Capitolo XXI
Quello stesso giorno conobbi i
genitori di Enrico – suo padre e la
sua matrigna, ad essere precisi.
Io e lui eravamo ancora sotto la
quercia, il mio volto ancora
seminascosto sul suo petto e una sua mano tra i miei capelli; mi
sarebbe
piaciuto rimanere a lungo tra le sue braccia, se soltanto non si fosse
trattato
di lui. Ma ormai neppure questo
aveva
importanza: anzi, sembrava quasi che senza Enrico non fossi destinata a
potermi
sentire protetta, al sicuro. Questo era un bel paradosso: come potevo
non
sentirmi indifesa tra le braccia di un assassino?
Eppure era proprio così. In quel momento non sarei voluta
essere da
nessun’altra parte.
I signori D’Angelo, ad ogni
modo, ci raggiunsero una manciata di
minuti dopo. Riflettendoci col senno di poi, presumo che non volessero
sbandierare la loro presenza a quel funerale ai quattro venti,
dopotutto erano
di quelle persone che venivano precedute dalla loro fama.
Chissà cos’avrebbero
pensato tutti, se mi avessero vista circondata dagli Occhi Belli?
Fu Enrico ad avvertirmi della loro
presenza.
“Giulia…
C’è qualcuno che vorrebbe conoscerti.”
Mormorò, facendomi
sollevare lo sguardo.
Mi voltai, cercando di asciugarmi le
lacrime con scarso risultato,
e mi ritrovai a fissare un uomo sulla cinquantina d’anni
accompagnato da una
donna che ne dimostrava circa quaranta: il sorriso comprensivo e
materno che
apparve sul suo volto mi strappò l’ennesimo
singhiozzo, soprattutto quando
rammentai ciò che mi aveva raccontato Enrico e realizzai che
quella doveva
essere la seconda moglie del padre. L’espressione di
quest’ultimo era
altrettanto malinconica, anche se i suoi occhi cupi, neri, non mi
avrebbero
fatta sentire tranquilla in nessun’altra situazione: il suo
sguardo avrebbe
fatto scappare chiunque, o almeno questa fu l’impressione che
mi diede.
Grazie al Cielo, Enrico intervenne per
spezzare quel silenzio.
“Giulia, ti presento i miei
genitori. Papà, mamma,
lei è la ragazza di cui vi ho parlato.” Disse con
voce pacata,
dolce?, prima che la mia mano si
stendesse istintivamente verso di loro per stringergliela.
“Piacere di
conoscervi,” mormorai, odiando la mia voce roca.
“Sappiamo bene che non
è il momento più adatto, tesoro, ma sono
molto felice di incontrarti,” replicò lei
– il sorriso della madre adottiva di
Enrico avrebbe fatto sciogliere il cuore più gelido: era
davvero molto
affettuoso. “Mi chiamo Elisabetta, ma chiamami pure
Betta.”
Non potei impedirmi di ricambiare
debolmente quel sorriso, prima
che la voce profonda e rauca del padre di Enrico non catturasse la mia
attenzione.
“Io sono
Raffaele,” replicò, stringendomi a sua volta la
mano.
“Conoscevo tuo nonno: mi dispiace molto per quello che
è successo.”
Annuii, prendendo un profondo respiro;
ad essere sincera ero
sorpresa che l’avesse conosciuto, ma non mi sembrava il caso
di dirlo ad alta
voce. Il braccio intorno alla mia vita mi attirò leggermente
più verso di sé,
forse perché si era accorto che stavo per riniziare a
piangere, e non voleva
che mi sentissi sola.
“Papà, ci vediamo
a casa. Io resto con lei, va bene?” Disse, più
per educazione che per chiedergliene il permesso.
L’uomo infatti
annuì, mentre la madre non resistette e si
avvicinò
per abbracciarmi e darmi due baci sulle guance. “Spero che ci
rincontreremo in
un’altra occasione, cara.” Sussurrò al
mio orecchio, gentile.
