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Autore: claudineclaudette_    17/09/2010    1 recensioni
Protagonista di questa storia è Zahan, un giovane ragazzo costretto a rubare per sopravvivere. Dopo un imprevisto entrerà a conoscenza del leggendario capo dei ribelli e avrà modo di conoscerlo come nessuno aveva mi fatto prima d'ora.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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2. Silfarion

Passarono i giorni, passò una settimana ma nessuno era ancora evaso. Anche la notizia dell’arresto, ormai, stava perdendo importanza. Ogni giorno erano sempre di meno le righe dedicate al capo dei ribelli, la novità andava perdendo tutta quell’attenzione che aveva attirato su di sé. Probabilmente, l’unico motivo per cui ancora se ne parlava era perché i capi di Stato non si decidevano a scegliere una data per l’esecuzione.
Con un sospiro, Zahan appallottolò il giornale e se lo buttò alle spalle con noncuranza, prima di immergersi nel mare di folla del mercato. Camminava agile e silenzioso tra la gente, passava accanto ai banchi con la merce esposta e proseguiva, a volte dopo averci buttato una breve occhiata. Un improvviso refolo di vento riuscì a penetrare attraverso il muro di persone e s’insinuò sotto i vestiti di Zahan. Il ragazzo ebbe un brivido, ma proprio in quel momento aveva trovato quel che cercava. Sorrise malizioso, prima di proseguire si calò per bene il cappello sugli occhi. Infilò le mani nelle larghe tasche della giacca e si avvicinò incerto ad un banco particolarmente invitante. Doveva essere nuovo, perché Zahan era sicuro di non aver mai visto gioiellieri in quella parte della città. Dopo una prima occhiata si disse che chiamarlo gioielliere poteva sembrare un’esagerazione, ma qualcosa della merce che vendeva non era male. Rallentò prima di trovarsi vicino al banco interessato, lo raggiunse e lo superò, mantenendo sempre la stessa andatura.
Zahan non riuscì a reprimere un ghigno, sentendo il freddo metallo sotto i vestiti. Silenzioso come un’ombra aveva trafugato uno dei migliori pezzi della collezione del mercante. Con quello avrebbe dato a sua madre almeno un altro mese di autonomia. Il giovane, alla pari del vento e altrettanto veloce e invisibile, già si preparava a svoltare nel primo vicolo, per poi scomparire definitivamente della calca. Ma qualcosa era andato storto: qualcuno l’aveva visto rubare. O meglio, aveva visto una collana scomparire contemporaneamente al suo passaggio. All’improvviso Zahan si sentì afferrare da dietro con violenza, strattonato per un braccio.
Dannazione pensò immediatamente dopo aver voltato la testa. Di tutte le persone, proprio un soldato della guarnigione? I due si fissarono truci per un istante, Zahan si domandava se era meglio bluffare o darsela a gambe. Impiegò poco tempo per decidere. In rapida successione piegò il braccio che veniva stretto e subito dopo lo distese, facendo scivolare la presa al soldato. Poi, senza attendere nemmeno un attimo, si voltò e corse via ma il soldato cominciò a rincorrerlo, e non da solo: con un gesto della mano aveva chiamato a sé due suoi compagni e adesso erano in tre ad inseguirlo. Zahan correva veloce, con l’estremità del lungo spolverino che gli sfiorava gli stivali. Aveva sollevato leggermente il cappello per ampliare la propria visuale. In quel momento si trovava nel centro del mercato: da una parte era un bene, perché era anche il punto in cui la folla si concentrava, ma dall’altra era un male, trovandosi molto lontano da qualunque via di fuga. Zahan si guardò velocemente intorno, cercando con gli occhi i suoi inseguitori. Quando non li vide, pensò di averli seminati, cosa affatto difficile essendo lui abbastanza piccolo e gracile d’aspetto e loro molto più grossi e muscolosi. Al centro della piazza, costruita su un rialzo di pietra, si trovava una fontana circolare. Scolpite nella