Salve! (:
Erano decenni che non
aggiornavo, ma finalmente, rileggendo la saga per l’ennesima volta, ho avuto
l’ispirazione per scrivere l’ultima (chilometrica) shot.
Dubito di ricevere recensioni, ma la pubblico perché ci ho messo davvero gran parte
del mio infinito amore per la saga e soprattutto per Sirius.
Ho amato, amo e amerò per
il resto della mia vita ciò che il genio di J. K. Rowling è stato in grado di
regalarmi. Lei non lo saprà mai, ma questa piccola, insignificante storia
gliela dedico.
Grazie Joanne, per avermi trasmesso una passione per la scrittura
che senza di te non sarebbe mai nata; grazie per avermi trasmesso valori
importanti come amore, amicizia e lealtà; grazie per tutto quello che hai,
inconsciamente, fatto per me. <3
I quattro versi finali
sono tratti dalla canzone Safeguard to Paradise, degli Epica e
riassumono in breve quello che Althea prova dopo la morte di Sirius e quello
che ho provato io dopo la fine della saga.
Beh, i disclaimer sono sempre i soliti: Sirius Black così come
tutti i personaggi citati nella sottostante fanfiction
non sono di mia proprietà, ma appartengono a J. K. Rowling, eccezion fatta per
Althea e Holly che sono personaggi fittizi creati dalla sottoscritta. La
canzone inserita non è di mia proprietà, ma è frutto dello straordinario
talento di Mark Jansen, che
ahimé non mi appartiene, di Ad, Coen, Yves, Arien e Simone.
Detto questo, enjoy it!
Eli.
Deep Purple:
Capitolo VII.
Beyond The Veil.
12 gennaio 1996
A Grimmauld Place si stava
svolgendo una riunione straordinaria dell’Ordine della Fenice: Dumbledore, come
sempre, stava seduto a capotavola e la presiedeva. Stava mettendo al corrente i
membri dell’Ordine dei suoi sospetti a proposito dell’esistenza di un
collegamento tra la mente di Harry Potter e Lord Voldemort, seppure per ora era
chiaro che il Mago Oscuro non ne era a conoscenza oppure non aveva ancora
imparato a controllare questi canali di comunicazioni tra la sua mente e quella
del ragazzo. Il Preside aveva ovvie ragioni per sostenere che appena Voldemort
si fosse accorto del contatto lo avrebbe sfruttato per raggiungere il suo
scopo, ovvero quello di penetrare nell’Ufficio Misteri. Non sapeva ancora come
avrebbe fatto e quando avrebbe indotto Harry al Ministero per recuperare la
profezia, ma riteneva opportuno che nel frattempo il giovane Potter studiasse
l’Occlumanzia in modo tale che fosse in grado di difendersi da un’eventuale
incursione forzata e indesiderata nella sua mente.
Nessuno ebbe niente da
ridire su ciò che Dumbledore aveva appena detto pertanto si passò ad
organizzare i turni di guardia davanti all’Ufficio Misteri, intensificando la
sorveglianza ed elaborando stratagemmi per allontanare i Deatheaters.
Ogni volta che in una
riunione dell’Ordine si arrivava a questo punto, Sirius non poteva fare a meno
di alzarsi e lasciare la stanza. Si recava in salotto, si preparava un
bicchiere di Whisky Incendiario e poi si lasciava sprofondare su una grande e
comoda poltrona rossa, da poco rimessa completamente a nuovo da Molly,
mettendosi ad osservare in religioso silenzio il cielo nero della notte.
Quella sera non fece
eccezione.
Uscì dalla cucina e andò
dritto verso lo scaffale dei liquori. Si versò un bicchiere più generoso del
solito, sperando che in qualche modo l’alcool riuscisse a bruciare tutta la
rabbia e la frustrazione che ormai si portava appresso da mesi.
Nessuno aveva compreso il
senso di prigionia che lo opprimeva, mentre era costretto a trascorrere i suoi
giorni a Grimmauld Place, 12 e di certo le sporadiche visite di Piton, farcite
di commenti sprezzanti e divertiti, così come le stesse riunioni dell’Ordine
che non facevano altro che farlo sentire inutile, non erano un toccasana per i
suoi nervi in continua tensione.
Il tempo sembrava passare
in maniera diseguale in funzione del suo umore; quando riusciva a sentirsi
abbastanza rilassato, in genere era anche in compagnia di qualcuno, come Remus,
e le ore sembravano prendersi gioco di lui e trascorrere come se fossero
minuti. Quando invece si trovava da solo, a vagare tra antichi quadri e
tendaggi ammuffiti erano i minuti a prenderlo in giro visto che sembravano
durare molto più dei soliti sessanta secondi. Durante i suoi giretti, spesso si
era ritrovato davanti a quell’odioso albero genealogico e in molte di quelle
occasioni aveva desiderato distruggerlo, bruciarlo, farlo Evanescere. Aveva
cercato a lungo un modo per toglierlo da quel muro su cui sembrava aver messo
le radici, setacciando a fondo nella biblioteca della dimora della Nobile e
Antichissima Casata dei Black e mandando Kreacher a frugare nei vecchi manieri.
Dopo innumerevoli tentativi si rese conto che era inutile concentrare i suoi
sforzi su quell’impresa apparentemente impossibile e decise allora di disfarsi
di tutti i cimeli della famiglia Black sparsi per i vecchi scaffali polverosi o
nelle spettrali stanze. Aveva passato giornate intere, migrando da una camera
all’altra e stringendo un enorme sacchetto nero tra le mani, uno di quelli che
usavano anche i Babbani in modo che gli spazzini lo confondessero con gli altri
e lo portassero via come se fossero normali rifiuti. Tutto ciò non era
approvato dall’elfo domestico, così odiosamente devoto a sua madre e,
purtroppo, sua unica compagnia costante in quella topaia che nella sua memoria
risvegliava solo incubi sopiti da anni e che mai avrebbero dovuto riprendere
vita. Ogni tanto, si era ritrovato ad osservare con disprezzo i miseri
tentativi della creatura di salvare qualsiasi calice scheggiato che fosse mai
stato toccato da Walburga o diversi ritratti di famiglia; più di una volta
aveva tentato di fermarlo e nonostante gli avessi sequestrato dalle mani
grinzose ciò che stava cercando di trafugare, era convinto che l’essere
riusciva comunque a mettere da parte qualcosa. Ovviamente era infastidito, ma non
si sognava nemmeno di mettere le mani nel putrido angolino in cui Kreacher
riposava.
Merlino, come gli sarebbe
piaciuto potersi disfare di qualsiasi cosa gli ricordasse che in quella casa
non era altro che un Traditore del suo Sangue, un misero volto bruciato,
un’onta pietosa nell’immenso casato dei Black!
