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Autore: kiku77    16/09/2010    8 recensioni
Seguito di "Le Conseguenze dell'amore" - Dal primo cap:"Erano sposati da tre anni. E tutto nella loro vita era di nuovo cambiato; stravolto dal destino. Kumiko, nata sotto una cattiva stella, aveva attraversato altro dolore: un dolore molto più profondo di quello che già aveva sopportato prima del suo matrimonio. Genzo ne era stato testimone: silente, come le pietre, come il ghiaccio che non si scioglie e che sotto il sole splende indifferente"
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quel pomeriggio fu splendido.

I bambini andavano e venivano dai loro giochi, per controllare di tanto in tanto Khalid e ad un certo punto Taro aveva telefonato a Ryo, descrivendogli per filo e per segno come fosse il suo fratellino.

Kaori e Ikeda avevano preparato le polpette di riso e molti dolci.

Kumiko aveva mangiato con gusto, godendo di ogni fragranza, dopo i pasti insipidi e tristi che le avevano servito in ospedale e sorrideva, ascoltando i racconti dei suoi amici.

Genzo, seduto al tavolo, la osservava in silenzio e molto spesso il suo sguardo si volgeva verso la culla, dove Khalid dormiva tranquillo.

Era felice ma non sapeva cosa dire; aveva voglia di parlare, ma preferiva ascoltare.

“Genzo…” disse, dopo un po’ Ikeda, interrompendo le risate delle due ragazze.

Il portiere tirò su la schiena, come per far capire che era sì, silenzioso, ma molto partecipe di ciò che stava accadendo.

“Sì?”

“Credo sia arrivato il momento…”

Kumiko fissò prima l’uno poi l’altro, mentre Kaori aveva abbassato lo sguardo e sul volto le si era creata un’espressione dolce.

“… ah sì è vero…” disse Genzo, toccandosi la testa, molto imbarazzato.

“Di cosa state parlando?” chiese allora Kumiko.

“Ecco… potresti venire un momento con me?”

Lei diede uno sguardo ai bambini, incuranti della conversazione dei grandi; si alzò e andò a controllare Khalid; poi si volse verso Genzo.

“Dove?”

“Beh… non molto lontano… semplicemente di sopra…”

“Certo… ma perché?”

“Vieni… niente domande, dai…”

Allora lei seguì Genzo che già aveva preso la via delle scale.

Si ritrovarono in camera da letto. Sul comò, c’era una scatola impacchettata con della carta arancione.

Genzo la prese e gliela diede.

“E’ il mio regalo…” disse.

Kumiko lo fissò. Le aveva regalato i suoi amici, e un bellissimo paio di orecchini.

“Mi hai già dato troppo… non c’era bisogno…” disse lei, in imbarazzo.

“Questo è un regalo un po’ particolare… a dire la verità, ho fatto tanto per averlo, ma non so neanche se in questo momento ti possa far piacere…”

Kumiko lo fissò: non capiva cosa volesse dire. Dentro c’era qualcosa che aveva un peso ed una consistenza, ma non sembrava fragile.

Si sedette sul divanetto, ai piedi del letto, e lentamente sciolse il bel fiocco e tolse il fiore bianco che era stato messo proprio all’attaccatura della carta.

Ruppe l’involucro cercando però di non rovinare il foglio arancio.

Si ritrovò di fronte ad una specie di libro, un po’ vecchio e consumato. La copertina aveva gli angoli mangiati dal tempo e il colore era sbiadito: era un misto tra il marrone e il tortora.

Guardò Genzo e poi accarezzò la superficie. Al contatto, si accorse della porosità del cartone. Era ruvido, quasi ci fosse un principio graffiante, una specie di attrito, tra l’oggetto e il calore vivo della mano. Era una sensazione strana ma molto piacevole, così lei passò il palmo più volte e socchiuse gli occhi.

Genzo non era il tipo da regalare libri, ma pensò che forse fosse antico e di un qualche valore.

Non provava niente: né stupore, né delusione. Lei era talmente felice, era talmente piena di ciò che già aveva ricevuto che non le importava granché di quel regalo.

Cercò di restare concentrata e seria per rispetto a Genzo e si decise quindi ad aprirlo.

