Eva –
La Prima Figlia
Capitolo 7: Il Diario
Sotto il
cielo appena rischiarato dalla giovane e vivace alba due occhi smeraldini
fissavano sorridenti il mistico spettacolo che la natura, al suo risveglio,
offriva loro.
Le montagne
azzurrine circondate da bianca foschia facevano da sfondo a una vasta e
rigogliosa prateria qua e là disseminata di piccole costruzioni umane e di
alberi d’antica annata, ciascuno con la propria forma particolare, i rami
arzigogolati che si libravano verso il cielo coperti da fronde dai colori più
svariati. Molti di loro erano gli stessi che popolavano quella zona la prima
volta che vi era stato, più di due secoli prima: ora li vedeva un po’ come dei
compagni di vita, dei vecchi amici con cui aveva in comune i ricordi di quel
periodo memorabile.
Quanto aveva
amato quella terra… e quanto l’aveva odiata!
Patria
dell’amore più grande che avesse mai trovato, e insieme del dolore più grande provato.
Due grandi
occhi da cerbiatta, più dolci e afrodisiaci del cioccolato, gli tornarono
nostalgicamente alla mente.
La sua
Roxanne.
Ah, la sua
bellissima Roxanne…
L’aveva persa
nel modo più inaccettabile, e mai se l’era perdonato. Perché, se fosse stato
più accorto, avrebbe potuto evitarlo.
Ora, l’unica
cosa che era sopravvissuta di lei erano i suoi occhi, specchi dell’animo oscuro
di una delle creature più spietate che conoscesse, eppure così assolutamente
intoccabile.
Un sospiro
pregno di sconfitta gli uscì dal muscoloso torace un attimo prima di voltarsi e
vedere i suoi allievi erompere dalla tenda e iniziare a preparare il Circo per il
primo spettacolo del giorno.
Molti di loro
erano appena tornati dalla battuta di caccia notturna presso i boschi vicini, e
sazi e rilassati sorridevano e chiacchieravano coi compagni.
Solo uno di
loro pareva essersi accorto della sua inquieta presenza: Samuel, il bell’adone
nero che, seduto sopra il recinto dei cavalli alla stregua di un cowboy texano,
gli aveva rivolto un sorriso complice. Lui era l’unico, fra tutta la Famiglia
che quel Circo ospitava, a sapere quanta emozione quella terra gli provocasse.
In fondo, era
proprio lì, in quei territori, che l’aveva conosciuto, che l’aveva salvato.
Lì l’aveva
trasformato.
Quella era
stata anche casa sua.
E pur se
figlio suo non era, lo considerava tale da prima ancora che entrasse a fare
parte della sua compagnia errante.
Il ragazzo era
rimasto sorpreso quando aveva appreso della sua intenzione di tornarvi.
Tuttavia, non
gli aveva chiesto cosa avesse in mente, andando contro la sua innata vena
logorroica aveva tacitamente acconsentito.
Sapeva, in
cuor suo, che dietro una tanto grave decisione solo un motivo poteva esserci:
era arrivato il momento di sistemare quanto d’irrisolto era rimasto.
Per fortuna il sabato non
c’era scuola, altrimenti avrebbe dovuto dare conto della sua assenza.
Aveva passato la notte in
bianco, il fido paletto al suo fianco, controllando ogni suo minimo movimento.
Non si fidava a lasciarla
sola, nonostante lei avesse chiesto la sua protezione aveva sempre il timore
che potesse avergli mentito.
Da quando l’aveva fatta
entrare in casa non avevano scambiato parola: quando il buio aveva lasciato
spazio alla tiepida luce dell’alba ancora il silenzio regnava fra loro.
Non sapeva ancora nulla di
preciso sulla sua condizione di fuggitiva.
Si passò una mano fra i
capelli, stanco. Lei, seduta nella poltrona dirimpetto la sua, gli rivolse lo
sguardo inquieto dei suoi grandi occhi azzurri.
Rimase stupito da ciò che
vide: quegli occhi suggerivano una notte passata fra angosce e malinconici
pensieri che mai si sarebbe aspettato avesse una vampira del suo calibro.
“Isobel” La chiamò,
scotendo la testa con perplessità. “che accade?”
“Tutto ciò che non
dovrebbe”
“Non parlare per enigmi,
non ho davvero voglia di stare a sentire frasi senza senso”
“Katherine mi dà la
caccia”
“Me l’hai già detto
questo. Perché?”
“Perché abbiamo tentato di
uccidere il suo uomo”
Alle volte, gli enigmi
usano contorti ragionamenti per fare scoprire a poco a poco una verità che,
detta direttamente, sarebbe certamente indigesta, o tanto inaccettabile da
risultare incomprensibile.
Fu così che il professore
si ritrovò spiazzato da quell’affermazione: tutto di quella frase gli risultava
indecifrabile, perfino la semplicità con cui era stata detta. “… Avete
tentato?” Chiese, cercando di rimettere in ordine i vari tasselli. Non voleva
credere a quanto l’intuito gli suggeriva.
“Io e John”
“Per questo l’ha ucciso?”