roccia, tre immagini di donne gli sorridevano mentre rovesciavano nella fontana le loro anfore colme d’acqua. Zahan rivolse il suo sguardo al cielo: viaggiavano molte nuvole, portate dal vento, ma alcune, quelle scure e grigie, portavano la pioggia. Il ragazzo scosse la testa sconsolato, pensando ai cunicoli sotterranei che si riempivano d’acqua, forse era giunto il momento di fare ritorno a casa. Assicurandosi che la refurtiva fosse al sicuro al suo posto, si abbassò nuovamente il cappello sugli occhi certo che, a quell’ora, i soldati avessero rinunciato a dargli la caccia e se ne fossero ritornati ai loro posti. Prima di rientrare, però, si avvicinò alla fontana, salì gli scalini e si soffermò a fissarsi nello specchio d’acqua. Restò lì immobile per alcuni istanti, quasi ipnotizzato da quel riflesso trasparente. Distrattamente, notò che una ciocca dei suoi capelli era sfuggita da sotto il cappello e gli solleticava dolcemente la guancia, allora la respinse velocemente sotto il copricapo. Di nuovo spostò il suo sguardo sullo specchio d’acqua e fissava duramente i suoi occhi bicolori, in una specie di gara. Non riuscì a reggere il suo stesso sguardo e affondò una mano nella polla, increspandone la liscia superficie. L’acqua era gelata e Zahan tirò fuori la mano, che già cominciava a diventare livida. Ci alitò sopra, nel vano tentativo di scaldarla: perché aveva fatto una cosa tanto stupida? Basta, l’unica cosa che poteva fare era correre a casa il più velocemente possibile, accendere un fuoco e accostarci la mano. Fino a quel momento decise di sfilarsi la sciarpa dal collo e avvolgerla intorno alle dita ed al polso, poi si voltò e andò a sbattere dritto dritto contro una delle tre guardie che lo afferrò, questa volta per entrambe le braccia, e lo trascinò insieme ad uno dei suoi compagni verso le prigioni.
- Sentiti fortunato – gli disse il soldato. – Di solito ai bastardi come te tagliamo la mano destra, Ger trova la collana, ma con la cattura di quel cane di un capo dei ribelli, simili dettagli diventano insignificanti.
Il secondo soldato si avvicinò per frugare sotto i vestiti di Zahan, ma questi lo anticipò:
- E’ nella tasca interna, sotto la manica sinistra.
I due soldati alzarono lo sguardo sul ragazzo, confusi dal suo comportamento insolito, soprattutto quando trovarono effettivamente lì la collana.
- A che gioco stai giocando? – domandò il primo soldato, alzando diffidente un sopracciglio.
Zahan alzò le spalle, per quanto gli fosse possibile. – L’avreste trovato comunque – rispose tagliente, - e non mi piace quando un uomo mi palpa, perdonate la franchezza.
- Siamo delicati, eh? - ghignò il secondo soldato, che stringeva nella grossa mano pelosa il monile. Lentamente se lo infilò in una tasca della divisa e poi diresse un pugno dritto dello stomaco del ragazzo. Zahan lo fissò con lo sguardo rovente per qualche secondo, ma quando gli arrivò un secondo colpo dietro la nuca, perse inevitabilmente i sensi.

Lentamente aprì un occhio, poi l’altro. Con una gran confusione in testa cominciò a guardarsi attorno. Si trovava sdraiato sul pavimento di pietra, il gelo che ormai gli stava penetrando nelle ossa. Zahan non conosceva il posto dove si trovava perché probabilmente non c’era mai stato, ma era uno solo il luogo dove quei due soldati avrebbero potuto portarlo. Aggrappandosi alle sbarre di ferro della cella, si trascinò fino al muro dove riuscì a gettare un’occhiata fuori dalla piccola finestra, bloccata con delle spesse sbarre di metallo. Zahan vide poco, pochissimo, ma quello poco che vide gli provocò un brivido: l’avevano rinchiuso nella cella all’ultimo livello dell’ex torre di vedetta, e se non era l’ultima, poco passava. Si sentì quasi come le principesse delle favole, ma la battuta non lo fece affatto ridere: non sarebbe stato facile evadere di lì!
- Guardate un po’ chi si è destato dal suo sonno: il bello addormentato!