Fu un movimento rapido, eppure Kumiko, dopo un attimo, rivide se stessa mille volte compiere quel gesto, come quando vedi un film e la scena si interrompe per ripetersi all’infinito.

Non era un libro. Era un album fotografico.

C’era una bambina. Poi un bambino. Una vecchia insegna di fronte ad un muro. Un giovane volto di uomo; una donna. Poi nuovamente tutti insieme, dentro una cucina. Nel laboratorio.

Era lei, piccola, seduta su uno sgabello con un mestolo in mano, fra suo padre e sua madre e un po’ in disparte Basho, quasi annoiato a stare lì, in posa.

Kumiko sfogliò le pagine una dopo l’altra, riempiendosi gli occhi di un passato che aveva vissuto, ma che credeva aver perso per sempre.

Ricominciò da capo, con la stessa intensità e velocità.

Stava con la faccia incollata lì e sfogliava, prima in fretta, poi lentamente; a volte si fermava; poi riprendeva.

Aveva cominciato a piangere e non se n’era accorta. Fu solo quando una grossa goccia, densa come il latte che le usciva dal seno, cadde ruvida e pesante su una pagina, che scosse la testa e si asciugò il naso.

“Ma come hai fatto…” sussurrò, incredula.

Genzo cercò di farsi posto accanto a lei.

“L’ultima volta che sono tornato in Giappone per gli impegni con la nazionale, ho chiesto a Basho il permesso di rovistare nella vostra soffitta. Io non ho conosciuto tuo padre, Kumiko, ma onestamente, credo ti somigli molto… così come tu non cancelleresti me, non credevo che lui avesse cancellato tutto di lei… di tua madre…”

Si fermò un momento.

“Mi ha aiutato Ikeda. Abbiamo aperto delle vecchie scatole, frugato fra vestiti e bauli. Alla fine… abbiamo trovato questo… Basho mi ha detto che puoi tenerlo tu. Te lo meriti…”

Kumiko era rimasta ad ascoltare e a fissare il volto di sua madre.

“Era molto bella… non credi?”

“Sì… bellissima. Le somigli molto… chissà com’è ora…” aggiunse Genzo alla fine.

Kumiko cercò la sua mano e la strinse.

“Non so perché tu sia così buono con me... non so che dire…”

Genzo la baciò.

“Spero che tu sia felice di aver rivisto tua madre. Sai, adesso, a mente fredda, ecco…”

Genzo temeva di aver agito d’istinto, senza valutare l’impatto che quei ricordi potessero avere su di lei.

Kumiko lo interruppe, baciandolo.

“Non sono i morti a proteggermi. Sei tu, Genzo…” le disse.

Lui, in quell’istante pensò a tutte le volte in cui si era sentito meno di zero; ai giorni, alle interminabili ore, fuori dal campo, in cui aveva pensato di non valere niente. Si vide, più giovane di dieci anni, in piedi, su un ponte. Rivide lei, che se ne voleva andare e che poi, tutto d’un tratto, piangeva sotto la pioggia, senza un motivo apparente.

Vide sua madre e poi gli alberi di frangipani. Vide il piccolo Taro e l’emozione che aveva provato quando l’aveva conosciuto davvero.

Sentì il profumo del mare, e avvertì la profondità del corallo. C’era silenzio, eppure dentro tutto si muoveva.

L’odore, anzi no, il profumo di un vestito bianco, e pizzi andalusi da sfiorare con le dita, mentre ancora non ti rendi conto che una donna, non è solo e semplicemente tale: lei è una storia, è il gemere della notte, un respiro che contiene tutte le profondità e le sfumature dei colori.

Lei è l’insieme di tutto ciò che hai fatto e hai avuto e ti somiglia, anche se sei così diverso.

“Kumiko genera fiori al posto dei figli e figli al posto di gemme. Semina pietre e ho voglia di mangiare le sue lacrime…“ pensò.

Fu tutto veloce: come quando sei su un treno e il paesaggio ti attraversa gli occhi; tu non riesci a prendere confidenza con gli spazi e con le forme delle cose che appaiono. Poi, però, quando scendi dal treno, sai bene cos’hai visto e quasi, potresti tirare fuori un disegno.

Si passò la mano sul volto e la guardò come se nella stanza non ci fosse altro che lei.

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Grazie a tutti

A presto…

   
 
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