CAPITOLO SEI
Quella sera maledissi più volte mia
madre e arrivai addirittura a pensare che avesse poteri da fattucchiera. Era la
prima volta che indossavo un tacco dodici, e mi rendevo conto che era stato
stupido farlo per andare in discoteca perché su quei trampoli dovevo ballarci,
dopotutto. Forse, col senno di poi, avrei dovuto seguire l’esempio di Greta e
calzare un paio di comode ballerine, lasciando così le decolleté di velluto blu
in valigia, pronte per essere indossate in un’occasione meno movimentata e più
consona. L’idea, però, non era stata neanche presa in considerazione da parte
mia, poiché grazie all’influenza di Alessia, ero fermamente convinta
dell’equazione ‘discoteca uguale tacchi’.
Non avrei mai immaginato, d’altronde,
che sarei inciampata e caduta da un cubo, slogandomi una caviglia. Doveva
esserci per forza lo zampino di mia madre, che in qualche modo era venuta a
sapere del mio acquisto e aveva gufato contro di me.
Era una spiegazione assurda, ma era
l’unica che riuscivo a dare in quel momento. Forse era la presenza di Bassi ad
ottenebrare le mie capacità di giudizio, o più probabilmente ero ancora
imbarazzatissima per via della figuraccia che avevo fatto davanti a tutti i
miei coetanei.
Fino al momento prima della caduta, era
filato tutto liscio. Nonostante i presupposti iniziali, mi ero lasciata andare
e mi stavo divertendo, forse anche per
via del fatto che avessi bevuto un cuba libre così per provare e fossi
diventata leggermente brilla, dato che non ero per niente abituata a bere.
Ridevo infatti per ogni minima cavolata e parlavo più del solito, però riuscivo
a stare in equilibrio perché mi ero sentita abbastanza sicura da poter salire
su un cubo con Alessia e altri nostri compagni per poter ballare.
Ad un certo punto però, dopo una buona
mezzora, Federica aveva voluto imitarci ed era salita anch’ella, spronata
dall’effetto di chissà quanti cocktail. Si notava decisamente che non era molto
sana. Visto il poco equilibrio che si ritrovava, si era aggrappata a Francesco,
che si era appoggiato a sua volta ad Alessia, che si era appoggiata alle mie
spalle. L’unica a cadere, però, era stata la sottoscritta, la quale si trovava
esattamente sul bordo.
Avendo notato la mia caduta, Valerio e
Greta si erano subito avvicinati a me, imitati da molta altra gente, perfino i
professori, con mio profondo rammarico. Quasi mi veniva da piangere per la
vergogna.
- Sto bene. – avevo urlato, per farmi
sentire al di sopra dell’altissimo volume della musica, dopodiché mi ero tirata
su in piedi, ma un dolore lancinante alla caviglia mi aveva costretta ad
aggrapparmi al cubo. Subito Bassi era corso al mio fianco, mi aveva sfilato la
scarpa in quella che avevo reputato una bizzarra parodia del principe con
Cenerentola, e mi aveva ruotato la caviglia causandomi delle smorfie di dolore,
dopodiché si era messo d’accordo con gli altri professori dicendo loro che mi
avrebbe portata in albergo.
A quella notizia avevo sgranato gli
occhi, incredula. Per me non sarebbe stato un problema aspettare, avrei potuto
benissimo sedermi ad un tavolino e stare lì finché i professori non avessero
deciso di tornare in albergo. Non volevo restare sola con Bassi, dopo quello
che era successo al Louvre, perché temevo che ciò mi rendesse meno determinata
nel dimenticarlo.
Sospirai, rendendomi conto che non
avevo proprio nulla da temere. Da quando eravamo usciti dal locale, infatti, né
io né lui avevamo spiccicato parola, preferendo rimanere in un imbarazzante
silenzio, pieno di non detti. Pian piano stavo iniziando a pensare che Greta avesse
ragione e che quindi dovessi armarmi di coraggio e chiedergli perché mai mi
avesse baciata.
