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Autore: Kurohime    07/09/2010    3 recensioni
Il sole inondava la grande stanza con la sua luce. Al centro vi era un letto a baldacchino nel quale riposava una ragazza che poteva avere più o meno diciannove anni dalla lunga chioma corvina; Marocco.
La giovane si destò dal suo sonno ristoratore, aprendo lentamente gli occhi, per mostrare al mondo due irridi di un intenso giallo elettrico.
Ruotò lo sguardo a destra e a sinistra e sbuffando si rassegnò ad alzarsi.
Genere: Generale, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Turchia/Sadiq Adnan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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ghost of you Salve a tutti voi ragazzi, spero di non avervi fatto aspettare a lungo!
Sono felice che voi continuate a seguirmi con passione!
Ed ora meno parole e più fatti!
See you later!




Capitolo 4: Ghost of you


Grecia e Turchia stavano camminando in uno dei tanti corridoi della vasta casa di Spagna.
“Turchia perché non hai preso il vizio competitivo di sempre?", domandò Grecia.
“Di che parli?”, domandò l'altro.
“Di Marocco... lo so che non provi nulla per lei, tu vuoi solo fama potere e più donne possibili...”
“Sono o non sono il grande Impero Ottomano?”
“Lo eri.”, rispose sconsolato l'altro.
“E con ciò...? Quel fottuto bastardo non la passerà liscia, l'ha fatta soffrire e ora pretende di riaverla? Mi dispiace contraddirlo, ma lei è mia!”
“Pensala come vuoi, uomo avido...”


Nel frattempo...
“Ecco qua! L'ho scelta apposta per te!”, annunciò Antonio raggiante con un ampio gesto delle braccia.
Intanto Marocco stava rimuginando su un'unghia rotta. “Uffa, mi sono rotta un'unghia, tutta colpa di quel pedofilo!”
“Ehm... mi stavi ascoltando?”
“Cosa vuoi?! Ho capito che l'hai scelta per me, ho ben altro a cui pensare, guarda: mi sono rotta un'unghia!”, nel dirlo gli mostrò un lungo dito olivastro con l'unghia spezzata.
Spagna, nel vedere quel musetto tra l'imbronciato e il rattristato, accartocciato come un sacchetto di plastica su una fiamma viva, non esitò a baciare il dito leso.
“Ora non ti farà più male...”,  sussurrò con voce calma e suadente.
Fare male a lei...? Sinceramente, dovette ammettere che le faceva male qualcos'altro... forse il cuore che aveva cominciato a battere a mille?
Si scostò per poi iniziare ad arrossire fino a  sembrare un pomodoro.
Cavoli quell'uomo riusciva a colpirla nei suoi punti deboli, diciamo che era lei a rimanere senza difese in fonte a lui. Inoltre aveva un grande desiderio di gettarsi tra le sue braccia e che la cullassero, anche se era sicura che non se l'avrebbe mai concesso. Perché? Orgoglio magari?
Mentre stava cominciando a perlustrare la camera sotto lo sguardo attento e compiaciuto del moro, si sentirono le note di una nota canzone rock giapponese*.
“Ah, scusa... è Giappone. Gli vado a dire di abbassare.”, sbuffò il ragazzo mentre si dirigeva fluidamente verso la porta.
“No, aspetta!”, lo fermò lei afferrandolo per un braccio. Perché l'ha fermato? Perché quella canzone anche non capendola riusciva a esprimere i suoi sentimenti? Perché?
“Davvero?”
“Si, anche se il sound è accattivante, è bellissima. Sono sicura che ha un significato profondo all'interno, dopo chiedo a Kiku di tradurmela.”, affermò lei con aria sognante.
“Beh... non è male!”, e nel dirlo, la mise in posizione di ballo, approfittando del fatto che si tenevano ancora per mano “Beh, è una bella ballata... mi concede questo ballo, senorita?”
“Lo sai che faccio schifo a ballare, Matador.”
“Detto da una che fa sospirare la gente quando muove i fianchi... non ci credo.”, spiegò lui con tono malizioso.
“Che c'è, ci provi bastardo?”, domandò lei con aria stranamente calma.
“Pensala co...”, non poté nemmeno finire la frase che bussarono alla porta.
“Scansati!”, tuonò lei.
“Intistar, dov'eri?!”, esclamò Egitto preoccupato.
“Ehm... niente mi ero solamente persa... sai com'è...”, cercò di giustificarsi grattandosi la testa.
“Penso che io debba andare.”, conclusè Antonio.
“Ecco bravo, smamma!”, gli rinfacciò lei.
Lui, divertito da questo suo comportamento, le diede un buffetto rischiando di prendersi un'ennesimo pugno in faccia.
“Stai bene, piccola?”, disse Egitto stringendola.
“Si, ma non ti preoccupare, sai che so badare a me stessa...senti...dopo ti racconto tutto, ti dispiacerebbe lasciarmi da sola? Sono un pochino scombussolata...".
“D'accordo, come vuoi, ci vediamo domattina.”
“Va bene, a domani.”
Rimase da sola, si distese sull' enorme letto a due piazze di puro legno massiccio e strinse a sè uno dei tanti (e soprattutto morbidissimi) cuscini.
Restò per un po' in posizione fetale e man mano i ricordi del passato cominciarono ad affiorare lentamente mentre lei cadeva in un lungo sonno tormentato.
Lo scenario si aprì con bambino che se ne stava tranquillo a disegnare con un bastoncino sul suolo secco e poroso.
Intanto una giovane fanciulla gli si avvicinava lentamente facendo svolazzare il lunghi capelli neri che le cadevano sulle piccole spalle scoperte.
“Che cosa fai, Antonio?”, chiese la piccola incuriosita.
“È un pomodoro!”
“E che cos'è?”
“Non lo so, ma sento che esistono!”, disse il bambino raggiante, “Salperò per il grande Oceano e li porterò a casa!”
La bambina abbassò lo sguardo rattristata. “Quindi vorrà dire che mi lascerai?”
”Ti prometto che io e te non ci separeremo mai!”, sorrise il ragazzino accarezzandola e dandole un innocente bacio sulla guancia "Ti prometto che se li troverò, te ne porterò quanti ne trovo!”
Lei arrossi, per poi dirgli: “Davvero! C'è un problema però.”
“Quale?”
“Se me ne porterai tanti quanti ne trovi, tu rimarrai senza!”
Lui, di rimando, le sorrise e le prese il faccino tra le manine.
“Intisar... tanto li darò tutti a te! E' questo ciò che conta!”
“Mi prometti che non te ne andrai mai via?”
“Te lo prometto!”
“Ne sono felice! Dai andiamo a giocare!”
Detto ciò trascinò con sè il piccolo Antonio che si lasciò andare con piacere.