Sua madre però aveva
calcolato tutto; era quindi costretto a tenersi quel maledetto arazzo e anche
l’orrendo quadro che ogni volta che qualcuno entrava dava il benvenuto agli
ospiti coprendoli di spregevoli insulti.
Chiuse la mano sinistra
in un pugno così stretto che le nocche divennero quasi bianche. Si trattenne
dal fare lo stesso con l’altra mano, visto che teneva stretto il bicchiere di
Whisky, e bevve un sorso per cercare di calmarsi. Mentre l’alcool si faceva
strada nella sua gola, bruciandola man mano che scendeva, Sirius chiuse gli
occhi e si disse che uno scatto d’ira non avrebbe risolto niente.
Era già successo in
passato che si fosse lasciato andare e avesse imposto di essere ascoltato cercando,
senza successo, il consenso degli altri a farlo uscire di casa. In fondo
c’erano diverse possibilità: avrebbe potuto travestirsi, prendere una Pozione
Polisucco e trasformarsi in uno di loro, provare a fare qualche lavoro
sottoforma di cane. Dopotutto era un Animagus abusivo, non era iscritto
all’albo e pertanto nessuno avrebbe potuto riconoscerlo a parte chi era a
conoscenza del fatto che sapesse trasformarsi in un grosso animale nero.
Tuttavia, erano riusciti a controbattere a qualsiasi sua proposta, smontando
ogni sua speranza e riducendo in misere parole insensate qualsiasi piano avesse
elaborato per riuscire a liberarsi da quella prigionia forzata.
Sotto questo punto di
vista, era come se fosse tornato ad Azkaban: era di nuovo in trappola.
La vita a Grimmauld Place
per lui era fatta solo di divieti, non c’era niente che potesse fare senza
qualcuno gli dicesse: « Sirius è troppo
pericoloso! » e iniziasse ad elencare un’infinita lista di rischi che
avrebbe corso che ormai lui conosceva parola per parola. Se mai l’avessero
messa per iscritto, avrebbe potuto anche dettare la punteggiatura, vista la
precisione con cui conosceva gli svariati modi in cui avrebbe potuto mettersi
nei guai secondo gli altri membri dell’Ordine.
Da un lato però, era felice.
Erano ormai due anni che era riuscito ad evadere da Azkaban ed era da tempo che
Harry sapeva della sua innocenza. Questo era importantissimo per lui; essere
riuscito a lasciarsi indietro quell’inferno di urla, pianti e sofferenze e
riuscire a conquistare la fiducia del figlio di James era ciò che più
desiderava.
Eppure, moriva dalla
voglia di agire. Non era quel genere di persona che se ne sta seduta su una
poltrona a guardare fuori dalla finestra con un bicchiere di Whisky in mano
lasciando che fossero gli altri a sgobbare al posto suo. Assolutamente no.
Lui voleva dare il suo
contributo e non ne poteva più di stare fermo ad aspettare che arrivasse il
momento giusto o che i pericoli si riducessero. Anche perché, sinceramente, era
una pura e semplice utopia sperare
che andando avanti i rischi si riducessero visto che Lord Voldemort era
ritornato al potere! Che senso aveva lasciarlo lì a marcire a Grimmauld Place?
Finì con un gran sorso il
Whisky Incendiario che era rimasto e poi posò il bicchiere su un tavolino.
Poggiò la testa sullo schienale della poltrona e sospirò, cercando di calmare
l’apprensione per la sorte di Harry la quale si era terribilmente acuita man
mano che Dumbledore andava avanti con il suo discorso. Sperava con tutto il
cuore che Harry si rendesse conto che la minaccia di un attacco diretto di
Voldemort fosse un pericolo così enorme che anche un odio così radicato –e
ampiamente ricambiato- come quello che provava per Piton poteva essere lasciato
da parte per un attimo. Dal canto suo, sapeva che il suo figlioccio non ci
sarebbe mai riuscito, o perlomeno non del tutto, ma contava sul suo buon senso
e sulla sua volontà di sconfiggere l’Oscuro una volta per tutte.
Gli venne in mente James
e sorrise; probabilmente anche lui nella stessa situazione avrebbe provato le
stesse cose che stava provando lui e senza dubbio sarebbe stato molto
orgoglioso del figlio. Prongs sarebbe stato il miglior padre del mondo, ne era
più che sicuro.
Aprì gli occhi e si mise
ad osservare il cielo plumbeo di Londra, costantemente privo di stelle per
colpa delle macchine e delle fabbriche Babbane.
« A volte, James, vorrei
che tu fossi qui. » sussurrò al nulla « Tu mi capiresti. Lo hai sempre fatto. »
Si passò le mani sul viso
e poi tra i lunghi capelli ondulati, accorgendosi all’improvviso che c’era una
persona seduta sulla poltrona di fianco a lui.
La luce della Luna
metteva in risalto i solchi che l’età, ma soprattutto la stanchezza e la sua
precaria condizione, avevano lasciato sul suo viso. Remus non gli era mai sembrato
così fragile, malandato e sfiduciato come in quel momento; era così simile a
lui.
L’accenno di un sorriso
increspò le labbra dell’amico mentre la sua mano si allungava per posarsi sulla
sua spalla in segno di comprensione. I suoi occhi brillavano di una malinconia
terribile.
« Anche io ti capisco,
Sirius. »
« Lo so. »
« Lo facciamo solo per il
tuo bene. »
« So anche questo. »
« Porta pazienza fino a
che non riusciremo a trovarti un modo per farti scagionare. »
« Ci proverò. »
Lo sguardo di Remus si fece
improvvisamente più cupo e più serio di quanto non lo fosse già stato in
precedenza.
« Non fare pazzie. »
Sirius interruppe il
contatto visivo e tornò a fissare il cielo, combattuto tra la cocente e
insistente voglia di scappare e quella di essere coscienzioso, per una volta in
vita sua. Non avrebbe rassicurato l’amico, sarebbe stato ipocrita da parte sua
promettergli che non avrebbe agito d’impulso quando invece sapeva che alla
prima occasione l’avrebbe sicuramente fatto.
« Non sono io quello che
tra i due è un po’… Lunatico. O
sbaglio? » disse ghignando e osservò con la coda dell’occhio la reazione di
Remus.
Il suo amico si mise a
ridacchiare e si alzò. Gli diede un’altra pacca sulla spalla e aggiunse:
« Cambierai mai, Padfoot?
»
« No, Moony. »
Sirius era sicuro che
Remus se ne fosse andato con il sorriso sulle labbra.
***
Ogni tanto, gli capitava
anche di pensare ad Althea. Dopotutto, erano ben quattordici anni che non si
vedevano e insieme ne avevano passate tante. Da ragazzo, l’aveva sicuramente amata,
ma da adulto non avrebbe saputo dire se sarebbe stata la stessa cosa.
