Protagonista di questa storia è Zahan, un giovane ragazzo costretto a rubare per sopravvivere. Dopo un imprevisto entrerà a conoscenza del leggendario capo dei ribelli e avrà modo di conoscerlo come nessuno aveva mi fatto prima d'ora.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Passarono i giorni, passò una settimana ma nessuno era
ancora evaso. Anche la notizia dell’arresto, ormai, stava
perdendo importanza. Ogni giorno erano sempre di meno le righe dedicate
al capo dei ribelli, la novità andava perdendo tutta
quell’attenzione che aveva attirato su di sé.
Probabilmente, l’unico motivo per cui ancora se ne parlava
era perché i capi di Stato non si decidevano a scegliere una
data per l’esecuzione.
Con un sospiro, Zahan appallottolò il giornale e se lo
buttò alle spalle con noncuranza, prima di immergersi nel
mare di folla del mercato. Camminava agile e silenzioso tra la gente,
passava accanto ai banchi con la merce esposta e proseguiva, a volte
dopo averci buttato una breve occhiata. Un improvviso refolo di vento
riuscì a penetrare attraverso il muro di persone e
s’insinuò sotto i vestiti di Zahan. Il ragazzo
ebbe un brivido, ma proprio in quel momento aveva trovato quel che
cercava. Sorrise malizioso, prima di proseguire si calò per
bene il cappello sugli occhi. Infilò le mani nelle larghe
tasche della giacca e si avvicinò incerto ad un banco
particolarmente invitante. Doveva essere nuovo, perché Zahan
era sicuro di non aver mai visto gioiellieri in quella parte della
città. Dopo una prima occhiata si disse che chiamarlo
gioielliere poteva sembrare un’esagerazione, ma qualcosa
della merce che vendeva non era male. Rallentò prima di
trovarsi vicino al banco interessato, lo raggiunse e lo
superò, mantenendo sempre la stessa andatura.
Zahan non riuscì a reprimere un ghigno, sentendo il freddo
metallo sotto i vestiti. Silenzioso come un’ombra aveva
trafugato uno dei migliori pezzi della collezione del mercante. Con
quello avrebbe dato a sua madre almeno un altro mese di autonomia. Il
giovane, alla pari del vento e altrettanto veloce e invisibile,
già si preparava a svoltare nel primo vicolo, per poi
scomparire definitivamente della calca. Ma qualcosa era andato storto:
qualcuno l’aveva visto rubare. O meglio, aveva visto una
collana scomparire contemporaneamente al suo passaggio.
All’improvviso Zahan si sentì afferrare da dietro
con violenza, strattonato per un braccio.
Dannazione pensò immediatamente dopo aver voltato la testa.
Di tutte le persone, proprio un soldato della guarnigione? I due si
fissarono truci per un istante, Zahan si domandava se era meglio
bluffare o darsela a gambe. Impiegò poco tempo per decidere.
In rapida successione piegò il braccio che veniva stretto e
subito dopo lo distese, facendo scivolare la presa al soldato. Poi,
senza attendere nemmeno un attimo, si voltò e corse via ma
il soldato cominciò a rincorrerlo, e non da solo: con un
gesto della mano aveva chiamato a sé due suoi compagni e
adesso erano in tre ad inseguirlo. Zahan correva veloce, con
l’estremità del lungo spolverino che gli sfiorava
gli stivali. Aveva sollevato leggermente il cappello per ampliare la
propria visuale. In quel momento si trovava nel centro del mercato: da
una parte era un bene, perché era anche il punto in cui la
folla si concentrava, ma dall’altra era un male, trovandosi
molto lontano da qualunque via di fuga. Zahan si guardò
velocemente intorno, cercando con gli occhi i suoi inseguitori. Quando
non li vide, pensò di averli seminati, cosa affatto
difficile essendo lui abbastanza piccolo e gracile d’aspetto
e loro molto più grossi e muscolosi. Al centro della piazza,
costruita su un rialzo di pietra, si trovava una fontana circolare.
Scolpite nella roccia, tre immagini di donne gli sorridevano mentre
rovesciavano nella fontana le loro anfore colme d’acqua.