Scacciai subito quel pensiero dalla mia
mente, perché una domanda del genere avrebbe solo causato imbarazzo, e quella
serata era già stata abbastanza spiacevole. Era dunque inutile mettermi
d’impegno per renderla ancora più pessima di quanto già non fosse.
Per camminare, inoltre, ero costretta
ad aggrapparmi a Marcello, per evitare che ogni falcata mi causasse fitte in
grado di farmi vedere le stelle. Inutile dire che quel contatto fisico mi
creava non poco imbarazzo. Con la mano sinistra appoggiata alla sua spalla e il
suo braccio destro intorno alla vita, mi era molto facile ripensare al bacio
che ci eravamo scambiati al Louvre.
- Ce la fai a scendere le scale? – mi
chiese Bassi, in tono distaccato, e con sollievo notai che eravamo giunti ad
una stazione della metropolitana.
- Sì, non si preoccupi. – risposi,
brusca, dopodiché mi separai da lui e mi aggrappai al corrimano. Iniziai a
scendere le scale, seppur molto lentamente, ma sollevata di non dover più
appoggiarmi a Marcello. Di nuovo, il silenzio calò su di noi come una cortina
invisibile e ci rese distanti l’uno dall’altra, imponendosi come la barriera
che avrebbe dovuto sussistere tra alunna e professore. Giunta alla fine dei
gradini, però, dovetti di nuovo servirmi di Bassi finché non ci sedemmo su una
panca, in attesa dell’arrivo della metropolitana.
- Non è forse meglio andare in pronto
soccorso? – ruppi il silenzio io, poco dopo, leggermente indignata. Stando a
ciò che mi aveva detto prima di uscire dal locale, mi ero soltanto slogata la
caviglia, e bastava una semplice fasciatura, però dubitavo che in albergo
disponesse delle bende necessarie.
- Ti fa così male? – obiettò Bassi,
beffardo. – La cassetta del pronto soccorso che è in hotel basterà sicuramente.
È solo una slogatura, ripeto. – concluse, freddo.
- Va bene, va bene. – biascicai,
incrociando le braccia. La miracolosa cassetta del pronto soccorso, come avevo
fatto a non pensarci? Scossi la testa, ormai per nulla sorpresa dal suo
atteggiamento. Mi chiesi se avesse continuato su quella linea, una volta
tornati a scuola. Dovevo forse temere che mi prendesse di mira? E per cosa,
poi, per averlo baciato?
L’arrivo della metropolitana interruppe
i miei pensieri e, riluttante, dovetti di nuovo appoggiarmi a Marcello, per
salirvi sopra. Non vedevo l’ora di arrivare in albergo, farmi mettere quella
dannata fasciatura e chiudermi in camera, da sola. Volevo stargli alla larga,
pur sapendo che una volta lontana da lui lo avrei voluto di nuovo al mio
fianco.
Mi maledissi per la mia incoerenza e mi
sedetti, imitata da Bassi.
- Non era costretto ad accompagnarmi in
hotel. – sbottai, poco dopo, interrompendo per la seconda volta quel silenzio
che regnava sovrano. – Avrei potuto benissimo aspettare che ce ne andassimo
tutti.
Era palese che gli pesasse stare lì con
me, ma non lo dissi. Mi ero già esposta abbastanza.
- Con la caviglia gonfia e dolorante? –
ribatté lui, con tono di sufficienza. – No, è meglio fasciarla il prima
possibile.
Perché si preoccupava tanto per la mia
caviglia? Ero convinta che un paio d’ore non avrebbero fatto la differenza, per
cui tanto valeva aspettare, piuttosto che stare in sua compagnia. Avrei tanto
voluto chiedergli come facesse a rimanere così freddo e distaccato nonostante
quel che era successo, in modo da poter attuarlo anch’io e, forse, soffrire un
po’ di meno.
- Se lo dice lei… - commentai con tono
piatto, dopodiché non dissi più nulla, continuando quel perverso gioco del
silenzio che mi faceva stare ancora più male.
Nel giro di venti minuti giungemmo in
hotel. Lì, Marcello richiese in reception la cassetta del pronto soccorso e fu
accontentato.
