Capitolo XX
Non avrei mai immaginato che un giorno
avrei potuto pensare una
cosa simile, ma dopo che Enrico se ne fu andato, quella notte
– era rimasto
fino alla fine a farmi compagnia, limitandosi ad accarezzarmi i capelli
in
perfetto silenzio – mi sentii improvvisamente sola. Proprio
come se ne sentissi
la mancanza.
Mia madre, ben lungi anche solo
dall’immaginare quello che in
realtà c’era tra me e lui, sembrava felice del
nostro riavvicinamento, e mi
aveva confidato che sperava che la sua presenza mi aiutasse ad
alleviare il
dolore della perdita di mio nonno, che era stato per me un secondo
padre. Non
avevo replicato, trovando come scusa il dover apparecchiare per
mangiucchiare
qualcosa per cena – anche se nessuno di noi aveva voglia di
cucinare, tanto che
mio padre fu costretto ad andare a comprare una pizza.
Rimasi per tutto il resto della
serata, fin quando non mi arresi e
andai a dormire, a pensare e riflettere sul comportamento di Enrico e
su quello
che avrebbe potuto significare la sua presenza in
quell’occasione. Non avevo
mai avuto un fidanzato serio, in
genere mi sentivo saltuariamente con qualcuno ma senza nessuno scopo
particolare, e di conseguenza non era mai capitato di doverne
presentare uno ai
miei genitori. Questa volta, invece, non solo i miei lo avevano
conosciuto, ma
era stato al mio fianco in una circostanza nella quale quel suo
comportamento
poteva essere benissimo frainteso: inoltre, mia madre ne sembrava
stranamente
entusiasta, e mio padre, col suo silenzio, aveva dato una sorta di
beneplacito
alla situazione. Come se io avessi richiesto una cosa simile! Enrico
non era il
mio ragazzo, che diavolo, non lo sarebbe mai stato! Ma come spiegare
l’intera faccenda ai miei
genitori senza
provocare uno scandalo nazionale? Senza contare poi che quello non era
di certo
il momento adatto.
Insomma, fatto sta che quella notte,
tra una cosa e l’altra,
dormii pochissimo e dormii male.
Il mattino dopo, appena svegliata, il
primo messaggio che
ricevetti fu da parte di Enrico.
Buongiorno,
Giulia. Hai
dormito bene? Spero davvero di si. Vuoi che venga
all’ospedale a tenerti
compagnia, questo pomeriggio? Fammi sapere – io sono sempre
disponibile, lo
sai.
Rilessi a lungo e più volte
quel piccolo SMS, come se da un momento
all’altro si fosse potuto trasformare in
una minaccia delle sue o in una bomba ad orologeria: non sapevo cosa
rispondergli – ma sapevo che, in ogni caso, qualcosa
avrei dovuto dirgliela. Dopotutto era stato molto gentile con me,
malgrado…
Beh, malgrado tutto quello che era successo.
Comunque, quel messaggio non sembrava
una minaccia. Anzi, mi aveva
chiesto se volevo che venisse a
farmi
compagnia, così, semplicemente, come avrebbe potuto
chiedermelo Alessandra.
Ecco! Magari, se avessi potuto vedere il rapporto con Enrico
così come vedevo
quello con Ale, cioè come un bel ma semplice legame di
amicizia, non sarebbe
stato così difficile accettare le sue attenzioni e
gentilezze… Benchè sapessi
chiaramente, tuttavia, che non era l’amicizia quello che
voleva da me.
Sospirai, iniziando a digitare una risposta che non sembrasse
né troppo gelida
ma neanche troppo amichevole. Che cavolo, non ero brava con le mezze
misure!
Una cosa poteva essere o bianca o nera, non grigia… Ma in
questo caso evidentemente
la mia filosofia non poteva essere applicata.
Buongiorno
Enrico. Diciamo
che avrei potuto dormire meglio… Ad ogni modo, decidi tu.
Non voglio esserti di
disturbo, hai già fatto… molto… per
me. Davvero, se sei impegnato non sei
obbligato.
Pigiai il tasto di invio prima di
poterci ripensare – anche se ciò
fu inevitabile. Dandomi mentalmente della sciocca, digitai un nuovo
messaggio e
glielo spedii frettolosamente. Grazie per
ieri, comunque. Fu tutto quello che scrissi.
Non dovetti aspettare molto la sua
risposta – chissà perché,
sembrava che quando si trattava di me aveva sempre il cellulare a
portata di
mano.
