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Autore: Iurin    04/10/2010    2 recensioni
Un probabile seguito de "La fabbrica di cioccolato!" .....propongo di fare una ola a Willy Wonka!!! xD
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a tutti quelli che stanno leggendo questa piccola storia!!! Un bacio!! ;)

 

 

La fabbrica di cioccolato
** Zucchero: “It’s a wonderfull life” **


“Questo è senza dubbio l’inverno più freddo degli ultimi 50 anni. Così dicono i nostri meteorologi e stavolta non stento a crederlo, essendo io stesso con sciarpa e guanti nonostante mi trovi qui allo studio radiofonico. Tu che ne dici, Stè?”
“Beh…considerando il fatto che stamattina sono dovuto arrivare con l’autobus perché la mia macchina era totalmente ricoperta di neve, direi quasi che i meteorologi ci hanno miracolosamente azzeccato.”
“Strano vero? Eh…e adesso mentre voi ascoltatori che siete ancora in macchina pensate con rimpianto alla vostra stufa, vi trasmettiamo It’s a wonderfull life.”
Alzai il volume della radio e accesi i fari.

♪♫ Here I go out to sea again
The sunshine fills my hair
And dreams hang in the air. ♫♪


Quella canzone mi rilassava veramente,specie dopo una stressata giornata di lavoro a pensare a che cosa mi sarebbe successo quella sera. Sarebbe andato tutto ok? Sperando e pregando che non facesse allusioni ad Alex, magari ci scappava qualcosa di buono.

♪♫ Gulls in the sky and in my blue eyes
You know it feels unfair
There’s magic everywhere. ♫♪


Iniziò a nevicare.
“Bene!” dissi tra me e me.
Un sottile velo bianco mi coprì il parabrezza e allora azionai i tergicristalli. Quel giorno non aveva fatto altro che nevicare. C’era stata verso le sei una piccola pausa e io ne avevo approfittato per uscire di casa e salire i macchina per andare alla fabbrica.

♪♫ Look at me standing
Here on my own again
Up straight in the sunshine. ♫♪


Dopo qualche curva tra le buie strade illuminate dai deboli fari della mia auto finalmente intravidi il cancello della fabbrica…non mi sarei meravigliata se sopra ci fosse stata una targa con su scritto Lasciate Ogni Speranza O Voi Che Entrate.

♪♫ No need to run and hide
It’s a wonderful, wonderful life
No need to laugh and cry
It’s a wonderful, wonderful life. ♫♪


