casa di Corrado e Raffaele: due gemelli, amici per la pelle, che saranno i primi ad accogliere Angela.
I tre diventeranno inseparabili... abbastanza per aiutare Angela a far pace con il suo passato, con suo padre e con un paio di conti in sospeso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo aver mangiato un risotto che da promettente come sembrava si trasformò in chicchi di vinavil gialli, Corrado si rifugiò in bagno, lasciando a me e ad Angela il gravoso compito di riordinare la cucina.

Con la preoccupante impressione che mio fratello avesse qualcosa in mente, cominciai a sparecchiare la tavola.
 -Ti aiuto a mettere i piatti nella lavapiatti- disse Angela alzandosi da tavola.
 -Tranquilla, lascia perdere, ci penso io...- cercai di fermarla, ma ormai era partita in quarta.
 -Sei matto? Lo faccio volentieri- prese le stoviglie e cominciò a infilarle nell'elettrodomestico con gesti esperti.

Se Corrado ci avesse dato una mano, avremmo finito prima e avrei avuto più tempo per...per cosa? Per cercare di confessare ad Angela quello che voleva sapere? In ogni caso, decisi che avrei messo l'omicidio di Corrado tra i buoni propositi per il nuovo anno.
 Tutto sommato ripulimmo la cucina in poco tempo, ma di mio fratello non si vedeva ancora traccia. Angela si appoggiò al bancone, rilassandosi.
 -Oggi è stata una bella giornata però, vero?- Chiese. -Insomma, ci voleva proprio a Corrado...perdere tempo dietro quella cianfrina, chissà come mai si era ridotto così...-.
 - Bah, vai a capirlo. Ancora non riesco a crederci sai? Mi è sembrato strano vederlo stare così male per una ragazza...-.
 -Tu non ci sei mai stato così male?-Chiese lei. Ecco che era riuscito il discorso. Io io, sempre io. Non permetteva mai che si parlasse di lei.
 -Oh...bé, nel mio caso era...è diverso- dissi. Forse che mi stavo avvicinando alla meta?
 -In che senso?- Angela si fece interessata. Non pettegola, ma interessata.
 -Cioè...la ragazza che...- Dillo, maledizione pronuncia quel verbo, pezzo di idiota! -...amo...- Sì! -è diversa da Morena. é più... oh, non so come dire-.
 -Ti capisco. A volte succede anche a me, affollamento di parole, non trovi mai quella giusta...-. Angela abbassò lo sguardo. Avrei desiderato che continuasse a parlare, ma non lo fece. Forse stava provando le stesse cose che mi aveva appena descritto.
 -Già...è complicato-.
 -Già-.
 Silenzio. Se avessi saputo che in quel momento Corrado era fuori in corridoio ad origliare la nostra conversazione, e se avessi saputo quante maledizioni ci stava mandando per la nostra imbranataggine, l'avrei corcato di botte, e non per scherzo. Una volta da bambini gli avevo tirato un paio di forbici addosso per ripicca. Mamma mi aveva quasi mangiato. Ma questo non sarebbe stato niente a confronto.
 Ma non sapevo cosa stesse facendo. Tutto quello di cui ero conscio era che mi trovavo nella stessa stanza solo con la ragazza che amavo, che ero a un passo da dirle quello che mi premeva dentro da quando l'avevo conosciuta e che avevo l'impressione di sbagliare tutto.
 -Se vuoi mi puoi parlare di lei- disse improvvisamente Angela. Con un po' di preoccupazione? Ma decisi di accontentarla. Non avrei potuto tergiversare, non me lo sarei mai perdonato.
 Stavo giusto per parlare, quando successe ciò che non mi sarei mai aspettato.