“Mi farebbe
piacere,” mormorai, accennando un sorriso. Non potevo
di certo ricambiare la sua gentilezza con una risposta seccata o
irritata –
anche perché quelle le riservavo ad Enrico.
“Bene. A presto,
allora,” disse, salutandoci con la mano e
passando da un altro viale poco affollato per uscire dal camposanto. Il
padre –
Raffaele – le aveva passato un braccio intorno alle spalle e
la stringeva a sé,
incurante del caldo: forse era un’abitudine di famiglia.
All’improvviso sentii Enrico
sospirare.
“Scusami, Giulia. Hanno
insistito loro per conoscerti.” Confessò,
guardandomi.
Feci un cenno di diniego col capo, per
nulla turbata. “Figurati,
non è un problema.” Una domanda, però,
esitava sulla punta della lingua.
“Betta, lei… è
tua…?”
Gli scappò un sorriso nel
vedermi in difficoltà. “La mia matrigna.
Stai tranquilla, non è mica una parolaccia.” Mi
portò un ciuffo dietro
l’orecchio, lo sguardo assorto tutto d’un colpo.
“Mio padre l’ha sposata tre
anni dopo che è morta mia madre. È sempre stata
molto gentile con me, forse
perché non ha mai potuto avere figli… Non
è stata come la matrigna delle
favole, per fortuna.”
Scossi la testa, incapace di credere
che potesse sembrare così
indifferente a quell’argomento. “Mi è
sembrata molto dolce,” aggiunsi,
studiando la sua espressione.
Lui si limitò ad annuire.
“Sì, lo è. Le voglio bene come se fosse
mia madre.” Sussurrò.
Vederlo così impensierito,
con lo sguardo perso verso un passato
che non conoscevo e in cui aveva sofferto la perdita più
grande che un bambino
potesse avere, ebbe uno strano effetto su di me. Dovetti reprimere
l’impulso di
abbracciarlo e accarezzargli i capelli in un tentativo di confortarlo,
perché
sarebbe stato fuori luogo visto tutto ciò che gli avevo
detto. Sì, mi
dispiaceva immensamente per lui, ma questo non avrebbe mai potuto
cambiare ciò
che pensavo.
Preferii anche trascurare il fatto di
essermi persa ad osservare
la sua lingua che gli percorreva le labbra per umettarle – il
calore era
troppo, mi stava dando alla testa. Era l’unica spiegazione
sensata che potevo
darmi.
Sospirai, chiudendo gli occhi un
attimo e premendo le dita sulle
tempie. Avevo un terribile mal di testa, la gola secca e gli occhi mi
dolevano
terribilmente a furia di piangere: non potevo continuare
così, stavo per
sentirmi male sul serio. Perciò, gettando uno sguardo verso
i miei genitori –
circondati da una folla di persone accorse per far loro le condoglianze
–
sussurrai: “Dovrei andare da loro, Enrico. Ti
dispiace?”
Per tutta risposta scosse la testa,
non resistendo all’impulso di
sfiorarmi ancora i capelli in un gesto che voleva essere confortante.
“Certo
che no, Giulia. Vuoi che ti accompagni?”
“Sì, certo.
Grazie.” Improvvisamente, l’idea che avrebbe anche
potuto andarsene senza quell’ulteriore favore mi
sembrò estranea, quasi inconcepibile.
Stavo iniziando a contare
troppo su di lui, forse?
No, maledizione, non potevo. Non volevo rischiare di provare qualcosa per
lui, per uno che aveva una
simile vita! Che bisogno c’era di complicarsi
l’esistenza per un misero
sentimento di tenerezza? Alessandra
aveva ragione, da quel punto di vista: Enrico aveva cambiato
atteggiamento
all’improvviso, cogliendomi impreparata, e in tutta quella
situazione non avevo
potuto fare a meno di abbassare la guardia.