- Avanti, siediti. – mi ordinò,
perentorio, indicando una poltrona della hall. Mi avrebbe fasciato lui il
piede? Fino a quel momento avevo creduto che l’avrei fatto da sola, sebbene
dubitassi del risultato. Non avevo mai praticato una fasciatura, ma non doveva
essere un’impresa titanica, per cui avrei potuto cavarmela.
- Col cavolo. – risposi io, sgarbata.
Non eravamo gli unici occupanti della stanza, dato che vi erano anche degli
studenti probabilmente tedeschi intenti a giocare a carte. – Non mi pare il
caso, qui. Chissà poi cosa pensano, questi. – spiegai, indicandoli con un cenno
del capo.
- Va bene, andiamo in camera tua,
allora. – acconsentì Bassi, roteando gli occhi, dopodiché salimmo in ascensore,
e lì mi misi a frugare in borsa, alla ricerca delle chiavi della mia stanza.
- Se vuole può darmi la cassetta, ci
penso io a fasciarmi la caviglia. – gli suggerii in tono pratico, certa che
avrebbe accettato senza indugi. Ancora una volta, però, il comportamento di
Bassi mi stupì.
- Non penso che tu ne sia in grado. –
rifiutò, scuotendo la testa. Io continuai a frugare nella borsa, evitando il suo
sguardo che, ne ero certa, mi avrebbe trafitto. – Faccio il volontario alla
croce rossa e ci so fare, con le fasciature.
Beh, ecco svelato il mistero, pensai.
La sua dunque non era preoccupazione
per me e la mia caviglia, ma un semplice interesse in linea con l’etica della
croce rossa. Per lui ero solamente un’infortunata da soccorrere, oltre che una
sua alunna, ma nulla di più.
Sbuffai, chiedendomi dove diavolo si
fossero cacciate le chiavi della mia stanza. Poi, però, un’improvvisa
consapevolezza mi colpì.
- No, ti prego… No, diamine! –
esclamai, in preda alla frustrazione. Potevo essere così stupida?
- Che c’è? – chiese Marcello, inarcando
un sopracciglio.
- Mi sono appena ricordata che è Greta
ad avere le chiavi della stanza. – confessai, ad occhi bassi. Alessia ed io le
avevamo affidate a lei perché era la più responsabile delle tre.
- Ti sei appena ricordata, certo. – sbottò Marcello, con un sorriso sarcastico. –
Inventane una migliore, almeno.
- Come, scusi? – ribattei, sbalordita.
Era naturale che Bassi pensasse male di me, ma non mi aspettavo una reazione
così veemente. Faceva ancora più male della sua freddezza.
- Dai, avanti. – mi esortò lui,
l’espressione del volto che tradiva irritazione. – Non sono stupido. Non vuoi
stare nella hall, e guarda caso non hai le chiavi della tua camera. – spiegò. –
O almeno, così dici. – precisò poco dopo. – Magari le hai nella borsa, ed è
tutta una messinscena.
Montai su tutte le furie. Cosa diamine
si era messo in testa? Per chi mi aveva presa, soprattutto? Per un’alunna
sfacciata ansiosa di stare da sola con lui nella sua stanza per poi saltargli
addosso? Credeva dunque che io gli stessi mentendo, dicendogli che le chiavi le
aveva Greta? Aveva frainteso tutto! Non mi sarei certo stupita se di lì a poco
avesse detto che la mia caduta e la mia successiva slogatura non erano poi del
tutto casuali, e che avessi calcolato perfino quello.
- Vuole controllare nella mia borsa,
per caso? – lo sfidai. In quel momento si aprirono le porte dell’ascensore e
lui mi porse il braccio per aiutarmi ad uscirne. Io rifiutai e ne venni fuori
da sola, seppur zoppicante e a passo di lumaca, dopodiché mi posizionai di
fronte a lui sul pianerottolo, guardandolo con aria di sfida.
- Non mi permetterei mai. – rispose
lui, sostenendo il mio sguardo.
- Bene. – dissi, prima di aprire la mia
borsa e di rovesciarne il contenuto per terra. Vuotai perfino le tasche
interne. – Vede qualche chiave, per caso?