A me non
disturbi affatto,
Giulia, altrimenti non te l’avrei chiesto. Sai già
qual è la mia posizione, al
riguardo… E comunque, non devi ringraziarmi per ieri.
L’ho fatto con piacere…
Oh no, ecco che riprendeva con il
tono… dolce! Scossi
piano la testa, il dito sospeso a mezz’aria sopra la
tastiera nel vano tentativo di pensare una risposta. Che diavolo, era
sempre
così difficile mandargli un messaggio, perché lui
avrebbe potuto fraintenderlo
come niente!
Alla fine, piuttosto innervosita,
scrissi la risposta. Senti, fai come vuoi. A
me non cambia nulla.
E lo spedii prima di cambiare idea. Non avevo tempo e non avevo voglia
di
essere diplomatica in quel momento, che mi prendesse per quello che
ero.
Naturalmente, neanche due minuti dopo mi arrivò il suo
messaggio: proprio a
tempo di record.
Allora va
bene, verrò. Una faccina che sorrideva. A
più tardi, Giulia. Un bacio.
Un bacio. Un bacio? Aveva davvero
voglia di irritarmi? Abbandonai
il telefono sopra la cassettiera e scesi a fare colazione, senza
neppure
rispondergli. Avevo già fatto abbastanza danni in quei pochi
minuti. Eppure,
stranamente, il fatto che sarebbe venuto a farmi compagnia mi aveva in
un certo
senso… rincuorata.
Quella mattina, verso le dieci,
Alessandra mi raggiunse a casa di
mia nonna. Le avevo mandato un messaggio di notte, prima di andare a
letto, per
darle la notizia, e mi aveva promesso che sarebbe passata.
Così mi sarei potuta
sfogare e le avrei anche raccontato di quello che stava succedendo con
Enrico –
avevo davvero bisogno di dirlo a qualcuno. Naturalmente ci appartammo
nel
salone in cui avevo trascorso tutta la serata del giorno prima, in modo
da
essere al sicuro dalle orecchie indiscrete degli ospiti e dei parenti
della
nonna che non avevano cessato un solo momento di fare avanti e indietro.
Così, tra un sorso di
thè alla pesca e qualche biscotto, le
raccontai gli ultimi aggiornamenti della Questione Enrico. Lei mi
ascoltò in
silenzio senza mai intervenire, come se volesse entrare a conoscenza di
tutto quanto prima di esprimere
qualsiasi genere di giudizio. Alla fine poi, con un sospiro,
parlò.
“Sarò breve e
concisa, Giulia: sai benissimo che a me, Enrico, non
piace.” Esordì guardandomi negli occhi, senza
tanti giri di parole.
Io annuii, certa che avrebbe detto
qualcosa del genere. “Neanche a
me, se è per questo.” Replicai, sorseggiando il
thè. “È solo che il suo recente
comportamento mi ha lasciato piuttosto confusa…”
“Beh, non ti
nasconderò che potrei anche pensare che si tratti di
una misera mossa per legarti di più a sé, o per
intenerirti, o chissà
cos’altro…”
“Hai sentito cosa ti ho
detto a proposito di sua madre, vero?”
Lei fece un cenno con la mano.
“Sì, sì, infatti ho detto potrei.” Ribattè.
“Comunque, mi chiedo:
perché tirare fuori questa apparente dolcezza solo ora?
Voglio dire, avrebbe
potuto intuire che se avesse cercato di conquistarti così
sin dall’inizio,
forse le cose sarebbero andate diversamente. Ma devo rinfrescarti la
memoria?
Ti ha rapito, ha picchiato Matteo, ha minacciato di farci del male, e
tutto
perché tu – in chissà quale remota
realtà – avresti potuto non accettare le sue
attenzioni. Cosa che, ad ogni modo, mi sembra che tu stia facendo. O
no?”
Scrollai le spalle, senza guardarla.
“Sì, beh, ci stavo provando,
ma poi ha tirato fuori questa storia della tregua
e…”
“Lo so, e tu sei troppo
presa da quello che è successo per poter
riflettere lucidamente sul significato dei suoi gesti.”
Ammise, con un tono di
voce decisamente più dolce. “Senti, geme, io non
posso fare a meno di credere
che tutte le sue azioni nascondano un doppio significato. Ed era quello
che
credevi anche tu, cavolo! Perché adesso sei così
titubante? Gli è bastato farti
gli occhioni dolci per ammaliarti? Sei troppo tenera col prossimo,
lasciatelo
dire…”
Accennai un sorriso, mentre annuivo
lentamente. “Potrebbe essere…”
Mormorai.
