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Autore: kishal    15/09/2010    2 recensioni
Perchè essere diversi, spesso, non vuol dire essere soli. C'è sempre qualcuno pronto ad accompagnarci nelle nostre quotidiane difficoltà. Anche se questo qualcuno è il nostro peggior nemico. Non è vero, Damon?
Genere: Avventura, Dark, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eva – La Prima Figlia

 

 

 

 

 

Capitolo 7: Il Diario

 

 

 

Sotto il cielo appena rischiarato dalla giovane e vivace alba due occhi smeraldini fissavano sorridenti il mistico spettacolo che la natura, al suo risveglio, offriva loro.

Le montagne azzurrine circondate da bianca foschia facevano da sfondo a una vasta e rigogliosa prateria qua e là disseminata di piccole costruzioni umane e di alberi d’antica annata, ciascuno con la propria forma particolare, i rami arzigogolati che si libravano verso il cielo coperti da fronde dai colori più svariati. Molti di loro erano gli stessi che popolavano quella zona la prima volta che vi era stato, più di due secoli prima: ora li vedeva un po’ come dei compagni di vita, dei vecchi amici con cui aveva in comune i ricordi di quel periodo memorabile.

Quanto aveva amato quella terra… e quanto l’aveva odiata!

Patria dell’amore più grande che avesse mai trovato, e insieme del dolore più grande provato.

 

Due grandi occhi da cerbiatta, più dolci e afrodisiaci del cioccolato, gli tornarono nostalgicamente alla mente.

 

La sua Roxanne.

 

Ah, la sua bellissima Roxanne…

 

L’aveva persa nel modo più inaccettabile, e mai se l’era perdonato. Perché, se fosse stato più accorto, avrebbe potuto evitarlo.

Ora, l’unica cosa che era sopravvissuta di lei erano i suoi occhi, specchi dell’animo oscuro di una delle creature più spietate che conoscesse, eppure così assolutamente intoccabile.

 

Un sospiro pregno di sconfitta gli uscì dal muscoloso torace un attimo prima di voltarsi e vedere i suoi allievi erompere dalla tenda e iniziare a preparare il Circo per il primo spettacolo del giorno.

Molti di loro erano appena tornati dalla battuta di caccia notturna presso i boschi vicini, e sazi e rilassati sorridevano e chiacchieravano coi compagni.

 

Solo uno di loro pareva essersi accorto della sua inquieta presenza: Samuel, il bell’adone nero che, seduto sopra il recinto dei cavalli alla stregua di un cowboy texano, gli aveva rivolto un sorriso complice. Lui era l’unico, fra tutta la Famiglia che quel Circo ospitava, a sapere quanta emozione quella terra gli provocasse.

In fondo, era proprio lì, in quei territori, che l’aveva conosciuto, che l’aveva salvato.

Lì l’aveva trasformato.

Quella era stata anche casa sua.

E pur se figlio suo non era, lo considerava tale da prima ancora che entrasse a fare parte della sua compagnia errante.

 

Il ragazzo era rimasto sorpreso quando aveva appreso della sua intenzione di tornarvi.

Tuttavia, non gli aveva chiesto cosa avesse in mente, andando contro la sua innata vena logorroica aveva tacitamente acconsentito.

Sapeva, in cuor suo, che dietro una tanto grave decisione solo un motivo poteva esserci: era arrivato il momento di sistemare quanto d’irrisolto era rimasto.

 

 

 

 

Per fortuna il sabato non c’era scuola, altrimenti avrebbe dovuto dare conto della sua assenza.

Aveva passato la notte in bianco, il fido paletto al suo fianco, controllando ogni suo minimo movimento.

Non si fidava a lasciarla sola, nonostante lei avesse chiesto la sua protezione aveva sempre il timore che potesse avergli mentito.

Da quando l’aveva fatta entrare in casa non avevano scambiato parola: quando il buio aveva lasciato spazio alla tiepida luce dell’alba ancora il silenzio regnava fra loro.

Non sapeva ancora nulla di preciso sulla sua condizione di fuggitiva.

 

Si passò una mano fra i capelli, stanco. Lei, seduta nella poltrona dirimpetto la sua, gli rivolse lo sguardo inquieto dei suoi grandi occhi azzurri.

Rimase stupito da ciò che vide: quegli occhi suggerivano una notte passata fra angosce e malinconici pensieri che mai si sarebbe aspettato avesse una vampira del suo calibro.

“Isobel” La chiamò, scotendo la testa con perplessità. “che accade?”

“Tutto ciò che non dovrebbe”

“Non parlare per enigmi, non ho davvero voglia di stare a sentire frasi senza senso”

“Katherine mi dà la caccia”

“Me l’hai già detto questo. Perché?”

“Perché abbiamo tentato di uccidere il suo uomo”

 

Alle volte, gli enigmi usano contorti ragionamenti per fare scoprire a poco a poco una verità che, detta direttamente, sarebbe certamente indigesta, o tanto inaccettabile da risultare incomprensibile.