Era difficile decidersi
sul da farsi; la voglia di rivederla era molta, anche se ad alimentarla era più
una semplice curiosità che il forte sentimento che l’aveva legato a lei anni
prima, ma per quanto ne sapeva, lei avrebbe potuto trovarsi dall’altra parte
del mondo o aver cambiato nome.
Un giorno, in preda alla
noia, decise di chiedere informazioni a Kreacher: anche se non sapeva come
facesse, l’elfo domestico era sempre informato su quello che succedeva alle
famiglie Purosangue con cui i Black erano imparentati, specialmente se si
trattava dei Lestrange visto che Bellatrix ne era entrata a far parte.
Tuttavia, spesso la creatura si lasciava andare a lodi e dichiarazioni di eterna
devozione anche al casato dei Malfoy, quindi Sirius pensò che dopotutto fosse
il caso di tentare, anche se sapeva che Althea non rientrava esattamente nelle
simpatie dell’elfo. Fece un respiro profondo per distendere i nervi e
trattenersi dal prendere a calci quell’odiato tirapiedi di Walburga.
« Kreacher! »
L’elfo si fece attendere
e una volta entrato in salotto, si piegò nel solito, profondo inchino,
borbottando una sfilza di offese nei confronti del suo padrone e delle persone
che frequentava.
« Desidera, signore? »
« Sai Kreacher, mi sta
bene che tu mi insulti, ma ogni tanto dovresti provare a cambiare. Le oscenità
che escono dalla tua bocca sono così monotone che dopo un po’ annoiano. »
« Kreacher farà il
possibile. » Un altro inchino venne seguito da un gruppo di ingiurie, non molto
diverse da quelle sentite alla fine dell’ultima frase pronunciata dall’elfo.
« Comunque, ti ordino di
dirmi tutto quello che sai su quello che ha fatto Althea Malfoy negli ultimi
quattordici anni della sua vita e di scoprire dove si trova attualmente. »
Kreacher sgranò gli
occhi, probabilmente sbigottito e sconvolto dal fatto che il suo padrone
chiedesse informazioni sulla famiglia Malfoy. Una strana consapevolezza sembrò
farsi strada nel viso dell’elfo.
Sirius lo osservò con
stizza mentre esitava a rispondere e assottigliava il suo sguardo come per
cercare di capire se c’era qualche secondo fine nella domanda che gli aveva
posto.
« Il padrone vuole che
Kreacher gli dica i segreti dei Malfoy per dirlo alla sporca feccia che ormai
cammina tutti i giorni nella casa della mia padrona! »
Sirius non riuscì a
trattenersi e prese l’elfo per il collo, avvicinandolo al suo viso.
« Kreacher, ti ordino di
dirmi dov’è Althea. »
La creatura si coprì le
orecchie, dibattendosi, ma l’incanto lo relegava nella condizione di elfo
domestico lo costrinse ad eseguire l’ordine, seppur contro la sua volontà.
« Al Malfoy Manor! In
Scozia, sul mare! Kreacher non sa nient’altro, lo giura! »
Lasciò che l’elfo
rotolasse per terra e si rimettesse in piedi a fatica per poi cacciarlo dalla
stanza.
« Non ti voglio più
vedere per un po’, sparisci. »
Kreacher si inchinò,
borbottando le consuete offese e se ne andò, mentre Padfoot si rinchiuse in
biblioteca vagliando tutte le possibilità che poteva avere per raggiungerla.
***
17 gennaio 1996
« Albus, ti posso parlare
due minuti in privato? »
Gli occhi azzurri di
Dumbledore brillarono per un attimo sotto gli occhiali a mezzaluna, posandosi
prima sul tomo che Sirius aveva in mano e poi sul viso del ragazzo.
« Certo, sono a tua
disposizione. »
***
10 febbraio 1996
Dopo tre settimane da
quella conversazione, era riuscito a creare una Passaporta abusiva per poter
raggiungere la Scozia. Non si sapeva ancora spiegare il motivo per cui Dumbledore
l’avesse aiutato e gli avesse rivelato l’incantesimo per crearne una; proprio
per questo aveva esitato parecchio prima di agire. Comunque, c’era ancora un
interrogativo a cui non era riuscito a dare risposta: che cosa aveva in mente
Dumbledore questa volta?
Beh, ci avrebbe pensato
al suo ritorno, aveva cose ben più importanti a cui pensare in quel momento,
visto che la Passaporta si sarebbe attivata da un momento all’altro. Strinse
forte il collo del calice e chiuse gli occhi.
Tre… due… uno.
***
Si ritrovò nel mezzo di
un boschetto. Si trasformò subito in cane, provocando la fuga di uno
spaventatissimo pavone che evidentemente non aveva mai visto un essere umano
tramutato in animale. Sirius sbuffò: « Pavoni? » pensò, scocciato « Siamo
sicuri che qui non ci abiti Lucius? »
Avanzò nascondendosi tra
i cespugli, attento a non farsi vedere. Si stupì del fatto che non ci fossero
Barriere Anti-Mago o incantesimi potenti per tenere alla larga gli ospiti
indesiderati; era evidente che Althea era sicura che nessuno sarebbe venuto a
disturbarla e non a torto, visto che praticamente non c’era anima viva.
Quel posto, gli ricordava
molto Hogwarts: il maniero si ergeva sulla ripida scogliera scozzese, su un
manto di terra brulla a cui margini si trovava il bosco dove Sirius era stato
catapultato. Era sempre stata la residenza preferita di Althea e lui ebbe il
sospetto che ora si fosse stabilita in un posto così particolare perché aveva
nostalgia della scuola. Si accorse che c’era un vialetto di ghiaino che portava
all’entrata della dimora Malfoy.
Bene, era lì. E ora?
Cos’avrebbe fatto?
Il fatto che ci fossero
pavoni che si aggiravano per il giardino era un chiaro segno che non era Althea
ad abitare quel maniero, ma il fratellastro Lucius. Possibile che Kreacher avesse
mentito?
No, ovviamente, era
costretto da una magia a dire la verità.
« Dannato Dumbledore,
ecco perché mi ha aiutato. Il posto era sbagliato! » imprecò mentalmente Sirius
e incominciò a cercare un oggetto adatto per costruire una nuova Passaporta.
Doveva andarsene di lì e
in fretta.
Nel frattempo però lo
colse un altro dubbio.
Se i pavoni non erano
tipici di Althea, nemmeno l’assenza di protezione e segretezza lo era di
Lucius. Era impossibile che Malfoy
non si preoccupasse di celare i suoi loschi affari.
Combattuto, Sirius si
accucciò per terra osservando il vialetto e aspettando che qualcuno passasse;
finì con l’addormentarsi.
Si trovava su una scogliera e vedeva solo una
figura indefinita su una roccia, quasi in procinto di buttarsi e lasciarsi inghiottire
dalle onde del mare. Corse verso di lei e man mano che la nebbia,
inspiegabilmente apparsa attorno a lui, si diradava gli sembrò di riconoscere
quella persona.