Basta, quello non era il momento
adatto per quel genere di
ragionamenti – anche se, iniziavo a rendermi conto, sembrava
che nessun momento
fosse giusto per riflettere su quelle decisioni. Accidenti, odiavo non
riuscire
ad avere il controllo sulla mia vita. Ma in quella circostanza potevo
accettare
il calore del braccio di Enrico stretto intorno ai miei fianchi, mentre
mi
faceva strada verso i miei genitori come se mi avesse voluto proteggere dalla calca di gente che mi
avrebbe circondata non appena li avessi raggiunti. Prima che mi
lasciasse tra
le braccia di mia madre, però, Enrico si chinò
leggermente verso di me, in modo
da sussurrarmi qualcosa all’orecchio.
“Vengo più tardi
a casa di tua nonna, Giulia.” Mormorò,
dolcemente. “Non mi va di lasciarti sola.”
Non ebbi
l’opportunità di ribattere perché lui
si era già
dileguato tra la folla, e a me non rimase che sospirare e sforzarmi di
non
pensarci. Cosa che, comunque, si stava rivelando ogni giorno
più difficile.
***
Da qualche giorno, ormai, avevo
ripreso ad uscire con Enrico. Si
può dire che fosse inevitabile. A mia discolpa, comunque,
posso dire solo che
fu mia madre a spronarmi per farmi accettare i suoi inviti –
gentili ma sempre
più insistenti – dato che lei voleva che almeno io
riuscissi a distrarmi in
qualche modo. E perché non approfittare della
disponibiltà di quel dolce
ragazzo, che non mi aveva lasciata
sola un istante durante tutto quel periodo?
Spiegarle l’intera
situazione avrebbe significato farla arrabbiare
e preoccupare inutilmente, senza contare il fatto che avesse ben altri
– e più
importanti – problemi per la testa. Rivelarle tutta la
verità poteva essere
solo una cattiveria da parte mia, e perciò tacqui anche per
quella volta.
Iniziavo a perdere il conto di tutte le bugie che le stavo raccontanto,
proprio
io che mi ero sempre vantata di avere un ottimo rapporto con mia madre
e di non
averle mai nascosto nulla. Presumo che ci sarà un momento
anche per i rimorsi,
ad ogni modo, ma non è questo.
Per spezzare una lancia a favore di
Enrico, comunque, bisogna dire
che nei giorni successivi al funerale fu l’immagine stessa
del fidanzato
perfetto o, ad ogni modo, del migliore amico. Per carità,
non che lo
considerassi il mio ragazzo, ma se non altro avrei potuto iniziare a
vederlo
come un amico: era già un notevole passo avanti per la
situazione, se si voleva
dimenticare il tentativo che aveva fatto all’inizio di
baciarmi – ma già, in
quel momento ero coperta solo da un misero asciugamano e mi trovavo
prigioniera
a casa sua. Le cose cambiano, a quanto pare.
Non vedevo la mia migliore amica da
più di una settimana, ormai,
presa com’ero dallo studio per la patente e dalle uscite con
Enrico – sembrava
che, adesso che mi aveva visto più
‘disponibile’ ad assecondarlo, non volesse
lasciarsi sfuggire un singolo attimo, facendolo approfittare di ogni
mio
momento libero. Possibile che non avesse nessun tipo di impegno, invece
che
uscire o vedersi con me? Io comunque non osavo fargli una simile
domanda, per
timore che mi rivelasse qualcosa riguardante la sua – come
definirla? – attività
criminale, di cui, per il
momento, fingevo di ignorare l’esistenza. Non avrei potuto
fare altro,
comunque. Solo rassegnarmi all’idea.
Anche quella sera Enrico era venuto a
prendermi a casa di mia
nonna, visto che era lì che ultimamente stavo trascorrendo
le mie giornate.
Dopo essere entrato cinque minuti e aver scambiato qualche convenevolo
con i
miei genitori – mentre io, in un angolo, pregavo che ci
dessero un taglio –
finalmente uscimmo e salimmo in macchina. Non mi importava dove mi
avrebbe
portato, comunque, l’importante era respirare un
po’ d’aria pulita fuori casa.