Zahan volse la testa verso la voce. Quattro guardie della prigione lo stavano fissando ridendo di gusto. Il ragazzo però non sfuggì lo sguardo e li fissò con i suoi inquietanti occhi.
Una delle guardie ebbe una smorfia quando vide il duplice colore delle iridi del giovane.
- Ehi ragazzi – chiamò – guardate che orrore!
- Che Dio li perdoni – esclamò allora un altro dei quattro uomini, - questi due si fanno concorrenza!
- Via, via, lasciamoli in pace – rise la terza guardia, aprendo una porta e cominciando a scendere le ripide scale a chiocciola. – Il nostro turno è finito, tra un po’ verranno a darci il cambio.
Le due guardie che prima avevano parlato se ne andarono velocemente come la prima, ma una di loro si intrattenne ancora un attimo presso le sbarre.
- Scusa per la compagnia ometto – disse sarcasticamente – ma ti assicuro che quello sporco cane rosso non ti mangerà! – poi Zahan rimase solo.
Scusa per la compagnia? Si domandò il ragazzo confuso, poi si voltò e vide che effettivamente non era l’unica persona in quella cella. Di fronte a lui c’era un uomo, leggermente più vecchio, che doveva avere da venti ai trent’anni. Sedeva a terra, semisdraiato, con la schiena appoggiata al muro. L’uomo non lo fissava, non si era nemmeno girato a guardare Zahan da quando questo si era risvegliato: rimaneva immobile, con lo sguardo fisso di fronte a sé. Come aveva detto l’ultima guardia, i capelli dell’uomo, che gli cadevano disordinati sulle spalle e intorno al viso, erano rossi, un rosso molto intenso. Zahan non riusciva a giudicarne precisamente la statura, ma era certo che fosse abbastanza alto, certamente più alto di lui. Le spalle erano larghe e coperte da un lungo mantello beige particolarmente elaborato, decorato con rifiniture in oro e in argento. Certamente non è qualcuno che soffre la fame pensò Zahan infastidito e infreddolito, ma allora cosa ci fa chiuso qua dentro?
Il volto dell’uomo era molto fine ed elegante, non come poteva essere quello di Zahan, ma avrebbe affascinato molte donne. Il naso scendeva dritto, ma senza creare una linea continua con la fronte. La sua espressione non era serena ma corrucciata, dopotutto, cos’altro ci si poteva aspettare da un uomo rinchiuso dietro a delle sbarre?
Anche Zahan si sedette a terra, lontano il più possibile da quello strano uomo che lo inquietava, emettendo una singolare aura di forza e carisma, eppure il ragazzo continuava a fissarlo incuriosito. L’occhio sinistro dell’uomo, l’unico che Zahan riusciva a vedere dalla posizione in cui si trovava, era grande e limpido, ma di un’inusuale forma allungata. Continuava a guardare fisso a terra e il ragazzo gli invidiò quel semplice e contemporaneamente bellissimo color blu mare.
Non sapendo cosa fare, senza la possibilità di evadere o la ben che minima intenzione di rivolgere la parola al suo inquietante compagno di cella, Zahan chiuse gli occhi e tentò di riposare. Dopo alcuni minuti si addormentò.
Fu un freddo rumore di ferraglia a svegliarlo. Placidamente aprì gli occhi e diresse lo sguardo verso la porta della cella. Altre quattro guardie, diverse da quelle che avevano dato il ben svegliato a Zahan, fissavano i due prigionieri seduti a terra. Una di queste guardie stava aprendo la porta della cella, mentre un’altra entrava guardinga e posava accanto al ragazzo ed all’uomo dai capelli rossi due piatti pieni di un liquido biancastro. Zahan ci buttò un’occhiata per poi ritirarsi disgustato: non aveva l’aspetto di nulla che avesse visto nei suoi diciassette anni. Il giovane alzò lo sguardo irritato e, con enorme sorpresa, si trovò a fissare una decina di soldati che li osservavano con i fucili puntati. Involontariamente Zahan spalancò la bocca, basito: che cosa diavolo stava succedendo? Le guardie richiusero la porta a doppia mandata e solo allora i soldati posarono i fucili. Le chiavi della cella furono affidate alle guardie di servizio, tre in tutto, mentre gli altri, guardie e soldati, cominciarono a scendere le scale. I tre uomini rimasti si spostarono nella stanza attigua, si sedettero presso un tavolo, estrassero carte e rhum e si dimenticarono di Zahan e dell’uomo dai capelli rossi.