Capelli lunghi e biondi, il viso appuntito, il
fisico esile.
Tutti tratti dei Malfoy.
La donna si voltò a guardarlo e lui non si stupì
nel trovarsi di fronte due occhi viola.
Esattamente ciò che non facevano di lei una
Malfoy.
« Sirius! »
Sentì che qualcuno gli
stava accarezzando la testa.
« Ehi » sussurrò piano una
voce di donna che lui non conosceva « Certo che sei un cagnone enorme, da dove
salti fuori? Non ti ho mai visto da queste parti »
Due mani gentili gli
presero il viso, o meglio il muso, e si ritrovò a faccia a faccia con il viso
quasi completamente coperto di una giovane donna. Effettivamente faceva davvero
freddo di sera, lassù in Scozia, a due passi dal mare e Sirius si ritrovò a
pensare che avrebbe voluto anche lui un berretto e una sciarpa come i suoi. Poi
i loro occhi si incrociarono e allora capì.
L’aveva trovata.
Lei sembrò notare
qualcosa di strano, una strana espressione sospettosa si dipinse sul suo viso,
ma liquidò i suoi pensieri con un’alzata di spalle e si limitò a dire: « Dai,
vieni dentro, altrimenti morirai di freddo », facendogli cenno di seguirla.
Sirius la seguì
scodinzolando, incapace di dare un ordine a tutte le emozioni che stavano
tempestando dentro di lui in quel preciso istante. Era assolutamente sicuro che
fosse lei; occhi come i suoi erano impossibili da confondere, ma ora non era
più tanto sicuro di volerci avere ancora a che fare. Erano passati quattordici
anni, dopotutto, e lei nel frattempo si sarebbe potuta sposare, avere dei figli
e magari essere cambiata radicalmente. Forse non era più l’Althea diciannovenne
che aveva dovuto lasciare per Azkaban.
Entrarono in casa e
Sirius si sentì molto sollevato mentre un caldo tepore lo avvolgeva. Lei chiamò
un elfo domestico e gli ordinò di preparare una cena molto abbondante poi salì le scale, facendogli segno di seguirla.
Nonostante la situazione bizzarra, Sirius non poté fare a meno di notare quanto
fosse immenso quel maniero: che cosa se ne faceva Althea di una dimora così
immensa? Era assolutamente impossibile che ci abitasse da sola… Poi, però, si
ricordò che lei una volta gli aveva confidato che aveva sempre desiderato di
vivere in una casa grande come Villa Malfoy, in Inghilterra, anche a costo di
andarci vivere senza alcun genere di compagnia. A lei, piacevano le cose fatte
in grande, non avrebbe mai rinunciato ad abitare in un posto del genere.
Si fermarono finalmente
ad una porta e Althea puntò la bacchetta contro la serratura, mormorando una
serie infinita di incantesimi.
« Non hai protetto la
casa, ma proteggi le stanze singolarmente? » avrebbe voluto chiederle, visto
che non capiva il senso logico di quella scelta, ma poi pensò che probabilmente
aveva le sue buone ragioni.
Finalmente entrarono e
Sirius capì il motivo di tutti quegli incantesimi: quella era la sua camera da
letto ed era normale che facesse di tutto per renderla il più difesa possibile.
Lo fece entrare e poi chiuse la porta alle loro spalle, ripetendo le stesse
formule di poco prima.
Sirius nel frattempo si
limitò ad osservarla attentamente, stando accucciato per terra. Non era tanto
diversa da come se la ricordava, dopotutto; il solito fisico esile, ma
flessuoso, curve appena accennate, capelli incredibilmente lunghi e il suo
tipico portamento fiero. Sicuramente, era un po’ più alta e decisamente molto
più bionda di quanto ricordasse e la sua voce era molto più bassa, quasi roca,
di quanto non lo fosse quando aveva diciannove anni. Tuttavia, non l’aveva
ancora vista bene in faccia, quindi prima di tirare le somme aspettò che si
girasse, cosa che non fece neppure dopo aver finito con gli incantesimi.
Continuò a guardarla, interrogativo e sondando contemporaneamente quello che
stava provando: c’era una parte di lui che avrebbe voluto riprendere la forma
umana e abbracciarla, ma l’altra, prevaleva, era sospettosa e si aspettava che
da un momento all’altro lei si volgesse guardandolo con odio e lo facesse fuori
seduta stante, o peggio ancora che lo consegnasse a Voldemort. Sirius non aveva
paura di affrontarlo, certo, ma temeva che il Signore Oscuro avrebbe potuto
usarlo per attirare Harry in qualche trappola mortale.
Improvvisamente si sentì
molto agitato e per la prima volta in vita sua, si rese conto di quanto a volte
la sua impulsività fosse eccessiva e lo portasse a compiere azioni molto
pericolose.
C’era la remota
possibilità che lei non avesse capito quale fosse la vera identità di quel
cane, ma era un’ipotesi così poco probabile che Sirius non si sforzò nemmeno di
considerarla.
Dopo qualche minuto di
totale silenzio, Sirius decise di riprendere la forma umana.
Non pensava che lei fosse
diventata una seguace di Voldemort; dopotutto non aveva mai odiato i Muggleborn
e i Mudblood fino a quel punto e non traeva piacere dall’uccidere o dal
torturare fino alla follia le persone come quella pazza di Bellatrix.
Si alzò da terra e gli
parve di sentire un singhiozzo sfuggire dalle labbra della donna; ciò venne
confermato dal fatto che lei si portò una mano sulla bocca e poggiò la testa
contro la porta, tremando un poco.
Quel gesto, fu quello che
gli fece perdere il controllo.
Abbandonato ogni dubbio e
ogni timore, si diresse verso di lei e la fece voltare, in modo da poterla
vedere in faccia. Althea, fiera come sempre, era riuscita a trattenersi dal
versare lacrime, anche se questo sembrava richiederle uno sforzo immenso;
l’unico segno che potesse confermare la sua commozione erano gli occhi lucidi.
Si guardarono a lungo e intensamente; lei orgogliosa, gelida e lui incredulo.
Quella non era la sua
Althea diciannovenne, ma, se possibile, da donna gli piaceva anche di più: il
suo corpo non era cambiato più di tanto però il suo viso, ora così adulto e
serio lo preferiva a quello di adolescente. La prima impressione che ebbe, fu
che era diventata di sicuro una donna carismatica; finalmente sembrava sapere
quello che voleva e conosceva anche il modo per ottenerlo.
Le spostò una ciocca di
capelli dietro l’orecchio, senza dire una parola, sentendo gli occhi di lei
indagare e analizzare ogni centimetro del suo viso, alla ricerca di cosa, lui
non lo sapeva.