“Mio Dio, odio quando fanno
così.” Mi scappò sottovoce, alludendo
al comportamento dei miei genitori di qualche minuto prima.
Enrico mi sentì, abbassando
il volume della radio. “Di chi parli?”
Domandò, gentilmente. In quel periodo sembrava
l’immagine stessa della pazienza
e della galanteria.
“Dei miei
genitori…” Mormorai, decidendo che tanto non aveva
senso
mettere il muso e tacere. “Dio, si comportano come se tu
fossi il mio ragazzo!
È assurdo, eppure gliel’ho detto in tutti i modi
che tra me e te non c’è niente
del genere…”
Parlai più per sfogarmi che
altro, quindi in realtà non mi
aspettavo una sua risposta. E invece questa giunse, come avrei dovuto
prevedere
– dopotutto, stavo pur sempre parlando con la causa dei miei
problemi.
“Ammetterai però
che, visti dall’esterno, potremmo sembrare una
coppia normale di fidanzati…” Ebbe il coraggio di
dire, con un tono volutamente
malizioso.
“Non credo
proprio,” sbottai incrociando le braccia, cercando di
avere l’ultima parola almeno in una semplice diatriba
verbale. “Da dove
potrebbero dedurre una cosa simile?”
“Beh,”
esordì, con un’espressione fintamente pensierosa.
“Usciamo
spesso insieme, io e te da soli… Di sicuro questo
è già di per sé un segnale.”
Aggrottai le sopracciglia,
guardandolo. “Un segnale?”
Lui annuì, lanciandomi uno
sguardo mezzo divertito e mezzo serio.
“Un segnale per gli altri ragazzi, il cui messaggio
è state lontani da lei.”
Sussurrò piano, studiando la mia reazione.
Per tutta risposta io mi infuriai di
più. “Quindi è esclusivamente
colpa tua se le persone fraintendono! Mio Dio, ti comporti da fidanzato
geloso
e possessivo quando non ne hai nessun diritto! Che bisogno
c’è di fare così?
Non ti basta che io sia qui, invece che da qualche altra
parte?” Proruppi,
allargando la cintura di sicurezza per potermi voltare a guardarlo.
Eravamo fermi ad uno stop, dunque
potè voltarsi anche lui verso di
me. “Che ne è stato della tregua,
Giulia?” Chiese, ignorando il mio scatto.
“Finisce adesso,”
sibilai, voltandomi di nuovo verso la strada.
Lo sentii sospirare, mentre ripartiva.
“Ho l’impressione che ad
ogni passo in avanti che faccio con te ne corrispondano quattro
indietro…”
Mormorò, a voce abbastanza alta perché potessi
sentirlo.
Strinsi gli occhi, cercando di
distrarmi con il paesaggio che
scorreva fuori dal finestrino. “Sì, beh, non certo
per colpa mia. Io ho messo
le cose in chiaro sin da subito.”
Dopo quella mia ultima affermazione
scese un gelido silenzio,
rotto soltanto dal brusio del motore e da quello della radio che, a
basso
volume, continuava a trasmettere stupide canzoni d’amore
senza minimamente
prestare attenzione al nostro stato d’animo. Purtroppo non
potevo farmi
riportare a casa, non dopo neanche dieci minuti: i miei genitori si
sarebbero
insospettiti, e avrebbero iniziato a fare domande, e a
intromettersi… Ed era
una cosa che volevo continuare ad evitare. D’altra parte,
però, trascorrere
tutta la serata con quel clima non era una bella prospettiva
– oh, se solo
avessi potuto chiamare Alessandra e chiederle di unirsi a noi insieme a
Riccardo… Ma ci sarebbe stato il rischio di scatenare una
rissa, visti i loro
precedenti. Presi comunque il cellulare dalla borsa e le mandai un
messaggio,
giusto per sentire un po’ come andava e cosa stava facendo:
speravo di non
interrompere il suo divertimento, se anche lei era uscita con il suo
ragazzo.
