CAPITOLO SECONDO
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No comment – Matt cercò invano per la trentesima
volta di zittire le ragazze che lo inseguivano per il corridoio da circa venti
minuti o più e che non avevano smesso un attimo di rivolgergli domande a dir
poco imbarazzanti. Matt prese quindi a correre verso il bagno dei maschi, dove
non avrebbero potuto raggiungerlo.
In qualche sconosciuto modo tutta
la scuola era venuta a sapere del suo svenimento e, poiché la vita dei Taylor
(insieme a quella dei Pride) compariva sempre più spesso sul patetico
giornalino scolastico ed ogni loro minimo movimento o usanza (cosa mangiavano,
come passavano i weekend, cosa ne pensavano su una causa politica) costituivano
forse la parte più interessante oltre ai cruciverba, Matt aveva passato la
giornata tra i contrastanti commenti sussurrati di ragazze e ragazzi. I tipi
come George Fish non smettevano di chiamarlo “debole” o “femminuccia”. E lui si
sentiva un idiota. Prima di tutto non conosceva nemmeno lui le circostanze i
motivi dell’accaduto e per non bastare aveva sentito nella propria testa frasi
incomprensibili il ché sarebbe stato un buon motivo per assicurargli qualche
mese o anni al manicomio.
La sua paura più grande era che
Andrew avesse ragione, che, cioè, fossero state le informazioni dette al
telegiornale, le immagini raccapriccianti a riuscire a tramortire le sua anima
debole. Sì, si vergognava da morire. Ma quelle voci…non avevano nulla a che fare
con tutto quello…..
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Di sicuro verranno a cercarti anche in casa –aveva
predetto Andrew – Che ne dici di una giornata nel bosco? È da tanto che non ci
avventuriamo tra alberi e formiche, stiamo diventando gli snob di cui parla il
nostro Fish! – cercò di persuaderlo.
L’idea di
trascorre un pomeriggio correndo tra sassi, terra, fango e insetti di ogni
tipo, non emozionava Matt, ormai legato all’agiatezza, alla pulizia e alla
propria casetta calda, ma ripensando a una giornata di persecuzioni, chiamate a
casa e visite poco gradite, qualcosa lo spinse al sacrificio, di sicuro
meno terribile a confronto.
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Okay, ma solo per qualche oretta, d’accordo? Non
vorrei essere ancora lì dentro dopo al calar del sole – si affretto ad
aggiungere Matt. Non credeva ai lupi mannari o mostri nella notte, ma temeva di
perdersi o di rimanere nel buio totale senza saper dove mettere piede senza
inciampare.
La luce
che illuminò lo sguardo enigmatico di Andrew, però, gli confermò di aver fatto
un grosso errore, di aver ottenuto il contrario di ciò che desiderava.
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Che ne dici invece di accamparci per la notte?
Sarebbe fantastico….con quel silenzio – iniziò a sognare Andrew.
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……nell’oscurità totale – aggiunse Matt scettico.
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……il profumo della natura che estasia le nostre
narici….- chiuse gli occhi come per trovarsi già lì.
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……gli insetti che ci entrano nelle orecchie e nel
naso, non vedo l’ora – entrambi risero a quell’idea.
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E dai, Matt! Un po’ di avventura! E poi ci sarò io
con te! Schiaccerò con le mie mani il primo insetto che oserà toccarti! –
riprese a ridere.
Ad un
tratto Matt ritornò serio, scrutò il viso del suo amico come per studiare le
sue emozioni.
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Andrew…stai scherzando vero? Non hai veramente
intenzione di…. – incominciò incerto.
L’amico
iniziò a sogghignare.
Il dolore e il pericolo lo avevano sempre stranamente
affascinato.
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Che schifo! – Andrew pestò qualcosa di viscido di
colore verdognolo-marrone e non più identificabile dopo il passaggio della sua
scarpa. Il ragazzo si pentì amaramente di aver appoggiato la causa “ un giorno
nella natura”. Pensava di poter tornare a quando aveva otto anni, quando si
arrampicava ovunque e non aveva paura di nulla, ma si era sbagliato di
grosso.
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L’idea è stata tua, caro Andrew – gli ricordò l’amico
cercando di distogliere lo sguardo da quella macabra scena e sentendo un po’ di
rimpianto per aver preferito tutto quello ad una giornata, anche se stressante,
nella sua casa a ripetere come un pappagallo che la spiegazione del suo
svenimento era semplicemente di non aver mangiato abbastanza a pranzo.
Da circa
un’ora i due giovani camminavano in tondo cercando un punto dove accamparsi,
ma, in ogni centimetro di terreno su cui mettevano piede era umido e infangato
e il villaggio di ogni sorta di ragni.