Lo so…forse ero un po’ troppo pessimista, ma che ci potevo fare? Wonka mi metteva in soggezione. Ero sicura che avrebbe sottolineato la mia completa ignoranza in materia “cioccolato” e che mi avrebbe fatto imbestialire come non mai con i suoi sorriseti finti.
Parcheggiai e spensi la radio; nel medesimo istante in cui aprii lo sportello un’ondata gelata di vento mi travolse la faccia e dovetti scendere tenendomi più stretta che mai nel cappotto. Chiusi la macchina in tutta fretta e corsi poi verso i cancelli della fabbrica: va bene che non mi andava molto di andarci, però era un riparo da quello che sembrava un vento capace di sradicare un albero…e per di più c’era pure la neve che si infilava negli occhi dando un fastidio allucinante! Il cancello per fortuna era aperto così entrai e corsi lungo tutto il vialetto che conduceva alla fabbrica e provai ad aprire una delle tre porte; ringraziando il cielo era aperta, e così entrai.
Un brivido subito mi percorse tutta la schiena, perché rispetto a fuori la temperatura era notevolmente più alta. Mi guardai intorno e prendendomi un colpo allucinante mi ritrovai Wonka alla mia destra.
“Ma lei da dove è venuto fuori?” esclamai.
“Da un posto più caldo di quello da dove è venuta fuori lei, presumo.”
“Presume bene. Non ha visto che bufera che c’è in strada?”
“Vagamente.”
Calò il silenzio…all’improvviso però Wonka disse tutto d’un fiato:
“Bene! Allora, è pronta?”
Io risposi sorridente: “Certo che sì!”
“E non ha portato niente? Neanche una macchina fotografica?” chiese scettico.
“Beh, quello di oggi è più che altro un sopralluogo…vedo il posto in cui lavora e poi penserò a qualcosa di originale per la pubblicità. Solo quando avrò qualche idea faremo le fotografie.”
“Oh, credo che di idee gliene verranno a palate.”
“Come fa ad esserne così sicuro?”
Lui sorrise in modo misterioso e mi disse:
“Mi segua, prego…c’è molto da vedere.”
“Si girò e cominciò a camminare sul lungo tappeto rosso che c’era sul pavimento, dirigendosi all’altro capo della stanza. Io lo seguii in silenzio, domandami come mai Wonka era così sicuro di sé. Quando lo raggiunsi Wonka tirò fuori dalle tasche una chiave e si accucciò per aprire una porta, che, notai solo allora, era minuscola! Sembrava quella di Alice nel paese delle meraviglie.
“Perché la porta è così piccola?” chiesi.
“Per mantenere tutto il cioccolatoso sapore all’interno, naturalmente.”
Cioccolatoso sapore? Mah…
Poi sorridendo aprì la porta, quella più grande, che in realtà era la parete, rivelando il contenuto della stanza successiva. Rimasi a bocca aperta ammirando senza parole lo spettacolo che mi si presentò davanti: un giardino, un vero e proprio giardino! Con l’erba, gli alberi…ma la cosa sorprendente era che non era un giardino normale! C’erano alcuni funghi giganti fatti indiscutibilmente di caramelle, c’erano poi dei bastoncini di zucchero giganti! E per finire c’era un enorme cascata che creava un fiume che attraversava il giardino, finendo poi in un tunnel…e la cascata, il fiume, non erano di semplice acqua…erano di cioccolato fuso! Era…era impossibile una cosa del genere! Come…come aveva fato Wonka a creare una simile meraviglia?
“è…è…” riuscii a balbettare alla fine “è stupendo. Non ho mai visto nulla del genere.”
“Oh, sì, è molto bello, non c’è che dire.” Poi mi guardò e aggiunse: “Continuiamo?”
Scendemmo per una breve discesa e ci ritrovammo nel bel mezzo del giardino.
“Naturalmente,” disse Wonka “Deve sapere che qui tutto è commestibile, anche l’erba.”
“Sul serio?”
“Ovvio!”
Mi guardai intorno, sempre ammaliata da quello spettacolo grandioso, quando ad un certo punto notai una casa di legno, piuttosto sbilenca, devo dire, e allora, mossa dalla curiosità, chiesi indicandola:
“E quella invece?”
“Quella è la casa in cui il mio erede, Charlie, vive insieme alla sua famiglia.”
Il suo erede?
“Suo figlio, intende?”
Lui mi guardò sconcertato come se avessi appena detto di aver visto un asino volare ed esclamò:
“No! Certo che no! Figuriamoci…” poi si calmò e aggiunse “non so se lei si ricorda la storia dei biglietti d’oro, avvenuta circa un anno fa.”
“Come no! I media era impazziti!”
“Ebbene, alla fine, Charlie è stato il bambino che ha vinto il premio speciale, ovvero la mia fabbrica intera! Così quando io non ci sarò più li prenderà il mio posto!”