Zahan rivolse il suo sguardo al cielo: viaggiavano molte nuvole,
portate dal vento, ma alcune, quelle scure e grigie, portavano la
pioggia. Il ragazzo scosse la testa sconsolato, pensando ai cunicoli
sotterranei che si riempivano d’acqua, forse era giunto il
momento di fare ritorno a casa. Assicurandosi che la refurtiva fosse al
sicuro al suo posto, si abbassò nuovamente il cappello sugli
occhi certo che, a quell’ora, i soldati avessero rinunciato a
dargli la caccia e se ne fossero ritornati ai loro posti. Prima di
rientrare, però, si avvicinò alla fontana,
salì gli scalini e si soffermò a fissarsi nello
specchio d’acqua. Restò lì immobile per
alcuni istanti, quasi ipnotizzato da quel riflesso trasparente.
Distrattamente, notò che una ciocca dei suoi capelli era
sfuggita da sotto il cappello e gli solleticava dolcemente la guancia,
allora la respinse velocemente sotto il copricapo. Di nuovo
spostò il suo sguardo sullo specchio d’acqua e
fissava duramente i suoi occhi bicolori, in una specie di gara. Non
riuscì a reggere il suo stesso sguardo e affondò
una mano nella polla, increspandone la liscia superficie.
L’acqua era gelata e Zahan tirò fuori la mano, che
già cominciava a diventare livida. Ci alitò
sopra, nel vano tentativo di scaldarla: perché aveva fatto
una cosa tanto stupida? Basta, l’unica cosa che poteva fare
era correre a casa il più velocemente possibile, accendere
un fuoco e accostarci la mano. Fino a quel momento decise di sfilarsi
la sciarpa dal collo e avvolgerla intorno alle dita ed al polso, poi si
voltò e andò a sbattere dritto dritto contro una
delle tre guardie che lo afferrò, questa volta per entrambe
le braccia, e lo trascinò insieme ad uno dei suoi compagni
verso le prigioni.
- Sentiti fortunato – gli disse il soldato. – Di
solito ai bastardi come te tagliamo la mano destra, Ger trova la
collana, ma con la cattura di quel cane di un capo dei ribelli, simili
dettagli diventano insignificanti.
Il secondo soldato si avvicinò per frugare sotto i vestiti
di Zahan, ma questi lo anticipò:
- E’ nella tasca interna, sotto la manica sinistra.
I due soldati alzarono lo sguardo sul ragazzo, confusi dal suo
comportamento insolito, soprattutto quando trovarono effettivamente
lì la collana.
- A che gioco stai giocando? – domandò il primo
soldato, alzando diffidente un sopracciglio.
Zahan alzò le spalle, per quanto gli fosse possibile.
– L’avreste trovato comunque – rispose
tagliente, - e non mi piace quando un uomo mi palpa, perdonate la
franchezza.
- Siamo delicati, eh? - ghignò il secondo soldato, che
stringeva nella grossa mano pelosa il monile. Lentamente se lo
infilò in una tasca della divisa e poi diresse un pugno
dritto dello stomaco del ragazzo. Zahan lo fissò con lo
sguardo rovente per qualche secondo, ma quando gli arrivò un
secondo colpo dietro la nuca, perse inevitabilmente i sensi.
Lentamente aprì un occhio, poi l’altro. Con una
gran confusione in testa cominciò a guardarsi attorno. Si
trovava sdraiato sul pavimento di pietra, il gelo che ormai gli stava
penetrando nelle ossa. Zahan non conosceva il posto dove si trovava
perché probabilmente non c’era mai stato, ma era
uno solo il luogo dove quei due soldati avrebbero potuto portarlo.
Aggrappandosi alle sbarre di ferro della cella, si trascinò
fino al muro dove riuscì a gettare un’occhiata
fuori dalla piccola finestra, bloccata con delle spesse sbarre di
metallo. Zahan vide poco, pochissimo, ma quello poco che vide gli
provocò un brivido: l’avevano rinchiuso nella
cella all’ultimo livello dell’ex torre di vedetta,
e se non era l’ultima, poco passava. Si sentì
quasi come le principesse delle favole, ma la battuta non lo fece
affatto ridere: non sarebbe stato facile evadere di lì!
- Guardate un po’ chi si è destato dal suo sonno:
il bello addormentato!
