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Autore: Pikky    22/08/2010    5 recensioni
[NUOVO CAPITOLO ON-LINE]
Daniela è cotta di Marcello. Fin qui tutto normale, no?
C'è solo un 'piccolo' problema, tuttavia, oltre al fatto che lui abbia otto anni in più di lei: Marcello è il suo professore.
Daniela sa benissimo che tra loro non potrà mai esserci niente, eppure, in partenza per la gita a Parigi, continua a sperarci e ad abbandonarsi a sciocche fantasie da diciottenne innamorata.
Contrariamente ad ogni aspettativa, Daniela scopre che anche Marcello prova per lei i suoi stessi sentimenti. Come affronteranno la situazione?
[Dal capitolo 5:
Come continuavo a ripetermi, dovevo archiviare il passaggio di quella stupida rondine che aveva sbagliato stagione, e dedicarmi ad altro.
[...] Ormai non sarebbe stato più come prima: se avessi dato spazio alla mia fantasia, questa avrebbe immaginato un seguito a ciò che era successo il giorno prima, e sapevo benissimo che così non sarebbe stato. Mai.
Avere avuto quell’assaggio aveva cambiato tutto. Prima, infatti, quando mi lasciavo andare a quelle sciocche fantasie da ragazzina innamorata, sapevo che sarebbero rimaste tali, mentre ora, se l’avessi fatto, avrei segretamente sperato che si attuassero, che avrei finalmente avuto la mia primavera.
]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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CAPITOLO SEI

 

Quella sera maledissi più volte mia madre e arrivai addirittura a pensare che avesse poteri da fattucchiera. Era la prima volta che indossavo un tacco dodici, e mi rendevo conto che era stato stupido farlo per andare in discoteca perché su quei trampoli dovevo ballarci, dopotutto. Forse, col senno di poi, avrei dovuto seguire l’esempio di Greta e calzare un paio di comode ballerine, lasciando così le decolleté di velluto blu in valigia, pronte per essere indossate in un’occasione meno movimentata e più consona. L’idea, però, non era stata neanche presa in considerazione da parte mia, poiché grazie all’influenza di Alessia, ero fermamente convinta dell’equazione ‘discoteca uguale tacchi’.

Non avrei mai immaginato, d’altronde, che sarei inciampata e caduta da un cubo, slogandomi una caviglia. Doveva esserci per forza lo zampino di mia madre, che in qualche modo era venuta a sapere del mio acquisto e aveva gufato contro di me.

Era una spiegazione assurda, ma era l’unica che riuscivo a dare in quel momento. Forse era la presenza di Bassi ad ottenebrare le mie capacità di giudizio, o più probabilmente ero ancora imbarazzatissima per via della figuraccia che avevo fatto davanti a tutti i miei coetanei.

Fino al momento prima della caduta, era filato tutto liscio. Nonostante i presupposti iniziali, mi ero lasciata andare e mi stavo divertendo, forse  anche per via del fatto che avessi bevuto un cuba libre così per provare e fossi diventata leggermente brilla, dato che non ero per niente abituata a bere. Ridevo infatti per ogni minima cavolata e parlavo più del solito, però riuscivo a stare in equilibrio perché mi ero sentita abbastanza sicura da poter salire su un cubo con Alessia e altri nostri compagni per poter ballare.

Ad un certo punto però, dopo una buona mezzora, Federica aveva voluto imitarci ed era salita anch’ella, spronata dall’effetto di chissà quanti cocktail. Si notava decisamente che non era molto sana. Visto il poco equilibrio che si ritrovava, si era aggrappata a Francesco, che si era appoggiato a sua volta ad Alessia, che si era appoggiata alle mie spalle. L’unica a cadere, però, era stata la sottoscritta, la quale si trovava esattamente sul bordo.

Avendo notato la mia caduta, Valerio e Greta si erano subito avvicinati a me, imitati da molta altra gente, perfino i professori, con mio profondo rammarico. Quasi mi veniva da piangere per la vergogna.