Improvvisamente, si riaprì ancora quello scenario, sempre sotto a quel gruppo di alberi, tranne che sembrava che fosse passato un po' di tempo. Infatti,  sotto le fronde brillanti degli alberi, non c'era più il bambino di prima, ma un giovane uomo che, invece di disegnare segni per terra, se ne stava appoggiato a un tronco con le braccia conserte al petto.
Inoltre, sul suo viso non vi era più stampato uno dei i suoi sorrisi caldi e rassicuranti, ma uno sguardo serio e freddo.
“Eccomi Antonio, mi hai chiamata?”, sorrise una ragazza che poteva essere nient'altro la bambina di prima, la quale, per quell'occasione, aveva rinunciato alle vesti militari per indossare un lungo abito nero con fantasie blu che non esaltava molto le forme ancora acerbe. Dopo essersi truccata e ingioiellata in maniera non esagerata, decise di cingere il proprio capo con un turbante le quali sfumature variavano dal blu notte al bianco.
Non era una tipa da conciarsi così, ma come si dice... a cuor non si comanda.
“Antonio, che cos'hai?”, fece per allungare una mano verso di lui, che scacciò subito via.
“Non chiamarmi Antonio! D'ora in poi io sono Spagna!”, ruggì lui.
“Scusami tanto, ma potrei sapere la ragione di questo tuo comportamento?”, chiese diventando dun'tratto seria. “Arriva al dunque!”
“Voglio l'indipendenza, Marocco.”
“Cosa?!”
“Come hai sentito, sono stufo di essere sottomesso! Prima l'impero Romano, poi quello Arabo, poi sei arrivata tu...”, e qui gli morirono le parole in gola “Diciamo che mi sono trovato bene con te, ma ora basta. Voglio l'indipendenza. I tuoi superiori chiedono troppe tasse al mio popolo e dato che rappresento la volontà di esso, devo far ciò che mi è chiesto. Mi dispiace, ma non posso farci nulla...”
Marocco era incredula. In poche parole era tutto finito. Non si accorse neppure che la sua mano si era mossa per dare uno schiaffo al ragazzo.
“E che ne sarà della nostra promessa?”
“Mpfh, roba da bambini”, disse lui massaggiandosi la guancia “come sai mi a cara noi siamo la volontà del popolo, non abbiamo vincoli.”
“Allora mi dichiari guerra, Carriedo?”
“Prendila come vuoi.”, disse lui con voce pacata.
“Che guerra sia.”