Ah…oh beh…meglio per lui che aveva già pianificato tutto…però non potei non considerare giusta l’idea che mi ero fatta su come Wonka la pensasse dei sentimenti: se era dovuto ricorrere ad un concorso per trovare un erede allora dell’amore non gliene importava proprio niente. Riportando la mia mente a questa considerazione mi ricordai anche che Wonka sospettava che a me piacesse Alex, e così mi ricordai anche della strana raccomandazione che mi aveva fatto prima di uscire dall’ufficio. Non resistetti alla curiosità e allora gli domandai:
“Mi scusi, ma…cosa sono le endorfine?”
Lui mi guardò e sorridendo nel suo solito modo divertito rispose:
“Ogni cosa a suo tempo. Allora, vuole conoscere la famiglia di Charlie?”
Io acconsentii e così ci avviammo verso quella casetta asimmettrica. Wonka bussò alla porta e questa si spalancò mostrando un uomo sulla trentacinquina, con i capelli neri; era molto, molto magro, più o meno come George, e indossava un maglione a rombi blu scuro.
“Sì, Willy?” disse ancor prima che avesse finito di aprire la porta, poi però si accorse di me e disse sorpreso:
“Oh, salve!” e fece un piccolo sorriso.
“Lei è Julia Davis,” Mi presentò Wonka “quella dei cartelloni pubblicitari, te ne avevo parlato.”
“Ah, sì, mi ricordo. Come sta?”
Mi tese la mano e io gliela strinsi.
“è il padre di Charlie Buckett.” Fece Wonka
“Sì, lo immaginavo.” Risposi “tanto piacere anche da parte mia.”
Io e il signor Buckett finimmo di stringerci la mano e quest’ultimo disse:
“Tra poco avevamo intenzione di metterci a cena. Volete fermarvi?”
“No grazie,” fece Wonka “prima devo far finire il giro alla signorina Davis.”
“Oh, molto bene. Allora a dopo.”
“Arrivederci.” Dissi.
Il signor Buckett chiuse la porta e io e Wonka continuammo a camminare. In silenzio raggiungemmo un ponte e lo attraversammo: guardando sotto di me vidi il fiume di cioccolato che scorreva lento; chissà come sarebbe stato farci un bel tuffo dentro…
“Allora!” disse all’improvviso Wonka facendomi zompare in aria – a momenti il tuffo nel fiume lo facevo davvero –. Senza però dar segno di aver visto il mio spavento Wonka continuò imperterrito mentre mettemmo piede sull’altra sponda del fiume: “Allora, se ci avviciniamo un attimo alla cascata potrò mostrarle una cosa.”
Ci avvicinammo allora al lato destro della cascata, facendo attenzione che non ci colpisse nessuno schizzo di cioccolato.
“La cascata è molto importante: mescola il cioccolato, lo rende leggero e spumoso. A proposito: nessun’altra fabbrica al mondo usa una cascata per mescolare il cioccolato…”
“E su questo non ci piove.”
“Mi ha tolto letteralmente le parole di bocca.”
Dopodiché premette un fungo che c’era lì vicine, e quasi immediatamente si udì un rumore: due grandi braccia metalliche uscirono da dietro la cascata, deviandone il flusso, e scoprendo un’apertura! Uscì poi una specie di piattaforma, sempre di metallo, che si collegò al ponte che avevamo appena attraversato.
“Bene!” disse Wonka “Andiamo?”
Io lo seguii a bocca aperta, e passando di nuovo sul ponte, salimmo sulla piattaforma, che appena avvertì il nostro peso si mosse ritraendosi e portandoci dal luogo da cui era venuta, cioè da dietro la cascata. Arrivati a destinazione dietro di noi si chiuse un enorme portello e udii subito che la cascata di cioccolato aveva ripreso il suo normale deflusso. Noi, però, eravamo nel buio più totale.
“Dove siamo?” chiesi.
“In un piccolo disimpegno.” Mi sentii rispondere da Wonka.
All’improvviso si accesero le luci, una per volta, e potei vedere che ci trovavamo si un lungo corridoio.
“Piccolo?!” dissi, e Wonka sorrise compiaciuto.
Attraversammo il corridoio e raggiungemmo una porta rotonda, che Wonka aprì. Uscendo da lì vidi che eravamo in un altro corridoio, con tante porte rotonde alle pareti.
“E ora invece?”
“Siamo all’interno della fabbrica.” E poi aggiunse: “Venga da questa parte, prego.”
Lo seguii. Il corridoio era in discesa e Wonka camminava spedito, tanto che io dovevo quasi correre per stargli dietro, avendo lui il passo più lungo del mio.