- Sto bene. – avevo urlato, per farmi sentire al di sopra dell’altissimo volume della musica, dopodiché mi ero tirata su in piedi, ma un dolore lancinante alla caviglia mi aveva costretta ad aggrapparmi al cubo. Subito Bassi era corso al mio fianco, mi aveva sfilato la scarpa in quella che avevo reputato una bizzarra parodia del principe con Cenerentola, e mi aveva ruotato la caviglia causandomi delle smorfie di dolore, dopodiché si era messo d’accordo con gli altri professori dicendo loro che mi avrebbe portata in albergo.

A quella notizia avevo sgranato gli occhi, incredula. Per me non sarebbe stato un problema aspettare, avrei potuto benissimo sedermi ad un tavolino e stare lì finché i professori non avessero deciso di tornare in albergo. Non volevo restare sola con Bassi, dopo quello che era successo al Louvre, perché temevo che ciò mi rendesse meno determinata nel dimenticarlo.

Sospirai, rendendomi conto che non avevo proprio nulla da temere. Da quando eravamo usciti dal locale, infatti, né io né lui avevamo spiccicato parola, preferendo rimanere in un imbarazzante silenzio, pieno di non detti. Pian piano stavo iniziando a pensare che Greta avesse ragione e che quindi dovessi armarmi di coraggio e chiedergli perché mai mi avesse baciata.

Scacciai subito quel pensiero dalla mia mente, perché una domanda del genere avrebbe solo causato imbarazzo, e quella serata era già stata abbastanza spiacevole. Era dunque inutile mettermi d’impegno per renderla ancora più pessima di quanto già non fosse.

Per camminare, inoltre, ero costretta ad aggrapparmi a Marcello, per evitare che ogni falcata mi causasse fitte in grado di farmi vedere le stelle. Inutile dire che quel contatto fisico mi creava non poco imbarazzo. Con la mano sinistra appoggiata alla sua spalla e il suo braccio destro intorno alla vita, mi era molto facile ripensare al bacio che ci eravamo scambiati al Louvre.

- Ce la fai a scendere le scale? – mi chiese Bassi, in tono distaccato, e con sollievo notai che eravamo giunti ad una stazione della metropolitana.

- Sì, non si preoccupi. – risposi, brusca, dopodiché mi separai da lui e mi aggrappai al corrimano. Iniziai a scendere le scale, seppur molto lentamente, ma sollevata di non dover più appoggiarmi a Marcello. Di nuovo, il silenzio calò su di noi come una cortina invisibile e ci rese distanti l’uno dall’altra, imponendosi come la barriera che avrebbe dovuto sussistere tra alunna e professore. Giunta alla fine dei gradini, però, dovetti di nuovo servirmi di Bassi finché non ci sedemmo su una panca, in attesa dell’arrivo della metropolitana.

- Non è forse meglio andare in pronto soccorso? – ruppi il silenzio io, poco dopo, leggermente indignata. Stando a ciò che mi aveva detto prima di uscire dal locale, mi ero soltanto slogata la caviglia, e bastava una semplice fasciatura, però dubitavo che in albergo disponesse delle bende necessarie.

- Ti fa così male? – obiettò Bassi, beffardo. – La cassetta del pronto soccorso che è in hotel basterà sicuramente. È solo una slogatura, ripeto. – concluse, freddo.

- Va bene, va bene. – biascicai, incrociando le braccia. La miracolosa cassetta del pronto soccorso, come avevo fatto a non pensarci? Scossi la testa, ormai per nulla sorpresa dal suo atteggiamento. Mi chiesi se avesse continuato su quella linea, una volta tornati a scuola. Dovevo forse temere che mi prendesse di mira? E per cosa, poi, per averlo baciato?

L’arrivo della metropolitana interruppe i miei pensieri e, riluttante, dovetti di nuovo appoggiarmi a Marcello, per salirvi sopra. Non vedevo l’ora di arrivare in albergo, farmi mettere quella dannata fasciatura e chiudermi in camera, da sola. Volevo stargli alla larga, pur sapendo che una volta lontana da lui lo avrei voluto di nuovo al mio fianco.

Mi maledissi per la mia incoerenza e mi sedetti, imitata da Bassi.

- Non era costretto ad accompagnarmi in hotel. – sbottai, poco dopo, interrompendo per la seconda volta quel silenzio che regnava sovrano. – Avrei potuto benissimo aspettare che ce ne andassimo tutti.