Per l'ultima volta, lo scenario si aprì in un campo di battaglia ed era il 2 gennaio 1492.
Tra un ammasso di cadaveri, vi erano solamente due persone ancora vive, una donna ed un uomo: Marocco e Spagna.
Lei era inginocchiata e si sorreggeva esile con la sciabola, il capo era chino lasciando i lunghi capelli danzare assieme al vento. Non si era mai sentita più vulnerabile di allora, sentiva la propria anima pronta a staccarsi da corpo materiale una volta per tutte.
Spagna era in piedi davanti a lei, nel suo sguardo vi albergava un misto tra senso di colpa e tristezza. Dopo tutto aveva fatto soffrire la donna amata che ora gli pareva simile a uno dei tanti cadaveri ammassati in quel campo poroso e secco, cosparso di sangue. Del suo popolo e di quello del suo amore.
Le porse la sua mano in aiuto, la stessa mano che aveva rovinato i suoi saluti e l'aveva tradita.
Lei gli sputò sopra saliva e sangue la caccio via disgustata “Stammi lontano, stronzo!”, ruggi debolmente mentre un rivolo denso e rosso le usciva dall'angolo sinistro della bocca piena di lividi.
Dopo queste parole simili a veleno, si alzò in piedi barcollando, prendendo la sciabola in mano e nell'altra la lunga chioma dello stesso color dell'ebano.
Antonio era scandalizzato vedendola in quella posizione e l'unico pensiero che riuscì a formulare era che la ragazza stesse per suicidarsi, ma che sparì nel vederla tagliarsi i lunghi capelli riducendo il taglio in una corta zazzera.
“Ascolta!”, disse lei lei stringendo quel che qualche secondo fa apparteneva alla lunga chioma.
“Lo giuro sul mio onore di donna sui i miei capelli, sul mio ornamento, sulla mia dignità! In futuro io non mi farò sconfiggere da te e non mi farò alcuno scrupolo ad ostacolarti in qualche maniera!”, e detto ciò, gli lancio i suoi capelli in faccia, per poi andandosene sempre barcollando.
Spagna iniziò a raccogliere quel che un tempo era la lunga chioma che lo avvolgeva tutte le notti, per poi farne una lunga treccia. L'avvicinò al naso per  assaporare per l'ultima volta l'odore della donna amata.
E con ciò ebbe fine la Reconquista** spagnola  ed, assieme ad essa, anche il loro amore.

Ormai erano ricordi lontani, l'unica cosa che sentiva ora era il suo nome ripetuto in continuazione.
Aprì gli occhi per poi ritrovarsi faccia a faccia con Sadiq. Lo vide parecchio preoccupato e sfiorò le sue guance bagnate come se avesse pianto per tutto il tempo.
Ma  non si accorse di essere avvolta tra le possenti e rassicuranti braccia del turco.
Voleva reagire e non mostrarsi debole davanti a lui, ma l'unica cosa che riuscì a fare era di mettersi a piangere e stringersi più forte aggrappandosi alla schiena del turco. Stranamente si sentiva a suo agio e al sicuro.
Lui la strinse a sè ancora più forse e le mormorò queste parole nell'orecchia, in modo così dolce e denso che Intistar pensò quasi di poter toccare: “Sta tranquilla, è tutto apposto”.






*La canzone è Shiver dei Gazette! La quale trovo affascinante!


**Ferdinando assieme alla sua consorte Isabella chiamati Los Reyes Catolicos (I Re Cattolici) espulsero l'ultimo dei governanti moreschi nel 2 gennaio del 1492 ovvero alla vigilia dell'epoca moderna.




Risposte alle recensioni!
MellinaW: Socia! Cara, hai visto che cosa ci ritroviamo qui?! Come hai detto due celebrolesi, ma di brutto!
Per Olanda dispiace anche a me, anche se ho tifato per tutta la serata per il nostro matador! Spero che questo capitolo ti soddisfi! Ciao ciao!
Haruhi1Miku: Sono ultramega felice che il capitolo ti sia piaciuto! Si come hai detto è un bel tipino! Spero che tu continui a seguirmi e spero che questo capitolo sia stato di tuo piacere!
Ringrazio tutti voi che leggete che recensite! E riservo un grande grazie per la mia socia MellinaW, che continui a seguirmi nel mio cammino e chiedo perdono per lo stress che ti provoco! Gomennasai! doppio inchino*
Mi sono dimenticata di dire che ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto questa fic tra le seguite/preferite/da ricordare!
E che Zio Fritz vegli su di voi!
CIAO!!!
   
 
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