Fu così che il professore si ritrovò spiazzato da quell’affermazione: tutto di quella frase gli risultava indecifrabile, perfino la semplicità con cui era stata detta. “… Avete tentato?” Chiese, cercando di rimettere in ordine i vari tasselli. Non voleva credere a quanto l’intuito gli suggeriva.

“Io e John”

“Per questo l’ha ucciso?”

“Esatto”

“Ma chi…come”

“Ricordi l’ultima volta che sono venuta qui, immagino”

“Difficile da dimenticare…”

“Io e John lavoravamo assieme per conto di Katherine: dovevamo trovare il meccanismo inventato dal vecchio Gilbert ed eliminare tutti quei vampiri usciti dalla cripta la cui presenza le era di disturbo.”

“John… Jonathan Gilbert… Credevo che il suo odio per i vampiri non gli permettesse di assoldarsi al seguito di uno di loro”

Lei rise. “Non c’era uomo sulla terra che odiasse i vampiri più di lui”

“Non esagerare con gli assolutismi”

“Non esagero affatto: neanche tu li odi così tanto. Lui è stato cresciuto per cacciarli. E’ stato cresciuto per odiarli. Non sai quanta oscurità ci fosse dentro quell’uomo.

Avrebbe volentieri distrutto Katherine: lei era il legame più sanguinoso con quel passato che un secolo e mezzo fa aveva traumatizzato Mystic Falls.

Ma in tal caso, il fine giustificava i mezzi.

Prima i vampiri della cripta, poi lei”

“Immagino che anche lei sapesse di quanto odio John covasse nei confronti della sua specie: perché si fidava allora?”

“Katherine non si fida di nessuno, e odia gli umani: contrattava solo con me.

E nelle sue pretese era molto esigente.

Il perdono per gli errori non esisteva… al massimo, se di buon umore poteva concedere uno sconto della pena.

Noi, tuttavia, eravamo lontani perfino da tale ottimistico finale: avevamo sbagliato tutto.

Nulla è andato per il verso giusto.

John, poi, si è lasciato prendere la mano… ed è andato oltre.

Ha ucciso Pearl, ed era ad un passo dall’eliminare anche Damon.

Katherine è venuta a saperlo, lo ha raggiunto in casa Gilbert e lo ha subito assassinato.

Poi ha dato la caccia a me”

“Aspetta un attimo… cosa centri tu con l’operato di Jonathan Gilbert? Perché dovrebbe prendersela anche con te?”

“Non essere ingenuo, Al”

“… Eri d’accordo con lui?”

“Non su Pearl, quella donna non era un problema, non lo è mai stata. Ha sempre vissuto ai margini della società vampirica, non ha mai voluto integrarsi: aveva in se troppa voglia di fare l’umana per poter essere un pericolo.

Ma su Damon sì, ero assolutamente d’accordo… e in programma c’era di infilare nel barbecue pure Stefan”

 

Alaric rimase un attimo silenzioso, fissandola. “Giravano troppo intorno a vostra figlia, è così?”

“Esatt… - Isobel si bloccò subito, fissando a occhi sbarrati il suo interlocutore – tu… sai?!”

“Sanno tutti oramai”

“E’ stato John a parlare?”

“E’ stato Damon a capirlo, ed Elena a trovare poi le prove”

“Quel demonio…” Sorrise appena, ricordando la sagace perspicacia dell’affascinante vampiro. Il suo volto si fece più amaro quando continuò il suo discorso. “Elena è stata un errore di gioventù, ma non per questo desideravo meno che il meglio per lei. Tutt’altro. Le sono stata alla larga anche quando potevo permettermi di tenerla con me proprio per proteggerla. Non credevo, tuttavia, che lasciarla vivere a Mystic Falls rappresentasse il principale errore.

Volevo per lei una vita normale: fra le braccia di due vampiri come avrebbe mai potuto averla?”

 

Il silenzio cadde fra loro.

Quella confessione aveva risvegliato vecchi ricordi, antichi rancori che, specie nel cuore dell’uomo, non si erano mai assopiti.

“Strano sentirti parlare così” Proruppe dunque, d’improvviso. Sembrava avulso dalla solita placidità che lo caratterizzava, ma il fuoco della rabbia gli divorava le vene.

“Io ho fatto delle scelte, ho dovuto farle Al.”

 

“Hai voluto farle!” Alzò la voce, duro, senza riuscire a trattenersi. Ma se ne pentì subito: a che serviva prendersela? Tanto nulla sarebbe tornato come prima.

“Già, ma non voglio che lei faccia il mio stesso errore”

“Perché Elena dovrebbe farlo?”

“Non si può amare un vampiro senza rendersi conto di cosa ciò comporti veramente! Un giorno si troverà davanti al dilemma principale sulla sua esistenza, e se deciderà di amarlo per sempre quale pensi che sarà il costo? La non vita! Si farà trasformare!” Disse, con un’enfasi che, nata tanto spontaneamente, ebbe l’effetto di rompere quella maschera di freddezza che lei s’imponeva di mantenere e che oramai da tempo era diventata, soprattutto dal punto di vista di Alaric, il suo nuovo volto vampirico.