Non ci voleva proprio, non in quel momento, eppure improvvisamente la luce si spense, facendo piombare la cucina nel buio. Nello stesso istante, sentii il getto d'acqua bollente della lavapiatti cessare e la televisione nell'altra stanza zittirsi, facendo scomparire il volto troppo truccato di una presentatrice scintillante.
 Io e Angela restammo per un po' in silenzio, completamente al buio, fino a quando lei non parlò:
 -Deve essere saltata la corrente-. Non la vidi mordersi il labbro e scrutare ansiosa l'oscurità.
 -Già...aspetta un minuto, chiamo Corrado...- fortunatamente Angela non poté avvertire la mia delusione, che pensavo sarebbe stata palesemente visibile alla luce. Che sfigato che ero: avevo appena radunato il coraggio per confessare ciò che la ragazza di fronte a me voleva sapere, e improvvisamente tutto era andato in fumo, per colpa di uno stupido contatore.
 Mi avviai a tentoni verso la porta della cucina e riuscii ad aprirla prima di spalmarmici sopra. Corrado ovviamente non si vedeva, ma non riuscivo neanche a sentirlo. Lo chiamai a gran voce, e scoprii che si era rifugiato al piano di sopra.
 -Sono quiii!- Urlò al mio richiamo.
 -Scendiii?- Gridai su per le scale.
 -Nooo! Sono...in bagnooo!-.
 -Ma è saltata la correnteee! Che si faaa?- Chiesi.
 -Che vuoi fare? Niente, aspetta che esco così chiamiamo mammaaa! Io non so dove mettere la maniii-.
 Sorvolai su cosa potesse fare qualcuno in bagno senza luce, decisamente in quel momento non era tra le mie priorità, e dopo un "ok" strascicato tornai in cucina. In realtà, sarei venuto a scoprire in seguito, Corrado ovviamente non era mai stato in bagno, semplicemente si era rintanato tranquillamente in camera a sentire la musica dall'mp3, aspettando che succedesse qualcosa tra me e la sua migliore amica.
 -Mi spiace, non abbiamo neanche un po' di candele- dissi ad Angela. Lei aveva estratto il cellulare, con cui dava vita a un fievole raggio di luce bluastra.
 -Tranquillo...ci tocca aspettare Corrado- sorrise; non aveva potuto non ascoltare la nostra conversazione.
 -Già... ehi, dov'è che sei?- Mi girai intorno, perché in quel momento il suo cellulare aveva deciso che sarebbe stato più conveniente il risparmio energetico e aveva spento l'illuminazione dello schermo.
 -Eccomi, sono qui- agitò la mano. Gli occhi cominciarono ad abituarsi al buio, adesso riuscivo a distinguere il profilo dei mobili e il riflesso degli elettrodomestici, grazie anche alla luce della luna che filtrava dalla finestra. Sentivo anche Angela di fianco a me: era ancora poggiata al bancone, tranquilla anche nell'oscurità.
 -Se non altro, non abbiamo paura del buio- dissi, giusto per dire qualcosa. Le mie parole suonarono immensamente stupide alle mie orecchie, ma lei rispose comunque.
 -Già... io non ne ho mai avuto paura, neanche da piccola. Sai, credo si chiami ablutofobia...no, quella era la paura di lavarsi. Si chiamava... acluofobia, ecco-.
 -Sul serio? Sembra il nome di una pianta d'appartamento- ghignai. Lei rise, poi però si ricompose:
 -Certo che è strano... insomma, perché c'è chi ha paura del buio? Voglio dire, alla fine ci sono le stesse cose che si vedono alla luce del sole, l'unica differenza è che non si notano-.
 -Dici poco... non sai mai quello che ti può capitare-.
 -Mah... a me piace il buio. Posso fare quello che voglio se nessuno mi vede-.
 -Io continuo a preferire la luce, anche se poca. Voglio vedere quello che ho davanti-.
 -Se lo vedi allora vedi anche ciò di cui magari hai paura- sentii Angela spostare il peso sull'altra gamba.
 Ci impiegai un po' di tempo per riflettere su quello che aveva detto: alla faccia dei suoi presunti pensieri troppo veloci e inafferrabili! Magari aveva ragione. Forse non si era resa conto che nella mia mente le sue parole assumevano un significato diretto proprio a lei, ma poteva anche aver ragione. Eppure...
 -Le paure mica si vedono. Più che altro si percepiscono. Non basta spegnere la luce per eliminarle- risposi.
 -Forse no... ma a volte credo che aiuti. No?-.
 -Non so. In ogni caso, non mi piace non vedere cosa o chi ho di fronte, o non capire dove sia-.
 Angela rise, poi la sentii tornare in piedi e muoversi per la stanza:
 -Forza, dove sono adesso?- Chiese ridendo.