« Che c’è? » cominciò lei
con voce spezzata « Dopo quattordici anni ti sembro ancora la stessa? »
continuò la frase imprimendo più forza nella voce, accorgendosi forse che poco
prima sembrava che stesse per mettersi a piangere da un momento all’altro.
« Non sei la stessa. »
rispose Sirius, piano, tornando a guardarla negli occhi « Sei più adulta. »
« Ovvio, avevo diciannove
anni l’ultima volta che ci siamo visti, ora ne ho trentatrè. »
Sarcastica e acida.
Sì, non era cambiata di
una virgola.
« Dolcissima come sempre.
»
Sirius era sicuro di aver
visto il barlume di un sorriso illuminare il viso di Althea per un millesimo di
secondo, ma subito si spense e la serietà tornò ad impossessarsi dei lineamenti
della donna.
« E tu sei un
pluri-omicida evaso da Azkaban tre anni
fa. Che ci fai qui? Potrei avvertire il Ministero della Magia, lo sai vero? »
« Se tu credessi davvero
che io sia un pluri-omicida avresti avvertito il Ministero secoli fa. » fece
una piccola pausa « O magari mi avresti ucciso direttamente quand’ero ancora un
adorabile randagio. »
« Più che adorabile, io
direi che sei un enorme randagio. Ti
rendi conto di quello che hai rischiato venendo qui? E se ci fosse stato
Lucius? Come hai saputo che sono qui? Chi te l’ha detto? Perché sei venuto? »
Sirius alzò un
sopracciglio, sinceramente stupito che lei lo mitragliasse di domande. In
realtà, sapeva che Althea non gli sarebbe corsa incontro piangendo come una
fontana e spergiurandogli amore eterno, ma non si aspettava che lei per prima
cosa si preoccupasse di che cosa sarebbe potuto succedergli invece di
chiedergli semplicemente: “Perché hai aspettato tre anni prima di farti
vedere?”. Che poi, se mai gli avesse fatto questa domanda, lui aveva già la
risposta pronta: non è che non avesse voluto cercarla, è che non ne aveva
proprio la possibilità.
Aveva passato gli ultimi
tre anni a nascondersi e a viaggiare continuamente in groppa a un Ippogrifo
nutrendosi a malapena. Senza contare che non aveva idea di dove lei si potesse
trovare.
« Lo so cos’ho rischiato,
non devi ricordarmi anche tu che corro un sacco di rischi se esco e che quindi dovrei
stare barricato in casa, lo so. »
disse con un tono stranamente calmo « Da quando sei in buoni rapporti con
Lucius? Ho dato per scontato che lui non ci fosse. In ogni caso ho saputo che
sei qui grazie a Kreacher, il vecchio tirapiedi di Walburga. La riposta
all’ultima domanda è ovvia. Volevo vederti. »
« Lascia stare Lucius, è
una cosa di cui non mi capacito nemmeno io. » affermò lei scrollando la testa e
Sirius ebbe l’impressione che la tensione si stesse lentamente sciogliendo. In
quell’istante stava trattenendo davvero a stento la voglia di stringerla a sé.
« Comunque, » riprese con fermezza « a me non importa un bel niente di vederti
di nuovo. »
« Bugiarda » rispose
Sirius con un ghigno.
« È la verità! » ribatté
Althea infuriata.
« Allora spiegami perché
» le accarezzò una guancia, avvicinando il suo viso a quello di lei « hai
chiuso la porta se non avevi alcuna intenzione di vedermi o passare del tempo
con me? »
« Abitudine. » borbottò
lei, mentre Sirius passò l’altra mano attorno alla sua vita. Era sicuro di aver
sentito un brivido correrle lungo la schiena mentre gliel’accarezzava piano.
Alla fine, stanco di trattenersi, l’abbracciò. Sperò con tutto il cuore che lei
ricambiasse e si sentì mancare quando le mani di lei si posarono sul suo petto perché
pensò che avesse intenzione di respingerlo. Poi però, quando esse continuarono
la loro salita per andare poi a circondargli il collo, Sirius provò una
sensazione meravigliosa, come se si fosse tolto un macigno dal cuore, e la
strinse ancora più forte, sentendo che lei si era lasciata andare e stava
piangendo.
Dopo un po’ Sirius prese
tra le mani il viso rigato di lacrime di Althea e finalmente la baciò con
trasporto. Sentendo che lei ricambiava con altrettanta foga, le prese le gambe
e le alzò. Lei prontamente le allacciò attorno alla sua vita e si lasciò
condurre sul letto.
Sirius pensò che
dopotutto Althea non doveva essere così orgogliosa se era ceduta così
facilmente, oppure che, a modo suo, dovesse amarlo davvero dal più profondo del
cuore. Dal canto suo, lui ancora non riusciva a capire che cosa provava;
sicuramente le voleva bene, visto che era stata la donna più importante della
sua vita e in un’occasione aveva anche fantasticato di portarla all’altare, ma
non sapeva dire se l’amava ancora come prima o se era qualcosa di diverso. Per
ora, si accontentava di averla tra le braccia e di sentire il suo respiro caldo
contro il suo petto.
Era sicura che lei non
stesse dormendo, probabilmente cercava di realizzare che cosa era appena
successo e di rendersi conto che non era un sogno, bensì realtà.
Lui non aveva bisogno di
incantesimi per capire che cosa pensava, lo sapeva e basta perché la conosceva
meglio delle sue tasche. Aveva imparato che se giocava con ciocche di capelli
era a disagio o sotto pressione e che se invece se ne spostava una dietro la
schiena lo faceva o per stizza o semplicemente per sfogare la sua vanità.
Sapeva che avrebbe voluto frequentare Babbanologia solo per sapere qualcosa di
più sulla musica. Amava cantare, ma non aveva la voce adatta per fare strada
così si limitava a improvvisare qualcosa sotto la doccia, senza preoccuparsi di
stonare. Conosceva ogni piccola sciocchezza di lei; sotto quell’apparente
sicurezza, lei nascondeva una profonda indecisione e una scarsa fiducia nel mondo
che le stava attorno. Si comportava da donna matura e probabilmente aveva
successo, qualsiasi cosa facesse, però in fondo era sempre rimasta una bambina
introversa in cerca di attenzioni. Sirius era a conoscenza di tutto questo e
spesso aveva pensato che fosse proprio questo che aveva conquistato Althea. Lui
capiva i suoi sentimenti e riempiva il vuoto che la donna aveva nel suo cuore;
recava un po’ di tregua alla solitudine che vi albergava.