La loro
fronte era ormai imperlata di sudore e sentivano le gambe sempre più
insensibili e stanche soprattutto pervia del fatto di aver infilato nel loro
carico, oltre alla tenda e al sacco a pelo, enormi quantità di cibo o giochi
passatempo, oltre ad una dozzina di coltelli, corde e torce in caso si fossero
persi.
La
speranza li aveva ormai abbandonati, ma l’idea di aver trasportato uno zaino
più grosso di loro pesante almeno dieci chili per più di due ore per poi non
aver concluso nulla, diede loro un po’ di forza. Continuarono a camminare senza
meta tagliando un coltello i rampicanti che si aggrappavano ai loro vestiti
come esili mani che cercavano di trattenerli tra le loro grinfie.
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Ecco, stiamo qui che è meglio, vicino a questo albero
– Andrew si fermò accanto ad un area non certo migliore delle altre, scelta
forse a caso.
Matt non
fiatò. In altre occasioni avrebbe protestato a non finire ma in quel momento in
cui il solo, unico, più grande desiderio era sedersi da qualche parte, si
rassegnò. Stese una coperta a terrà e si buttò sospirando per il sollievo.
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Matt…guarda qui! Non ci credo! – Andrew indicò la
corteccia dell’albero, che pareva come quella di ogni altro albero, a prima
vista. Matt si avvicinò lentamente come sforzandosi mortalmente. Sì, pareva
intatta, non vi era nulla da guardare…ma! Ecco, vi erano incisi dei segni…di
pochi millimetri, ma c’erano, si potevano vedere. Matt si avvicinò ancora di
più per studiarli meglio mentre Andrew sogghignava aspettando pazientemente che
l’amico comprendesse ciò che stava guardando.
Erano
delle iniziali …” M.A”… Matt e Andrew! Matt si era quasi dimenticato di aver
inciso le sue lettere su un albero quando era un bambino sotterrandovi una
mappa per arrivare al tesoro che aveva sotterrato in un punto nascosto, ma
quale tesoro? Non ricordava perché l’avesse fatto, ma francamente non gli
interessava.
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Che ne dici, eh, Matt? Una caccia al tesoro? –
propose Andrew come per sfidare l’amico a cui quasi tremavano le gambe per la
stanchezza.
Ma non
passo che qualche secondo di silenzio che qualcosa attirò l’ attenzione di
Matt……….dal profondo della foresta………c’era qualcosa.
Matt emise
un urlo.
Andrew si
destò all’improvviso e fissò inorridito la scena che gli si parò davanti
lasciando cadere a terra il panino che aveva appena tirato fuori dallo zaino.
Fumo. Fumo proveniente da lontano
s’infiltrava tra gli alberi uccidendo ogni forma di vita al suo passaggio.
Ma non era solo il fumo. Tutto era
diventato verde. L’aria era irrespirabile.
Tra poco sarebbe giunto fino a
loro.
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Sta calmo Matt, calmo….non ti preoccupare….ora
andiamo – Andrew cercò di sembrare tranquillo, ma con poco successo. Afferrò
tremante la giacca e lo zaino che aveva appena messo a terra e aiutò Matt ad
alzarsi.
Come…? Matt non
sapeva cosa pensare. Aveva paura, troppa paura e non capiva più nulla. Lasciò
cadere lo zaino: non sarebbe potuto andare molto lontano con tutto quel peso.Il
cuore iniziò a battere all’impazzata quando si lanciarono in una corsa
disperata. Serpenti, rami graffianti, massi, salite si presentarono lungo la
loro corsa, ma non emisero un solo gemito, smisero di respirare.
Non si fermarono che una decina di
minuti dopo, quando il fumo non fu più in vista. Ma lo sapevano: li avrebbe
raggiunti. Non conoscevano bene gli effetti che poteva avere su di loro, ma non
volevano rischiare, soprattutto ricordando le immagini spaventose al
telegiornale. Si continuava a sostenere che non fosse mortale per gli esseri
umani ma non potevano dare fiducia a tutto quello che si diceva in giro.
Attorno a loro regnava il
silenzio. Non passarono che pochi minuti che si sentì nuovamente l’odore
ripugnante del fumo verde, quell’odore marcio e aspro.
-
Avevi detto… - Matt riprese fiato – …avevi detto che
non avrebbe raggiunto Boston… - si buttò a terra, non più diffidente del fango
e dello sporco.
-
Infatti! – iniziò Andrew indignato guardandosi
attorno appoggiando la schiena sull’albero vicino – Il telegiornale e Internet
dicevano che il fumo non viaggiava che ad una velocità di……MATT! Che ti prende
Matt! Mi senti?! – cercò di sollevare l’amico per le spalle.