“Esatto”
“Ma chi…come”
“Ricordi l’ultima volta
che sono venuta qui, immagino”
“Difficile da
dimenticare…”
“Io e John lavoravamo assieme
per conto di Katherine: dovevamo trovare il meccanismo inventato dal vecchio
Gilbert ed eliminare tutti quei vampiri usciti dalla cripta la cui presenza le
era di disturbo.”
“John… Jonathan Gilbert… Credevo
che il suo odio per i vampiri non gli permettesse di assoldarsi al seguito di
uno di loro”
Lei rise. “Non c’era uomo
sulla terra che odiasse i vampiri più di lui”
“Non esagerare con gli
assolutismi”
“Non esagero affatto:
neanche tu li odi così tanto. Lui è stato cresciuto per cacciarli. E’ stato
cresciuto per odiarli. Non sai quanta oscurità ci fosse dentro quell’uomo.
Avrebbe volentieri
distrutto Katherine: lei era il legame più sanguinoso con quel passato che un
secolo e mezzo fa aveva traumatizzato Mystic Falls.
Ma in tal caso, il fine
giustificava i mezzi.
Prima i vampiri della
cripta, poi lei”
“Immagino che anche lei
sapesse di quanto odio John covasse nei confronti della sua specie: perché si
fidava allora?”
“Katherine non si fida di
nessuno, e odia gli umani: contrattava solo con me.
E nelle sue pretese era
molto esigente.
Il perdono per gli errori
non esisteva… al massimo, se di buon umore poteva concedere uno sconto della
pena.
Noi, tuttavia, eravamo
lontani perfino da tale ottimistico finale: avevamo sbagliato tutto.
Nulla è andato per il
verso giusto.
John, poi, si è lasciato
prendere la mano… ed è andato oltre.
Ha ucciso Pearl, ed era ad
un passo dall’eliminare anche Damon.
Katherine è venuta a
saperlo, lo ha raggiunto in casa Gilbert e lo ha subito assassinato.
Poi ha dato la caccia a
me”
“Aspetta un attimo… cosa
centri tu con l’operato di Jonathan Gilbert? Perché dovrebbe prendersela anche
con te?”
“Non essere ingenuo, Al”
“… Eri d’accordo con lui?”
“Non su Pearl, quella
donna non era un problema, non lo è mai stata. Ha sempre vissuto ai margini
della società vampirica, non ha mai voluto integrarsi: aveva in se troppa
voglia di fare l’umana per poter essere un pericolo.
Ma su Damon sì, ero assolutamente
d’accordo… e in programma c’era di infilare nel barbecue pure Stefan”
Alaric rimase un attimo
silenzioso, fissandola. “Giravano troppo intorno a vostra figlia, è così?”
“Esatt… - Isobel si bloccò
subito, fissando a occhi sbarrati il suo interlocutore – tu… sai?!”
“Sanno tutti oramai”
“E’ stato John a parlare?”
“E’ stato Damon a capirlo,
ed Elena a trovare poi le prove”
“Quel demonio…” Sorrise
appena, ricordando la sagace perspicacia dell’affascinante vampiro. Il suo
volto si fece più amaro quando continuò il suo discorso. “Elena è stata un
errore di gioventù, ma non per questo desideravo meno che il meglio per lei.
Tutt’altro. Le sono stata alla larga anche quando potevo permettermi di tenerla
con me proprio per proteggerla. Non credevo, tuttavia, che lasciarla vivere a
Mystic Falls rappresentasse il principale errore.
Volevo per lei una vita
normale: fra le braccia di due vampiri come avrebbe mai potuto averla?”
Il silenzio cadde fra
loro.
Quella confessione aveva
risvegliato vecchi ricordi, antichi rancori che, specie nel cuore dell’uomo,
non si erano mai assopiti.
“Strano sentirti parlare
così” Proruppe dunque, d’improvviso. Sembrava avulso dalla solita placidità che
lo caratterizzava, ma il fuoco della rabbia gli divorava le vene.
“Io ho fatto delle scelte,
ho dovuto farle Al.”
“Hai voluto farle!” Alzò la voce, duro, senza riuscire a trattenersi. Ma
se ne pentì subito: a che serviva prendersela? Tanto nulla sarebbe tornato come
prima.
“Già, ma non voglio che
lei faccia il mio stesso errore”
“Perché Elena dovrebbe
farlo?”
“Non si può amare un
vampiro senza rendersi conto di cosa ciò comporti veramente! Un giorno si
troverà davanti al dilemma principale sulla sua esistenza, e se deciderà di
amarlo per sempre quale pensi che sarà il costo? La non vita! Si farà
trasformare!” Disse, con un’enfasi che, nata tanto spontaneamente, ebbe
l’effetto di rompere quella maschera di freddezza che lei s’imponeva di
mantenere e che oramai da tempo era diventata, soprattutto dal punto di vista
di Alaric, il suo nuovo volto vampirico.
Quello sprazzo d’involuta
sincerità portò l’uomo a chiedersi quante cose, quanti ricordi e sentimenti lei
stesse celando dietro quella maschera.
