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Autore: Alydia Rackham    06/09/2010    1 recensioni
Questa storia non appartiene a me ma a Alydia Rackham. L'intera storia di quello che successe a Peter e Sylar durante la loro prigionia dietro Il Muro-la loro lotta per mantenere la loro umanità e sanità mentale mentre realizzano che l'unica via d'uscita è attraverso la penitenza e il perdono.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peter Petrelli, Sylar
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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                                                                                                                                           Parte due

 

Guardò il cielo vuoto sopra di lui, poi intorno a lui. Il suo cuore continuava a rimbombare. Il rumore sordo che aveva sentito non scomparve. Invece, mutò in un sommesso tono metallico. Si affrettò per l’esatto centro dell’ampia strada, le mani in tasca. Prese un respiro.

“C’è nessuno?” La sua voce venne fuori roca, e spezzata come quella di un anziano. Ma gridò più forte, la disperazione che cresceva. “C’è nessuno?

Thud.

Proveniva da dietro di lui. Si fermò. Le luci della strada diventarono gialle. Si voltò. Brividi lo percorsero. La luce diventò rossa.

Una figura era ferma dall’altra parte della strada. Proprio nel mezzo.

La fissò, la mente che turbinava. Una persona…?

Una persona!

Si piegò in avanti, corrugando le sopracciglia, aguzzando la vista. Impossibile. No. Se lo stava immaginando. Tutto.

Poi il riconoscimento lo colpì come uno schiaffo.

Conosceva il volto di quest’uomo.

“Peter!” Disse. Il nome vibrò nel suo petto, suonandogli strano in bocca. L’uomo incontrò i suoi occhi, e cominciò a camminare verso di lui. Attirato da una forza invisibile, anche Sylar camminò incontro allo straniero, gli occhi sbarrati. La figura continuava ad avvicinarsi, e non svanì come le altre visioni che lo avevano inseguito nei suoi incubi. Sylar parlò, metà a sé stesso, incapace di rimanere in silenzio. “Sei davvero tu?”

Peter―sì, Peter Petrelli, il ragazzo con i capelli scuri, seri occhi castani e una bocca decisa; il ragazzo che aveva incontrato in un sogno di un sogno tempo fa―gettò a terra il palo di metallo che aveva sbattuto contro il cemento. Sferragliò contro la strada. Peter continuava a camminare. Tremando per il terrore, ma incapace di contenere la sua curiosità, Sylar allungò una mano verso di lui.

“Sono venuto a portarti fuori di qui.”

Le parole di Peter gli colpirono i timpani come martelli. Gli ci volle un attimo per capirle―ed anche allora, rimasero distanti fino al momento in cui il palmo della sua mano incontrò la stoffa scura della spalla di Peter, ed il calore e la solidità sotto di essa. I suoi occhi volarono a quelli di Peter.

“Sei tu, vero?” Annaspò. Poi ritirò la mano, sentendone bruciare il centro―scacciò via il dolore, e guardò intorno al vuoto. “Pensavo di essere da solo qui―che tutti fossero morti.” Con la mente che ancora turbinava, si voltò di nuovo verso Peter. “Cosa ci fai qui?”

“Sono venuto a trascinare il tuo culo fuori di qui.” Disse francamente. “Forza andiamo.”

Sylar lo fissò attentamente, stupito.

“Non si può uscire da qui, Peter.” Ancora una volta, guardò da una parte all’altra della strada. “Ci ho provato. Per tre anni.”

“Tre anni?” Disse Peter stupito. “Di che stai parlando? Sono passate solo tre ore.”

Questo era sbagliato. L’incredibile stupidità di quella frase si bloccò nella gola di Sylar. Indietreggiò.

