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Autore: Naco    17/08/2010    1 recensioni
Andrea aveva lanciato un grido di gioia. Quella sera, ce l’avrebbe fatta. Sarebbe riuscito ad esprimere il proprio desiderio alla Stella Cadente e, sicuramente, lei l’avrebbe realizzato. Del resto, nei cartoni animati succedeva sempre, no?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seconda Parte
Passato




Il genere, i bambini tendono ad associare il bianco al colore della neve, perché poche cose erano candide e belle allo stesso tempo. E poi, tutti i bambini adoravano la neve: così fredda e morbida, l’ideale per giocare con gli amici, anche se poi rischi di prenderti l’influenza e di restare a casa per giorni e giorni. Ma ne vale sempre la pena.
Oppure, i bimbi associano il bianco al grembiule. Quello bianco – a volte nero, altre blu – che i bambini ancora oggi, in alcune scuole, devono indossare, anche se sta passando sempre più di moda.
Andrea, invece, aveva imparato ad associare quel colore al candore della stanza dove, ogni giorno, da circa due anni, andava a trovare il suo papà.
Quando aveva iniziato ad andare a scuola e la mamma aveva dovuto comprargli il grembiule, lui era scoppiato a piangere e aveva detto che quella cosa non la voleva; poi, quando aveva visto che tutti i suoi compagni lo indossavano, per non sentirsi diverso dagli altri o essere preso in giro, riluttante, aveva capito che doveva adeguarsi. Tuttavia, sua madre, per non farglielo pesare, gli aveva cucito uno Spiderman, il suo supereroe preferito, a mo’ di spilla.
Con il passar dei mesi, tuttavia, Andrea si era abituato a quelle pareti spoglie, alle lenzuola candide che ricoprivano il corpo di suo padre, a quello strano odore di medicinali che all’inizio l’aveva fatto quasi star male. Si era anche abituato a vedere il suo genitore steso su quel letto, che dormiva, completamente immobile. La mamma gli aveva spiegato che il suo papà si era stancato troppo e che aveva tanto, tanto bisogno di riposare e che quindi non poteva giocare con lui.
“Ma quando si sveglia?” aveva domandato lui.
“Non lo so, Andrea.”
“E se usiamo una sveglia?”
La mamma aveva sorriso amaramente, abbracciandolo: “Non si può. I dottori hanno detto che non dobbiamo svegliarlo: si sveglierà quando vorrà. Però, ha detto che possiamo parlargli, così sentirà che lo stiamo aspettando e si sveglierà prima.”
Inizialmente, ad Andrea era sembrata una cosa stranissima parlare con il suo papà in quel modo, soprattutto perché lui non gli rispondeva, ma con il passar del tempo, si era abituato e ormai quasi non si ricordava più neanche la voce di suo padre, com’era parlare e giocare con lui e a volte si era chiesto se davvero avevano passato i pomeriggi a giocare insieme alla playstation, o piuttosto non fosse stato tutto il frutto di uno strano sogno.
“Mamma, quando si sveglia papà?” aveva chiesto un giorno, di punto in bianco “E’ da tanto tempo che sta dormendo. Perché non si sveglia? Non ha riposato già tanto?”
“Probabilmente no.” Aveva replicato la mamma in un soffio.
Ormai Andrea stava crescendo ed era diventato un piccolo ometto; la donna si chiese se non fosse giunto il momento di dirgli finalmente che, no, il suo papà non stava dormendo e che, forse, non si sarebbe mai più svegliato dal coma. Tuttavia, questo significava anche dovergli spiegare perché suo padre non avrebbe più potuto più giocare con lui, portarlo al luna park e comprargli il gelato al cioccolato. Spiegargli che la colpa era solo sua.