Zahan volse la testa verso la voce. Quattro guardie della prigione lo
stavano fissando ridendo di gusto. Il ragazzo però non
sfuggì lo sguardo e li fissò con i suoi
inquietanti occhi.
Una delle guardie ebbe una smorfia quando vide il duplice colore delle
iridi del giovane.
- Ehi ragazzi – chiamò – guardate che
orrore!
- Che Dio li perdoni – esclamò allora un altro dei
quattro uomini, - questi due si fanno concorrenza!
- Via, via, lasciamoli in pace – rise la terza guardia,
aprendo una porta e cominciando a scendere le ripide scale a
chiocciola. – Il nostro turno è finito, tra un
po’ verranno a darci il cambio.
Le due guardie che prima avevano parlato se ne andarono velocemente
come la prima, ma una di loro si intrattenne ancora un attimo presso le
sbarre.
- Scusa per la compagnia ometto – disse sarcasticamente
– ma ti assicuro che quello sporco cane rosso non ti
mangerà! – poi Zahan rimase solo.
Scusa per la compagnia? Si domandò il ragazzo confuso, poi
si voltò e vide che effettivamente non era l’unica
persona in quella cella. Di fronte a lui c’era un uomo,
leggermente più vecchio, che doveva avere da venti ai
trent’anni. Sedeva a terra, semisdraiato, con la schiena
appoggiata al muro. L’uomo non lo fissava, non si era nemmeno
girato a guardare Zahan da quando questo si era risvegliato: rimaneva
immobile, con lo sguardo fisso di fronte a sé. Come aveva
detto l’ultima guardia, i capelli dell’uomo, che
gli cadevano disordinati sulle spalle e intorno al viso, erano rossi,
un rosso molto intenso. Zahan non riusciva a giudicarne precisamente la
statura, ma era certo che fosse abbastanza alto, certamente
più alto di lui. Le spalle erano larghe e coperte da un
lungo mantello beige particolarmente elaborato, decorato con rifiniture
in oro e in argento. Certamente non è qualcuno che soffre la
fame pensò Zahan infastidito e infreddolito, ma allora cosa
ci fa chiuso qua dentro?
Il volto dell’uomo era molto fine ed elegante, non come
poteva essere quello di Zahan, ma avrebbe affascinato molte donne. Il
naso scendeva dritto, ma senza creare una linea continua con la fronte.
La sua espressione non era serena ma corrucciata, dopotutto,
cos’altro ci si poteva aspettare da un uomo rinchiuso dietro
a delle sbarre?
Anche Zahan si sedette a terra, lontano il più possibile da
quello strano uomo che lo inquietava, emettendo una singolare aura di
forza e carisma, eppure il ragazzo continuava a fissarlo incuriosito.
L’occhio sinistro dell’uomo, l’unico che
Zahan riusciva a vedere dalla posizione in cui si trovava, era grande e
limpido, ma di un’inusuale forma allungata. Continuava a
guardare fisso a terra e il ragazzo gli invidiò quel
semplice e contemporaneamente bellissimo color blu mare.
Non sapendo cosa fare, senza la possibilità di evadere o la
ben che minima intenzione di rivolgere la parola al suo inquietante
compagno di cella, Zahan chiuse gli occhi e tentò di
riposare. Dopo alcuni minuti si addormentò.
Fu un freddo rumore di ferraglia a svegliarlo. Placidamente
aprì gli occhi e diresse lo sguardo verso la porta della
cella. Altre quattro guardie, diverse da quelle che avevano dato il ben
svegliato a Zahan, fissavano i due prigionieri seduti a terra. Una di
queste guardie stava aprendo la porta della cella, mentre
un’altra entrava guardinga e posava accanto al ragazzo ed
all’uomo dai capelli rossi due piatti pieni di un liquido
biancastro. Zahan ci buttò un’occhiata per poi
ritirarsi disgustato: non aveva l’aspetto di nulla che avesse
visto nei suoi diciassette anni. Il giovane alzò lo sguardo
irritato e, con enorme sorpresa, si trovò a fissare una
decina di soldati che li osservavano con i fucili puntati.