Matt non era svenuto questa
volta…gli occhi erano semiaperti…bianchi…..e sussurrava, sì, sussurrava parole
incomprensibili agitando le braccia in aria come cercando qualcosa, ma cosa?
Andrew scosse il volto dell’amico cercando invano di calmarlo.
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Smettila Matt, non scherzare! Riprenditi, ti
scongiur…..Ahaaaa! – una mano lo costrinse a voltarsi e ad assistere a qualcosa
di sconvolgente. Andrew urlò con tutto il fiato in gola. Questo servì a far
tornare Matt alla realtà, ma non a fermare la forza che aveva preso attentato
Andrew.
Matt alzò di scatto e, scoprendo
di fronte a lui un uomo, no, anzi, un alieno, no, nemmeno, un
rettile…..qualcosa di mai visto trattenere Andrew si lanciò verso di esso senza
ragionare. Cercò di liberare l’amico dalle braccia piene di scaglie di quel
mostro ma fu allora che un ondata di gas annebbiò tutto quanto.
Non si riusciva più a distinguere
nulla ma Matt percepiva i passi incerti della creatura e si lanciò verso di lui
colpendolo alla testa con tutta la forza che teneva ancora in corpo e liberando
finalmente Andrew.
- Andrew, corri, presto! – lo afferrò per la
manica deciso a scappare da quella situazione, ma ben presto si accorse che
erano accerchiati. Non vedeva gli altri esseri, ma sentiva i loro respiri, i
loro versi rauchi che squarciavano il silenzio tormentante del bosco.
Matt sfilò allora il
piccolo ma tagliente coltello che aveva usato per spezzare gli arrampicanti e
cercò di farsi strada sferragliandolo davanti a sé senza sapere cosa stava
colpendo, se quei spaventosi mostri o solamente le piante che crescevano lì più
rigogliose che mai.
Ma non funzionò. Le
creature, ancora più rabbiose gli si avventarono contro e gli afferrarono le
braccia e le gambe saldamente, in modo da impedirgli di muovere un solo
muscolo. Matt sentiva l’alito pesante di quelle creature e le loro parole
sconosciute. Ma ad un tratto una di queste disse all’altra qualcosa che
costernò Matt: non si trattava di una condanna a morte o di una minaccia, ma il
suo nome, sì, il suo nome, Matt, come l’altra volta prima di svenire! Ma
come facevano a conoscerlo?! Lui non aveva niente a che fare con quei mostri.
Cosa accidenti volevano da lui e Andrew? E soprattutto: chi erano?
Uno dei mostri gli fece
ingoiare a forza una sostanza ripugnante che gli bruciò la gola ma che scorse
ghiacciata per tutti gli organi del suo corpo indolenzito. Matt cercò di
divincolarsi, ma pian piano le forze iniziarono a perdersi nell’aria, nel fumo.
Per fortuna, la voce
dell’amico, il grido di battaglia, lo aiutò a non cedere.
- Matt!
Resisti! Arrivo – e con questo si scagliò verso il mostro che teneva il
compagno per le braccia. Un attimo dopo Matt sentì un grido di dolore accanto a
lui e i polsi finalmente liberi: Andrew aveva colpito l’essere di schiena con
un robusto ramo caduto trovato per terra e fu proprio grazie a questo che i due
giovani riuscirono a scappare. Andrew scagliò più volte l’arma contro le forme
invisibili finché superarono la barriera da essi creata.
Matt iniziò quindi a
correre senza una meta, senza voltarsi mai ma percependo la presenza di quegli
esseri. Nell’aria fredda di ghiaccio cadde e ricadde, fino ad arrivare alla
fine del bosco, dopo aver percorso chilometri e chilometri. Stanco, sporco e
ferito di gettò sull’erba bagnata. Si era già fatto buio. La luna contrastava
violentemente con la figura di quel ragazzo sanguinante e coperto di terra. Il
veleno o sonnifero, non riusciva a riconoscere dal sapore, stava avendo
effetto. La testa ricadde pesantemente a terrà e le dita persero la
mobilitazione.
- Ce l’abbiamo
fatta Andrew – sussurrò ad occhi chiusi sorridendo esausto – siamo stati forti
– e con questo si addormentò ignaro di trovarsi solo in quella distesa verde.
La mattina
Matt si svegliò nella stessa stanza d’ospedale dove era stato ricoverato solamente
tre giorni prima. Non ricordava nulla di quello che era successo la notte
scorsa, né dei mostri verdi, né di Andrew.