« Althea » decise di
rompere il silenzio, ricordandosi improvvisamente di non aver notato protezioni
attorno alla sua dimora. Lei alzò lo sguardo, un po’ assonnata. « Come mai non
c’è nessuna protezione sul maniero? »
« Come, » rispose lei
fissandolo come se avesse appena fatto la domanda più sciocca del mondo « non ti
ricordi? Incanto Fidelius! Io sono il Custode Segreto e ancora molto tempo fa
ti ho rivelato la collocazione esatta di questo posto. »
Sirius si fermò un attimo
a pensare, accigliato: ma se Althea era il Custode Segreto, come mai Kreacher
aveva saputo dirgli esattamente dove lei si trovava? Probabilmente, l’ultima
volta che l’elfo aveva sentito parlare di lei, Althea si trovava in Scozia e
quindi aveva dato per scontato che i Malfoy avessero una dimora da quelle
parti.
« Già, me n’ero
completamente dimenticato. »
« Beh, è anche
Indisegnabile. L’ho circondata di ogni genere di difesa di cui sono a
conoscenza. »
« Capisco. » rispose
Sirius, ancora soprappensiero « Comunque, » continuò poi, deciso a distrarsi «
come mai i tuoi capelli sono diventati così biondi? È l’influenza di Lucius? Ti
presta la tinta per farli diventare biondo platino come i suoi? »
Althea ridacchiò e alzò
il viso, allungandosi per lasciargli un bacio sul mento. Sirius era sicuro che
stesse sorridendo e curioso di vedere se ora le sue labbra si incurvavano in
modo diverso da come ricordava, abbassò le iridi grigie su di lei smettendo di
giocare con i suoi capelli.
Ora sapeva perché odiava
il fatto che il cielo di Londra non fosse trapuntato di stelle e perché
osservare quei piccoli puntini luminosi e lontani dalla cella di Azkaban lo
faceva sentire meglio: ogni volta che vedeva qualcosa di brillante, gli tornava
in mente quel sorriso.
« No, il biondo di Lucius
è assolutamente naturale, te lo posso assicurare. »
« Sicura? Magari quando
era al terzo anno a Hogwarts aveva già cominciato a tingersi. »
Vide Althea alzare gli
occhi al cielo e trattenere a stento una risatina.
« Il ricordo più vecchio
che riesco a ricordare risale al 1966, quando avevo quattro anni e Lucius ne
aveva dodici. Come fratello non è mai stato né dispettoso né ingiusto solo…
Distante. Estremamente distante. Non credo mi abbia mai considerata davvero. »
scrollò la testa, contrariata « Comunque, Lucius era appena tornato dal suo
primo anno a Hogwarts e ricordo che mi stupii perché nonostante fosse rimasto a
lungo assente da casa, era rimasto sempre lo stesso. Ricordo di avergli detto
qualcosa che suonava come: “Ciao Lucius, bentornato! Non sei cambiato per
niente, hai sempre i capelli chiari quasi quanto quelli di papà!”»
Sirius sorrise pensando
alla faccia che Lucius avrebbe potuto avere in quel momento.
« In questo momento non
mi viene in mente che cosa mi rispose, ma so che non capii ciò che mi disse. »
Althea fissò un punto
impreciso davanti a sé, pensierosa.
« Probabilmente era una
minaccia! » concluse in fine, con un’alzata di spalle.
« Conoscendo Lucius, è
probabile. Non mi hai ancora detto che hai fatto ai capelli in ogni caso. »
Lei esitò un attimo.
« Che cosa mi
risponderesti se ti dicessi che li preferisco così? Il mio colore naturale non
mi ha mai convinta. »
« Ah, capisco. »
« Tutto qui? »
« Perché, dovrei dire
qualcos’altro? »
« No. Siccome ti eri
preoccupato di sapere il motivo per cui li ho schiariti, pensavo fosse una cosa
che ti avesse colpito. »
« Althea… Ti stai
giustificando. »
Sirius non ebbe risposta
e per la prima volta cominciò seriamente a chiedersi se quella che teneva tra
le braccia era davvero la diciannovenne che era stato costretto a lasciare. Si
scostò da lei e si mise a sedere, costringendola a fare lo stesso.
« Che ti sta succedendo?
Che ne hai fatto della Vipera che conoscevo? »
La donna lo fulminò, per
poi scendere dal letto e infilarsi la vestaglia. In seguito si risedette e
incrociò le braccia al petto. Inspiegabilmente, ghignò.
« La Vipera è rimasta
sopita per quattordici anni perché un certo Black non era in circolazione, sta
a te risvegliarla. » disse con voce maliziosa, allungandosi per arrivare a
pochi centimetri dal suo viso. Sirius era già pronto a prenderla per la nuca e annullare
la distanza quando Althea schizzò giù dal letto e andò ad aprire la porta della
sua stanza.
« Allora, non vuoi
cenare? Ti aspetto giù, fa con comodo. »
Lui rimase a guardarla
per un po’, leggermente deluso dal mancato contatto e si avviò verso il bagno
che era vicino alla camera. Tanto, avrebbero avuto tutta la notte davanti, no?
***
4 aprile 1996
Sirius aprì gli occhi e
si ritrovò a fissare Althea seduta davanti a lui che stringeva il cuscino
candido al petto, coprendo il corpo nudo. Si fece forza e si mise a sedere a
sua volta, avvicinandosi a lei.
« Potresti anche togliere
quel cuscino… » cominciò cercando di dare alla sua voce un tono malizioso,
nonostante fosse impastata dal sonno.
Lei frappose la sua mano
fra i loro due visi e gli riservò uno sguardo gelido.
« Che giorni è oggi? »
L’unica risposta che
Sirius fu in grado di elaborare a quella domanda fu: « Eh? »
« Ti ho chiesto che
giorno è oggi, Black. »
L’uomo si spremette le
meningi: era un tranello o c’era davvero qualcosa di importante quel giorno?
Sbuffò, allontanandosi da lei e cercò di rimettere in ordine i suoi pensieri.
Allora, era appena iniziato aprile… Uhm, che cosa ci potrebbe essere in aprile
di così rilevante?
La prima volta che si
erano parlati era stata nel pieno dell’estate, quindi era impossibile che fosse
quella la ricorrenza. Il primo bacio? No, quello fu in dicembre. La prima
volta? No, nemmeno quella doveva essere la risposta giusta.
Calcolò rapidamente
quanti giorni erano passati dall’ultima volta che aveva guardato il calendario,
cioè il primo aprile, e realizzò che ne erano passati tre. Ciò stava a
significare che quel giorno era il quattro aprile e quindi…
« Oh. Buon compleanno! »
« Una volta te lo ricordavi sempre. Eri sempre il primo a farmi gli auguri. »
Sirius corrugò la fronte
senza realmente capire che cosa intendesse.
« Vorresti dire che hai
visto qualcun altro stamattina prima di me? »
« Stamattina? Sono le tre
del pomeriggio! In ogni caso, in mattinata è arrivato un gufo di Lucius. Il
primo a farmi gli auguri quest’anno è stato lui. »
« Allora la prossima
volta dovrai svegliarmi prima, no? » sbottò lui, liquidando la faccenda con
un’alzata di spalle e buttandosi sul letto per ricominciare a dormire.