Quello sprazzo d’involuta sincerità portò l’uomo a chiedersi quante cose, quanti ricordi e sentimenti lei stesse celando dietro quella maschera.

 

“E’ perché t’innamorasti di un vampiro che scegliesti di trasformarti?”

Lei lo fissò, un po’ stupita da quella domanda. Sorrise appena. “No. Non mi ero propriamente innamorata… e, in ogni caso, non era un lui ma una lei.”

“Katherine?”

“Già”

“Oh, non conoscevo questo tuo lato… trasgressivo”

“La storia è molto più complessa di quello che può sembrare, mio malizioso interlocutore”

“Perché non me la racconti? Sai, sono davvero curioso di sentirla”

“Preferisco di no”

“Però vuoi il mio aiuto per salvarti dalle cazzate che hai fatto”

“Esatto”

 

Lui ridacchiò davanti a tanta sfrontatezza, interiormente irritato. Lei sapeva di potersi permettere quegli atteggiamenti con lui: aveva la certezza che non avrebbe mai permesso che lei morisse nonostante tutto quello che gli aveva fatto passare e ne approfittava.

“Lasciamo perdere…

Dove eravamo rimasti?

Ah, già, a Elena e i suoi amichetti succhiasangue, e al fatto che sei così pentita del tuo gesto da non lasciare a tua figlia neanche la facoltà di scelta”

“Arrivati al mio punto, non c’è neanche più possibilità di pentimento”

“Sei quasi poetica.”

“E tu meschinamente cinico”

“E’ difficile essere altrimenti quando si ha davanti la propria moglie morta. Ex moglie, ex. Tuttavia, dimmi: hai parlato dell’uomo di Katherine. Chi è costui che avete stupidamente tentato di uccidere? Vive in zona?”

 

“Non fare il tardo Al, il suo uomo è Damon!”

“Non dire sciocchezze, lei l’ha lasciato”

“Ma non l’ha dimenticato. E lo stesso vale per suo fratello: Damon e Stefan saranno per sempre suoi”

“Una donna innamorata è una donna gelosa, e mi pare che Elena, nonostante stia con il giovane Salvatore, sia ancora viva”

“E’ un’altra cosa, non puoi capire”

“Cosa significa che è un’altra cosa?!”

“Katherine non farà mai del male a Elena”

“…”

“Per quanto possa apparirti assurdo, è vero: abbi fiducia in me”

 

Alaric sospirò, ponendosi una mano sul capo: quelle mezze confessioni lo avrebbero fatto impazzire. “Dopo questa, hai altre richieste impossibili da farmi?”

 

 

 

 

Seduta su un comodo sofà rivolto verso la cinta del balcone, posa rigida e sguardo fisso dinanzi a se, Eva pareva esser caduta in un profondo stato catatonico. La tensione che dilagava nel suo corpo rappresentava l’unico segno evidente che così non era.

Era tornata dall’ospedale un paio d’ore prima, e invece che stare ad ascoltare le chiacchiere di Rosie si era diretta immediatamente verso i suoi alloggi, silenziosa e inquieta come non mai.

Sentirsi male non le piaceva.

A dire il vero sentirsi male non piace a nessuno, ma come la pensassero gli altri a riguardo non le interessava particolarmente. Perché gli altri potevano soffrire, potevano farsi male, ammalarsi e morire.

Lei no.

Nulla di tutto ciò che colpiva un essere umano poteva nuocerle.

Assurdamente, i punti deboli li aveva la sua parte oscura.

Quell’essenza paranormale che garantiva la perfezione e l’immortalità del suo io antropomorfo aveva in sé una pecca. Quella stessa manciata di geni che le permetteva di ergersi al di sopra dei comuni uomini aveva anche il potere di farla crollare sotto i loro piedi al minimo errore.

 

La sua immortalità non era completa, anche lei aveva dei punti deboli: fra questi, la verbena.

Oh certo, neanche quella maledetta piantina poteva ucciderla… ma, se presa in grosse dosi le causava un sonno da cui, senza antidoto, non si sarebbe mai più risvegliata.

Un sonno eterno, un coma senza fine.

 

Aveva scoperto di esserne allergica da bambina, grazie a sua madre: impegnata nell’analisi delle sue potenzialità e debolezze, la scienziata di famiglia aveva trovato subito quel difetto. Non era stato difficile stare lontana dalla verbena fino allora: non era una pianta particolarmente diffusa in America.

A Mistyc Falls, invece, la usavano addirittura nei piatti della mensa pubblica!

 

“Eva?”

 

La voce di Rosie la raggiunse dall’ingresso della sua stanza.

Non si voltò, sapeva che la donna si trovava alle sue spalle.

Il tono incerto della sua voce le suggerì che aveva qualcosa di spiacevole da dirle.

Rimase immobile nella sua posizione, fissando l’orizzonte.