Quando
aveva aperto gli occhi si era trovato solo nella stanza, fiocamente illuminata
data la tenda che copriva i vetri della finestra. Sul tavolino accanto si
trovava una grande quantità di fiori raccolti in numerosi vasi di terracotta
dipinta. Matt ne contava sei. Accanto al letto era posato un giubbotto di pelle
che riconobbe subito appartenere a suo padre. Ma non capiva cosa ci facesse lì,
e non tentava nemmeno di farlo.
Quando
cercò di alzarsi ancora mezzo addormentato gemette dal dolore che provò
dappertutto. Ispezionò così braccia e gambe scoprendo con orrore e stupore una
quantità mai vista di ferite, graffi e lividi ormai tinti di un coloro
giallognolo. Gli vorticava la testa e non sapeva cosa pensare. La sua mente si
era svuotata.
Erano
passati momenti di silenzio in cui era rimasto immobile a fissare l’orologio
appeso sulla parete della stanza: erano le 11:47.
Solo
quando la porta si aprì di colpo si svegliò realmente: aveva così tante domande
che richiedevano risposta….
-
Matt! Matt, stai bene?! – la signora Taylor abbracciò
energicamente il figlio dimenticando il dolore che egli provava in tutto il
corpo. Matt serrò i denti per non gridare.
-
Mamma, cosa succede?! Perché sono qui? Perché ho
questi lividi e questi graffi? Cosa è successo?! – Matt diede voce a tutta la
frustrazione che si era accumulata.
La signora
Taylor lo guardò a bocca aperta. Aveva sperato di poter formulare lei quelle
domande al figlio quando si sarebbe vegliato e invece… l’unico testimone aveva
dimenticato tutto.
-
Vuoi dire…vuoi dire che non sai nulla?! – domandò
allibita e, senza attendere risposta continuò senza però mai guardare il figlio
negli occhi – Pensavo che tu fossi l’unico in grado di sapere dov’è Andrew!- a
quella affermazione Matt parve ancora più sconvolto e preoccupato. Cosa era
successo a Andrew? Era davvero scomparso?
-
Mamma, mi dispiace ma…..la mia testa……non capisco
nulla….come sono finito qui?- ma prima di ricevere la risposta la porta fu
nuovamente aperta. Non era suo padre.
La figura
che aveva appena varcato l’entrata era vestita con giacca cravatta, aveva
l’aria di una persona di grande potere. I capelli biondi erano tirati indietro,
gli occhi verdi scrutarono la stanza fino ad arrivare alla piccola e malconcia
figura di Matt. Questi lo riconobbe solo dopo qualche secondo.
-
Signor Pride? – era il padre di Andrew. Matt non
sentiva mai parlare di lui dal figlio. Il loro rapporto non doveva esser un
normale rapporto d’affettività e amicizia come quella che aveva lui con suo
padre. Matt non sapeva perché, ma si sentiva a disagio e quasi impaurito di
fronte a quell’uomo.
-
Sì, sono io Matthew. Ieri Andrew era con te, non è
vero? Cosa ti è successo ragazzo? – aggiunse poi vedendo il labbro tagliato e i
lividi in testa.
Matt aveva
quasi paura di dover rispondere che non sapeva niente. Nella sua mente era
rimasta solo la cicatrice di un lungo episodio. Ricordava solamente di aver
visto del fumo verde, ma poteva trattarsi solamente di un sogno.
Per
fortuna sua madre gli evitò di rispondere.
-
Matt non sa niente. Deve aver battuto la testa. Lo
troveremo, non si preoccupi, lo troveremo – tentò di tranquillizzare l’uomo
che, sentendo la prima frase sembrò provare una profonda delusione.
Il signor
Pride chiuse gli occhi: a Matt parve rintracciare le rughe che gli solcavano il
viso, per la prima volta. Non pareva più lo stesso uomo di sempre, si vedeva la
stanchezza negli occhi, la tristezza sul volto, le ferite nel cuore. Piangeva
silenziosamente. Invisibile.
-
La polizia non ha trovato nulla, per ora – e con
questo se ne andò. Prima di uscire raddrizzò la schiena. Non poteva permettersi
di versare una lacrima. Ormai non poteva più. Aveva imparato che il minimo errore
poteva causargli più di una semplice presa in giro, ma sarebbe stato uno sfondo
sull’articolo di giornale che annunciava la scomparsa del giovane Pride.
Matt si
sentiva terribilmente in colpa: come aveva potuto dimenticare una cosa del
genere? Per colpa sua non trovavano Andrew, per colpa sua! Se avesse avuto solo
un ricordo…almeno un ricordo!