Era palese che gli pesasse stare lì con me, ma non lo dissi. Mi ero già esposta abbastanza.

- Con la caviglia gonfia e dolorante? – ribatté lui, con tono di sufficienza. – No, è meglio fasciarla il prima possibile.

Perché si preoccupava tanto per la mia caviglia? Ero convinta che un paio d’ore non avrebbero fatto la differenza, per cui tanto valeva aspettare, piuttosto che stare in sua compagnia. Avrei tanto voluto chiedergli come facesse a rimanere così freddo e distaccato nonostante quel che era successo, in modo da poter attuarlo anch’io e, forse, soffrire un po’ di meno.

- Se lo dice lei… - commentai con tono piatto, dopodiché non dissi più nulla, continuando quel perverso gioco del silenzio che mi faceva stare ancora più male.

Nel giro di venti minuti giungemmo in hotel. Lì, Marcello richiese in reception la cassetta del pronto soccorso e fu accontentato.

- Avanti, siediti. – mi ordinò, perentorio, indicando una poltrona della hall. Mi avrebbe fasciato lui il piede? Fino a quel momento avevo creduto che l’avrei fatto da sola, sebbene dubitassi del risultato. Non avevo mai praticato una fasciatura, ma non doveva essere un’impresa titanica, per cui avrei potuto cavarmela.

- Col cavolo. – risposi io, sgarbata. Non eravamo gli unici occupanti della stanza, dato che vi erano anche degli studenti probabilmente tedeschi intenti a giocare a carte. – Non mi pare il caso, qui. Chissà poi cosa pensano, questi. – spiegai, indicandoli con un cenno del capo.

- Va bene, andiamo in camera tua, allora. – acconsentì Bassi, roteando gli occhi, dopodiché salimmo in ascensore, e lì mi misi a frugare in borsa, alla ricerca delle chiavi della mia stanza.

- Se vuole può darmi la cassetta, ci penso io a fasciarmi la caviglia. – gli suggerii in tono pratico, certa che avrebbe accettato senza indugi. Ancora una volta, però, il comportamento di Bassi mi stupì.

- Non penso che tu ne sia in grado. – rifiutò, scuotendo la testa. Io continuai a frugare nella borsa, evitando il suo sguardo che, ne ero certa, mi avrebbe trafitto. – Faccio il volontario alla croce rossa e ci so fare, con le fasciature.

Beh, ecco svelato il mistero, pensai.

La sua dunque non era preoccupazione per me e la mia caviglia, ma un semplice interesse in linea con l’etica della croce rossa. Per lui ero solamente un’infortunata da soccorrere, oltre che una sua alunna, ma nulla di più.

Sbuffai, chiedendomi dove diavolo si fossero cacciate le chiavi della mia stanza. Poi, però, un’improvvisa consapevolezza mi colpì.

- No, ti prego… No, diamine! – esclamai, in preda alla frustrazione. Potevo essere così stupida?

- Che c’è? – chiese Marcello, inarcando un sopracciglio.

- Mi sono appena ricordata che è Greta ad avere le chiavi della stanza. – confessai, ad occhi bassi. Alessia ed io le avevamo affidate a lei perché era la più responsabile delle tre.

- Ti sei appena ricordata, certo. – sbottò Marcello, con un sorriso sarcastico. – Inventane una migliore, almeno.

- Come, scusi? – ribattei, sbalordita. Era naturale che Bassi pensasse male di me, ma non mi aspettavo una reazione così veemente. Faceva ancora più male della sua freddezza.

- Dai, avanti. – mi esortò lui, l’espressione del volto che tradiva irritazione. – Non sono stupido. Non vuoi stare nella hall, e guarda caso non hai le chiavi della tua camera. – spiegò. – O almeno, così dici. – precisò poco dopo. – Magari le hai nella borsa, ed è tutta una messinscena.

Montai su tutte le furie. Cosa diamine si era messo in testa? Per chi mi aveva presa, soprattutto? Per un’alunna sfacciata ansiosa di stare da sola con lui nella sua stanza per poi saltargli addosso? Credeva dunque che io gli stessi mentendo, dicendogli che le chiavi le aveva Greta? Aveva frainteso tutto! Non mi sarei certo stupita se di lì a poco avesse detto che la mia caduta e la mia successiva slogatura non erano poi del tutto casuali, e che avessi calcolato perfino quello.