All’improvviso, però, si fermò davanti ad una porta, e io gli finii letteralmente addosso, non avendo previsto che lui si sarebbe arrestato tanto repentinamente. Subito il colpo Wonka quasi perse l’equilibrio e dovette appoggiarsi con la spalla alla parete per non finire a terra.
“Mi scusi.” Mormorai imbarazzata.
Lui non rispose ma si tirò su e si sistemò il cappello che gli si era storto. Quando si fu ricomposto – e quando si fu allontanato per precauzione di un passo da me – , lessi la scritta che c’era sulla porta: Stanza delle Invenzioni.
“Questo,” disse Wonka “è il cuore di tutta la fabbrica, è la stanza più importante.”
La mia attenzione si ridestò e mentre Wonka apriva la porta allungai il collo per vederci dentro.
Era una stanza più buia del corridoio, e così ci misi qualche istante per mettere a fuoco: notai alla fine molti tavoli con sopra innumerevoli boccette e boccettine piene di liquidi colorati; c’era una pentola su un fuoco che ribolliva; per non parlare poi dei macchinari: in ogni angolo ce n’era uno di dimensioni notevoli e dalle forme più strane…chissà a cosa servivano…In un lato della stanza c’era poi una vasca posizionata sotto uno di quei macchinari, che a intervalli regolari gettava nella vasca una pallina colorata delle dimensioni di un uovo. Vidi in seguito che la vasca era piena d’acqua e che dentro vi nuotava un bambino che raccoglieva quelle palline. Mi avvicinai e guardai nella vasca: quello lì dentro non era un bambino! Era un uomo di dimensioni davvero molto piccole!
“Chi è lui?!” chiesi a Wonka
“E’ un Umpa Lumpa.”
“Un cosa?”
“Un Umpa Lumpa. Fa parte di una tribù che viveva in Umpalandia.”
“Esiste un posto che si chiama così?”
“Certo che ci esiste: ci sono stato quand’ero più giovane, in cerca di nuovi sapori per i miei dolci. E così per caso ho incontrato gli Umpa Lumpa. Ho scoperto poi che loro adoravano nel vero senso della parola i chicchi di cacao…gli piacevano da matti, perciò ho parlato con il loro capo e gli ho offerto di venire a lavorare qui nella fabbrica, promettendo che gli avrei pagati in chicchi di cacao…cosa che qui dentro non manca di sicuro. Loro hanno accettato senza esitazione e così adesso loro sono i miei operai…e devo anche dire che sono molto bravi…anche se a volte sono un po’ dispettosi.”
Mi domandai a cosa si stesse riferendo, ma non glielo chiesi. Fu Wonka, comunque, a parlare prima di me:
“Bene, se qui ha dato un’occhiata passiamo da un’altra parte?”
Io annuii e così uscimmo. Di seguito andammo in altre stanze, tutte molto originali: una era quella in cui venivano sgusciate le noci da dei veri scoiattoli addestrati! Un’altra era un ospedale per le marionette (e mi chiedo a cosa servissero le marionette), in un’altra ancora venivano tosate delle pecore rosa (e mi venne il sospetto che quello fosse ciò che tutti noi consideriamo zucchero filato).
Passò il tempo, anche se io non me ne accorsi, presa com’ero da tutte le meraviglie che ad ogni passo mi si presentavano davanti.
Wonka era un genio, non c’era più alcun dubbio. Come aveva potuto realizzare una fabbrica così spettacolare! Non riuscivo a spiegarmelo…aveva inventato della macchine! Era uno scienziato! Ergo era intelligente…e forse mi ero sbagliata su di lui. Poteva essere anche eccentrico nei suoi modi di fare, ma non potevo continuare a considerarlo uno stupido, specie dopo quella serata. Stavamo camminando di nuovo, finito il tour, in quello che lui definiva “un piccolo disimpegno”, e senza destare troppi sospetti mi misi ad osservarlo: le mie considerazioni sul suo abbigliamento le avevo già espresse e non mi conviene ripetermi; gli occhi viola – e mi chiesi se portava delle lenti a contatto – brillavano di una luce che non avevo visto in tante persone: la luce di una forte passione per il suo lavoro e per tutto quello che aveva. Mi ritrovai ad invidiarlo. Il portamento era fiero: schiena drittissima, spalle dritte anch’esse, la lunghezza del passo calcolata, insomma tutto perfetto! I capelli lasciamoli perdere, sembrava un taglio alla francese, piuttosto bizzarro… mentre lo guardavo, però, risaltò una cosa: il colore della sua pelle. Era pallidissimo! Bianco cadaverico! Che non stesse bene? Eppure non sembrava assolutamente… Poi però mi venne l’illuminazione e capii: da quando vivevo in quella città non l’avevo mai visto in giro, sui giornali anche quando si parlava di lui non c’era mai una foto, e anche se c’era risaliva a parecchi anni prima, quando ancora aveva i capelli corti. Non usciva mai, questo era sicuro, e quelle rare volte credetti che fossero per delle cose veramente importanti, o cose per le quali non poteva mandare qualcun’altro. Certo, come biasimarlo, in un posto come la sua fabbrica anch’io mi ci sarei rinchiusa dentro! Era certo, però, che uscire qualche volta gli avrebbe fatto più che bene.