Avevo appena inviato il messaggio
quando la voce di Enrico mi fece
sobbalzare, giungendo improvvisa.
“Con chi
messaggi?” Indagò, con un tono che non mi piacque
per
niente.
Infatti accese la mia
acidità. “Non vedo come questo dovrebbe
interessarti,” sbottai, infilando il telefono nella tasca dei
pantaloni.
Se l’avessi guardato avrei
visto le sue mani stringersi intorno al
volante, come se non avesse gradito la mia risposta. “Invece
mi interessa,
visto che adesso sei con me e non
capisco
il motivo di isolarti con il tuo cellulare.”
Ringhiò quasi: sembrava davvero
irritato. “Allora, chi è? Quel tizio…
Matteo?”
Matteo? Inarcai un sopracciglio,
sorpresa di sentire quel nome
dopo tanto tempo che non lo vedevo né sentivo
più. Alessandra mi aveva
aggiornato da poco che il nostro vecchio amico aveva iniziato a
lavorare
insieme al fratello alla Favola, e che continuava ad essere single
anche se non
disdegnava le avventure. Non che la cosa mi importasse, comunque.
Però ammetto che fu
divertente, in quel momento, vedere la
reazione di Enrico.
“Matteo è ancora
offeso e arrabbiato con me, perciò non lo sento
più.” Dissi, senza una particolare inflessione
nella voce; ripeto, la cosa non
mi faceva né caldo né freddo.
Enrico sembrò sollevato,
malgrado tutto, di quella nostra piccola conversazione,
così decise di battere il ferro finchè era caldo.
“Perché dovrebbe essere
arrabbiato con te? Sono io che l’ho picchiato,”
replicò, con un ghigho ironico.
Decisi di lasciar perdere quel suo
atteggiamento e continuai. “Ci
aveva provato con me, io ho ferito il suo orgoglio rifiutandolo e lui
non mi ha
più rivolto la parola.” Sintetizzai, cercando di
concludere il discorso alla
svelta. Non mi piaceva affrontare simili argomenti con Enrico, certe
cose
devono rimanere nell’ambito segreti
tra migliori
amiche.
Ma a quanto pareva Enrico non era
della stessa idea. “Evidentemente
non era davvero interessato, altrimenti non avrebbe di certo rinunciato
così
presto,” decretò, con leggero disprezzo.
“Buon per lui, comunque.”
Malgrado non provassi alcun tipo di
interesse nei confronti di
Matteo, mi sembrava poco carino rinunciare a difenderlo almeno un
po’.
Soprattutto se, così facendo, avrei irritato Enrico: erano
quelle piccole
soddisfazioni personali che ogni tanto chiunque si deve prendere.
“In realtà ha
provato a riparlarmi, ma io non ho voluto. Poi le cose sono peggiorate
e non
abbiamo più avuto modo di chiarirci.” Precisai,
scrollando le spalle.
“Sono peggiorate?”
Ripetè, spingendomi a dire di più.
Sospirai, rassegnata. “Credo
mi ritenesse responsabile del suo… pestaggio.
Forse è convinto che sia
stata io a chiederti di picchiarlo, visto quello che era
successo… Mio Dio, che
infantile.”
“Ma cosa ti ha spinto a non
rivolgergli più la parola?” Indagò
ancora, curioso. Evidentemente non mi avrebbe lasciato in pace fino a
quando non
gli avessi spiegato l’intera faccenda per filo e per segno.
“Mi ha baciata
all’improvviso! Contento?” Esclamai scocciata,
sperando che la finisse con le domande.