 

La nera sospirò: sapeva già che dirle quanto era successo in ospedale il giorno precedente avrebbe condotto a una situazione difficile. Ma doveva farlo, perché quei ragazzi avrebbero potuto sul serio aiutarla: Sheila le aveva rivelato particolari della storia di quel luogo davvero molto interessanti.

“Dovrei parlarti, bambina”

 

 

 

“Ma no, perché proprio quello?” Chiese Jenna, arricciando il naso.

“Perché no?” Chiese Elena, facendo spallucce.

“E’ un abito amabile, ma ne hai alcuni che ti donano di più! Quello amaranto ad esempio!”

“… quale sarebbe?”

“Ma sì, quello lungo in seta… dove l’hai messo?” Chiese la zia, cercando fra i numerosi capi dell’armadio.

“Quello della mamma intendi? Non era viola?!” Chiese allora Elena, con un filo di voce.

“Esatto! Hai intenzione di lasciarlo marcire qua dentro? E’ un abito meraviglioso, uno splendido ricordo da indossare, non una cianfrusaglia da porre sotto teca!”

 

La giovane Gilbert sospirò, non potendo dissentire sull’affermazione fatta dall’esuberante trentenne.

Già, esuberante: dopo mesi passati a essere poco meno che triste e afflitta, d’improvviso, dal giorno precedente, il suo spirito ribelle ed entusiasta si era come risvegliato.

“Zietta, mi vuoi dire che accade?” Si decise a chiedere dunque, con una maliziosa alzata di sopracciglia e un sorriso birbante a illuminarle il viso da bambola.

“Riguardo cosa, di preciso?”

“Non so…”

“Oh, eccolo, trovato!”

“ …Ieri sei andata da qualche parte?”

“Provatelo subito!” Disse quella, gettandole fra le braccia lo splendido abito materno.

“Prima voglio una risposta!”

“Oh si, sono andata a vedere uno spettacolo di sexy contorsionisti al circo qui vicino! E ci tornerò pure stasera!” Disse, al colmo della felicità.

 

Elena rimase un attimo spiazzata, poi si mise a ridere. “Come, non ci sarai dunque a casa del sindaco?”

“Neanche se mi pagassero! A meno che non mi portino lì quell’equilibrista fantastico che ho puntato ieri… ma sai, credo sia alquanto improbabile!”

“Mangiauomini!” Le urlò dietro la nipote mentre iniziava a cambiarsi.

“E’ un dono di famiglia! Vedi di muoverti comunque, ragazzina: sono già le sei e il tuo cavaliere sta per arrivare!”

“Farò in fretta! E poi, Stefan è così paziente…”

“Strega approfittatrice!”

“Le signore si fanno sempre aspettare!”

“Solo quelle ritardatarie!”

 

“Come sto?” Chiese Elena, mostrandosi con indosso la preziosa veste e le scarpette argentate che vi aveva abbinato.

“Sei splendida, tesoro”

“Mi faresti un favore?”

“Ma si, certo, se vuoi venire a vedere quei fisicacci un posto libero per te c’è sempre!”

“Mmm… mentre io mi trucco, mi sistemeresti la chioma? Mi sa che sono davvero troppo in ritardo…” Disse, sedendosi davanti alla scrivania dove era poggiato il suo beauty case.

“Oh, cosa faresti senza di me?!” Esclamò Jenna, mentre con un sorriso si posizionava dietro di lei e iniziava l’acconciatura.

 

Elena ridacchiò felicemente.

La domanda giusta non era cosa avrebbe fatto, ma cosa sarebbe stata senza di lei o di tutte quelle persone a cui voleva un bene dell’anima: niente.

Semplicemente avrebbe cessato di esistere.

 

 

 

Ascoltare ciò che Rosie le diceva era stato veramente difficile.

Nonostante la sua attenzione fosse al massimo non era riuscita a capire nulla del suo discorso: ad ogni parola pronunciata dalla tata c’era una vocina nella sua mente che le diceva di non starla ad ascoltare, ché nulla di ciò era vero.

C’erano vampiri a Mystic Falls? Ma quando mai!

Damon Salvatore, l’odioso pallone gonfiato, era uno di loro? Impossibile, girava anche alla luce del sole!

Sheila le aveva detto cose molto importanti di cui doveva essere messa al corrente subito? Non le interessavano i pettegolezzi dell’altro mondo!

Più il racconto andava avanti, più lei si eclissava.

Quando si era alzata e, in silenzio, aveva lasciato il soave rifugio dell’amato balcone, Rosie non aveva neanche finito di parlare. Una volta in camera aveva preso il libro che teneva sempre poggiato nel comodino al fianco del letto e se n’era andata, diretta neanche lei sapeva dove.

In un posto lontano da quelle parole incomprensibili che minacciavano di infastidirla se solo per un attimo si fosse fermata a vagliarle, distante da colei che le aveva pronunciate e da quella dimora che, al momento, era divenuta un posto poco sicuro per l’incolumità dei suoi nervi.