“E’ perché t’innamorasti
di un vampiro che scegliesti di trasformarti?”
Lei lo fissò, un po’
stupita da quella domanda. Sorrise appena. “No. Non mi ero propriamente
innamorata… e, in ogni caso, non era un lui ma una lei.”
“Katherine?”
“Già”
“Oh, non conoscevo questo
tuo lato… trasgressivo”
“La storia è molto più
complessa di quello che può sembrare, mio malizioso interlocutore”
“Perché non me la
racconti? Sai, sono davvero curioso di sentirla”
“Preferisco di no”
“Però vuoi il mio aiuto
per salvarti dalle cazzate che hai fatto”
“Esatto”
Lui ridacchiò davanti a
tanta sfrontatezza, interiormente irritato. Lei sapeva di potersi permettere
quegli atteggiamenti con lui: aveva la certezza che non avrebbe mai permesso
che lei morisse nonostante tutto quello che gli aveva fatto passare e ne
approfittava.
“Lasciamo perdere…
Dove eravamo rimasti?
Ah, già, a Elena e i suoi
amichetti succhiasangue, e al fatto che sei così pentita del tuo gesto da non lasciare a tua figlia neanche la
facoltà di scelta”
“Arrivati al mio punto,
non c’è neanche più possibilità di pentimento”
“Sei quasi poetica.”
“E tu meschinamente cinico”
“E’ difficile essere
altrimenti quando si ha davanti la propria moglie morta. Ex moglie, ex. Tuttavia,
dimmi: hai parlato dell’uomo di Katherine. Chi è costui che avete stupidamente
tentato di uccidere? Vive in zona?”
“Non fare il tardo Al, il
suo uomo è Damon!”
“Non dire sciocchezze, lei
l’ha lasciato”
“Ma non l’ha dimenticato. E
lo stesso vale per suo fratello: Damon e Stefan saranno per sempre suoi”
“Una donna innamorata è
una donna gelosa, e mi pare che Elena, nonostante stia con il giovane
Salvatore, sia ancora viva”
“E’ un’altra cosa, non
puoi capire”
“Cosa significa che è un’altra cosa?!”
“Katherine non farà mai
del male a Elena”
“…”
“Per quanto possa
apparirti assurdo, è vero: abbi fiducia in me”
Alaric sospirò, ponendosi
una mano sul capo: quelle mezze confessioni lo avrebbero fatto impazzire. “Dopo
questa, hai altre richieste impossibili da farmi?”
Seduta su un comodo sofà
rivolto verso la cinta del balcone, posa rigida e sguardo fisso dinanzi a se,
Eva pareva esser caduta in un profondo stato catatonico. La tensione che
dilagava nel suo corpo rappresentava l’unico segno evidente che così non era.
Era tornata dall’ospedale
un paio d’ore prima, e invece che stare ad ascoltare le chiacchiere di Rosie si
era diretta immediatamente verso i suoi alloggi, silenziosa e inquieta come non
mai.
Sentirsi male non le
piaceva.
A dire il vero sentirsi
male non piace a nessuno, ma come la pensassero gli altri a riguardo non le
interessava particolarmente. Perché gli altri potevano soffrire, potevano farsi
male, ammalarsi e morire.
Lei no.
Nulla di tutto ciò che
colpiva un essere umano poteva nuocerle.
Assurdamente, i punti
deboli li aveva la sua parte oscura.
Quell’essenza paranormale
che garantiva la perfezione e l’immortalità del suo io antropomorfo aveva in sé
una pecca. Quella stessa manciata di geni che le permetteva di ergersi al di
sopra dei comuni uomini aveva anche il potere di farla crollare sotto i loro
piedi al minimo errore.
La sua immortalità non era
completa, anche lei aveva dei punti deboli: fra questi, la verbena.
Oh certo, neanche quella
maledetta piantina poteva ucciderla… ma, se presa in grosse dosi le causava un
sonno da cui, senza antidoto, non si sarebbe mai più risvegliata.
Un sonno eterno, un coma
senza fine.
Aveva scoperto di esserne
allergica da bambina, grazie a sua madre: impegnata nell’analisi delle sue
potenzialità e debolezze, la scienziata di famiglia aveva trovato subito quel
difetto. Non era stato difficile stare lontana dalla verbena fino allora: non
era una pianta particolarmente diffusa in America.
A Mistyc Falls, invece, la
usavano addirittura nei piatti della mensa pubblica!
“Eva?”
La voce di Rosie la
raggiunse dall’ingresso della sua stanza.
Non si voltò, sapeva che
la donna si trovava alle sue spalle.
Il tono incerto della sua
voce le suggerì che aveva qualcosa di spiacevole da dirle.
Rimase immobile nella sua
posizione, fissando l’orizzonte.
La nera sospirò: sapeva
già che dirle quanto era successo in ospedale il giorno precedente avrebbe
condotto a una situazione difficile. Ma doveva farlo, perché quei ragazzi
avrebbero potuto sul serio aiutarla: Sheila le aveva rivelato particolari della
storia di quel luogo davvero molto interessanti.