- Vuole controllare nella mia borsa, per caso? – lo sfidai. In quel momento si aprirono le porte dell’ascensore e lui mi porse il braccio per aiutarmi ad uscirne. Io rifiutai e ne venni fuori da sola, seppur zoppicante e a passo di lumaca, dopodiché mi posizionai di fronte a lui sul pianerottolo, guardandolo con aria di sfida.

- Non mi permetterei mai. – rispose lui, sostenendo il mio sguardo.

- Bene. – dissi, prima di aprire la mia borsa e di rovesciarne il contenuto per terra. Vuotai perfino le tasche interne. – Vede qualche chiave, per caso?

- No. Scusa. – ammise lui, con occhi bassi, dopo aver dato una rapida occhiata. – Io…

Si era accorto del suo errore, finalmente. Non avevo voglia di starlo ad ascoltare, però. Come sempre, temevo le parole che avrebbero potuto uscire dalle sue labbra.

- Si risparmi, la prego. – lo troncai sul nascere, dopodiché mi chinai per rimettere le mie cose in borsa. Ancora una volta, però, avevo dimenticato il fatto che stavo indossando dei tacchi vertiginosi e che avevo una caviglia slogata, così persi l’equilibrio e caddi in ginocchio. Avvertii una fitta al piede incriminato, ma mi morsi il labbro inferiore per non mostrare dolore.

Bassi si inginocchiò a sua volta per aiutarmi a radunare le mie cose, senza dire una parola. Non mi chiedevo neanche cosa gli passasse per la testa, per me era uno sforzo troppo immane quello di comprendere la mentalità maschile, figurarsi quella di un ventiseienne che evidentemente doveva essere molto confuso, visto il suo comportamento.

- Grazie. – gli dissi, per pura cortesia, una volta rimesso tutto in borsa. Alzai lo sguardo e me lo trovai di fronte, di nuovo troppo vicino, che mi fissava con uno sguardo strano, indecifrabile. Mi sentii avvampare, mentre il cuore batteva a mille.

Perché aveva quell’effetto su di me? Perché bramavo di sentire nuovamente le sue labbra contro le mie e la sua lingua a lambire la mia?

Fui io a prendere l’iniziativa, questa volta, agendo d’istinto. Mi sporsi verso di lui e gli diedi un bacio a fior di labbra, ritraendomi subito, come scottata, non appena mi resi conto di quello che avevo fatto. Perché ero così sciocca? Era chiaro come il sole che Bassi non volesse più avere a che fare con me, altrimenti si sarebbe comportato diversamente nei miei confronti, o per lo meno mi avrebbe fornito una spiegazione.

Abbassai lo sguardo, imbarazzata.

Poco dopo, sentii una mano di Marcello posarsi sotto al mio mento e fare pressione, in modo che i miei occhi tornassero all’altezza dei suoi. Mi guardò, sorridendo, poi scosse la testa e annullò la distanza che avevo ricreato tra noi. Mi baciò con passione, ed io mi aggrappai con forza a lui, desiderando che il tempo si fermasse, sebbene sapessi che la primavera era ben lontana, e che quella era ancora una semplice rondine, destatasi troppo presto.

 

 

 

Osservai la mia caviglia, ora ben bendata. Marcello era stato bravo, ma soprattutto delicato, e non avevo sentito il minimo dolore, mentre praticava la fasciatura. Io ero ancora stordita per via del bacio che ci eravamo scambiati poco prima, ed ogni volta che ci ripensavo mi sentivo bruciare.

Era successo tutto molto in fretta, e dovevo ancora riprendermi.

Dopo esserci separati ci eravamo alzati e ci eravamo diretti verso la camera di Marcello, sempre nel più completo silenzio, che ormai stava diventando una prerogativa di quel nostro rapporto ancora indefinito. Ormai era chiaro che al Louvre Bassi non mi aveva baciata per sfizio, altrimenti non lo avrebbe fatto di nuovo. Continuavo però a chiedermi perché lo avesse fatto; del resto avevo escluso soltanto una delle tante opzioni disponibili.