 

Ben presto si ritrovò davanti ad un grazioso parco ricco di coloratissimi giochi. Lo riconobbe subito: era il posto dove, un paio di notti prima, aveva conosciuto il fratello di Elena. Come si chiamava? Non lo ricordava. Del resto, non era un individuo così brillante da averla positivamente colpita. Anche se, per qualche strano motivo, quel suo modo di essere tanto semplice e spontaneo non le dispiaceva così tanto.

Sarebbe rimasta lì molto volentieri se non fosse stato che, a causa dell’ora pomeridiana, il posto era già occupato da decine di chiassosi e iperattivi mocciosi. Così, il suo viaggio alla ricerca di un rifugio tutto per lei continuò ancora un po’.

Molto poco, in effetti.

Perché, bizzarramente, a Mystic Falls il cimitero si trovava a due passi dal parco giochi, come a ricordare che risate e lacrime sono due facce della stessa medaglia…. Indubbiamente si trattava di un abbinamento architettonico macabro perfino per lei che, per quanto provocatrice fosse, non amava affatto l’ambiente sepolcrale.

Rimase un attimo accigliata davanti all’ingresso della terra dei morti, decidendo il da farsi: di sicuro lì nessuno l’avrebbe disturbata, ma stare seduta fra tombe, erbacce, lombrichi e foglie marce non era proprio il massimo del confort. Se solo avesse conosciuto meglio il paese, avrebbe forse trovato qualche alternativa a tal lugubre posto: ma mancando la prima condizione, quell’ultima possibilità era del tutto inesistente. Doveva decidersi a visitare il suo nuovo paese, diamine!

Con un sospiro si accinse ad entrare, accoccolandosi poi ai piedi dell’albero più prossimo all’ingresso: nel suo sangue aveva potere abbastanza da essere consapevole dei pericoli soprannaturali che in un luogo del genere potevano esserci; meglio, dunque, tenersi vicino all’unica via di fuga presente.

 

Incrociate le gambe e poggiata la schiena al robusto tronco, lo sguardo le cadde sul tomo che teneva in grembo.

Era un diario, un preziosissimo diario dagli intarsi d’oro, i cui fogli di pregiata pergamena erano ricoperti da una fitta, minuscola ma elegante calligrafia femminile.

Era il diario personale di sua madre, l’ultimo di una grande collezione che aveva già ispezionato nel dettaglio in quegli ultimi tre mesi.

I segreti di ciò che la sua genetrice stava cercando di fare dovevano certamente trovarsi lì: il suo istinto le diceva che ciò che accadeva nei laboratori sotterranei della sua vecchia dimora aveva qualcosa a che fare con la bestiale macellazione di sua madre.

Finora tutto ciò che aveva letto non le aveva rivelato nulla di nuovo sulle analisi da lei effettuate: da sempre sapeva di essere l’oggetto dei suoi studi. Da quando era nata la madre monitorava i suoi geni, studiava l’essenza del suo strampalato DNA e ne cercava le pecche per tentare di aggiustarle.

 

Accarezzò la ricca copertina, passando le dita affusolate sul nome scritto in caratteri gotici d’oro.

Roxanne.

Strano come un oggetto tanto elegante fosse di proprietà di una donna tanto scialba e modesta come sua madre. Non si trattava solo di qualità caratteriali, ma perfino fisiche: i suoi occhi erano di un celeste pallido e banale, i suoi capelli di un delicato color platino e la sua pelle candida come la neve. Era alta, magra e ossuta. Oh certo, non poteva negare, nonostante tutto, che per certi versi potesse essere perfino graziosa… aveva la bellezza di un angelo solitario, e quando sorrideva sapeva trasmettere la tranquillità e la pacatezza che parevan inebriare la sua figura….

Questo, almeno, era ciò che si obbligava a pensar di lei quando la sua coscienza la incolpava di essere una cattiva figlia. Se si allontanava per un attimo da tale restrittiva posizione non poteva fare a meno di considerarla una donna inespressiva e insignificante, schiacciata dal suo inesistente amore per la moda e per la vita mondana tanto da ridursi a mero topo di biblioteca assai carente di qualsiasi pretesa di femminilità e fascino.

 

Sicuramente quello era stato un regalo di suo padre, il simpaticone che non vedeva da più di cinque anni.

Chissà se aveva saputo che sua moglie era crepata.

 

Arricciò il naso e in un improvviso impeto di rabbia scagliò il diario con forza dinanzi a sé.

Dannazione a suo padre, a sua madre e a quello schifo di famiglia che maldestramente avevano messo assieme! Li odiava! Odiava i loro segreti, i loro misteri, le bugie che le avevano raccontato e le verità che le avevano tenuto nascoste!

 

Si accoccolò vicino all’albero, avvolgendosi le ginocchia con le braccia e nascondendovi il viso sopra.

C’erano volte, come quella, che si chiedeva quanto senso avesse continuare a cercare vendetta per sua madre e ritrovare quel padre che se n’era andato volontariamente lontano da casa.

Tutto quello che di brutto aveva passato era sufficiente a liberarla da qualsiasi obbligo di figlia.