“Dovrei parlarti, bambina”
“Ma no, perché proprio
quello?” Chiese Jenna, arricciando il naso.
“Perché no?” Chiese Elena,
facendo spallucce.
“E’ un abito amabile, ma
ne hai alcuni che ti donano di più! Quello amaranto ad esempio!”
“… quale sarebbe?”
“Ma sì, quello lungo in
seta… dove l’hai messo?” Chiese la zia, cercando fra i numerosi capi
dell’armadio.
“Quello della mamma
intendi? Non era viola?!” Chiese allora Elena, con un filo di voce.
“Esatto! Hai intenzione di
lasciarlo marcire qua dentro? E’ un abito meraviglioso, uno splendido ricordo
da indossare, non una cianfrusaglia da porre sotto teca!”
La giovane Gilbert
sospirò, non potendo dissentire sull’affermazione fatta dall’esuberante
trentenne.
Già, esuberante: dopo mesi
passati a essere poco meno che triste e afflitta, d’improvviso, dal giorno
precedente, il suo spirito ribelle ed entusiasta si era come risvegliato.
“Zietta, mi vuoi dire che
accade?” Si decise a chiedere dunque, con una maliziosa alzata di sopracciglia
e un sorriso birbante a illuminarle il viso da bambola.
“Riguardo cosa, di
preciso?”
“Non so…”
“Oh, eccolo, trovato!”
“ …Ieri sei andata da
qualche parte?”
“Provatelo subito!” Disse
quella, gettandole fra le braccia lo splendido abito materno.
“Prima voglio una
risposta!”
“Oh si, sono andata a
vedere uno spettacolo di sexy contorsionisti al circo qui vicino! E ci tornerò
pure stasera!” Disse, al colmo della felicità.
Elena rimase un attimo
spiazzata, poi si mise a ridere. “Come, non ci sarai dunque a casa del
sindaco?”
“Neanche se mi pagassero!
A meno che non mi portino lì quell’equilibrista fantastico che ho puntato ieri…
ma sai, credo sia alquanto improbabile!”
“Mangiauomini!” Le urlò
dietro la nipote mentre iniziava a cambiarsi.
“E’ un dono di famiglia!
Vedi di muoverti comunque, ragazzina: sono già le sei e il tuo cavaliere sta
per arrivare!”
“Farò in fretta! E poi,
Stefan è così paziente…”
“Strega approfittatrice!”
“Le signore si fanno
sempre aspettare!”
“Solo quelle
ritardatarie!”
“Come sto?” Chiese Elena,
mostrandosi con indosso la preziosa veste e le scarpette argentate che vi aveva
abbinato.
“Sei splendida, tesoro”
“Mi faresti un favore?”
“Ma si, certo, se vuoi
venire a vedere quei fisicacci un posto libero per te c’è sempre!”
“Mmm… mentre io mi trucco,
mi sistemeresti la chioma? Mi sa che sono davvero troppo in ritardo…” Disse, sedendosi davanti alla scrivania dove
era poggiato il suo beauty case.
“Oh, cosa faresti senza di
me?!” Esclamò Jenna, mentre con un sorriso si posizionava dietro di lei e iniziava
l’acconciatura.
Elena ridacchiò
felicemente.
La domanda giusta non era
cosa avrebbe fatto, ma cosa sarebbe stata senza di lei o di tutte quelle
persone a cui voleva un bene dell’anima: niente.
Semplicemente avrebbe
cessato di esistere.
Ascoltare ciò che Rosie le
diceva era stato veramente difficile.
Nonostante la sua
attenzione fosse al massimo non era riuscita a capire nulla del suo discorso: ad
ogni parola pronunciata dalla tata c’era una vocina nella sua mente che le
diceva di non starla ad ascoltare, ché nulla di ciò era vero.
C’erano vampiri a Mystic Falls? Ma quando mai!
Damon Salvatore, l’odioso pallone gonfiato, era uno di
loro? Impossibile, girava anche alla luce del sole!
Sheila le aveva detto cose molto importanti di cui
doveva essere messa al corrente subito? Non le interessavano i pettegolezzi
dell’altro mondo!
Più il racconto andava
avanti, più lei si eclissava.
Quando si era alzata e, in
silenzio, aveva lasciato il soave rifugio dell’amato balcone, Rosie non aveva
neanche finito di parlare. Una volta in camera aveva preso il libro che teneva
sempre poggiato nel comodino al fianco del letto e se n’era andata, diretta
neanche lei sapeva dove.
In un posto lontano da
quelle parole incomprensibili che minacciavano di infastidirla se solo per un
attimo si fosse fermata a vagliarle, distante da colei che le aveva pronunciate
e da quella dimora che, al momento, era divenuta un posto poco sicuro per
l’incolumità dei suoi nervi.
Ben presto si ritrovò
davanti ad un grazioso parco ricco di coloratissimi giochi. Lo riconobbe
subito: era il posto dove, un paio di notti prima, aveva conosciuto il fratello
di Elena. Come si chiamava? Non lo ricordava. Del resto, non era un individuo
così brillante da averla positivamente colpita. Anche se, per qualche strano
motivo, quel suo modo di essere tanto semplice e spontaneo non le dispiaceva
così tanto.
