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Autore: Gloom    15/09/2010    2 recensioni
Polverano è un tristissimo paesino, dimenticato tra le montagne abruzzesi, ed è anche la nuova casa di Angela: quindicenne abbattuta che vi si è traferita per seguire sua madre.
Polverano è anche la casa di Corrado e Raffaele: due gemelli, amici per la pelle, che saranno i primi ad accogliere Angela.
I tre diventeranno inseparabili... abbastanza per aiutare Angela a far pace con il suo passato, con suo padre e con un paio di conti in sospeso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angela

 

Sembrava non ci fossero forme di vita nella casa: mamma non si vedeva ancora, bloccata al lavoro, sarebbe tornata solo verso sera.

Tuttavia qualcosa che respirava c'era, rannicchiata sul pavimento al centro della propria camera da letto... ma lo faceva solo perché il movimento non era dettato dal cervello. Per il resto dovevo sembrare davvero morta.
 I pensieri vorticavano nella testa senza un senso, come se fossero insieme ai panni sbatacchiati nella centrifuga. Ero consapevole della loro esistenza, ma non volevo sapere cosa riguardassero. Volevo tenerli chiusi nella mente e non leggerli mai.
 Il sole si fece sempre più spento, fino a sparire dietro i monti, ma io ancora non mi muovevo.

Poi pian piano cominciai a fare ordine nel casino che avevo dentro, ma non mi piacque: Raffaele? Raffaele? Lo stesso Raffaele dolce e tenero che aveva paura ad avvicinarsi a me, che mi aveva regalato il ciondolo che portavo al collo, che mi aveva salvata da mio padre, se la faceva con un'altra? Non era possibile.

Era successo sicuramente qualche altra cosa tra lui e Corrado e, per far del male a Raffaele, Corrado doveva essersi inventato una cosa del genere. Per forza. Se le cose stavano così, era Corrado a fare schifo. Ebbi bisogno di certezze.
 Con uno sforzo immane, riuscii ad alzarmi, guidata solo dalla sete di verità. In altre parole dalla paura.

Il cellulare, avevo bisogno del cellulare...lo trovai dopo aver girato per tutta la casa, sprofondai su una sedia in cucina e scrissi un messaggio a Raffaele.

"Dimmi che non è vero". Non me la sentivo di aggiungere altro.

L’avrei chiamato, se solo avessi avuto abbastanza soldi. Né potevo chiamarlo al telefono fisso, dato che mi avevano sempre insegnato che chiamare più volte non era proprio educato.

Ok che in quella casa uno era il mio ragazzo e uno il mio migliore amico, ma quando Selina mi guardava mi sentivo inquieta; già ero abbastanza ingombrante in quella casa, non ci tenevo a infilare il coltello nella piaga.

E poi non me la sentivo di sostenere una conversazione che richiedesse l’uso della voce.

Non so quanto tempo aspettai; sicuramente molti minuti, ma avevo perso la nozione del tempo.

Da fuori la casa doveva sembrare disabitata: non avevo la forza di accendere le luci o la televisione o il computer, e rimasi seduta fino a quando anche la luce bluastra che entrava dalla finestra cominciò ad essere insufficiente.

Poi il cellulare trillò; mentre allungavo la mano, scoprii di non voler affatto leggere la risposta. Ma non dovevo essere così vigliacca, non era giusto, non era... il pollice schiacciò il pulsante al centro, come se avesse preso da solo la decisione di aprire il messaggio.

All'inizio vidi solo lettere, senza capire le parole che erano scritte sul display, come se fossero scritte in svedese. Poi il cervello cominciò a funzionare.
 "Non so cosa ti abbia detto Corrado, però le cose non stanno come sembrano. Ti prego, parliamone domani".
 Non era quello che volevo sapere. Non mi importava come stavano le cose, volevo solo sapere se era la verità.
 "Corrado ha detto che Carolina ci sta provando con te e che tu la stai assecondando". Questa volta la risposta non si fece attendere:
 "Posso spiegarti domani, ora non avrei abbastanza messaggi gratis e non ho altri soldi!".

Il cuore cominciò a pompare più sangue e cominciai a respirare più velocemente.
 "Dimmi solo se è la verità".

Aspettai. Un quarto d'ora. Mezz'ora. Un'ora. Un'ora e mezza. Due ore. Dopo due ore e mezza fui certa che non avrebbe risposto. E ciò equivaleva a dire che era la verità.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma prima che potessero cadere le strofinai violentemente via. No, non avrei pianto per un verme del genere.

Corsi in camera, accendendo tutte le luci, entrai aprendo la porta con un calcio e strappai dal muro una foto, l'unica che mi fossi data la pena di stampare dal computer. Nella foto c'eravamo io e Raffaele. La tenni in mano per un po', poi la strappai in due, in quattro, in otto, provai a stapparla ancora ma i frammenti caddero sul pavimento come tanti coriandoli.

Due lacrime caddero, ma non ci feci caso: mi strappai il ciondolo a forma di cuore dal collo e lo scaraventai tra i coriandoli, con la cordicella ormai distrutta.