- Grazie. – dissi, riferendomi alla fasciatura. – Ora possiamo tornare nella hall, se vuole.

Detto questo, feci per alzarmi dal letto, sul quale ero comodamente seduta, ma Bassi scosse la testa e, dopo essersi posizionato davanti a me, fece leggermente pressione sulle mie spalle per costringermi a rimanere in quella posizione.

- Perché ti ostini ancora a darmi del lei? – mi chiese, dopo essersi seduto di fianco a me. – Ormai puoi darmi del tu, per lo meno in situazioni come questa. – aggiunse, prima di appoggiarsi alla testiera del letto e sorridermi. Batté poi la mano sul materasso, in un silenzioso invito a posizionarmi accanto a lui, e così feci. Mi passò un braccio attorno le spalle ed rabbrividii, a quel contatto, quindi mi affrettai ad appoggiare la testa sulla spalla per non far vedere quanto fossi arrossita.

Non sapevo cosa pensare. Ero forse di fronte alla versione moderna del dottor Jekyll e di mister Hide? Il suo repentino cambio d’umore da glaciale a normale mi aveva spiazzata. Certo, c’era stato un bacio di mezzo, e quindi questo mutamento era abbastanza comprensibile, ma rimanevo comunque perplessa, se non addirittura timorosa. Avevo di nuovo paura che si trattasse solo di un sogno, o comunque di una breve parentesi, destinata a svanire come una bolla di sapone non appena fossi uscita da quella stanza. A quel pensiero, mi sfuggì un sospiro.

- Che hai? – mi chiese Marcello, a cui il mio atto non era passato inosservato.

- Niente. – mentii io, scrollando le spalle. Non volevo passare quel poco tempo che mi era concesso a disperarmi. Se fosse stata di nuovo una rondine, mi sarei goduta il suo passaggio senza farmi troppi problemi, né troppe domande sul comportamento di Bassi.

- Non ti credo. – mi contraddisse lui, sollevandomi il mento con due dita e costringendomi così a guardarlo negli occhi. – Che hai? – mi chiese quindi, nuovamente.

- È… È tutto questo. – sputati il rospo. Mi era difficile mentire ad una persona guardandola negli occhi, tanto più se per questa provavo qualcosa. – Non so cosa aspettarmi.

Mi morsi il labbro inferiore, dopo aver pronunciato quelle parole. Era arrivato il momento della verità, finalmente, quel momento che avevo paventato e insieme atteso. Che cosa sarebbe saltato fuori?

- Non aspettarti niente, come faccio io. – mi suggerì Marcello, con un sorriso amaro.

A quelle parole mi scostai da lui, leggermente indignata. – Beh, non ce la faccio. – ribattei, incrociando le braccia. Forse per lui era facile, ma per me no. Era normale per me chiedermi cosa sarebbe successo di lì in avanti, del resto. Non perché avessi speranze concrete per il futuro, ma per lo meno per comportarmi di conseguenza, per sapere se era il caso di stare tranquilla o di tornare ai miei buoni propositi di dimenticarlo.

Marcello scosse la testa, sospirando. – Detesto dover fare l’adulto. – iniziò. – Alla fine ho ventisei anni, non sono poi molto più grande di te, eppure mi tocca la parte di quello coscienzioso e responsabile. Non lo sopporto, sai? – mi confidò, frustrato. Nemmeno per lui era facile, dovevo immaginarlo. Da quella premessa capii che Alessia aveva ragione, forse Marcello soffriva della sindrome di Peter Pan, oppure non era ancora maturo a sufficienza per potersi considerare una persona adulta a tutti gli effetti. - Se ci fossimo incontrati in un’altra situazione, non avrei esitato a lasciarmi andare e stare con te, credimi. – fece una pausa, guardandomi dritto negli occhi. Quelle parole mi riscaldarono il cuore, ma al contempo permisero ad un’incedente malinconia di farsi strada in me. Marcello mi stava semplicemente esponendo gli stessi pensieri che innumerevoli volte avevano popolato la mia mente. Era giunto alle mie stesse conclusioni, del resto. Se lui non fosse stato il mio professore, la differenza di età sarebbe stata l’unico ostacolo da superare, e otto anni erano nella norma, tutto sommato.

