Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Niglia    12/10/2010    10 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo XXI















 

 

 

 

 

 

 

 

Quello stesso giorno conobbi i genitori di Enrico – suo padre e la sua matrigna, ad essere precisi.

Io e lui eravamo ancora sotto la quercia, il mio volto ancora seminascosto sul suo petto e una sua mano tra i miei capelli; mi sarebbe piaciuto rimanere a lungo tra le sue braccia, se soltanto non si fosse trattato di lui. Ma ormai neppure questo aveva importanza: anzi, sembrava quasi che senza Enrico non fossi destinata a potermi sentire protetta, al sicuro. Questo era un bel paradosso: come potevo non sentirmi indifesa tra le braccia di un assassino? Eppure era proprio così. In quel momento non sarei voluta essere da nessun’altra parte.

I signori D’Angelo, ad ogni modo, ci raggiunsero una manciata di minuti dopo. Riflettendoci col senno di poi, presumo che non volessero sbandierare la loro presenza a quel funerale ai quattro venti, dopotutto erano di quelle persone che venivano precedute dalla loro fama. Chissà cos’avrebbero pensato tutti, se mi avessero vista circondata dagli Occhi Belli?

Fu Enrico ad avvertirmi della loro presenza.

“Giulia… C’è qualcuno che vorrebbe conoscerti.” Mormorò, facendomi sollevare lo sguardo.

Mi voltai, cercando di asciugarmi le lacrime con scarso risultato, e mi ritrovai a fissare un uomo sulla cinquantina d’anni accompagnato da una donna che ne dimostrava circa quaranta: il sorriso comprensivo e materno che apparve sul suo volto mi strappò l’ennesimo singhiozzo, soprattutto quando rammentai ciò che mi aveva raccontato Enrico e realizzai che quella doveva essere la seconda moglie del padre. L’espressione di quest’ultimo era altrettanto malinconica, anche se i suoi occhi cupi, neri, non mi avrebbero fatta sentire tranquilla in nessun’altra situazione: il suo sguardo avrebbe fatto scappare chiunque, o almeno questa fu l’impressione che mi diede.

Grazie al Cielo, Enrico intervenne per spezzare quel silenzio.

“Giulia, ti presento i miei genitori. Papà, mamma, lei è la ragazza di cui vi ho parlato.” Disse con voce pacata, dolce?, prima che la mia mano si stendesse istintivamente verso di loro per stringergliela.

“Piacere di conoscervi,” mormorai, odiando la mia voce roca.

“Sappiamo bene che non è il momento più adatto, tesoro, ma sono molto felice di incontrarti,” replicò lei – il sorriso della madre adottiva di Enrico avrebbe fatto sciogliere il cuore più gelido: era davvero molto affettuoso. “Mi chiamo Elisabetta, ma chiamami pure Betta.”

Non potei impedirmi di ricambiare debolmente quel sorriso, prima che la voce profonda e rauca del padre di Enrico non catturasse la mia attenzione.

“Io sono Raffaele,” replicò, stringendomi a sua volta la mano. “Conoscevo tuo nonno: mi dispiace molto per quello che è successo.”

Annuii, prendendo un profondo respiro; ad essere sincera ero sorpresa che l’avesse conosciuto, ma non mi sembrava il caso di dirlo ad alta voce. Il braccio intorno alla mia vita mi attirò leggermente più verso di sé, forse perché si era accorto che stavo per riniziare a piangere, e non voleva che mi sentissi sola.

“Papà, ci vediamo a casa. Io resto con lei, va bene?” Disse, più per educazione che per chiedergliene il permesso.

L’uomo infatti annuì, mentre la madre non resistette e si avvicinò per abbracciarmi e darmi due baci sulle guance. “Spero che ci rincontreremo in un’altra occasione, cara.” Sussurrò al mio orecchio, gentile.

“Mi farebbe piacere,” mormorai, accennando un sorriso. Non potevo di certo ricambiare la sua gentilezza con una risposta seccata o irritata – anche perché quelle le riservavo ad Enrico.

“Bene. A presto, allora,” disse, salutandoci con la mano e passando da un altro viale poco affollato per uscire dal camposanto. Il padre – Raffaele – le aveva passato un braccio intorno alle spalle e la stringeva a sé, incurante del caldo: forse era un’abitudine di famiglia.

All’improvviso sentii Enrico sospirare.

“Scusami, Giulia. Hanno insistito loro per conoscerti.” Confessò, guardandomi.