Non era difficile, conoscevo bene quella cucina e sapevo dove si poteva arrivare con i movimenti che avevo percepito. Girai un po' su me stesso, poi mi avvicinai al tavolo: -presa!- Esclamai -adesso tocca a me-. Mi allontanai fino a poggiare la schiena sul frigorifero, sicuro su dove mettere i piedi per non andare a sbattere agli altri mobili.
 Sentii Angela muoversi goffamente, fino a quando non vidi la macchia scura che era il suo corpo portarsi dietro una sedia, facendola strusciare rumorosamente al pavimento. Riuscì ad acciuffarla prima che cadesse, e nel farlo mi pestò un piede: -eccoti!-; Senza aspettare una risposta, corse a nascondersi all'altro capo della stanza.
 Continuammo a giocare a mosca cieca per un po', mentre di Corrado ci eravamo quasi dimenticati. Se anche avessi saputo dove fosse, non l'avrei chiamato. In quel momento entrambi volevamo che io rimanessi solo con lei.
 In breve ci ritrovammo sotto la finestra, unica fonte di una fievolissima luce, non abbastanza forte da poter distinguere i dettagli dei nostri volti, ma sufficiente a rischiarare una cucina sottosopra: eravamo riusciti a far cadere in terra un paio di sedie, e inavvertitamente io avevo dato una gomitata al vaso di fiori sul davanzale. Fortunatamente non si era rotto, ma una pozza d'acqua e alcune foglie adesso giacevano sul pavimento.
 -Vedi che il buio è divertente?- Disse Angela.
 -Sì, ma non per la cucina- ammiccai alla stanza.
 -Tranquillo, quando sarà tornata la corrente ti aiuto a rimettere tutto a posto-.
 -Figurati, mi sarei aspettato anche di peggio-.
 Angela sorrise, poi guardò fuori dalla finestra. Mi concentrai sul suo profilo, mentre vedevo la luce candida della luna che era sbucata da dietro una nuvola schiarirle la pelle e trarre bagliori argentati dai capelli. Gli occhi fissavano un punto imprecisato del misero panorama, ed erano la cosa più bella che avessi mai visto. Avrei voluto contemplarli per sempre, e al diavolo che alla proprietaria non piacessero: li adoravo.
 -Di cosa stavamo parlando prima che saltasse la luce?- Chiese a un tratto. Oh... di nuovo.
 -Non ricordo...- risposi. Non mi veniva in mente nient'altro. Non sapevo come ricacciare l'argomento senza far sembrare troppo palese il fatto che mi premeva affrontarlo.
 -Io invece si. Dovevi parlare tu- disse Angela. Sospirai.
 -Ok, ok. Parlerò-. Ci fu un attimo di silenzio. Angela continuava a guardare fuori, ma mi aveva fatto cenno di continuare.    
-Lei è...è bella. é un po' bassetta. é simpatica. A volte fa scompisciare dalle risate. E...- no, no, non andava bene. Sospirai. Lei abbassò lo sguardo.
 -Ha i capelli quasi rossi. è complicata, molto. Non permette che si parli di lei, non vuole che le si facciano troppe domande. é riservata...anzi, è misteriosa. Non permette che qualcun le si avvicini troppo... e... mi sento felice sapendo di averla qui vicino a me-. Lei alzò lo sguardo, quasi spaventata. In quel momento mi resi conto di non sapere quanti ragazzi avesse mai avuto. L'idea che io fossi il primo non mi sfiorò minimamente. Era impensabile. Se adesso mi fermo, è finita.
 -Forse...forse potrei provare ad avvicinarmi un po' di più? Non so se me lo permetterebbe. Potrebbe scappare via, ne sono sicuro. Che ne dici? Provo?-. Sicuramente stava meditando se scappare in quel momento. Trema, osservai orripilato.
 Rimasi impalato, aspettando. Poi, miracolosamente, la vidi annuire nella luce lunare. Mi stava autorizzando ad avvicinarmi.
 Feci un passo. Due passi. Tre passi e le fui a pochi centimetri di distanza. La luna aveva fatto entrare molta più luce nella cucina di quanta ce ne fosse stata fino a poco prima. Lei alzò lo sguardo, muta, guardandomi negli occhi.
 -Adesso ho paura- disse. Mi bloccai.
 -Di cosa?- le sussurrai.
 -Di scappare-.
 Mi accorsi di avere le mani nelle tasche dei jeans; le cacciai per posarle sui suoi fianchi. Sentii quanto fosse esile, a dispetto della felpa.
 -Tranquilla. Adesso ti tengo io-. Le mani scivolarono sulla schiena. Ancora più vicini, tutti e due questa volta. Chiuse gli occhi prima che potessi di nuovo perdermi in quel verde che tanto odiava...e da quel giorno non fu solo Corrado a uscire più felice di quanto non fosse mai stato.  

  
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