“Aspetta un attimo.” Indietreggiò di altri tre passi. “Tu non sei…davvero qui. Tu non sei reale.” Si voltò e con lo sguardo cercò per le finestre degli edifici, e per il cielo traditore sopra di lui. “Questa è la mia mente, vero? Questa è la mia mente che cerca di ingannarmi come parte della mia punizione, non è vero?” Panico e rabbia saettarono per il suo sangue, e lui si voltò per affrontare di nuovo Peter―mandato probabilmente da colui che aveva creato questo inferno. “Pensi che ti permetterò di schernirmi?” Scosse la testa, e puntò severamente un dito contro Peter. “Stammi lontano. Se mi seguirai, ti ucciderò, mi hai capito?” Cominciò a correre il più veloce possibile, i suoi piedi che martellavano sull’asfalto. Poco dopo, sentì dei passi dietro di lui.

Sylar!

Il suo cuore mancò un battito. La sua vista sfuocò.

Sylar.

Il suo nome.

Il suo nome.

                                                                                                                                  VVV

Wow. Peter non si era certo aspettato quello. Inizialmente aveva raccolto il palo per usarlo contro Sylar quando lo avrebbe attaccato. Poi, dopo aver vagabondato per alcuni minuti senza trovare niente, lo aveva usato per fare del rumore. Ma quando aveva visto Sylar per la prima volta, aveva capito che non aveva bisogno di un’arma. Lo riconosceva a malapena.

Peter immaginava che Sylar gli si era avvicinato come qualcuno si avvicina ad un angelo. E quando gli aveva toccato la spalla, Peter aveva visto qualcosa negli occhi di Sylar che mai aveva ritenuto possibile.

Puro, delizioso sollievo.

Era stato soltanto un lampo, ed era stato subito rimpiazzato dall’insicurezza, e una distante foschia dietro il suo volto, come una persona smarrita che pensa di aver visto una terra familiare.

E poi era arrivata un’altra sorpresa.

Quando Sylar si era improvvisamente sentito minacciato, non aveva drizzato le spalle per combattere.

Era scappato.

E Peter, scioccato, lo aveva rincorso, urlando il suo nome.

Lo inseguì per tutta la strada fino ad un quartiere e dentro un edificio, poi dritto in una piccola stanza piena di orologi e montagne di libri. Peter ricacciò lo shock per l’errore tattico. Sylar si era intrappolato da solo. Ora stava innanzi a Peter, gli occhi selvaggi, la schiena al tavolo, in mano un martello.

“Ti giuro che ti ucciderò! Vattene dalla mia mente!”

Peter alzò le mani. Non era sicuro di quello che gli poteva fare un martello in quel mondo, ma non voleva correre ulteriori rischi oltre a quelli che stava già correndo.

“Calmati,” disse piano “ti sto dicendo la verità. Sono venuto per portarti via di qui.”

L’espressione di Sylar tremò.

“Perché continui a dirlo?”

Peter si avvicinò, le mano ancora in alto, capendo che anche uno spietato serial killer sarebbe andato via di testa a questo punto.

“Sono andato a casa di Parkman per cercarti. Lui ti ha messo qui. Questo è un sogno.”

“No, non è un sogno!” Urlò Sylar. Peter resistette all’istinto di indietreggiare. Sylar lanciò un’occhiata alla finestra nell’angolo, comportandosi come un gatto messo all’angolo.

“Questo è reale.”

Peter corrugò la fronte, continuando a non seguire la sua logica. 

“Davvero non capisci che tutto questo è solo un incubo?”

“Sì, è un incubo.” Raspò Sylar, lo sguardo che vagava per la stanza. “Tre anni, completamente solo…”

“Non anni. Ore. Capito?” Corresse Peter. “Parkman ti ha intrappolato qui.”

Peter potè quasi vedere gli ingranaggi nella mente di Sylar muoversi.

“Parkman? È impossibile.”

Okay, quindi Parkman aveva fatto qualcosa di peggio dell’intrappolarlo qui. Aveva velocizzato il tempo, così che i secondi sembrassero giorni, facendo sì che la memoria di Sylar svanisse, si perdesse. Ora Sylar stava vacillando. E a Peter non serviva a niente ridotto così. Peter si avvicinò di un altro passo.