Feci un cenno di diniego col capo, per nulla turbata. “Figurati, non è un problema.” Una domanda, però, esitava sulla punta della lingua. “Betta, lei… è tua…?”

Gli scappò un sorriso nel vedermi in difficoltà. “La mia matrigna. Stai tranquilla, non è mica una parolaccia.” Mi portò un ciuffo dietro l’orecchio, lo sguardo assorto tutto d’un colpo. “Mio padre l’ha sposata tre anni dopo che è morta mia madre. È sempre stata molto gentile con me, forse perché non ha mai potuto avere figli… Non è stata come la matrigna delle favole, per fortuna.”

Scossi la testa, incapace di credere che potesse sembrare così indifferente a quell’argomento. “Mi è sembrata molto dolce,” aggiunsi, studiando la sua espressione.

Lui si limitò ad annuire. “Sì, lo è. Le voglio bene come se fosse mia madre.” Sussurrò.

Vederlo così impensierito, con lo sguardo perso verso un passato che non conoscevo e in cui aveva sofferto la perdita più grande che un bambino potesse avere, ebbe uno strano effetto su di me. Dovetti reprimere l’impulso di abbracciarlo e accarezzargli i capelli in un tentativo di confortarlo, perché sarebbe stato fuori luogo visto tutto ciò che gli avevo detto. Sì, mi dispiaceva immensamente per lui, ma questo non avrebbe mai potuto cambiare ciò che pensavo.

Preferii anche trascurare il fatto di essermi persa ad osservare la sua lingua che gli percorreva le labbra per umettarle – il calore era troppo, mi stava dando alla testa. Era l’unica spiegazione sensata che potevo darmi.

Sospirai, chiudendo gli occhi un attimo e premendo le dita sulle tempie. Avevo un terribile mal di testa, la gola secca e gli occhi mi dolevano terribilmente a furia di piangere: non potevo continuare così, stavo per sentirmi male sul serio. Perciò, gettando uno sguardo verso i miei genitori – circondati da una folla di persone accorse per far loro le condoglianze – sussurrai: “Dovrei andare da loro, Enrico. Ti dispiace?”

Per tutta risposta scosse la testa, non resistendo all’impulso di sfiorarmi ancora i capelli in un gesto che voleva essere confortante. “Certo che no, Giulia. Vuoi che ti accompagni?”

“Sì, certo. Grazie.” Improvvisamente, l’idea che avrebbe anche potuto andarsene senza quell’ulteriore favore mi sembrò estranea, quasi inconcepibile. Stavo iniziando a contare troppo su di lui, forse?

No, maledizione, non potevo. Non volevo rischiare di provare qualcosa per lui, per uno che aveva una simile vita! Che bisogno c’era di complicarsi l’esistenza per un misero sentimento di tenerezza? Alessandra aveva ragione, da quel punto di vista: Enrico aveva cambiato atteggiamento all’improvviso, cogliendomi impreparata, e in tutta quella situazione non avevo potuto fare a meno di abbassare la guardia.

Basta, quello non era il momento adatto per quel genere di ragionamenti – anche se, iniziavo a rendermi conto, sembrava che nessun momento fosse giusto per riflettere su quelle decisioni. Accidenti, odiavo non riuscire ad avere il controllo sulla mia vita. Ma in quella circostanza potevo accettare il calore del braccio di Enrico stretto intorno ai miei fianchi, mentre mi faceva strada verso i miei genitori come se mi avesse voluto proteggere dalla calca di gente che mi avrebbe circondata non appena li avessi raggiunti. Prima che mi lasciasse tra le braccia di mia madre, però, Enrico si chinò leggermente verso di me, in modo da sussurrarmi qualcosa all’orecchio.

“Vengo più tardi a casa di tua nonna, Giulia.” Mormorò, dolcemente. “Non mi va di lasciarti sola.”

Non ebbi l’opportunità di ribattere perché lui si era già dileguato tra la folla, e a me non rimase che sospirare e sforzarmi di non pensarci. Cosa che, comunque, si stava rivelando ogni giorno più difficile.

 

 

***

 

 

Da qualche giorno, ormai, avevo ripreso ad uscire con Enrico. Si può dire che fosse inevitabile. A mia discolpa, comunque, posso dire solo che fu mia madre a spronarmi per farmi accettare i suoi inviti – gentili ma sempre più insistenti – dato che lei voleva che almeno io riuscissi a distrarmi in qualche modo. E perché non approfittare della disponibiltà di quel dolce ragazzo, che non mi aveva lasciata sola un istante durante tutto quel periodo?