Lei continuò imperterrita
col suo discorso. “Senza contare, poi,
che stiamo pur sempre parlando di un… Come vogliamo
chiamarlo? ‘Assassino’ mi
sembra troppo forte, ma credo che ‘mafioso’ possa
andare.”
“Geme!”
“Lasciami
finire!”, mi pregò. “Sì,
dicevo, è comunque un
delinquente. Anche se adesso può sembrare il ragazzo
più dolce della terra, che
cosa ti assicura che una volta finito tutto questo non
tornerà ad essere
l’egoista viziato che conoscevi? Ammesso e non concesso che
tu lo conosca
davvero, comunque.”
Questa volta spettò a me
sospirare – ero costretta a darle
ragione. “Dai voce alle mie stesse preoccupazioni, geme, e
questo non mi aiuta…
Speravo di trovare un parere più netto e deciso.”
La sua mano si posò
gentilmente sulla mia spalla, facendomi
sollevare lo sguardo per incontrare il suo, scuro come la cioccolata.
“Cosa
vuoi che ti dica? Di lasciarlo perdere di nuovo? Abbiamo già
appurato che
questo non funziona. Ma non puoi aspettarti che io ti faccia gettare
tra le sue
braccia, non dopo tutto quello che ha fatto. Mi dispiace di non poterti
essere
realmente d’aiuto, ma questo purtroppo è tutto
ciò che posso fare.”
Scrollai le spalle con insofferenza,
senza sapere che pesci
pigliare. Sembrava davvero quella che si diceva impasse…
una situazione senza uscita, eh? E io che mi lamentavo di
non avere una vita emozionante. Dopo aver fatto sparire
l’ennesimo biscotto –
se ogni volta che ero così stressata mi veniva da mangiare
in quantità
industriale, nel giro di poche settimane avrei raggiunto il girovita di
una
balena – mi rivolsi nuovamente ad Alessandra, questa volta
cambiando
prudentemente discorso. Ne avevo fin sopra i capelli di quella storia
di
Enrico.
“E tu, invece, cosa mi
racconti? Va tutto bene con Riccardo?”
Chiesi, riuscendo a distrarci entrambi. I suoi occhi infatti si
illuminarono, e
un dolce sorriso apparve sulle sue labbra: ah, quanto la
invidiavo… Riccardo
almeno non andava in giro a spaventare la gente.
“A gonfie vele, direi! Non
avrei mai immaginato che potesse essere
così tenero…” Iniziò,
partendo subito in quarta con descrizioni dettagliate su
quello che facevano e che le diceva – sempre rimanendo nei
limiti della
decenza, naturalmente: non volevo che mi colpisse una carie improvvisa,
e la
mia migliore amica tendeva ad essere particolarmente smielata quando si
trattava di situazioni di cuore. O perlomeno lo era con le sue. Ad ogni
modo,
le fui immensamente grata per essere riuscita a strapparmi delle serene
risate
– per la prima volta dopo troppo tempo, purtroppo;
così, almeno per qualche ora
riuscii a godermi la vicinanza della mia geme senza pensare quasi per
niente ad
Enrico.
A lui, invece, fui costretta a
pensarci quando, quel pomeriggio,
tornammo per la veglia in ospedale. Lui era lì – o
meglio, ci raggiunse poco
dopo per non sembrare troppo invadente – e rimase accanto a
me per tutta la
sera, come aveva già fatto il giorno prima. Non fece nulla
di riprovevole, a
meno che non fosse considerato una trasgressione l’avermi
tenuto compagnia come
un buon amico.
Ed ecco l’altro problema
– spuntavano come funghi, ultimamente!
Come diavolo dovevo considerarlo, soprattutto di fronte alla mia
famiglia? Ricordo
che alcuni dei nostri parenti l’osservarono con occhio
critico e sospettoso,
evidentemente conoscendo di fama la sua famiglia, ma il fatto che fosse
abbigliato decentemente e avesse un atteggiamento elegante ed garbato
– oltre a
quello che lo presentai come un mio amico – servì
a soffocare eventuali domande
e commenti imbarazzanti.
In effetti, sembrava essersi voluto
dare apposta un aspetto meno
inquietante. Indossava lunghi jeans chiari, scarpe da tennis e una
camicia nera
con le maniche lunghe arrotolate fin sotto i gomiti; non aveva tatuaggi
né
piercing strani, insomma, aveva proprio le sembianze del bravo ragazzo
o del principe azzurro. Ah, non il mio, chiaramente.