“Qual è l’ultima cosa che ricordi prima di venire qui?”

Sylar sbatté le palpebre, guardando di lato il pavimento.

“Mi ricordo…” disse debolmente, con grande sforzo. “Che volevo che la mia vita cambiasse. Pensavo che avrei speso l’eternità da solo…”

“Esatto, e adesso sei qui.” Disse Peter, realizzando all’improvviso cosa voleva dire Parkman quando aveva detto ‘il suo peggior incubo’. Continuò. “Senti, ho il potere di Parkman, posso portarti fuori di qui.”

Sylar incontrò i suoi occhi, uno strano miscuglio di incredulità e speranza in essi.

“Perché vorresti fare una cosa del genere? Il fratello dell’uomo che ho ucciso viene ad aiutarmi?”

Peter deglutì. Quel ricordo, almeno, era rimasto inciso nella sua memoria come in quella di Peter. Doveva pure chiedere…?

“Perché ho bisogno che tu mi aiuti.” Provò comunque Peter. “Senti, fosse per me tu rimarresti qui a marcire. Ma ho bisogno che tu la salvi.” Esitò, ricacciando indietro il dolore che sentiva nel petto. “La mia amica, Emma. Nel sogno, tu la salvavi prima che uccidesse migliaia di persone.”

Sylar stava già scotendo la testa, evitando il suo sguardo.

“Tu…tu hai scelto l’uomo sbagliato.” Mormorò. “Non sono il tipo che salva le persone. Dovresti saperlo meglio di chiunque altro.”

Peter fu scosso da quella confessione. Ma continuò.

“Succederà.” Disse fermamente Peter. “E tu la salverai.”

Sylar lo guardò. Mise il martello sul tavolo. Sollevò la testa, e un po’ dell’antico sguardo di sfida ricomparve.

“Bene. Tu pensi davvero di poterci fare uscire? Fammi vedere. Avanti.”

Peter, mordendosi la lingua, chiuse la distanza fra di loro e mise una mano sulla spalla dell’uomo più alto. Chiuse gli occhi, e concentrò tutto il suo potere sull’abilità che aveva rubato a Parkman. Nelle orecchie sentì un ronzio. Il potere rimbalzò su qualcosa che sembrava muri di marmo come una palla da ping pong. I suoi occhi si aprirono.

Niente.

Le budella di Peter si contorsero. Sylar sollevò brevemente un sopracciglio.

“Visto? Non andremo da nessuna parte.”

                                                                                                                                           VVV

La fusione mentale non stava funzionando. Peter provò altre cinque volte. Alla fine si infuriò e tirò il martello di Sylar contro il muro. Sylar, tuttavia, rimase semplicemente a guardarlo. Peter si passò una mano fra i capelli.

Non capisco!

“Te l’ho già detto―” Cominciò Sylar.

“Lo so che l’hai fatto. Ma ti sbagli.” Peter gli puntò contro un dito. “Devi sbagliarti.”

“Giusto,” Sylar ridacchiò “sono qui da tre anni e non―”

“Tre ore, va bene?” Rispose Peter. “Ore.”

“E allora, cosa facciamo?” Domandò Sylar. “Sei venuto qui ma non sai come uscire?”

Peter sbuffò, ma la sua mente si calmò, concentrandosi sulle parole di Sylar.

“Come sono entrato?” Corrugò le sopraciglia. “Mi ricordo…ricordo di aver camminato per un vicolo verso una via principale, e c’era una specie di gabbiotto metallico alla mia destra, e―”

“Penso…penso di sapere dov’è.” Disse Sylar, facendosi coraggio, la sua voce guadagnava sicurezza. “So dov’è. È da un lato di questo edificio. Te lo mostro.”

Superò Peter e andò alla porta, poi si guardò alle spalle per assicurarsi di essere seguito. Peter camminava dietro di lui, diffidente.