Dopo quell’affermazione
Enrico mi lanciò un’occhiata di traverso,
tremendamente serio, poi si voltò nuovamente e
fissò lo sguardo sulla strada, cambiando
marcia e accelerando. Non parlò, e non sapevo come
interpretare questo suo nuovo
silenzio – insomma, gli aveva dato fastidio sapere del bacio
di Matteo? Ma cosa
pretendeva, era stato lui a volerlo sapere ad ogni costo! Cosa potevo
farci io?
Però ammetto che quella
reazione mi stava preoccupando. Lo osservai
in silenzio per un po’, cercando nella postura del suo corpo
qualche segno che
mi facesse intuire che c’era qualcosa che non andava, e
infatti ne trovai nelle
sue mani irrigidite sul volante e nella linea dritta e severa della
mascella:
sembrava che si stesse sforzando di non guardarmi e, soprattutto, di
non
parlarmi.
Alla fine non ce la feci
più. “Cosa c’è che non va,
Enrico?”
Non si degnò di
rispondermi, fingendosi impegnato in una manovra
di parcheggio. Eravamo arrivati in spiaggia, una poco frequentata ma
non per
questo meno bella, e, com’era intuibile, non c’era
nessun altro oltre a noi. Sospirò,
volgendo lo sguardo dovunque tranne che dalla mia parte, e con le
braccia
distese sopra il volante come se non avesse voluto staccarsi da esso.
“Allora?”
Incalzai, leggermente infastidita.
Finalmente si voltò verso
di me, lasciandomi per un istante senza
fiato alla vista del suo sguardo liquido e penetrante come mai mi era
capitato
di vederne. Sembravano gli occhi di un malato o di un pazzo, eppure
potevo
vedere con chiarezza la lucidità nel loro abisso quasi che
fosse un lucicchio
in quel mare di verde.
Malgrado tutto non gli avevo mai visto
quello sguardo.
E anche la sua voce, quando
parlò, aveva una sfumatura sconosciuta
ed estranea a quella che mi ero abituata a sentire e riconoscere.
“Mi stavo solo
chiedendo…” Iniziò, in un vibrante
sussurro. “Ti
saresti comportata così anche se fossi stato io, a
baciarti?”
Subito scosse la testa, passandosi una
mano tra i folti capelli
neri; lo osservai sbuffare innervosito e poi scendere dalla macchina,
sbattendo
la portiera dietro di sé e raggiungendo da solo la spiaggia.
Ero senza parole.
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AA - Angolo Autrice:
Dunque... Da dove posso iniziare a chiedervi perdono??
Mio Dio, che ritardo stratosferico! Erano secoli, secoli che non aggiornavo! =O Quanto mi era mancato Enrico, mannaggia ç__ç Beh, adesso che ho ripreso le fila del racconto cercherò di non perderle più e di mantenere un ritmo più normale... Voglio comunque mettere le mani avanti e specificare che da questo momento sarò un pò impegnata con l'università - un pò molto! - e quindi proverò a fare del mio meglio. Spero che non siano solo vane promesse di una povera scrittrice ç__ç
Non mi tratterrò a lungo, scappo prima che iniziate a lanciare i pomodori xD Voglio solo sprecare un attimo per ringraziare le 190 anime pie che hanno aggiunto la mia storia alle seguite, le 119 che l'hanno inserita tra le preferite e anche le 21 che l'hanno messa tra le ricordate! Grazie mille ragazze, malgrado la mia terribile lentezza siete rimaste insieme a me ç__ç Sono commossa :')
Inoltre un abbraccio a prettyvitto, Eky_87, Alebluerose91, Ali in Wonderland, SenzaFiato, savy85, irene862 e nicoletta93 per avere recensito lo scorso capitolo ^^
Ah, un avviso importante: ho deciso di tradurre il titolo della storia e lasciarlo in italiano, dietro consiglio della mia geme. Perciò da ora in avanti questa storia si intitolerà "L'uomo Sbagliato", ma manterrà il precedente titolo come sottotitolo così nessuno si troverà impreparato :)
E con questo vi saluto! Un bacio e un abbraccio, a presto - mi auguro!
Vostra,
GiulyRedRose