Althea, indignata, gli
lanciò addosso il cuscino e si vestì velocemente, dirigendosi poi verso la
porta della sua stanza. Sirius era sicuro che ora lo stesse osservando con
sguardo truce e con le braccia incrociate al petto.
« Sai una cosa, Black?
Sei proprio il Gryffindor idiota che ricordavo »
Sirius ridacchiò e pensò
che anche lei, in fondo, era la Slytherin che ricordava.
***
17 giugno 1996
Erano un paio di
settimane che Sirius ed Althea non si vedeva e il motivo era piuttosto
semplice. Pareva infatti che Lucius sospettasse della sorellastra e che tentasse
spesso di fare irruzione nella sua mente. La fortuna era che lei era sempre
stata una buona Occlumante e in ogni caso non aveva la minima idea di dove si
trovasse il Quartier Generale dell’Ordine della Fenice, visto che era protetto
dall’Incanto Fidelius e il Custode Segreto era Dumbledore, o di dove Sirius
passasse il tempo quando non era con lei.
Tuttavia, questo era
l’ultimo di suoi pensieri in quel momento, mentre correva al Ministero insieme
agli altri membri dell’Ordine per soccorrere Harry e i suoi amici nell’Ufficio
Misteri.
Forse non era esattamente
una cosa idonea da pensare in quel contesto, ma Sirius non si era mai sentito
così libero.
Dopo tutti quei mesi
passati nella casa in cui mai avrebbe voluto rimettere piede, un’incursione
d’emergenza al Ministero e il rischio di essere catturato di nuovo e rispedito
ad Azkaban erano la cosa più bella che gli potesse capitare.
Finalmente aveva la
possibilità di dare il suo contributo, di rendersi utile all’Ordine e di agire
per combattere e distruggere il Lato Oscuro. Ancora una volta era in mezzo ad
una guerra, ma era così entusiasta all’idea di poter proteggere la persona più
importante per lui, Harry, che si sentiva in grado di affrontare anche
Voldemort, anche se le possibilità di venire ucciso surclassavano di brutto
quelle di poter uscire vivo da uno scontro del genere.
Sirius, accompagnato da
Remus, Tonks, Malocchio e Kingsley, si era appena materializzato di fronte
all’Ufficio Misteri e ora stava cercando insieme ai compagni la porta giusta.
Decisero di controllare una porta a testa, in quanto ognuno di loro era
piuttosto abile e in grado di cavarsela da solo. Sirius era ancora sulla soglia
della porta che aveva aperto ed era in procinto di entrare, quando sentì Tonks
urlare: « Presto, sono qui dentro! ».
Senza farselo ripetere
due volte, seguì la donna in una camera circolare con enormi spalti di pietra
al cui centro stava una piattaforma con un grande arco. Sirius non si preoccupò
nemmeno delle voci che sentiva sussurrare sempre più forte man mano che si
avvicinava al velo logoro che danzava nell’arco di pietra, tanto era eccitato
all’idea di combattere e di rendersi utile per l’Ordine.
Si scaraventò subito su
un Deatheater e cominciò a duellare furiosamente, scagliando incantesimi uno
dopo l’altro ed evitando con prontezza gli attacchi dell’avversario. Una volta
che lo mise al tappeto, il suo sguardo si volse automaticamente nella direzione
dove si trovava Harry, che non aveva mai smesso di osservare con la coda
dell’occhio da quando era entrato nella Camera della Morte.
Harry stava cercando di
tenere lontano da Macnair la profezia, ma sembrava in difficoltà. Sirius corse
nella sua direzione proprio mentre Dolohov alzava di nuovo la bacchetta per
attirare a sé la piccola sfera. Sirius gli diede una forte spallata per
impedirgli di finire di pronunciare la formula e distrasse il Deatheater che si
mise seduta stante a duellare con lui. Altre scintille guizzanti cominciarono a
sprizzare dalla sua bacchetta e da quella del suo avversario, fino a che Dolohov
non alzò la sua per compiere una maledizione che aveva già visto molte volte.
Stava per aprire bocca per urlare « Protego!
», ma Harry lo precedette togliendo di mezzo il Deatheater, gridando: « Petrificus Totalus! ».
Sirius non poté fare a
meno di provare un travolgente e breve impeto d’orgoglio per il suo figlioccio
che si era appena dimostrato abile e pronto proprio come James. Avvicinandosi a
lui, esclamò: « Bravo! » e spinse giù la sua testa per evitare un paio di
Schiantesimi che volavano verso di loro. Gli raccomandò velocemente di
andarsene, ma non fece in tempo ad aggiungere di trascinare con sé anche
Neville che altri getti vennero loro incontro e dovettero di nuovo abbassarsi
per fare in modo che non li prendessero in pieno. Harry lo scrutava
preoccupato, probabilmente perché si era accorto anche lui che un fiotto di
luce verde l’aveva evitato per un pelo. Sirius vide subito da quale bacchetta
era volato quell’incantesimo: sua cugina Bellatrix, dopo aver battuto Tonks,
stava scendendo euforica i gradini di pietra per raggiungere la piattaforma e
buttarsi di nuovo nella mischia.
Si girò di nuovo verso
Harry e gli urlò di nuovo di prendere la profezia e di scappare assieme a
Neville, correndo verso Bellatrix. Nello stesso istante, la donna si voltò
verso di lui e con la sua voce acuta e infantile gli rivolse la parola.
« Ciao cugino, finalmente
di puoi rendere utile, eh? È stato frustrante non poter proteggere il piccolo Potty per tutto questo tempo? Chissà cosa ne direbbero la
Mezzosangue e il tuo amichetto se sapessero che sei finito ad Azkaban.. »
Sirius sentì la rabbia
montare dentro di sé e cominciò ad attaccarla con furia, mentre lei schivava
gli attacchi e lanciava maledizioni, ridendo sguaiatamente.
« Non nominarli mai più!
» urlò, lanciando incantesimi in maniera sempre più veloce, tanto che ad un
certo punto gli sembrò che Bellatrix non fosse più così fluida nei movimenti e
non riuscisse ad evitare ogni attacco così facilmente. Sirius attaccò con più
ferocia, provocandola, ormai ignaro di ciò che gli stava accadendo intorno.
« Gli anni ad Azkaban ti
hanno arrugginita, eh, cugina? Non sei riuscita a colpirmi nemmeno una volta! »
e in quello stesso istante, lui schivava un attacco e un fiotto di scintille
rosse colpì la donna sulla spalla sinistra, facendola lievemente barcollare.