Poi, però, si ricordava dell’affetto che, seppur in minime porzioni, sua madre le aveva dimostrato; dell’insanabile amore che lei aveva provato per il marito, e dell’immeritata fine che aveva fatto.

Suo padre poteva anche essere imperdonabile, ma sua madre no.

Per lei avrebbe continuato quella battaglia, ad ogni costo.

 

 

 

L’inizio di quella serata era stato semplicemente perfetto.

Si era preparata in tempo, e quand’era scesa aveva trovato Stefan ad aspettarla, seduto nel divano del soggiorno in compagnia di Jeremy.

Immediatamente accortosi della sua presenza sul ciglio della porta, si era voltato a guardarla, dedicandole uno di quei suoi sguardi – così profondi, così intensi, così sinceri – capace di farla sentire felice, realizzata… e semplicemente perfetta.

Poi si era alzato, catturandola con quell’eleganza e quel fascino antico che lo caratterizzavano, e l’aveva raggiunta, dedicandole un incantevole baciamano che aveva fatto nascere un romantico sorriso sulle labbra della zia e uno sbuffo spazientito su quelle del fratello che si accingeva a lasciar la dimora.

La loro storia d’amore, alle volte, le ricordava le fiabe e le favole su principi e principesse che amava farsi raccontare da bambina, dove i due innamorati erano costretti ad affrontare mille peripezie prima di poter vivere per sempre felici e contenti. Chissà se anche loro avrebbero avuto quella stessa fortuna…

Ora come ora, il “felici e contenti” era alquanto relativo e decisamente esagerato per descrivere il loro stato, e il “viver per sempre” apparteneva ad uno solo di loro.

Non poteva, tuttavia, dirsi insoddisfatta: stavano vivendo un periodo decisamente pacifico rispetto alla norma, e dopo le ultime catastrofi di due mesi prima i tasselli stavano  finalmente tornando ognuno al suo posto.

Non sapeva se fosse l’inizio della loro era felice o solo un periodo di pace prima dell’ennesima tempesta, le bastava assaporare il dolce sapore di quell’istante per vivere nel suo cuore un’eternità da fiaba. “Carpe diem, Elena” si diceva ogni volta. Cogli l’attimo, ignora il resto.

 

Solo una volta arrivata alla grande villa del sindaco, dove aveva trovato ad attenderli i suoi amici, Bonnie con Caroline e l’immancabile Matt al suo fianco, si era resa conto che quella giornata non sarebbe stata così idilliaca.

La sua strega preferita aveva un’espressione seria e concentrata che poco si adattava col tono leggero della festa, e poco distante da lei il terribile Damon li studiava con attenzione, come attendendo qualcosa.

 

“Che succede?” Chiese Elena all’amica, avvicinando lesi col ragazzo.

Quella, per tutta risposta, fermò un cameriere e mise nelle loro mani un flute di champagne a testa.

“Bevete… beviamo tutti, piuttosto”

“Bonnie, che accade?” Chiese Stefan, scuritosi.

“Solo l’ennesima scocciatura. Niente di grave in effetti, ma è da ieri che ho i nervi a terra. Bevete, coraggio, tanto rimarremo ben poco a questa festa”

“Cosa intendi dire?!” Sussurrò Elena, leggermente spaventata.

“Tuo cognato ha fissato un appuntamento con la tua nuova vicina di casa. Inizialmente, in effetti, doveva tenersi qui, ma per ragioni che non ho ben capito è stato spostato a White Crown. Ovviamente non credo sia il caso di mancare.”

 

“Aspetta un attimo… Damon ha conosciuto Eva?” Chiese Stefan, gettando un’occhiataccia al fratello: come al solito agiva e non gli diceva nulla. Ecco perché era lì fermo, a distanza di sicurezza, a fissarla: si godeva, col suo solito cinismo, la scenetta della rivelazione.

“Non proprio Eva, ma la sua governante, Rosie”

“Ma… quando?! E’ stata ricoverata ieri!” Contestò Elena.

“Infatti. Siamo andati all’ospedale”

“Siete…?!”

“Credo sia il caso che vi racconti tutto daccapo, ragazzi…”

 

 

 

Roxanne

 

Sbuffò, riconoscendo subito la voce del seccatore che da un paio di giorni pareva stesse perseguitandola. L’unico momento di tregua l’aveva avuto in ospedale, dove, per fortuna, non si era fatto vedere.

Alzò il viso, guardando con scetticismo la figura dell’alto ragazzo che studiava la copertina del diario di sua madre dopo averlo raccolto da terra.

“Ma non è il tuo nome”

“No?”

“Non mi pare”

“Sei sicuro?”

“Credo”

“Non c’è scritto altro lassù?”

Quello si rigirò l’oggetto fra le mani, dubbioso “Solo Roxanne, sembra…”

“Nient’altro?”

“No!”

“Neppure qualcosa del tipo SPARISCI E NON FARTI PIU’ RIVEDERE?!” Esclamò, alzando e indurendo la voce in modo tanto repentino e inaspettato da fare sobbalzare il suo interlocutore.