Accesi il computer ed eliminai tutte le canzoni che mi aveva passato Raffaele dal suo mp3. Il titolo di una di queste mi fece cadere altre lacrime: "make you feel better".

Era passato così tanto tempo da quel giorno... Perché? Perché? Altre lacrime. Mi accasciai sulla sedia e seppellii il volto tra le braccia, piangendo fino a quando non si irritarono gli occhi. Perché, perché?


 Poi mi chetai. I singhiozzi finirono, le lacrime si asciugarono lasciando strisce salate sulle guance. Rimasi a fissare il vuoto con occhi spenti.

Sentii il cellulare trillare, avvertendomi che era arrivato un messaggio. Deglutii le lacrime che si erano fermate in gola, poi lo afferrai speranzosa.

Forse non era tutto finito. Forse quello era un messaggio di Raffaele che mi spiegava tutto... presi il cellulare ed aprii il messaggio. Non era Raffaele. Era Corrado.
 "Mi dispiace per come sono andate le cose...ci vediamo domani a scuola, ok?". Fissai quelle parole senza senso.
 Quando, dopo la scuola, avevo visto Corrado picchiare quello che era il mio ragazzo, l'avrei ucciso.

Raffaele mi spiegò che non sapeva cosa gli era preso, e la mia ostilità era salita. Pensavo che fosse qualcosa che riguardava solo loro due.

Poi l'avevo chiamato, e tutto quello che avevo sentito era l'odio per il fratello che trapelava dalla sua voce. Ricordai ciò che mi aveva detto: "Quello schifoso di Raffaele si è preoccupato solo che io non ti dicessi niente...".

Come se dicendomi quello che era successo avesse voluto fare un dispetto a Raffaele.

E di me non gli era importato niente. Voleva solo far del male al fratello, come questo ne aveva fatto a lui. E non aveva esitato a mettermi di fronte alla realtà, non gli era importato che io ci sarei potuta rimanere male, non si era dato la pena di trovare il modo più carino.  
 "In classe io rimango al posto vicino a Silvana" gli risposi.
 "Perché? Che ti ho fatto io? Guarda che fa schifo anche a me che io sia il fratello di Raffaele".
 "Non hai capito. Io vicino a te non voglio più starci. Tra te e tuo fratello non so chi è più stronzo. Ciao ciao".

Spensi il cellulare. Non volevo più sentire nessuno. Con mio grande disappunto, caddero altre due lacrime.

Infine la verità mi si presentò così immediata che ci mise alcuni istanti prima di delinearsi nel mio cervello in frasi di senso compiuto: ero rimasta completamente sola. Avevo perso il mio ragazzo e il mio migliore amico in un giorno solo, un giorno normale, un giorno dei tanti.

Era successo tutto così in fretta che ci avevo messo un po' per rendermene conto... Questa volta non provai neanche a fermare il flusso di lacrime silenziose che ripartiva, mi limitai ad affondare il volto tra le braccia, chiudendo gli occhi con l'intenzione di non aprirli mai più.


 Forse dovevo essermi appisolata: non mi accorsi della porta che sbatteva e del rumore di un mazzo di chiavi che veniva riposto sulla mensola vicino la porta. Non mi accorsi di mia madre che passava per casa a spegnere tutte le luci che avevo acceso nella foga di distruggere ogni cosa che mi legava a Raffaele. Non mi accorsi di lei che infine apriva dolcemente la porta della mia camera e mi vedeva accasciata sul letto, oppure del suo sguardo che vagava sui resti della foto per terra, tra i quali il ciondolo che rifletteva la luce del lampadario e che ormai era lontano dal mio collo.

Però la sentii sospirare; a quel punto aprii gli occhi e, senza muovermi, puntai il mio sguardo acquoso sul suo.

Lei si avvicinò cauta.
 -E' successo qualcosa?- chiese.

Mi venne voglia di ridere: che domanda cretina! Era ovvio che fosse successo qualcosa. Non impazzivo da un momento all'altro, non senza un valido motivo.

Poi però decisi di rispondere. Lei ci stava provando ad essere gentile con me.

Cercai di parlare, ma uscì solo un pigolio che non mi sarei mai aspettata potesse provenire dalla mia gola.

Mamma lo sentì e si sedette sul bordo del letto, poggiando le mani sulle ginocchia:
 -Raffaele vero?- Io annuii.

Lei mi carezzò i capelli.
 -Vuoi parlarne?-
 Rimasi un po' in silenzio. Parlare sarebbe stato come renderlo ufficiale, metterne un'altra persona al corrente avrebbe fatto sì che non potessi più tornare indietro.
 -Un'altra ci sta provando con lui e lui la sta assecondando- spiegai.

Mia madre annuì comprensiva.
 -Tu più di tutti sai che ti capisco- le si spezzò la voce -ma non devi buttarti giù. So che in questo momento vorresti sparire, ma non devi permettere di essere trattata come un oggetto. Tu sei una persona, e a lui non è concesso usarti e farti star male. Capisci?-

Annuii. Parole vuote. Lei mi carezzò la spalla.
 -Vuoi che vada via?- chiese.