*

Viaggiavano ormai da alcune ore. Erano stati tutti a Mantova per le vacanze estive, ospiti di zia Giovanna, la sorella della mamma. Più volte la donna aveva chiesto alla sorella di andarla a trovare con la propria famiglia, ma lei aveva sempre posticipato il momento per ragioni diverse.
“Anna è ancora troppo piccola per viaggiare”, aveva detto le prime volte; e quando ormai Anna aveva raggiunto un’età in cui avrebbero potuto muoversi, ecco che era nato Andrea e tutto era ricominciato daccapo.
Avrebbero aspettato ancora molti anni per vedere Mantova, ma il destino aveva voluto che Giovanna e suo marito divorziassero. Siccome non aveva avuto figli, la madre le aveva proposto di ritornare a casa, ma lei aveva obiettato che stava bene e che ormai lì aveva un lavoro e che sarebbe stato un peccato gettare via una carriera per uno stupido uomo che non aveva esitato a lasciarla per un’altra donna. Così, Elisa e suo marito, preoccupati per lei e desiderosi di vedere se davvero le cose andassero bene, avevano deciso che era arrivato il momento di fare quel famoso viaggio.
Era stata un’esperienza meravigliosa, nonostante le terribili conseguenze che avrebbe portato in futuro. Giovanna li aveva portati a vedere i palazzi e i tesori dei Gonzaga, il castello di San Giorgio e il palazzo ducale; in bicicletta, erano andati ai laghi, avevano visto il Po e i ragazzi erano rimasti affascinati da quel fiume così pieno d’acqua, loro che erano abituati ai terreni della Puglia, dove i corsi d’acqua quasi non esistono. Inoltre, la zia era un’ottima cuoca e aveva preparato tantissimi piatti tipici del luogo che le erano stati insegnati dalle sue colleghe.
L’ultima settimana di agosto, Gustavo avrebbe ripreso a lavorare, così avevano deciso di rientrare il venerdì precedente, onde evitare le code chilometriche che sicuramente avrebbero bloccato l’autostrada nel week end successivo, nonostante fossero diretti a Sud.
Avevano avuto ragione: la strada era quasi completamente libera e l’automobile correva veloce sull’asfalto bollente. Andrea e Anna avevano iniziato a litigare perché il bambino voleva che la sorella giocasse con lui con le automobiline, ma lei si era rifiutata perché ormai “era troppo grande per quelle sciocchezze!”.
“La volete piantare voi due?” li aveva rimproverati la mamma irritata e aveva proposto al marito di fermarsi al successivo autogrill per fare una pausa; l’uomo aveva acconsentito: “Un gelato fresco non può che fare bene a tutti quanti!”.
Gustavo aveva visto giusto: con la pancia piena e una nuova automobilina rosso fiammante tra le mani, Andrea, stanco per tutte quelle ore di viaggio, si era addormentato quasi immediatamente; anche sua sorella, che all’inizio aveva leggiucchiato un po’ il libro che le aveva regalato la zia, ben presto si era appisolata.
“Finalmente si sono addormentati.” Aveva commentato l’uomo, notando lo strano silenzio dietro di loro e voltandosi ad osservarli.
Sua moglie aveva annuito, lanciando loro una rapida occhiata dallo specchietto retrovisore. Aveva proposto al marito di dargli il cambio, perché era da ore che guidava e le pareva giusto facesse anche lui una pausa.
“Riposa anche tu. Sarai stanco.”
“Tranquilla, sto benissimo!” aveva detto, sistemandosi meglio sul sedile.
“Sì, certo. Come no.”
E infatti anche lui, dopo pochi minuti, complice il silenzio che era calato in auto, si era addormentato.
Elisa stava guidando serena e tranquilla, pensando già a cosa avrebbe preparato per cena: se il traffico fosse proceduto in quel modo, probabilmente sarebbero arrivati per le sette, ma lei sarebbe stata troppo stanca per preparare qualcosa così, stava pensando, forse sarebbe stato meglio prendere qualcosa da un autogrill, oppure comprare una bella pizza una volta tornati a casa. Aveva sorriso fra sé e sé, immaginando già l’espressione dei propri figli all’idea.
Istintivamente, aveva lanciato un’occhiata ai due: Anna aveva da poco raggiunto lo sviluppo, mentre Andrea avrebbe iniziato la scuola elementare poche settimane dopo. Come voleva il tempo…
Non seppe mai se fu prima il boato che sentì o la visione di quell’enorme camion che inchiodava e, per evitare il mezzo pesante davanti a lui, investiva un’auto che stava facendo il sorpasso proprio in quel momento, ad attirare la sua attenzione; avvertì solo il suo piede premere sul freno con forza, il camion farsi inesorabilmente sempre più vicino e la matematica certezza che non avrebbe mai prenotato quella famosa pizza.

*


Quando si era svegliata, aveva saputo da un’infermiera, cortese e gentile, che aveva un braccio rotto ed escoriazioni lungo tutto il corpo; i bambini non si erano fatti nulla e, per fortuna, non si erano neanche accorti di quello che era accaduto.
“E mio marito? Come sta?”
Gustavo aveva battuto la testa, a causa dell’inevitabile frenata, e aveva riportato un forte trauma cranico, oltre che varie fratture; era entrato in coma e nessuno sapeva se e quando si sarebbe svegliato.
Elisa aveva sentito chiaramente qualcosa spezzarsi per sempre dentro di lei.
Se non avesse proposto di fermarsi…
Se non avesse chiesto a suo marito di guidare al suo posto…
Se non si fosse distratta…
La colpa di quanto era accaduto era soltanto sua.
“No che non è tua!” l’aveva ammonita sua sorella, scesa non appena aveva saputo la notizia “E’ stato solo un incidente, chiaro?”
Lei aveva scosso la testa: “No. E’ stata tutta colpa mia, invece! Vorrei tanto che tutto questo sia stato solo un brutto sogno! Desidero… desidero solo che i miei figli, un giorno, possano perdonarmi…”