Sarebbe rimasta lì molto
volentieri se non fosse stato che, a causa dell’ora pomeridiana, il posto era
già occupato da decine di chiassosi e iperattivi mocciosi. Così, il suo viaggio
alla ricerca di un rifugio tutto per lei continuò ancora un po’.
Molto poco, in effetti.
Perché, bizzarramente, a
Mystic Falls il cimitero si trovava a due passi dal parco giochi, come a
ricordare che risate e lacrime sono due facce della stessa medaglia….
Indubbiamente si trattava di un abbinamento architettonico macabro perfino per
lei che, per quanto provocatrice fosse, non amava affatto l’ambiente sepolcrale.
Rimase un attimo
accigliata davanti all’ingresso della terra dei morti, decidendo il da farsi:
di sicuro lì nessuno l’avrebbe disturbata, ma stare seduta fra tombe, erbacce,
lombrichi e foglie marce non era proprio il massimo del confort. Se solo avesse
conosciuto meglio il paese, avrebbe forse trovato qualche alternativa a tal
lugubre posto: ma mancando la prima condizione, quell’ultima possibilità era
del tutto inesistente. Doveva decidersi a visitare il suo nuovo paese, diamine!
Con un sospiro si accinse
ad entrare, accoccolandosi poi ai piedi dell’albero più prossimo all’ingresso:
nel suo sangue aveva potere abbastanza da essere consapevole dei pericoli
soprannaturali che in un luogo del genere potevano esserci; meglio, dunque,
tenersi vicino all’unica via di fuga presente.
Incrociate le gambe e
poggiata la schiena al robusto tronco, lo sguardo le cadde sul tomo che teneva
in grembo.
Era un diario, un
preziosissimo diario dagli intarsi d’oro, i cui fogli di pregiata pergamena
erano ricoperti da una fitta, minuscola ma elegante calligrafia femminile.
Era il diario personale di
sua madre, l’ultimo di una grande collezione che aveva già ispezionato nel
dettaglio in quegli ultimi tre mesi.
I segreti di ciò che la
sua genetrice stava cercando di fare dovevano certamente trovarsi lì: il suo
istinto le diceva che ciò che accadeva nei laboratori sotterranei della sua
vecchia dimora aveva qualcosa a che fare con la bestiale macellazione di sua
madre.
Finora tutto ciò che aveva
letto non le aveva rivelato nulla di nuovo sulle analisi da lei effettuate: da
sempre sapeva di essere l’oggetto dei suoi studi. Da quando era nata la madre
monitorava i suoi geni, studiava l’essenza del suo strampalato DNA e ne cercava
le pecche per tentare di aggiustarle.
Accarezzò la ricca
copertina, passando le dita affusolate sul nome scritto in caratteri gotici
d’oro.
Roxanne.
Strano come un oggetto
tanto elegante fosse di proprietà di una donna tanto scialba e modesta come sua
madre. Non si trattava solo di qualità caratteriali, ma perfino fisiche: i suoi
occhi erano di un celeste pallido e banale, i suoi capelli di un delicato color
platino e la sua pelle candida come la neve. Era alta, magra e ossuta. Oh certo,
non poteva negare, nonostante tutto, che per certi versi potesse essere perfino
graziosa… aveva la bellezza di un angelo solitario, e quando sorrideva sapeva
trasmettere la tranquillità e la pacatezza che parevan inebriare la sua figura….
Questo, almeno, era ciò
che si obbligava a pensar di lei quando la sua coscienza la incolpava di essere
una cattiva figlia. Se si allontanava per un attimo da tale restrittiva posizione
non poteva fare a meno di considerarla una donna inespressiva e insignificante,
schiacciata dal suo inesistente amore per la moda e per la vita mondana tanto
da ridursi a mero topo di biblioteca assai carente di qualsiasi pretesa di femminilità
e fascino.
Sicuramente quello era
stato un regalo di suo padre, il simpaticone che non vedeva da più di cinque
anni.
Chissà se aveva saputo che
sua moglie era crepata.
Arricciò il naso e in un
improvviso impeto di rabbia scagliò il diario con forza dinanzi a sé.
Dannazione a suo padre, a
sua madre e a quello schifo di famiglia che maldestramente avevano messo
assieme! Li odiava! Odiava i loro segreti, i loro misteri, le bugie che le
avevano raccontato e le verità che le avevano tenuto nascoste!
Si accoccolò vicino
all’albero, avvolgendosi le ginocchia con le braccia e nascondendovi il viso
sopra.
C’erano volte, come
quella, che si chiedeva quanto senso avesse continuare a cercare vendetta per
sua madre e ritrovare quel padre che se n’era andato volontariamente lontano da
casa.
Tutto quello che di brutto
aveva passato era sufficiente a liberarla da qualsiasi obbligo di figlia.
Poi, però, si ricordava
dell’affetto che, seppur in minime porzioni, sua madre le aveva dimostrato;
dell’insanabile amore che lei aveva provato per il marito, e dell’immeritata
fine che aveva fatto.