Comunque, visto che a dispetto di
tutti i più famosi adagi,
l’abito faceva il monaco,
nessuno
avrebbe mai potuto dubitare che sotto quell’apparenza di
perfetto ‘fidanzato’
si celasse quella di un altrettando perfetto criminale. E ancora non
sapevo se
considerarlo come un bene o un male per la mia causa.
Poi, il giorno dopo ci fu il funerale.
Probabilmente non era il massimo
seguire una funzione di quel
genere alle tre del pomeriggio, con il caldo che penetrava fin sotto la
pelle e
che mi fece rimpiangere sinceramente di aver indossato tutto quel nero
e di
aver lasciato i capelli sciolti. Il ventaglio purtroppo serviva
relativamente.
Malgrado per tutta la messa fossi
rimasta accanto alla mia
famiglia, seduta tra mia madre e mia sorella, mi accorsi che Enrico non
mi
aveva lasciata moralmente sola
neppure per un istante. Lui era seduto a qualche bancata di distanza,
abbastanza
lontano da concedermi un po’ di intimità con i
miei ma abbastanza vicino da
farmi accorgere della sua presenza. C’era anche Alessandra,
certo, eppure
rammento che fu Enrico quello di cui mi ricordo di più in
quell’occasione –
forse perché era tutto talmente assurdo…
Una volta che la messa fu terminata,
mia nonna con mia madre e gli
altri zii si misero vicino per ricevere le condoglianze di rito
– perfetti
sconosciuti che si mischiavano agli amici più stretti, e che
pretendevano di
poter condividere il dolore della nostra perdita e di quella,
più grave, di mia
nonna. Dopo una vita trascorsa insieme al marito, dubitavo che
sarebbero
bastate quelle gelide condoglianze a tirarle su il morale. Io cercai di
rimanere da una parte insieme a mia sorella, come se avessi voluto
proteggerla
da quella folla a mio avviso indesiderata, ma qualcuno ci raggiunse lo
stesso e
ci abbracciò, e come se non bastasse noi dovemmo anche
sforzare un sorriso di
circostanza tra le lacrime, per far vedere che eravamo grate di quella
partecipazione.
Ma, grazie a Dio, anche quello strazio
terminò presto. Il feretro
venne accompagnato all’esterno della chiesa, e dietro la
macchina funebre ci
accodammo tutti noi – questa volta non avevo voluto lasciare
sola mia nonna e
mi misi accanto a lei, davanti, insieme a mia madre e ai suoi fratelli.
Il
caldo era sempre più terribile, e noi eravamo ancora ben
lontani dal
camposanto.
E potevo chiaramente avvertire la
presenza di Enrico a pochi passi
dietro di me, così vicino che avrei potuto toccarlo se solo
avessi allungato
una mano. Ma cercare il suo contatto non era qualcosa che potevo
desiderare
razionalmente – un conto era stato permettergli di
accarezzarmi, la sera prima,
in un momento in cui non sarei stata capace di fare
nient’altro, ma un altro
conto era cercarlo di mia spontanea volontà: il sole non
aveva ancora smesso di
sorgere, dopotutto, no?
Ripresi coscienza del luogo in cui mi
trovavo solo dopo aver
raggiunto il camposanto, quando il prete iniziò a recitare
le ultime preghiere
e a benedire il feretro prima che esso venisse tumulato. Ormai non
avevo più
lacrime da versare, i miei occhi erano completamente asciutti, e non
riuscii a
piangere neppure quando la bara venne calata nella buca nel terreno,
precedentemente scavata. In mezzo a tutti i miei parenti che
continuavano a
piangere mi sentii a disagio e, imbarazzata seppur senza alcuna reale
ragione,
mi spostai da una parte, cercando di allontanarmi da quella calca di
gente. Andai
a ripararmi sotto un albero, una quercia forse, e da lì
rimasi ad osservare la
scena da lontano.
Tuttavia, non rimasi sola molto a
lungo; qualcuno si accorse della
mia sparizione e venne a cercarmi, e quel qualcuno era proprio Enrico
– ancora non
avevo capito se desideravo vederlo o meno.
Mi raggiunse con passo rapido, come se
non avesse fatto altro che
aspettare quel momento tutto il tempo, e quando mi fu di fronte lo
sentii
chiaramente ansimare, seppur leggermente. Decisi tuttavia che doveva
essere
infastidito da altro, non potevo accettare – questa era la
mia ragione che
parlava – che fosse sul serio in pena per me. Maledizione,
era più forte di me!