- Avremmo potuto incontrarci ovunque. – proseguì. – Ma il caso ha voluto che ci conoscessimo a scuola.

- Già. – commentai con una smorfia, prima di appoggiarmi nuovamente alla testiera del letto. – Questa della gita è solo una breve parentesi, eh? – chiesi poi, anticipando quelli che credevo fossero i suoi pensieri. - È questo che stai cercando di dirmi.

- In un certo senso sì. – ammise Marcello. – Vedi, non so precisamente da quando… Però qualche settimana fa ho iniziato a provare qualcosa per te. Pensavo fosse solo attrazione fisica. – si bloccò, per studiare una mia reazione. Io mi irrigidii, contemplando per la prima volta quella possibilità. Forse stava cercando di dirmi che avevo perso per lui ogni fascino, una volta ceduto alla tentazione. – L’altro giorno però mi sono dovuto ricredere. – mi confidò, con un sorriso, e a quel punto mi rilassai, pur continuando a temere il resto. – Lì al Louvre, parlando con te… Ho capito che c’era sotto ben altro, e per questo ti ho baciata. Poi mi sono reso conto che era stata una cazzata.

- Di solito queste cazzate si fanno in due. – puntualizzai, non certo contenta che il nostro bacio fosse definito a quel modo. Era strano sentirlo parlare così, ma pensai che ciò fosse dovuto al fatto che finalmente si era tolto la maschera di professore. Quello che mi stava parlando era solo un normalissimo ragazzo di ventisei anni, evidentemente afflitto dai miei stessi dubbi.

- Già. A quel punto ho anche capito che il mio qualcosa era ricambiato, per cui ho iniziato a trattarti freddamente per non darti illusioni. – continuò Marcello, per quanto potevo vedere gli pesasse. – Sai meglio di me come stanno le cose.

- Sì. – confermai. – Tu sei il mio prof, io una tua alunna. Non può succedere nulla tra noi, perché se saltasse fuori succederebbe un disastro. – riassunsi in poche parole, senza fare a meno di pensare a Greta. Era stata lei, il giorno prima, a ricordarmi le conseguenze in cui avrei potuto incorrere se io e Marcello fossimo stati scoperti, al Louvre. – Però… Non so se riuscirò a mettere questa dannata gita in un cassetto. Non so se riuscirò a dimenticare tutto. Fino a due giorni fa mi reputavo solo una sciocca ragazzina che stava tentando di farsi passare la stupida cotta che si era presa per il suo professore. Sarebbe stato più facile, così. Avrei relegato tutto in un angolino della mia mente e stop. – sopirai. – Ora, invece… Dopo che ci siamo baciati, io… Ora non so se posso farcela. Ora che ho avuto un assaggio di come potrebbe essere, non so se riuscirò a fare finta di niente. – ammisi, abbassando lo sguardo.

- Io non ho mai detto che tu debba farlo. – mi contraddisse Marcello e prima che potessi ribattere mi baciò. Ricambiai il bacio, allacciandogli le braccia al collo. Quella sua ultima affermazione mi aveva spiazzato, così come quel suo gesto; ciò però non mi impediva di esserne felice e anzi, mi dava un ulteriore motivo per farlo.

- Cosa devo fare, allora? – sussurrai, non appena ci separammo.

- Avere pazienza, semplicemente. – mi rispose lui, con un sorriso. – Sei in quinta e siamo a marzo. Gli ultimi mesi di scuola volano in men che non si dica, così come la maturità. E poi a Luglio…

- E poi, a Luglio? – lo esortai, bisognosa di conferme.

- E poi a Luglio si vedrà. – replicò Marcello con un’alzata di spalle. – Proveremo a vedere come vanno le cose. Tentar non nuoce, no?

- Già. – dissi con un sorriso, prima di stringermi a lui, piena di speranza.

Non avevo mai considerato la situazione sotto quel punto di vista, forse perché non avevo mai pensato a cosa sarebbe potuto realmente succedere nel caso in cui il mio sentimento fosse stato ricambiato. Si trattava solo di aspettare; il tempo avrebbe dissolto quel rapporto professore-alunna pieno di vincolo, dopodiché saremmo stati semplicemente io e lui. Io una neodiplomata e lui il mio ex-professore.