Tra tutti questi pensieri, alla fine, mi ritrovai a camminare nel giardino commestibile. Guardai l’orologio: erano le 9:40.
“E’ passato così tanto tempo?” dissi a voce alta.
“A quanto pare…” fece Wonka “Deve andare via?”
Lo guardai e risposi:
“Beh, sì…prima però vorrei salutare la famiglia Buckett. Posso?”
“Certamente…”
E ci avviammo di nuovo verso la casetta di legno; quando arrivammo Willy fece per bussare, ma si accorse che la porta era soltanto socchiusa e allora la aprì. Quello che vidi fu un letto enorme al centro della stanza su cui erano sedute comodamente quattro persone anziane, e in mezzo a loro c’era un bambino. Vicino al letto c’era un tavolo, a cui era seduto il signor Buckett, mentre guardando verso destra vidi un piccolo angolo cottura con un lavandino, ne quale una signora stava lavando i piatti.
Sul tavolo c’era una piccola radio che nel frattempo stava annunciando il telegiornale, e tutti la stavano ascoltando.
Quando la porta venne aperta tutti si girarono verso di noi e Wonka disse:
“Come va? C’è qui la signorina Davis che deve andare via, e allora vi voleva salutare.”
Il signor Buckett si mise in piedi, la signora si asciugò le mai e il bambino e i quattro vecchietti si alzarono dal letto.
Strinsi la mano al signor Buckett che iniziò a fare le presentazioni:
“Questa è mia moglie,” disse quando mi si avvicinò la signora.
“Molto piacere.” Disse lei con un sorriso.
“Piacere.” Risposi sorridendo anch’io. Mi stava già simpatica: sembrava molto dolce, come il marito.
“Poi…” continuò il signor Buckett presentandomi i vecchietti “Loro sono George e Georgina, cioè i miei genitori, e Joe e Josephine, i genitori di mia moglie,”
Li salutai e poi il signor Buckett concluse mettendo davanti a me il bambino:
“E lui è Charlie.”
E così lui era il famoso erede di Wonka… sembrava un bambino ubbidiente, e quando parlò, con un tono gentile, non di chi sa di essere un prossimo multimilionario, mi stette simpatico anche lui:
“Lei è la signorina Davis la pubblicitaria?”
“Si, sono io.” E poi aggiunsi: “Ehi, a quanto pare mi conoscono tutti qua!”
Il signore anziano di nome George disse:
“Anche troppo. Willy ci ha fatto una testa così su di lei.”
Eh? Wonka aveva parlato così tanto di me? Ero sorpresa, non c’è che dire…non me l’aspettavo. Mi girai così verso Wonka e dissi sbigottita:
“Davvero?”
Lui fece un segno di indifferenza con la testa e disse:
“Solo…solo un pochino, tanto per far sapere agli altri chi doveva farci visita.”
George lo guardò di sottecchi con i suoi occhi azzurrissimi ma non disse nulla.
In quel preciso momento, però, la radio, che non era stata spenta, disse qualcosa che attirò l’attenzione di tutti:
“…E ora, come ultima notizia, ma non meno importante, vi comunichiamo che il maltempo nelle ultime ore è notevolmente peggiorato: violente raffiche di vento stanno letteralmente bombardando la città, e ci viene segnalato di dirvi che sarebbe molto più prudente se per stasera rimandaste le vostre uscite, per non rischiare di fare un incidente. Ripeto: non uscite di casa perché potrebbe essere molto rischioso. Lasciate perdere tutti gli affari che avete da fare al di fuori della vostra abitazione e preparatevi un bel tè caldo, perché sarà molto più sicuro aprire la porta d’ingresso soltanto domani mattina…”
Dopo quella notizia il telegiornale finì e calò un fitto silenzio: tutti si limitavano a guardarmi e sicuramente, immaginai, stavano pensando la stessa cosa che stavo pensando io: “E ora come ci torno a casa?”
Alla fine, però, il silenzio venne interrotto da Charlie, che rivolgendosi a Wonka domandò:
“Non c’era una stanza degli ospiti nella fabbrica?”
Wonka divenne più pallido di quanto già non fosse.

   
 
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