Suo padre poteva anche
essere imperdonabile, ma sua madre no.
Per lei avrebbe continuato
quella battaglia, ad ogni costo.
L’inizio di quella serata
era stato semplicemente perfetto.
Si era preparata in tempo,
e quand’era scesa aveva trovato Stefan ad aspettarla, seduto nel divano del
soggiorno in compagnia di Jeremy.
Immediatamente accortosi
della sua presenza sul ciglio della porta, si era voltato a guardarla,
dedicandole uno di quei suoi sguardi – così profondi, così intensi, così
sinceri – capace di farla sentire felice, realizzata… e semplicemente perfetta.
Poi si era alzato,
catturandola con quell’eleganza e quel fascino antico che lo caratterizzavano,
e l’aveva raggiunta, dedicandole un incantevole baciamano che aveva fatto
nascere un romantico sorriso sulle labbra della zia e uno sbuffo spazientito su
quelle del fratello che si accingeva a lasciar la dimora.
La loro storia d’amore,
alle volte, le ricordava le fiabe e le favole su principi e principesse che
amava farsi raccontare da bambina, dove i due innamorati erano costretti ad
affrontare mille peripezie prima di poter vivere per sempre felici e contenti.
Chissà se anche loro avrebbero avuto quella stessa fortuna…
Ora come ora, il “felici e
contenti” era alquanto relativo e decisamente esagerato per descrivere il loro
stato, e il “viver per sempre” apparteneva ad uno solo di loro.
Non poteva, tuttavia,
dirsi insoddisfatta: stavano vivendo un periodo decisamente pacifico rispetto
alla norma, e dopo le ultime catastrofi di due mesi prima i tasselli
stavano finalmente tornando ognuno al
suo posto.
Non sapeva se fosse
l’inizio della loro era felice o solo un periodo di pace prima dell’ennesima
tempesta, le bastava assaporare il dolce sapore di quell’istante per vivere nel
suo cuore un’eternità da fiaba. “Carpe
diem, Elena” si diceva ogni volta. Cogli l’attimo, ignora il resto.
Solo una volta arrivata
alla grande villa del sindaco, dove aveva trovato ad attenderli i suoi amici,
Bonnie con Caroline e l’immancabile Matt al suo fianco, si era resa conto che
quella giornata non sarebbe stata così idilliaca.
La sua strega preferita
aveva un’espressione seria e concentrata che poco si adattava col tono leggero
della festa, e poco distante da lei il terribile Damon li studiava con
attenzione, come attendendo qualcosa.
“Che succede?” Chiese
Elena all’amica, avvicinando lesi col ragazzo.
Quella, per tutta
risposta, fermò un cameriere e mise nelle loro mani un flute di champagne a
testa.
“Bevete… beviamo tutti,
piuttosto”
“Bonnie, che accade?”
Chiese Stefan, scuritosi.
“Solo l’ennesima
scocciatura. Niente di grave in effetti, ma è da ieri che ho i nervi a terra.
Bevete, coraggio, tanto rimarremo ben poco a questa festa”
“Cosa intendi dire?!”
Sussurrò Elena, leggermente spaventata.
“Tuo cognato ha fissato un
appuntamento con la tua nuova vicina di casa. Inizialmente, in effetti, doveva
tenersi qui, ma per ragioni che non ho ben capito è stato spostato a White Crown.
Ovviamente non credo sia il caso di mancare.”
“Aspetta un attimo… Damon
ha conosciuto Eva?” Chiese Stefan, gettando un’occhiataccia al fratello: come
al solito agiva e non gli diceva nulla. Ecco perché era lì fermo, a distanza di
sicurezza, a fissarla: si godeva, col suo solito cinismo, la scenetta della
rivelazione.
“Non proprio Eva, ma la
sua governante, Rosie”
“Ma… quando?! E’ stata
ricoverata ieri!” Contestò Elena.
“Infatti. Siamo andati
all’ospedale”
“Siete…?!”
“Credo sia il caso che vi
racconti tutto daccapo, ragazzi…”
“Roxanne”
Sbuffò, riconoscendo
subito la voce del seccatore che da un paio di giorni pareva stesse
perseguitandola. L’unico momento di tregua l’aveva avuto in ospedale, dove, per
fortuna, non si era fatto vedere.
Alzò il viso, guardando
con scetticismo la figura dell’alto ragazzo che studiava la copertina del
diario di sua madre dopo averlo raccolto da terra.
“Ma non è il tuo nome”
“No?”
“Non mi pare”
“Sei sicuro?”
“Credo”
“Non c’è scritto altro
lassù?”
Quello si rigirò l’oggetto
fra le mani, dubbioso “Solo Roxanne, sembra…”
“Nient’altro?”
“No!”
“Neppure qualcosa del tipo
SPARISCI E NON FARTI PIU’ RIVEDERE?!” Esclamò, alzando e indurendo la voce in
modo tanto repentino e inaspettato da fare sobbalzare il suo interlocutore.
“No! Ma VAI A FARTI
CURARE, CAGNA RABBIOSA potrei anche aggiungercelo io!”