Sarebbe stato difficile, sì, ma avrei aspettato. Da quel momento in poi non avrei più guardato alla maturità con terrore, ma anche con aspettativa, perché finalmente, non appena si sarebbe conclusa, avrebbe avuto inizio la mia primavera.

 

 

 

Note dell’autrice

Rieccomi. Sono tornata l’altro giorno dalle vacanze e mi sono messa subito all’opera, come potete vedere… =)

Finalmente si è capito come la pensava Bassi, eh? Anche lui ricambia, come avete potuto vedere, e le ha detto che bisogna solo aspettare. Del resto sono solo quattro mesi. Ma la domanda è: cosa succederà in questi quattro mesi?

Posso solo dirvi che ne vedrete delle belle.

Il racconto scritto tempo fa si concludeva qui, nonostante nella mia testa il seguito fosse ben chiaro. Ora non mi resta che scriverlo…

Fatemi sapere i vostri pareri, mi raccomando^^

Passiamo ora ai ringraziamenti:

Alaire94: Eccoti accontentata, dopo averti tenuto sulle spine! =) Mi spiace per te, ma qui Dani si è buttata tra le braccia di Marcello… Posso solo dirti che ei prossimi capitoli Valerio sarà comunque presente, se ti consola… =) Comunque sì, a Lupus ci giocavamo davvero, in gita. È divertente, e dopo le prime due, tre partite ci fai l’abitudine e capisci come funziona… Spero che il capitolo ti sia piaciuto^^ Baci

Fataflor: Bene, mi consola che tu abbia capito qualcosa, del gioco… Credevo di averlo spiegato male, anzi, diciamo che ne ero certa. xD

Dopo questo capitolo puoi lasciarti andare a tutti i film mentali che vuoi. Il tuo perseverare nel tifare Bassi ti ha premiata, come vedi. =) Spero di aver compensato le mie due settimane di assenza, con questo aggiornamento. Baci =)

DreamsBecameTrue: Grazie per la recensione e per i complimenti! =) E mi fa piacere che tu sia già innamorata sia del prof che di Valerio, vuol dire allora che li ho resi bene… xD Per i personaggi non saprei chi inserire, onestamente… Me li sono immaginata in modo tutto mio, ma magari proverò a cercare se qualche personaggio famoso corrisponde alle mie descrizioni… ;) Baci

Kokky: Wow, la tua recensione mi è piaciuta molto. Hai saputo analizzare molto bene i sentimenti di Bassi, sai? Forse anche meglio della sottoscritta… xD Parte di questo capitolo era già stata scritta in precedenza, compreso il pezzo nella camera del prof, in cui lui spiega a Dani le ragioni delle sue motivazioni. Non ho cambiato nulla, delle sue parole e devo dire che rispecchiano quello che tu hai scritto nella recensione. =) Grazie, davvero. Mi ha fatto molto piacere. Vuol dire che sta venendo fuori come dico io, in un certo senso.

Per quanto riguarda Valerio… Sì, i suoi motivi li ha, e più avanti salteranno fuori. Però devo dire che anche la possibilità delle ‘confusioni sessuali’ non è male… xD Avrei potuto pensarci, eheh.

La rabbia di Daniela nei confronti di Valerio può essere così spiegata: lei è rimasta molto ferita dal loro allontanamento, e temeva che se si fosse riavvicinata a lui, come lui del resto voleva, sarebbe stata di nuovo male, e perciò ha preferito rifugiarsi dietro una corazza d’ira. Ha preferito aggredire, piuttosto che stare di nuovo male. È una persona fragile, come hai notato.

Greta e Alessia, beh… Sono le amiche che un po’ tutte vorrebbero avere, quelle che, come dici tu, sono in grado di farti ragionare grazie al loro essere così diverse.

Passando a questo capitolo, il tuo tifo ha avuto effetto. =) Come già detto sopra, inoltre, si sono capite di più le ragioni del comportamento del prof. Ora bisognerà vedere come si evolveranno le cose. Perché non sarà facile, in questi quattro mesi, per niente. Spero che il capitolo ti sia piaciuto, comunque, e ti ringrazio di nuovo per la recensione. =) Baci

   
 
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