- No. Scusa. – ammise lui, con occhi
bassi, dopo aver dato una rapida occhiata. – Io…
Si era accorto del suo errore,
finalmente. Non avevo voglia di starlo ad ascoltare, però. Come sempre, temevo
le parole che avrebbero potuto uscire dalle sue labbra.
- Si risparmi, la prego. – lo troncai
sul nascere, dopodiché mi chinai per rimettere le mie cose in borsa. Ancora una
volta, però, avevo dimenticato il fatto che stavo indossando dei tacchi
vertiginosi e che avevo una caviglia slogata, così persi l’equilibrio e caddi
in ginocchio. Avvertii una fitta al piede incriminato, ma mi morsi il labbro
inferiore per non mostrare dolore.
Bassi si inginocchiò a sua volta per
aiutarmi a radunare le mie cose, senza dire una parola. Non mi chiedevo neanche
cosa gli passasse per la testa, per me era uno sforzo troppo immane quello di
comprendere la mentalità maschile, figurarsi quella di un ventiseienne che
evidentemente doveva essere molto confuso, visto il suo comportamento.
- Grazie. – gli dissi, per pura
cortesia, una volta rimesso tutto in borsa. Alzai lo sguardo e me lo trovai di
fronte, di nuovo troppo vicino, che mi fissava con uno sguardo strano,
indecifrabile. Mi sentii avvampare, mentre il cuore batteva a mille.
Perché aveva quell’effetto su di me?
Perché bramavo di sentire nuovamente le sue labbra contro le mie e la sua
lingua a lambire la mia?
Fui io a prendere l’iniziativa, questa
volta, agendo d’istinto. Mi sporsi verso di lui e gli diedi un bacio a fior di
labbra, ritraendomi subito, come scottata, non appena mi resi conto di quello
che avevo fatto. Perché ero così sciocca? Era chiaro come il sole che Bassi non
volesse più avere a che fare con me, altrimenti si sarebbe comportato
diversamente nei miei confronti, o per lo meno mi avrebbe fornito una
spiegazione.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata.
Poco dopo, sentii una mano di Marcello
posarsi sotto al mio mento e fare pressione, in modo che i miei occhi
tornassero all’altezza dei suoi. Mi guardò, sorridendo, poi scosse la testa e
annullò la distanza che avevo ricreato tra noi. Mi baciò con passione, ed io mi
aggrappai con forza a lui, desiderando che il tempo si fermasse, sebbene
sapessi che la primavera era ben lontana, e che quella era ancora una semplice
rondine, destatasi troppo presto.
Osservai la mia caviglia, ora ben
bendata. Marcello era stato bravo, ma soprattutto delicato, e non avevo sentito
il minimo dolore, mentre praticava la fasciatura. Io ero ancora stordita per
via del bacio che ci eravamo scambiati poco prima, ed ogni volta che ci
ripensavo mi sentivo bruciare.
Era successo tutto molto in fretta, e
dovevo ancora riprendermi.
Dopo esserci separati ci eravamo alzati
e ci eravamo diretti verso la camera di Marcello, sempre nel più completo
silenzio, che ormai stava diventando una prerogativa di quel nostro rapporto
ancora indefinito. Ormai era chiaro che al Louvre Bassi non mi aveva baciata per
sfizio, altrimenti non lo avrebbe fatto di nuovo. Continuavo però a chiedermi
perché lo avesse fatto; del resto avevo escluso soltanto una delle tante
opzioni disponibili.
- Grazie. – dissi, riferendomi alla
fasciatura. – Ora possiamo tornare nella hall, se vuole.
Detto questo, feci per alzarmi dal
letto, sul quale ero comodamente seduta, ma Bassi scosse la testa e, dopo
essersi posizionato davanti a me, fece leggermente pressione sulle mie spalle
per costringermi a rimanere in quella posizione.
- Perché ti ostini ancora a darmi del
lei? – mi chiese, dopo essersi seduto di fianco a me. – Ormai puoi darmi del
tu, per lo meno in situazioni come questa. – aggiunse, prima di appoggiarsi
alla testiera del letto e sorridermi. Batté poi la mano sul materasso, in un
silenzioso invito a posizionarmi accanto a lui, e così feci. Mi passò un
braccio attorno le spalle ed rabbrividii, a quel contatto, quindi mi affrettai
ad appoggiare la testa sulla spalla per non far vedere quanto fossi arrossita.