*


Andrea aveva sentito parlare delle stelle cadenti per puro caso. Era successo durante la puntata di uno dei suoi cartoni amati preferiti ed era rimasto piuttosto perplesso nel sentire che le stelle possono esaudire i desideri delle persone.
Il giorno dopo, a scuola, aveva commentato l’episodio con Giulio, il suo migliore amico.
“Anche io non ci credevo, eppure è tutto vero! Me l’hanno confermato la mamma e mio fratello!”
Lui aveva granato i suoi grandi occhioni scuri. “Davvero?!”
“Certo. Mi hanno detto che il 10 agosto, ogni anno, cadono le stelle e gli uomini esprimono un desiderio: se ci crederanno davvero, quel desiderio si realizzerà!”
“Ma come fanno?”
“Non lo so, ma mio fratello mi ha detto di averci provato e ha funzionato davvero!”
Andrea era rimasto un po’ interdetto: il fratello di Giulio era molto più grande di lui e sapeva tante cose; quindi, quel che aveva detto doveva essere per forza vero; inoltre, anche il fatto che la madre l’avesse confermato era un’ulteriore prova.
Tuttavia, aveva tanta paura: e se il suo desiderio che il suo papà si svegliasse non si fosse realizzato? Era una cosa troppo importante e lui non voleva restare deluso. Tra l’altro, la mamma gli aveva spiegato che anche i dottori dicevano che suo padre aveva bisogno di dormire; quindi, sarebbe stato ingiusto ed egoista chiedere ad una stella di esaudire il suo desiderio.
All’improvviso, ecco l’idea geniale: avrebbe potuto provare per vedere se il potere delle stelle funzionava davvero domandando qualcos’altro e, se fosse stato così, poi avrebbe chiesto ciò che davvero gli premeva; inoltre, suo padre avrebbe avuto più tempo per svegliarsi da solo, e se ciò non fosse avvenuto… beh, era ora che prendesse lui in mano la situazione, no?!
Sì, quella era un’idea davvero geniale!


Note sparse dell’autrice
- Come avrete capito, questa storia partecipa alla challenge Cielo d’estate, indetta da Fanworld.it, set Cielo Azzurro; nel capitolo ho usato il prompt Desiderio svelato. Ovviamente, la persona a cui è stato svelato, non è un personaggio della storia, ma noi lettori. Dite che ci sono troppi desideri espressi e svelati e che non capite quale potrebbe realizzarsi? Continuate a leggere, e lo saprete! XD
- Prima che qualcuno inizi a farsi strani trip mentali: la scelta di Mantova, come meta delle vacanze, è assolutamente random. Semplicemente, un’amica di mia madre voleva che le facessi una piccola ricerca sui monumenti della città e, visto che mi serviva una meta turistica… ho semplicemente colto due piccioni con una fava! XD
- Qualcuno di voi starà pensando che Andrea guarda troppa televisione. Io preferisco così – sono cresciuta a pane e cartoni animati, io, quindi detesto vedere quei bambini che si mettono a giocare con il Nintendo DS anche se stanno insieme, piuttosto che giocare tra loro a rincorrersi. L’idea mi è nata quando mi è venuta in mente una scena di Hamtaro che beccai per caso, facendo zapping, in cui il cricetino voleva raggiungere le stelle cadenti che per lui erano “caramelle che cadevano dal cielo”. L’idea mi fece accapponare la pelle e pensai che, invece di insegnare qualcosa, quel cartone animato faceva rimbecillire solo i bambini.
Non avevo in mente nessun anime in particolare, ma in molti si parla di stelle cadenti, dando al fenomeno il significato che merita – per fortuna.
- Non so se dove abitate voi i bimbi a scuola mettono ancora i grembiuli, ma da noi si usa ancora. Possono essere blu o bianchi (prima erano neri, ma ora mi sa che nessuno usa più quel colore); Andrea li usa solo alla scuola elementare, mentre all’asilo non lo portava, per questo non ha associato subito il colore a quell’oggetto.
L’idea mi è venuta ricordando una mia amica, il cui fratellino scoppiò a piangere quando vide i banchi verdi della scuola, dopo essere uscito da un ospedale – i medici che lo avevano operato avevano i camici dello stesso colore. Per questo, prima che vi lamentiate, la reazione di Andrea è più che comprovata.
   
 
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