Solo allora il ragazzo provò a prendere in mano il piatto portatogli e lo fissò diffidente. Il suo compagno di cella, invece, lo afferrò con entrambe la mani e cominciò a sorseggiare la brodaglia bianca contenuta. Zahan lo fissò perplesso. Provò ad annusare lo strano liquido, ma non percepì alcun’odore, allora prese in mano il rozzo cucchiaio di legno e si portò la pietanza alle labbra. L’assaggiò con la punta della lingua e con un’espressione contrita sputò a terra disgustato.
- Puah! Ma che cos’è questa roba? – esclamò. – Persino la suola delle scarpe ha un sapore migliore.
E’ anche fredda! Rifletté nauseato. Il giovane alzò lo sguardo, dirigendolo verso l’uomo dai capelli rossi.
- Come fai a mangiarla? – domandò.
- E’ l’unica cosa che si può mangiare in questo posto – rispose l’uomo, parlando per la prima volta. Aveva una voce profonda, sommessa ma nitida. Lentamente finì di mangiare, poi ripose in un angolo il cucchiaio e il piatto vuoto.
- Beh, io sono stufo di starmene chiuso qui dentro! – esclamò Zahan, gettando un’occhiata alle guardie nell’altra stanza, prossime a cadere addormentate. – Me ne vado. Tu resti?
- Sto aspettando delle persone.
- Ho capito…credo che aspetterò ancora un pochino – decise allora Zahan, tornando a sedersi.
Seguì un lungo silenzio. L’uomo dai capelli rossi pareva parlare solo se interpellato, e Zahan aveva terminato le domande da porgli. Distrattamente, controllò che il suo cappello fosse ancora al proprio posto, posandosi le mani sul capo. Lo toccò, lo raddrizzò e sentendosi soddisfatto lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. S’arrestò un attimo, c’era qualcosa che non quadrava: si guardò le mani. Entrambe funzionavano perfettamente, non sentiva alcun dolore o un freddo particolarmente intenso. Cos’era successo alla mano che aveva imprudentemente immerso nell’acqua gelida?
- Spero non ti dispiaccia.
Zahan voltò la testa verso l’uomo, probabilmente dalla sua espressione lasciava facilmente intuire che non aveva compreso le sue parole.
- La tua mano - continuò allora l’uomo, guardandola fisso. - Te l’ho scaldata io o avrebbe gelato.
Zahan spostò lo sguardo da lui alla mano e poi di nuovo su di lui.
- Grazie - riuscì solamente a rispondere. Poi non riuscì più a continuare.
Dovette ripetere mentalmente la loro piccola conversazione per molte volte, prima di riuscire realmente a coglierne il significato. Quando finalmente comprese lo fissò sbalordito. Perché l’aveva fatto? Per passare il tempo? Il giovane continuò a crucciarsi a lungo ma senza trovare una risposta abbastanza verosimile da prendere in considerazione. Alla fine si arrese.
- Perché hai… - cominciò, ma poi si interruppe. La domanda sarebbe stata completamente inutile. Sospirò. - Io sono Zahan.
L’uomo dopo un po’ levò lo sguardo sul giovane volto del ragazzo, rispondendogli solo dopo un lungo silenzio.
- Silfarion.
- Che nome strano - borbottò Zahan. - Tra quanto credi che arriveranno le persone che aspetti? - domandò dopo pochi istanti.
- Tra poco - passavano sempre lunghi istanti prima che l’uomo rispondesse alle sue domande.
Per un po’ Zahan tentò ancora di fare conversazione, ma nulla sembrava risvegliare l’interesse di Silfarion, che continuava a rispondergli sempre con lo stesso, monotono tono di voce.
   
 
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