Eppure, quando me lo trovai davanti, e
i miei occhi incrociarono i
suoi, le lacrime che avevo creduto di aver terminato sgorgarono
un’ultima
volta, facendomi benedire il momento in cui avevo deciso di non
truccarmi. Spalancò
le braccia, e malgrado l’avessi fissato incredula –
i miei occhi stentavano a
credere a quel suo gesto – lui non demorse, e dopo aver fatto
un altro passo
verso di me mi attirò nel suo abbraccio, stringendomi contro
il suo petto. Non mi
lamentai per il caldo terribile che quella stretta non faceva che
acuire, e non
cercai neppure di sgridarlo per aver approfittato della mia debolezza
in modo
così sfacciato. Non lo feci semplicemente perché
non lo pensavo. In quel
momento ero certa che Enrico volesse solo ed esclusivamente
confortarmi, come
confermò la sua mano tra i miei capelli e i sussurri con i
quali cercava di
tranquillizzarmi. Ma io continuavo a piangere, e i singhiozzi mi
facevano
sussultare come una bambina di cinque anni che non riesce a mantenere
il
controllo di sé: mi accorsi vagamente di aver accentuato io la stretta, sprofondando sempre di
più nel suo abbraccio e
aderendo con tutto il corpo al suo.
Non c’era
nient’altro da fare, se non rimanere ancora e ancora
stretta tra le sue braccia. La sua vicinanza non mi era mai parsa
più serena e
confortante come in quel momento.
Enrico non cercò di
allontanarmi da lui nemmeno quando il caldo si
fece intollerante: sembrava che l’unico suo scopo fosse
diventato quello di
tenermi aggrappata a lui, all’ombra di quella quercia, e di
questo non potei
che essergliene grata. Alla fine, quando il mio pianto
sembrò essersi
acquietato e la mia voce sembrò essere tornata, seppur
debolmente, non potei
fare a meno di mormorare, indistintamente, queste precise parole.
“Grazie…
Enrico.”
Ma quella che mi sorprese di
più fu la sua breve risposta.
Potrei giurare che abbia sorriso, nel
sussurrarmi all’orecchio. “Dovere,”
mormorò, teneramente.
Grazie al Cielo non riuscì
a vedermi arrossire.
________________________________________________________________________________________________________________________________
AA - Angolo Autrice:
Buonasera! ^^ Da quanto tempo... Praticamente un mese senza aggiornamenti! Mai che riesca a rispettare le scadenze, porca paletta! -.-''
Ma bando alle ciance! O, come dice una mia amica, ciando alle bande! :D Sbaglio o qui abbiamo un piccolo cambiamento della situazione?? Sì, per la vostra gioia Giulia sta cambiando idea sul nostro bello - ma stronzo - Enrico! Anzi, forse l'ha già cambiata, dai, voglio farvi felici ù.ù Che ne pensate? E comunque siamo un pò lontani dal lieto fine, anche se adesso l'atmosfera tra loro sarà più tranquilla non rilassatevi troppo, perchè devono ancora succederne delle belle. Ma qui taccio perchè non voglio mica svelarvi troppi retroscena, nè ù.ù
And now... Ringraziamenti! *__*
Grazie infinite alle mie preziose Discepole (ormai vi chiamerò così fino alla fine :D) che continuano a seguirmi malgrado gli aggiornamenti centellinati goccia a goccia! In particolare un grazie speciale a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, e cioè prettyvitto, Aly in Wonderland, roxb, Eky_87, irene862, Rosella, Alebluerose91, SenzaFiato, Valentina78, Elly4ever e Ada Wong - vi ringrazio tantissimo per le splendide recensioni e per i complimenti che costantemente fate alla mia storia e a me, sono sempre molto felice ed emozionata quando li leggo, davvero, continuate così! ^^ Inoltre voglio dare il benvenuto a tutte le nuove arrivate, spero che questa storia continui a piacervi fino alla fine e che riusciate ad affezionarvi ai personaggi almeno quasi quanto li amo io! *__*
Grazie ancora alle 115 che hanno raggiunto la storia alle Preferite, e grazie alle 181 che l'hanno inserita tra le Seguite: oh, come farei senza di voi? ;)
Ora vi saluto, fatemi sapere cosa ne pensate di quest'altro capitolo! ^^
Un bacione, ci sentiamo al prossimo chapter - in tempi, se non proprio brevi, almeno accettabili... Spero ç__ç (a tal proposito vi invito a non demordere, il 15 ho il test d'ingresso per l'università e dovrei anche studiare, perciò se tardo sapete il motivo :p) Bye bye, a presto!
Ancora grazie mille e tanti baci! =*
La vostra
GiulyRedRose