Non sapevo cosa pensare. Ero forse di
fronte alla versione moderna del dottor Jekyll e di mister Hide? Il suo
repentino cambio d’umore da glaciale a normale mi aveva spiazzata. Certo, c’era
stato un bacio di mezzo, e quindi questo mutamento era abbastanza
comprensibile, ma rimanevo comunque perplessa, se non addirittura timorosa.
Avevo di nuovo paura che si trattasse solo di un sogno, o comunque di una breve
parentesi, destinata a svanire come una bolla di sapone non appena fossi uscita
da quella stanza. A quel pensiero, mi sfuggì un sospiro.
- Che hai? – mi chiese Marcello, a cui
il mio atto non era passato inosservato.
- Niente. – mentii io, scrollando le
spalle. Non volevo passare quel poco tempo che mi era concesso a disperarmi. Se
fosse stata di nuovo una rondine, mi sarei goduta il suo passaggio senza farmi
troppi problemi, né troppe domande sul comportamento di Bassi.
- Non ti credo. – mi contraddisse lui,
sollevandomi il mento con due dita e costringendomi così a guardarlo negli
occhi. – Che hai? – mi chiese quindi, nuovamente.
- È… È tutto questo. – sputati il
rospo. Mi era difficile mentire ad una persona guardandola negli occhi, tanto
più se per questa provavo qualcosa. – Non so cosa aspettarmi.
Mi morsi il labbro inferiore, dopo aver
pronunciato quelle parole. Era arrivato il momento della verità, finalmente,
quel momento che avevo paventato e insieme atteso. Che cosa sarebbe saltato
fuori?
- Non aspettarti niente, come faccio
io. – mi suggerì Marcello, con un sorriso amaro.
A quelle parole mi scostai da lui,
leggermente indignata. – Beh, non ce la faccio. – ribattei, incrociando le
braccia. Forse per lui era facile, ma per me no. Era normale per me chiedermi
cosa sarebbe successo di lì in avanti, del resto. Non perché avessi speranze
concrete per il futuro, ma per lo meno per comportarmi di conseguenza, per
sapere se era il caso di stare tranquilla o di tornare ai miei buoni propositi
di dimenticarlo.
Marcello scosse la testa, sospirando. –
Detesto dover fare l’adulto. – iniziò. – Alla fine ho ventisei anni, non sono
poi molto più grande di te, eppure mi tocca la parte di quello coscienzioso e
responsabile. Non lo sopporto, sai? – mi confidò, frustrato. Nemmeno per lui
era facile, dovevo immaginarlo. Da quella premessa capii che Alessia aveva
ragione, forse Marcello soffriva della sindrome di Peter Pan, oppure non era
ancora maturo a sufficienza per potersi considerare una persona adulta a tutti
gli effetti. - Se ci fossimo incontrati in un’altra situazione, non avrei
esitato a lasciarmi andare e stare con te, credimi. – fece una pausa,
guardandomi dritto negli occhi. Quelle parole mi riscaldarono il cuore, ma al
contempo permisero ad un’incedente malinconia di farsi strada in me. Marcello
mi stava semplicemente esponendo gli stessi pensieri che innumerevoli volte
avevano popolato la mia mente. Era giunto alle mie stesse conclusioni, del
resto. Se lui non fosse stato il mio professore, la differenza di età sarebbe
stata l’unico ostacolo da superare, e otto anni erano nella norma, tutto
sommato.
- Avremmo potuto incontrarci ovunque. –
proseguì. – Ma il caso ha voluto che ci conoscessimo a scuola.
- Già. – commentai con una smorfia,
prima di appoggiarmi nuovamente alla testiera del letto. – Questa della gita è
solo una breve parentesi, eh? – chiesi poi, anticipando quelli che credevo
fossero i suoi pensieri. - È questo che stai cercando di dirmi.