“Mi ricordo quel vicolo.” Continuò Sylar, la sua voce che echeggiava per il corridoio scuro. “Mi ricordo i graffiti―tutti rossi e arancioni. Non sono riuscito a leggerli, ovviamente. Mi sono seduto e li ho fissati per giorni interi, ma non riuscivo a capirli. Ma ho cominciato a capire quali graffiti appartenevano a quale banda, tempo fa. In questa sezione ci sono quelli rossi e arancioni, e le lettere sono fatte come grandi palloncini. Più in centro ci sono i graffiti blu e neri, con lettere più strette e più leggibili ma comunque incomprensibili…”

 Sylar continuava a parlare, per tutto il corridoio, scendendo le scale, per il marciapiede e per la strada. Metà della mente di Peter se ne fregava―si stava sforzando di ricordare i suoi primi momenti in questo reame. Ma l’altra metà seguiva il chiacchiericcio di Sylar, il quale suonava come una strada che serpeggiava per le colline. Sylar faceva delle osservazioni, e ridacchiava, e riempiva gli spazi nei quali Peter avrebbe detto qualcosa se avessero avuto davvero una conversazione. Parlava di niente―e tutto. Tutti i dettagli delle strade, e le cose che aveva imparato in esse. Peter si strofinò la base del naso. Continuava a dimenticarsi che quello credeva di essere rimasto là per tre anni. Non aveva parlato con nessuno in tutto quel tempo. Peter sospirò e accelerò il passo per guardare al di là di un angolo. Non aveva idea del perché Sylar pensava che gliene importasse qualcosa.

“È questa, vero?” Disse Sylar. Peter osservò il vicolo. In effetti in fondo c’era il gabbiotto di metallo. Ma il vicolo andava avanti in eterno. Continuò a fissarlo.

“Cosa?” Disse Sylar, non capendo. “Ci sono passato per questa strada. Un sacco di volte. Non c’è niente laggiù tranne una stazione della benzina crollata, una linea di bidoni della spazzatura, un cassonetto verde e una stazione della polizia vuota.”

“Sta’ zitto.” Ribatté Peter, senza voltarsi, accelerando il passo.

“Peter…?”

Sylar non lo seguì. Peter marciò deciso per il vicolo illuminato dal sole, il vento che lo percorreva sbattendogli addosso. I suoi passi risuonavano contro la pietra, e il suo respiro gli arrivava forte alle orecchie. Sylar non lo seguì.

Peter passò il gabbiotto, continuò, continuò…ed ecco la stazione della benzina a destra. Non ricordava di averla vista. I suoi occhi si spostarono a sinistra. Ecco la linea dei dieci bidoni della spazzatura, e il cassonetto. I suoi passi finalmente vacillarono quando la sua attenzione cadde sull’insegna sopra la porta della stazione di polizia. Si fermò. Sospirò. Si guardò indietro. Non poteva vedere Sylar. Se era ancora lì, il cassonetto verde era in mezzo. Ficcando le mani in tasca e digrignando i denti, Peter calciò un contenitore dei pop corn per tutta la strada di ritorno per il vicolo. Sferragliò e rimbalzò violentemente come a ribellarsi della calma.

Quando raggiunse il gabbiotto, lanciò il contenitore contro di esso con tutta la forza che aveva. La gabbia stridette.

“Peter.”

Peter alzò lo sguardo. Sylar si alzò da dove si era seduto sul marciapiede. I suoi occhi erano grandi, la sua bocca atteggiata in un leggero sorriso. Per un istante, ricordò a Peter di quella volta che aveva fregato Nathan uscendo con i suoi amici, solo per ritornare indietro con aria colpevole trovando suo fratello ad aspettarlo sulla veranda. L’improvvisa immagine bloccò Peter e gli fece contorcere lo stomaco così prepotentemente da fargli dolere ogni parte del corpo.

“Sei tornato.” Disse Sylar, come se stesse provando a convincersi.

“Non per scelta.” Ribatté Peter, superandolo senza guardarlo. “Questa non è la via per entrare o uscire. Non più.”

“Allora qual è la strada?”