Eva
si alzò, e dopo esser giunta con passo stizzito davanti a lui si accinse a
togliergli di mano ciò che non gli apparteneva. Quello però, seccato dal suo
atteggiamento da cavernicola, trattenne la presa urtandola ancor di più. Allora
con un gesto fulmineo, dimostrando una forza impensabile per una fanciulla
tanto minuta, gli strappò l’oggetto conteso, disarcionando il suo possessore
dall’equilibrio su cui stava e facendolo cadere in avanti. E il capitombolo
sarebbe sicuramente andato a finire per terra se non fosse stato per la
prontezza che Jeremy ebbe nell’afferrarsi alle braccia della ragazza, finendo
praticamente in ginocchio dinanzi a lei.
Allibito, non riuscì a
muoversi per un po’.
Stessa paralisi parve aver
colto pure lei, che non si accingeva ad allontanarselo di dosso.
Solo quando sentì un suo
dito accarezzare con titubanza l’anello che teneva al dito, decise di alzarsi e
allontanarsi da lei.
Si diede una sistemata,
mentre Eva continuava a stare in silenzio. Non l’aveva ancora guardata in
faccia, ma sapeva che i suoi occhi verdi erano ancora puntati sul suo indice
destro.
Era l’anello di suo zio: Elena
gliel’aveva dato quando ancora era ricoverato in ospedale dicendogli che
sicuramente ne avrebbe avuto molto più bisogno lui di lei che aveva sempre due
guardie del corpo pronte a tutto per aiutarla.
Ovviamente, non era un
anello qualsiasi: la pietra che vi era incastonata al centro aveva la magica
capacità di salvare il possessore da morti violente.
Quando arrivarono davanti
a White Crown trovarono già Damon ad attenderli sulla porta d’ingresso;
sicuramente si era trasformato in corvo, ben deciso ad arrivare sul luogo
dell’appuntamento prima degli altri. Al suo fianco una sorridente signora nera
li guardava con bonarietà.
Man mano che uscivano
dalla macchina li studiava con attenzione, come cercando di percepirne
l’essenza interiore.
“Buonasera signora” Disse
Bonnie, avvicinandosi e porgendole la mano. Da quando Damon le aveva parlato di
quella riunione, quel pomeriggio, non vedeva l’ora di incontrarla: quella donna
aveva conosciuto sua nonna, era stata una sua amica… poteva aiutarla a riempire
quei buchi che con la sua scomparsa erano rimasti vuoti. Troppe curiosità
aleggiavano sulla figura di Sheila Bennet, troppe domande che non aveva fatto
in tempo a porle.
Lei le rivolse un sorriso
carico di affetto. “Non ti chiedo neanche chi sei, è così chiaro che quasi mi
commuovo! Quanto somiglia la tua aura alla sua! Hai lo stesso spirito
combattivo di tua nonna!”
“Che accoglienza calorosa,
signora.” L’interruppe Stefan, uscendo dall’automobile. “Se non le dispiace,
comunque, preferirei svolgere il nostro incontro in un altro luogo: sa com’è,
meglio non arrischiarsi ad entrare nella dimora di uno sconosciuto!”
Tra tutti, lui era l’unico
a essersi dimostrato scettico da quella novità. Non si fidava, e neanche le
rassicurazioni di Bonnie l’avevano calmato. Aveva accettato di venire e di fare
partecipare anche Elena, ma con una riserva: che i chiarimenti avessero luogo
in uno spazio neutrale.
La donna sorrise,
acconsentendo col capo. “Non dico di non aver sperato che potessimo comodamente
sederci in giardino a chiacchierare, ma immaginavo che qualche obiezione
sarebbe stata fatta. Accetto, è giusto che ciascuno si trovi a proprio agio.
Tu devi essere il fratello
minore di Damon, immagino.”
“Esatto, sono Stefan”
“Ed io Rosie, molto
piacere.” Poi si rivolse al vampiro al suo fianco, sorridendogli birbante.
“Avevo ragione, è un gran bel ragazzone pure lui!”
“Il mio gran bel ragazzone”
Disse una ridente voce femminile. Dopo l’assenso di Stefan, Elena si decise ad
uscire dalla vettura, andando a posizionarsi proprio al fianco del fidanzato.
Gli occhi di Rosie, nel
vederla, si sbarrarono. Rimase immobile, in silenzio, senza mai abbandonare le
iridi scure della ragazza. L’inquietudine corse improvvisamente lungo le vene
di tutti.
Solo chi aveva conosciuto
la cattiveria di Katherine poteva guardare Elena con tanto timore.
La donna, tuttavia, nel
parlare li stupì di nuovo, negando l’intuizione appena avuta.
“Dobbiamo muoverci,
subito. E’ qui vicino, andiamo! Prima che sia troppo tardi!” Sussurrò con
impazienza, afferrandosi la lunga gonna e avviandosi con celere passo verso
chissà dove.
“Cosa accade?!” Chiese
Elena.
“Non ne ho la più pallida
idea tesorino” Replicò Damon.