Non sapevo cosa avrei voluto. A quel punto volere qualcosa mi sembrava anche troppo. Rimasi in silenzio.

Lei lo prese per un sì, mi baciò la testa e si alzò, facendo cigolare la rete del letto. Quando arrivò alla porta, mi sforzai di ricacciare la voce. Non ricordavo neanche più che suono avesse.
 -Mamma?-

Lei si girò.
 -Domani starò meglio?- chiesi.

Mi guardò comprensiva:
 -Sei una delle persone più forti che io conosca. Puoi stare meglio nel momento in cui lo deciderai-.
 -Non è vero. Mi sembra che non riuscirò mai a continuare la mi vita senza di lui. E' come se fosse finito tutto il mio mondo. Non ho voglia di fare più niente-.
 -La tua vita non sarà più come prima. Una parte di te è in lui, e una parte di lui è in te, ed entrambi la conserverete fino alla fine. Ma lui non è il tuo mondo, tu puoi continuare a vivere senza di lui. Fidati- sorrise dolcemente. Io non risposi.
 -Vado a cucinare qualcosina, d'accordo?- Annuii. Lei socchiuse la porta, lasciandola cigolare un po'.


 Raramente parlavo con mia madre: la chiusura di carattere l'avevo ereditata da lei. Ma oltre a questa mi aveva passato anche l'empatia: una spiccata capacità di capire i sentimenti degli altri. Il che non voleva dire che poi sapevo come comportarmi quando mi ci trovavo di fronte, ma entrambe riuscivamo ad immedesimarci l’una nell'altra. Per questo riuscì a capire che sarebbe stato meglio farmi stare un po' per conto mio.


 Quella sera fu silenziosa, più del normale. Mi trascinai a cena, dove la televisione borbottò prima un barboso telegiornale, poi una soap-opera, secondo gli ordini di mia madre, che li amministrava attraverso il telecomando. Evidentemente non riteneva che fossi predisposta per un film troppo impegnativo, a ragione. Prima di ritirarmi in camera, le feci la mia richiesta:
 -Domani c'è assemblea d'istituto. Il tempo di fare l'appello e poi in teoria dovremmo riunirci in aula magna ad ascoltare i rappresentanti a parlare non si sa di che. Non si fa lezione-.
 -Quindi?-
 -Posso venire in città con te?-

Mamma smise di lavare i piatti per rispondermi.
 -Io sto in ufficio. Cosa verresti a fare?-
 -Io...volevo vedere un po' le mie amiche. Domani proprio non me la sento di andare a scuola...-
 -Non c'è Corrado?-.

Scossi la testa:
 -Corrado non è meglio del fratello. Abbiamo litigato-.

Mia madre sospirò:
 -Se vuoi io ti porto con me. Ma ti annoierai...-
 -Tranquilla, loro escono da scuola a mezzogiorno, non mi pesa passare la mattinata da te-.

Lei annuì.
 -Grazie- mormorai.

Andai in camera, dove ripresi il cellulare; era ancora spento. Lo accesi, con l'intento di mandare un messaggio a Pu o a Pam. Sentivo che non sarei riuscita a reggere una telefonata. Non appena fu acceso, i messaggi che mi erano stati inviati cominciarono ad accumularsi sul display. Uno, due, tre. Non volevo leggerli, ma lo feci. Erano tutti di Corrado.
 "Ora perché te la sei presa con me???", il primo.
 "Eddai rispondi!!", il secondo.
 "Senti un po', non sei l'unica che ci è rimasta male. Ti credi che io sto meglio? Col mio migliore amico che se la fa con la ragazza a cui vado dietro? Almeno potresti degnarti di rispondere. Magari se la pianti con questo comportamento di autocommiserazione! Proprio non vuoi parlare delle cose che ti fanno stare male? Guarda che poi cominci ad essere irritante. Vedi un po' quello che devi fare". Il terzo era decisamente il più lungo.

Sentii la rabbia montare, e per alcuni istanti mi sembrò di capire ciò che provavano i tori mentre qualche Corrado sventolava davanti a loro il mantello rosso. Rabbia, furia, odio. Voglia di avere le corna per infilzare qualcuno. Oh, che sbadata, le corna non mi mancavano. Arrossii umiliata anche al solo pensiero.


 "Non hai capito un bel niente di quello che mi ha fatto incavolare con te, quindi senza che ti metti a cagare sentenze. Forse sei così accecato dal tuo incommensurabile dolore che non ti sei reso conto di quanto mi hai fatto male. Mi hai spifferato tutto solo per fare un dispetto a Raffaele. Solo per fargli tanto male quanto lui ne ha fatto a te. Ma non ti sei reso conto che hai fatto del male anche alla tua migliore amica. Non abbiamo più niente da dirci". Inviai il messaggio senza badare alla forma o a correggere gli errori del T9.

Strinsi le labbra in una smorfia di tristezza, poi inviai un messaggio uguale a Pu e Pam:
 "Ragà, domani se mi aspettate dopo la scuola torno per un po' con voi. Qui è successo un casino. Ci vediamo domani. Vi voglio bene".        

  
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