Bellatrix ghignò, si
passò la lingua sulle labbra e tornò a duellare, con più intensità. Dal canto
suo, Sirius continuava a respingere gli incantesimi in maniera piuttosto efficace
e approfittava del fatto che le provocazioni sembravano distrarla.
« Ma come? Il vecchio
Voldemort non ti ha insegnato niente di più valido? » e scoppiò a ridere
deliberatamente. Il sentir pronunciare il nome del suo signore, provocò in
Bellatrix l’esatta reazione che Sirius sperava. La donna cominciò ad attaccare
con furia, cominciando ad impegnarsi seriamente nel duello.
« Come osi pronunciare il
nome dell’Oscuro Signore! Tu, traditore.. » ma non finì la frase perché dovette
abbassarsi di scatto per evitare uno Schiantesimo.
Bellatrix reagì lanciando
al suo indirizzo un altro fiotto di luce rossa che lui riuscì ad evitare,
cogliendo l’occasione per deriderla ancora.
« Avanti, puoi fare di
meglio! » le gridò, e non fece nemmeno molto caso al fatto che la sua fosse
l’unica voce a riecheggiare nella vastissima sala.
La donna scagliò un altro
getto di luce rossa verso di lui e stavolta, Sirius non fu in grado di schivare
il colpo e venne colpito in pieno petto. L’aveva colto di sorpresa, non si era
aspettato che la cugina reagisse così in fretta al suo attacco, visto come
aveva combinato finora. Il colpo fu così forte che bloccò la sua risata e gli
fece sgranare gli occhi.
In quel momento, Sirius
non pensò a nulla. Sapeva che lo Schiantesimo l’aveva colpito in pieno e che
esattamente dietro di lui si trovava l’arco sotto il quale danzava il velo
logoro, da cui ora sentiva in maniera molto chiara delle voci rivolgergli
sussurri in lingue incomprensibili. Si rese conto di essere attratto da quei
rumori indistinti e mentre sentiva il corpo piegarsi all’indietro e sfiorare
appena il velo, realizzò che per lui era la fine.
Un misto di paura e
stupore lo colse. Ebbe solo mezzo secondo di panico prima di comprendere che
non sarebbe più potuto stare al fianco di Harry e pregò con tutto il cuore che
Dumbledore, Lupin, Hagrid e tutti gli altri avessero cura di lui.
Poi, il velo lo avvolse.
***
18 giugno 1996
Quella mattina Althea fu
svegliata da un ticchettio proveniente dalla finestra; un grosso allocco
continuava a beccare contro il vetro nella speranza di farla alzare dal letto.
La donna si alzò controvoglia e fece planare il volatile sopra alla scrivania
dove lui porse la zampa con fare di superiorità in attesa della ricompensa per
aver portato la Gazzetta del Profeta. Althea infilò uno zellino nella saccoccia
dell’allocco e afferrò il quotidiano, dando un’occhiata rapida e distratta alla
prima pagina.
Lanciò il giornale sul
letto e si stiracchiò. Fece tutto con una calma insolita: guardarsi allo
specchio, lavarsi i denti, vestirsi… Poi scese le scale e andò in sala da
pranzo, dove Holly, il suo elfo domestico, aveva già preparato la colazione.
L’accolse con un profondo inchino e le diede il buongiorno.
Althea si sedette e
mangiò lentamente, riflettendo sul fatto che non vedeva Sirius da parecchio
tempo. Una strana inquietudine si fece strada nel suo cuore e pregò con tutto
il cuore che fosse prudente e che non facesse nessuna sciocchezza.
Tornò a dedicare la sua
attenzione al suo porridge, ma ormai quello aveva perso ogni attrattiva. Si
ricordò di aver lasciato il Profeta in camera: negli ultimi tempi non l’aveva
seguita con particolare interesse, era sempre piena di articoli insulsi che
certo non informavano seriamente i lettori. Ciò che le dava più fastidio era quell’insistenza
nel non ammettere che Voldemort era tornato; era sicura che il Signore Oscuro
fosse rinato, ancora prima che fosse palese che Lucius aveva ricominciato a
lavorare per lui. Credeva a ciò che andava dicendo Dumbledore da quasi un anno
e trovava stupide tutte quelle persone che non riuscivano ad affrontare la
paura nei confronti del Lord e si ostinavano ad andare in giro con due fette di
prosciutto sugli occhi.
Si chiese per quale
motivo aveva continuato a leggere il Profeta nonostante tutte le stupidaggini
che raccontava: aveva forse continuato a pensare che quell’idiota di Fudge si
rendesse finalmente conto che i suoi peggiori timori erano diventati realtà?
Sbuffò e tornò in camera,
decisa a scrivere una lettera alla direzione del quotidiano per disdire il suo
abbonamento. Fissò il giornale abbandonato sul letto e gli diede un’ultima
possibilità. Si sedette, cauta, con uno strano ronzio in testa che sembrava
aumentare man mano che si avvicinava al giornale, come se volesse farla
desistere dal leggerlo. Accigliata, lo ignorò e quando lesse il titolo della
prima pagina non riuscì ad evitare di sgranare gli occhi. A caratteri cubitali,
infatti, c’era scritto: “IL RITORNO DI COLUI-CHE-NON-DEVE-ESSERE-NOMINATO”.
Althea non si trattenne
dall’esclamare: « Era ora! Finalmente se ne sono accorti! » e con atteggiamento
critico, si mise a spulciare l’articolo, sbuffando ogni volta che finiva di
leggere una frase del Ministro della Magia e dopo aver appreso che Dumbledore
era stato reintegrato seduta stante sia nella posizione di Preside di Hogwarts,
che in quella di membro della Confederazione Internazione dei Maghi e di
Stregone Capo del Wizengamot. Seguì con interesse anche la descrizione
dell’attacco che copriva ben tre facciate del Profeta, ma alle ultime tre righe
dell’articolo si bloccò.
Nello scontro contro i sostenitori di
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, sono intervenuti personalmente il professor
Dumbledore, gli Auror Tonks e Kingsley, il Lupo Mannaro Remus Lupin e Sirius
Black. Quest’ultimo, durante la battaglia, si è schierato dalla parte di
Dumbledore e ha combattuto valorosamente fino alla morte, causata da uno dei
seguaci di Voi-Sapete-Chi. È stato dichiarato quindi innocente ed è stato
automaticamente sciolto da tutte le accuse.
Althea si sentì svuotata.
Fino alla morte.
No, non poteva esserci
scritta quella parola.
Sirius… Sirius non poteva
essere…
Lasciò scivolare il
quotidiano per terra e si raggomitolò sul letto, stringendo forte le ginocchia
contro il petto. Rimase lì, per ore, forse per giorni, lasciandosi lentamente
morire e permettendo al dolore di logorarla in maniera atroce ed infinitamente
flemmatica, incapace di versare anche una sola lacrima.
Memories
that fade away
Have not left their mark
But you live on, every single day
In many different ways