Non lo so!” Peter si affrettò ad andarsene, lottando contro le improvvise, vergognose lacrime sempre senza guardare Sylar.

“Dovresti saperlo―non avevi un piano per uscire?” Lo pressò Sylar, standogli alle calcagna.

“Non per davvero. Stavo cercando di raggiungerti prima che Parkman ti sigillasse dietro un muro di mattoni, va bene?” Ringhiò Peter.

“Okay.”

Il tono di Sylar era così sottomesso che Peter lo sentì a malapena.

“Vado a dare un’occhiata in giro.” Decise Peter.

“Va bene.” Disse Sylar, a voce più alta questa volta.

“Non devi seguirmi.”

Peter sentì che Sylar scuoteva le spalle.

“Accidenti, lascia che controlli la mia agenda piena di cosa da fare per vedere se ho impegni…oh, sei fortunato. Ho il pomeriggio libero.”

“Grande. Grandioso.” Peter roteò gli occhi, camminando per la strada, sentendo i passi di Sylar distanti alle sue spalle.

                                                                                                                VVV

Niente.

Niente.

Niente.

Per quanto Peter camminasse, con Sylar a fargli da ombra, non riusciva a trovare una via d’uscita―nessuno strano portale o tunnel o passaggio segreto che poteva farli passare fra le sbarre della prigione di Parkman. Solo una città vuota, come se una pestilenza avesse cancellato ogni singola forma di vita a parte qualche albero occasionale.

Una volta ogni tanto, Sylar faceva qualche sviante commento circa un certo edificio, o su quanti libri aveva trovato in quella cantina, o quanti rami c’erano in questo albero, se contavi solo rami della grandezza di un dito o più grandi. Molte volte c’era sarcasmo nelle sue parole―e altre volte, sembrava che stesse semplicemente pensando ad alta voce, completamente fuori pratica sul come fare conversazione. Peter sbuffò. Come se fosse mai stato capace di fare conversazione.

Massaggiandosi la fronte contro lo sforza dello studiare gli edifici nella luce che pian piano svaniva, Peter svoltò per un altro angolo―e si fermò.

Là c’era l’edificio che conteneva la stanza di Sylar.

“Abbiamo camminato in cerchio.” Mormorò Peter.

“Già, divertente come funziona, vero?” Concordò Sylar, affiancandoglisi. Si fermò a pensare per un momento. “Mi ricorda di quella volta che siamo andati a fare un’escursione senza dirlo alla mamma, e abbiamo percorso questa strada che sembrava un sentiero, ma finì per essere un sentiero tracciato dai cervi, e ci ha fatto camminare intorno fino―”

Peter si voltò improvvisamente verso di lui. Sylar smise di parlare e lo guardò. Il suo mezzo sorriso scomparve.

“Cosa?”

Peter fissò quegli occhi neri, così diversi, così estranei. Il suo sangue ribollì.

“Non hai fatto quell’escursione con me.” Si avvicinò a Sylar, intrappolandolo con gli occhi. “Quello era Nathan. Nathan. Te lo ricordi? L’uomo che hai ucciso? L’uomo che hai asservito nella tua mente?” Peter premette un dito contro la fronte di Sylar. Sylar sobbalzò all’indietro, allarmato.

“Io…sì, io…” Si agitò, cercando veramente di ricordare. “Io…Nathan…” Mormorò il nome. Sentirlo dalla sua voce fece star male Peter.

“Non farlo mai più.” Minacciò Peter. “Non tuffarti nei ricordi di Nathan facendo finta che siano tuoi. Non potranno mai esserlo. Era un brav’uomo, e tu sei un assassino psicopatico. Ti odio. Smettila di seguirmi.”

Sylar lo fissò. Ma la vista di Peter sfocò così tanto che non riuscì a leggere l’espressione del suo viso. Se ne andò in fretta nel crepuscolo, e questa volta, l’eco dei suoi passi risuonò da solo. 

 

Per favore fatemi sapere che ne pensate e se avete dei suggerimenti per la traduzione^^ 

  
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