- In un certo senso sì. – ammise
Marcello. – Vedi, non so precisamente da quando… Però qualche settimana fa ho
iniziato a provare qualcosa per te.
Pensavo fosse solo attrazione fisica. – si bloccò, per studiare una mia
reazione. Io mi irrigidii, contemplando per la prima volta quella possibilità.
Forse stava cercando di dirmi che avevo perso per lui ogni fascino, una volta
ceduto alla tentazione. – L’altro giorno però mi sono dovuto ricredere. – mi
confidò, con un sorriso, e a quel punto mi rilassai, pur continuando a temere
il resto. – Lì al Louvre, parlando con te… Ho capito che c’era sotto ben altro,
e per questo ti ho baciata. Poi mi sono reso conto che era stata una cazzata.
- Di solito queste cazzate si fanno in
due. – puntualizzai, non certo contenta che il nostro bacio fosse definito a
quel modo. Era strano sentirlo parlare così, ma pensai che ciò fosse dovuto al
fatto che finalmente si era tolto la maschera di professore. Quello che mi
stava parlando era solo un normalissimo ragazzo di ventisei anni, evidentemente
afflitto dai miei stessi dubbi.
- Già. A quel punto ho anche capito che
il mio qualcosa era ricambiato, per cui ho iniziato a trattarti freddamente per
non darti illusioni. – continuò Marcello, per quanto potevo vedere gli pesasse.
– Sai meglio di me come stanno le cose.
- Sì. – confermai. – Tu sei il mio
prof, io una tua alunna. Non può succedere nulla tra noi, perché se saltasse
fuori succederebbe un disastro. – riassunsi in poche parole, senza fare a meno
di pensare a Greta. Era stata lei, il giorno prima, a ricordarmi le conseguenze
in cui avrei potuto incorrere se io e Marcello fossimo stati scoperti, al
Louvre. – Però… Non so se riuscirò a mettere questa dannata gita in un
cassetto. Non so se riuscirò a dimenticare tutto. Fino a due giorni fa mi
reputavo solo una sciocca ragazzina che stava tentando di farsi passare la
stupida cotta che si era presa per il suo professore. Sarebbe stato più facile,
così. Avrei relegato tutto in un angolino della mia mente e stop. – sopirai. –
Ora, invece… Dopo che ci siamo baciati, io… Ora non so se posso farcela. Ora
che ho avuto un assaggio di come potrebbe essere, non so se riuscirò a fare
finta di niente. – ammisi, abbassando lo sguardo.
- Io non ho mai detto che tu debba
farlo. – mi contraddisse Marcello e prima che potessi ribattere mi baciò.
Ricambiai il bacio, allacciandogli le braccia al collo. Quella sua ultima
affermazione mi aveva spiazzato, così come quel suo gesto; ciò però non mi
impediva di esserne felice e anzi, mi dava un ulteriore motivo per farlo.
- Cosa devo fare, allora? – sussurrai,
non appena ci separammo.
- Avere pazienza, semplicemente. – mi
rispose lui, con un sorriso. – Sei in quinta e siamo a marzo. Gli ultimi mesi
di scuola volano in men che non si dica, così come la maturità. E poi a Luglio…
- E poi, a Luglio? – lo esortai,
bisognosa di conferme.
- E poi a Luglio si vedrà. – replicò
Marcello con un’alzata di spalle. – Proveremo a vedere come vanno le cose. Tentar
non nuoce, no?
- Già. – dissi con un sorriso, prima di
stringermi a lui, piena di speranza.
Non avevo mai considerato la situazione
sotto quel punto di vista, forse perché non avevo mai pensato a cosa sarebbe
potuto realmente succedere nel caso in cui il mio sentimento fosse stato
ricambiato. Si trattava solo di aspettare; il tempo avrebbe dissolto quel
rapporto professore-alunna pieno di vincolo, dopodiché saremmo stati
semplicemente io e lui. Io una neodiplomata e lui il mio ex-professore.
Sarebbe stato difficile, sì, ma avrei
aspettato. Da quel momento in poi non avrei più guardato alla maturità con
terrore, ma anche con aspettativa, perché finalmente, non appena si sarebbe
conclusa, avrebbe avuto inizio la mia
primavera.