Involontariamente Zahan spalancò la bocca, basito: che cosa
diavolo stava succedendo? Le guardie richiusero la porta a doppia
mandata e solo allora i soldati posarono i fucili. Le chiavi della
cella furono affidate alle guardie di servizio, tre in tutto, mentre
gli altri, guardie e soldati, cominciarono a scendere le scale. I tre
uomini rimasti si spostarono nella stanza attigua, si sedettero presso
un tavolo, estrassero carte e rhum e si dimenticarono di Zahan e
dell’uomo dai capelli rossi.
Solo allora il ragazzo provò a prendere in mano il piatto
portatogli e lo fissò diffidente. Il suo compagno di cella,
invece, lo afferrò con entrambe la mani e
cominciò a sorseggiare la brodaglia bianca contenuta. Zahan
lo fissò perplesso. Provò ad annusare lo strano
liquido, ma non percepì alcun’odore, allora prese
in mano il rozzo cucchiaio di legno e si portò la pietanza
alle labbra. L’assaggiò con la punta della lingua
e con un’espressione contrita sputò a terra
disgustato.
- Puah! Ma che cos’è questa roba? –
esclamò. – Persino la suola delle scarpe ha un
sapore migliore.
E’ anche fredda! Rifletté nauseato. Il giovane
alzò lo sguardo, dirigendolo verso l’uomo dai
capelli rossi.
- Come fai a mangiarla? – domandò.
- E’ l’unica cosa che si può mangiare in
questo posto – rispose l’uomo, parlando per la
prima volta. Aveva una voce profonda, sommessa ma nitida. Lentamente
finì di mangiare, poi ripose in un angolo il cucchiaio e il
piatto vuoto.
- Beh, io sono stufo di starmene chiuso qui dentro! –
esclamò Zahan, gettando un’occhiata alle guardie
nell’altra stanza, prossime a cadere addormentate.
– Me ne vado. Tu resti?
- Sto aspettando delle persone.
- Ho capito…credo che aspetterò ancora un pochino
– decise allora Zahan, tornando a sedersi.
Seguì un lungo silenzio. L’uomo dai capelli rossi
pareva parlare solo se interpellato, e Zahan aveva terminato le domande
da porgli. Distrattamente, controllò che il suo cappello
fosse ancora al proprio posto, posandosi le mani sul capo. Lo
toccò, lo raddrizzò e sentendosi soddisfatto
lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
S’arrestò un attimo, c’era qualcosa che
non quadrava: si guardò le mani. Entrambe funzionavano
perfettamente, non sentiva alcun dolore o un freddo particolarmente
intenso. Cos’era successo alla mano che aveva imprudentemente
immerso nell’acqua gelida?
- Spero non ti dispiaccia.
Zahan voltò la testa verso l’uomo, probabilmente
dalla sua espressione lasciava facilmente intuire che non aveva
compreso le sue parole.
- La tua mano - continuò allora l’uomo,
guardandola fisso. - Te l’ho scaldata io o avrebbe gelato.
Zahan spostò lo sguardo da lui alla mano e poi di nuovo su
di lui.
- Grazie - riuscì solamente a rispondere. Poi non
riuscì più a continuare.
Dovette ripetere mentalmente la loro piccola conversazione per molte
volte, prima di riuscire realmente a coglierne il significato. Quando
finalmente comprese lo fissò sbalordito. Perché
l’aveva fatto? Per passare il tempo? Il giovane
continuò a crucciarsi a lungo ma senza trovare una risposta
abbastanza verosimile da prendere in considerazione. Alla fine si
arrese.
- Perché hai… - cominciò, ma poi si
interruppe. La domanda sarebbe stata completamente inutile.
Sospirò. - Io sono Zahan.
L’uomo dopo un po’ levò lo sguardo sul
giovane volto del ragazzo, rispondendogli solo dopo un lungo silenzio.
- Silfarion.
- Che nome strano - borbottò Zahan. - Tra quanto credi che
arriveranno le persone che aspetti? - domandò dopo pochi
istanti.
- Tra poco - passavano sempre lunghi istanti prima che l’uomo
rispondesse alle sue domande.
Per un po’ Zahan tentò ancora di fare
conversazione, ma nulla sembrava risvegliare l’interesse di
Silfarion, che continuava a rispondergli sempre con lo stesso, monotono
tono di voce.