“No! Ma VAI A FARTI CURARE, CAGNA RABBIOSA potrei anche aggiungercelo io!”

 

Eva si alzò, e dopo esser giunta con passo stizzito davanti a lui si accinse a togliergli di mano ciò che non gli apparteneva. Quello però, seccato dal suo atteggiamento da cavernicola, trattenne la presa urtandola ancor di più. Allora con un gesto fulmineo, dimostrando una forza impensabile per una fanciulla tanto minuta, gli strappò l’oggetto conteso, disarcionando il suo possessore dall’equilibrio su cui stava e facendolo cadere in avanti. E il capitombolo sarebbe sicuramente andato a finire per terra se non fosse stato per la prontezza che Jeremy ebbe nell’afferrarsi alle braccia della ragazza, finendo praticamente in ginocchio dinanzi a lei.

Allibito, non riuscì a muoversi per un po’.

Stessa paralisi parve aver colto pure lei, che non si accingeva ad allontanarselo di dosso.

Solo quando sentì un suo dito accarezzare con titubanza l’anello che teneva al dito, decise di alzarsi e allontanarsi da lei.

Si diede una sistemata, mentre Eva continuava a stare in silenzio. Non l’aveva ancora guardata in faccia, ma sapeva che i suoi occhi verdi erano ancora puntati sul suo indice destro.

 

Era l’anello di suo zio: Elena gliel’aveva dato quando ancora era ricoverato in ospedale dicendogli che sicuramente ne avrebbe avuto molto più bisogno lui di lei che aveva sempre due guardie del corpo pronte a tutto per aiutarla.

Ovviamente, non era un anello qualsiasi: la pietra che vi era incastonata al centro aveva la magica capacità di salvare il possessore da morti violente.

 

 

 

Quando arrivarono davanti a White Crown trovarono già Damon ad attenderli sulla porta d’ingresso; sicuramente si era trasformato in corvo, ben deciso ad arrivare sul luogo dell’appuntamento prima degli altri. Al suo fianco una sorridente signora nera li guardava con bonarietà.

Man mano che uscivano dalla macchina li studiava con attenzione, come cercando di percepirne l’essenza interiore.

“Buonasera signora” Disse Bonnie, avvicinandosi e porgendole la mano. Da quando Damon le aveva parlato di quella riunione, quel pomeriggio, non vedeva l’ora di incontrarla: quella donna aveva conosciuto sua nonna, era stata una sua amica… poteva aiutarla a riempire quei buchi che con la sua scomparsa erano rimasti vuoti. Troppe curiosità aleggiavano sulla figura di Sheila Bennet, troppe domande che non aveva fatto in tempo a porle.

Lei le rivolse un sorriso carico di affetto. “Non ti chiedo neanche chi sei, è così chiaro che quasi mi commuovo! Quanto somiglia la tua aura alla sua! Hai lo stesso spirito combattivo di tua nonna!”

 

“Che accoglienza calorosa, signora.” L’interruppe Stefan, uscendo dall’automobile. “Se non le dispiace, comunque, preferirei svolgere il nostro incontro in un altro luogo: sa com’è, meglio non arrischiarsi ad entrare nella dimora di uno sconosciuto!”

Tra tutti, lui era l’unico a essersi dimostrato scettico da quella novità. Non si fidava, e neanche le rassicurazioni di Bonnie l’avevano calmato. Aveva accettato di venire e di fare partecipare anche Elena, ma con una riserva: che i chiarimenti avessero luogo in uno spazio neutrale.

 

La donna sorrise, acconsentendo col capo. “Non dico di non aver sperato che potessimo comodamente sederci in giardino a chiacchierare, ma immaginavo che qualche obiezione sarebbe stata fatta. Accetto, è giusto che ciascuno si trovi a proprio agio.

Tu devi essere il fratello minore di Damon, immagino.”

“Esatto, sono Stefan”

“Ed io Rosie, molto piacere.” Poi si rivolse al vampiro al suo fianco, sorridendogli birbante. “Avevo ragione, è un gran bel ragazzone pure lui!”

 

“Il mio gran bel ragazzone” Disse una ridente voce femminile. Dopo l’assenso di Stefan, Elena si decise ad uscire dalla vettura, andando a posizionarsi proprio al fianco del fidanzato.

 

Gli occhi di Rosie, nel vederla, si sbarrarono. Rimase immobile, in silenzio, senza mai abbandonare le iridi scure della ragazza. L’inquietudine corse improvvisamente lungo le vene di tutti.

Solo chi aveva conosciuto la cattiveria di Katherine poteva guardare Elena con tanto timore.

La donna, tuttavia, nel parlare li stupì di nuovo, negando l’intuizione appena avuta.

 

“Dobbiamo muoverci, subito. E’ qui vicino, andiamo! Prima che sia troppo tardi!” Sussurrò con impazienza, afferrandosi la lunga gonna e avviandosi con celere passo verso chissà dove.

 

“Cosa accade?!” Chiese Elena.

“Non ne ho la più pallida idea tesorino” Replicò Damon.