Note dell’autrice
Rieccomi. Sono tornata l’altro giorno
dalle vacanze e mi sono messa subito all’opera, come potete vedere… =)
Finalmente si è capito come la pensava
Bassi, eh? Anche lui ricambia, come avete potuto vedere, e le ha detto che
bisogna solo aspettare. Del resto sono solo quattro mesi. Ma la domanda è: cosa
succederà in questi quattro mesi?
Posso solo dirvi che ne vedrete delle
belle.
Il racconto scritto tempo fa si
concludeva qui, nonostante nella mia testa il seguito fosse ben chiaro. Ora non
mi resta che scriverlo…
Fatemi sapere i vostri pareri, mi
raccomando^^
Passiamo ora ai ringraziamenti:
Alaire94: Eccoti accontentata, dopo averti
tenuto sulle spine! =) Mi spiace per te, ma qui Dani si è buttata tra le
braccia di Marcello… Posso solo dirti che ei prossimi capitoli Valerio sarà
comunque presente, se ti consola… =) Comunque sì, a Lupus ci giocavamo davvero,
in gita. È divertente, e dopo le prime due, tre partite ci fai l’abitudine e
capisci come funziona… Spero che il capitolo ti sia piaciuto^^ Baci
Fataflor: Bene, mi consola che tu abbia capito
qualcosa, del gioco… Credevo di averlo spiegato male, anzi, diciamo che ne ero
certa. xD
Dopo questo capitolo puoi lasciarti
andare a tutti i film mentali che vuoi. Il tuo perseverare nel tifare Bassi ti
ha premiata, come vedi. =) Spero di aver compensato le mie due settimane di
assenza, con questo aggiornamento. Baci =)
DreamsBecameTrue: Grazie per la recensione e per i
complimenti! =) E mi fa piacere che tu sia già innamorata sia del prof che di
Valerio, vuol dire allora che li ho resi bene… xD Per i personaggi non saprei
chi inserire, onestamente… Me li sono immaginata in modo tutto mio, ma magari
proverò a cercare se qualche personaggio famoso corrisponde alle mie
descrizioni… ;) Baci
Kokky: Wow, la tua recensione mi è piaciuta
molto. Hai saputo analizzare molto bene i sentimenti di Bassi, sai? Forse anche
meglio della sottoscritta… xD Parte di questo capitolo era già stata scritta in
precedenza, compreso il pezzo nella camera del prof, in cui lui spiega a Dani
le ragioni delle sue motivazioni. Non ho cambiato nulla, delle sue parole e
devo dire che rispecchiano quello che tu hai scritto nella recensione. =)
Grazie, davvero. Mi ha fatto molto piacere. Vuol dire che sta venendo fuori
come dico io, in un certo senso.
Per quanto riguarda Valerio… Sì, i suoi
motivi li ha, e più avanti salteranno fuori. Però devo dire che anche la
possibilità delle ‘confusioni sessuali’ non è male… xD Avrei potuto pensarci,
eheh.
La rabbia di Daniela nei confronti di
Valerio può essere così spiegata: lei è rimasta molto ferita dal loro
allontanamento, e temeva che se si fosse riavvicinata a lui, come lui del resto
voleva, sarebbe stata di nuovo male, e perciò ha preferito rifugiarsi dietro
una corazza d’ira. Ha preferito aggredire, piuttosto che stare di nuovo male. È
una persona fragile, come hai notato.
Greta e Alessia, beh… Sono le amiche
che un po’ tutte vorrebbero avere, quelle che, come dici tu, sono in grado di
farti ragionare grazie al loro essere così diverse.
Passando a questo capitolo, il tuo tifo
ha avuto effetto. =) Come già detto sopra, inoltre, si sono capite di più le
ragioni del comportamento del prof. Ora bisognerà vedere come si evolveranno le
cose. Perché non sarà facile, in questi quattro mesi, per niente. Spero che il
capitolo ti sia piaciuto, comunque, e ti ringrazio di nuovo per la recensione.
=) Baci