“Guardate là!” Gridò
Bonnie, indicando il cielo alla loro destra: nubi nere come il petrolio si
addensavano con ferocia sopra un luogo preciso, che non tardarono a
identificare col cimitero. Non molto lontano da lì, un demone palesava il suo
furioso potere.
“Non dovresti averlo”
Quel sussurro, basso
sibilante, così pieno di rabbia da metterlo subito in agguato, lo costrinse a
sollevare lo sguardo e poggiarlo sulla sua interlocutrice.
Il panico lo colse
istantaneamente.
Della bella ragazza,
dell’ammaliante ninfa capricciosa che aveva conosciuto, era rimasto ben poco.
Con le iridi verdi improvvisamente divenute opache come la nebbia, le vene del
viso orribilmente in evidenza per via dell’incarnato troppo pallido e quell’aura
furiosa che la circondava e sembrava irradiarsi a tutto l’ambiente circostante,
riempiendo perfino il cielo di nubi scure e minacciose, Eva avrebbe potuto fare
concorrenza a un mostro biblico.
Un fulmine cadde a pochi
metri da loro, devastando una tomba e terrorizzando Jeremy, che fissava la sua
nuova conoscente pentendosi alacremente di non aver dato ascolto a Damon quando
gli aveva consigliato di starle alla larga.
“E’… è solo un ricordo”
“NON PUOI AVERLO! SOLO LUI
LI POSSEDEVA! LUI E TUTTI COLORO CHE APPARTENEVANO ALLA SUA CERCHIA!” Gridò,
bestiale, mostrando nella bocca la presenza di denti irti e acuminati che a
ogni parola le tagliavano le labbra riempiendole il mento di sangue.
Un altro fulmine cadde,
questa volta dal lato opposto. Il giovane Gilbert si guardò intorno, cercando
un luogo dove eventualmente potersi rifugiare.
“Eva… cerca di calmarti…
Io non so neanche di chi tu stia parlando!”
“EVA!”
Quel richiamo, pronunciato
da una voce ferma e possente alle loro spalle, fece voltare entrambi.
Rosie comparve
all’ingresso del cimitero in tutta la sua possenza e severità, fissando con
rimprovero la ragazza che aveva davanti. Neanche la minima ombra di timore
faceva dubitare il suo sguardo fermo.
“Ritorna qui Eva, ritorna
qui, da me, subito. Abbandona la rabbia, allontanati dai sussurri infernali che
la maledizione ti fa ascoltare.” Disse, avvicinandosi lentamente a lei fino a
quando fu abbastanza vicina da afferrarle le mani pallide e tremanti e tenerle
fra le sue calde e rassicuranti.
Il resto dei ragazzi,
giunti allora, rimase allibita dallo spettacolo che si svolgeva dinanzi a loro;
la loro immobile perplessità durò poco tuttavia… ossia fino a quando Elena si
accorse della presenza del fratello e, al colmo dello spavento, andò ad
abbracciarlo e assicurarsi che stesse bene.
Damon non si mosse,
scuotendo la testa: quel ragazzo sapeva solo ficcarsi nei guai. Si sarebbe meritato
di finire arrostito da una di quelle folgori demoniache solo per non averlo
ascoltato: mai ignorare le parole del grande, potente, saggio Damon Salvatore.
Un brillio poco lontano,
però, attirò la sua attenzione. Incuriosito, vi si avvicinò, trovando un libro
rivoltato fra l’erba.
S’inginocchiò,
raccogliendolo e sfogliandone il contenuto.
La calligrafia chiaramente
manoscritta gli rivelò che si trattava invece di un diario.
Lo chiuse, rimanendo colpito
dalla sontuosa copertina. Era, indubbiamente, un diario molto antico, del
modello preferito dalle ricche signore ai suoi tempi, un secolo e mezzo fa.
Roxanne, il
nome della proprietaria.
Con un nodo alla gola
ricordò che anche Katherine ne possedeva uno identico col suo nome scritto
sopra.
Si alzò, rivolgendo lo
sguardo verso Rosie, accorgendosi solo allora di essersi perso qualche
importante passaggio. Infatti, la baia al momento stava inginocchiata nell’erba
con la protetta assopita sul suo grembo e Bonnie al fianco.
Eva era tornata quella di
un tempo, perdendo completamente ogni traccia del suo aspetto demoniaco.
Dormiva beatamente, il viso roseo e pacifico che la faceva sembrare una bimba
innocente; solo le labbra, ancora in via di rimarginazione, ricordavano il
temibile aspetto assunto poco prima.
Non ci mise molto a capire
che, dopo essere riuscita a placare la sua ira, Rosie doveva aver chiesto alla
stregaccia di addormentarla per un po’.
S’intascò il diario, ben
deciso a conoscerne il contenuto: quell’oggetto apparteneva ovviamente a Eva, e
poteva tornargli utile. Poi, con tutta la nonchalance di cui era capace, si
piazzò davanti alle tre fanciulle accoccolate sull’erba, mentre il resto del
gruppo lo raggiungeva alle spalle.
“Dunque, a che specie
appartiene la mostriciattola?”