“Guardate là!” Gridò Bonnie, indicando il cielo alla loro destra: nubi nere come il petrolio si addensavano con ferocia sopra un luogo preciso, che non tardarono a identificare col cimitero. Non molto lontano da lì, un demone palesava il suo furioso potere.

 

 

 

“Non dovresti averlo”

 

Quel sussurro, basso sibilante, così pieno di rabbia da metterlo subito in agguato, lo costrinse a sollevare lo sguardo e poggiarlo sulla sua interlocutrice.

Il panico lo colse istantaneamente.

Della bella ragazza, dell’ammaliante ninfa capricciosa che aveva conosciuto, era rimasto ben poco. Con le iridi verdi improvvisamente divenute opache come la nebbia, le vene del viso orribilmente in evidenza per via dell’incarnato troppo pallido e quell’aura furiosa che la circondava e sembrava irradiarsi a tutto l’ambiente circostante, riempiendo perfino il cielo di nubi scure e minacciose, Eva avrebbe potuto fare concorrenza a un mostro biblico.

 

Un fulmine cadde a pochi metri da loro, devastando una tomba e terrorizzando Jeremy, che fissava la sua nuova conoscente pentendosi alacremente di non aver dato ascolto a Damon quando gli aveva consigliato di starle alla larga.

 

“E’… è solo un ricordo”

“NON PUOI AVERLO! SOLO LUI LI POSSEDEVA! LUI E TUTTI COLORO CHE APPARTENEVANO ALLA SUA CERCHIA!” Gridò, bestiale, mostrando nella bocca la presenza di denti irti e acuminati che a ogni parola le tagliavano le labbra riempiendole il mento di sangue.

Un altro fulmine cadde, questa volta dal lato opposto. Il giovane Gilbert si guardò intorno, cercando un luogo dove eventualmente potersi rifugiare.

“Eva… cerca di calmarti… Io non so neanche di chi tu stia parlando!”

 

“EVA!”

 

Quel richiamo, pronunciato da una voce ferma e possente alle loro spalle, fece voltare entrambi.

 

Rosie comparve all’ingresso del cimitero in tutta la sua possenza e severità, fissando con rimprovero la ragazza che aveva davanti. Neanche la minima ombra di timore faceva dubitare il suo sguardo fermo.

“Ritorna qui Eva, ritorna qui, da me, subito. Abbandona la rabbia, allontanati dai sussurri infernali che la maledizione ti fa ascoltare.” Disse, avvicinandosi lentamente a lei fino a quando fu abbastanza vicina da afferrarle le mani pallide e tremanti e tenerle fra le sue calde e rassicuranti.

 

Il resto dei ragazzi, giunti allora, rimase allibita dallo spettacolo che si svolgeva dinanzi a loro; la loro immobile perplessità durò poco tuttavia… ossia fino a quando Elena si accorse della presenza del fratello e, al colmo dello spavento, andò ad abbracciarlo e assicurarsi che stesse bene.

 

Damon non si mosse, scuotendo la testa: quel ragazzo sapeva solo ficcarsi nei guai. Si sarebbe meritato di finire arrostito da una di quelle folgori demoniache solo per non averlo ascoltato: mai ignorare le parole del grande, potente, saggio Damon Salvatore.

Un brillio poco lontano, però, attirò la sua attenzione. Incuriosito, vi si avvicinò, trovando un libro rivoltato fra l’erba.

S’inginocchiò, raccogliendolo e sfogliandone il contenuto.

La calligrafia chiaramente manoscritta gli rivelò che si trattava invece di un diario.

Lo chiuse, rimanendo colpito dalla sontuosa copertina. Era, indubbiamente, un diario molto antico, del modello preferito dalle ricche signore ai suoi tempi, un secolo e mezzo fa.

Roxanne, il nome della proprietaria.

Con un nodo alla gola ricordò che anche Katherine ne possedeva uno identico col suo nome scritto sopra.

 

Si alzò, rivolgendo lo sguardo verso Rosie, accorgendosi solo allora di essersi perso qualche importante passaggio. Infatti, la baia al momento stava inginocchiata nell’erba con la protetta assopita sul suo grembo e Bonnie al fianco.

Eva era tornata quella di un tempo, perdendo completamente ogni traccia del suo aspetto demoniaco. Dormiva beatamente, il viso roseo e pacifico che la faceva sembrare una bimba innocente; solo le labbra, ancora in via di rimarginazione, ricordavano il temibile aspetto assunto poco prima.

Non ci mise molto a capire che, dopo essere riuscita a placare la sua ira, Rosie doveva aver chiesto alla stregaccia di addormentarla per un po’.

 

S’intascò il diario, ben deciso a conoscerne il contenuto: quell’oggetto apparteneva ovviamente a Eva, e poteva tornargli utile. Poi, con tutta la nonchalance di cui era capace, si piazzò davanti alle tre fanciulle accoccolate sull’erba, mentre il resto del gruppo lo raggiungeva alle spalle.

“Dunque, a che specie appartiene la mostriciattola?”

 

 

 

 

 

 

   
 
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