Spiegarle l’intera situazione avrebbe significato farla arrabbiare e preoccupare inutilmente, senza contare il fatto che avesse ben altri – e più importanti – problemi per la testa. Rivelarle tutta la verità poteva essere solo una cattiveria da parte mia, e perciò tacqui anche per quella volta. Iniziavo a perdere il conto di tutte le bugie che le stavo raccontanto, proprio io che mi ero sempre vantata di avere un ottimo rapporto con mia madre e di non averle mai nascosto nulla. Presumo che ci sarà un momento anche per i rimorsi, ad ogni modo, ma non è questo.

Per spezzare una lancia a favore di Enrico, comunque, bisogna dire che nei giorni successivi al funerale fu l’immagine stessa del fidanzato perfetto o, ad ogni modo, del migliore amico. Per carità, non che lo considerassi il mio ragazzo, ma se non altro avrei potuto iniziare a vederlo come un amico: era già un notevole passo avanti per la situazione, se si voleva dimenticare il tentativo che aveva fatto all’inizio di baciarmi – ma già, in quel momento ero coperta solo da un misero asciugamano e mi trovavo prigioniera a casa sua. Le cose cambiano, a quanto pare.

Non vedevo la mia migliore amica da più di una settimana, ormai, presa com’ero dallo studio per la patente e dalle uscite con Enrico – sembrava che, adesso che mi aveva visto più ‘disponibile’ ad assecondarlo, non volesse lasciarsi sfuggire un singolo attimo, facendolo approfittare di ogni mio momento libero. Possibile che non avesse nessun tipo di impegno, invece che uscire o vedersi con me? Io comunque non osavo fargli una simile domanda, per timore che mi rivelasse qualcosa riguardante la sua – come definirla? – attività criminale, di cui, per il momento, fingevo di ignorare l’esistenza. Non avrei potuto fare altro, comunque. Solo rassegnarmi all’idea.

Anche quella sera Enrico era venuto a prendermi a casa di mia nonna, visto che era lì che ultimamente stavo trascorrendo le mie giornate. Dopo essere entrato cinque minuti e aver scambiato qualche convenevolo con i miei genitori – mentre io, in un angolo, pregavo che ci dessero un taglio – finalmente uscimmo e salimmo in macchina. Non mi importava dove mi avrebbe portato, comunque, l’importante era respirare un po’ d’aria pulita fuori casa.

“Mio Dio, odio quando fanno così.” Mi scappò sottovoce, alludendo al comportamento dei miei genitori di qualche minuto prima.

Enrico mi sentì, abbassando il volume della radio. “Di chi parli?” Domandò, gentilmente. In quel periodo sembrava l’immagine stessa della pazienza e della galanteria.

“Dei miei genitori…” Mormorai, decidendo che tanto non aveva senso mettere il muso e tacere. “Dio, si comportano come se tu fossi il mio ragazzo! È assurdo, eppure gliel’ho detto in tutti i modi che tra me e te non c’è niente del genere…”

Parlai più per sfogarmi che altro, quindi in realtà non mi aspettavo una sua risposta. E invece questa giunse, come avrei dovuto prevedere – dopotutto, stavo pur sempre parlando con la causa dei miei problemi.

“Ammetterai però che, visti dall’esterno, potremmo sembrare una coppia normale di fidanzati…” Ebbe il coraggio di dire, con un tono volutamente malizioso.

“Non credo proprio,” sbottai incrociando le braccia, cercando di avere l’ultima parola almeno in una semplice diatriba verbale. “Da dove potrebbero dedurre una cosa simile?”

“Beh,” esordì, con un’espressione fintamente pensierosa. “Usciamo spesso insieme, io e te da soli… Di sicuro questo è già di per sé un segnale.”

Aggrottai le sopracciglia, guardandolo. “Un segnale?”

Lui annuì, lanciandomi uno sguardo mezzo divertito e mezzo serio. “Un segnale per gli altri ragazzi, il cui messaggio è state lontani da lei.” Sussurrò piano, studiando la mia reazione.

Per tutta risposta io mi infuriai di più. “Quindi è esclusivamente colpa tua se le persone fraintendono! Mio Dio, ti comporti da fidanzato geloso e possessivo quando non ne hai nessun diritto! Che bisogno c’è di fare così? Non ti basta che io sia qui, invece che da qualche altra parte?” Proruppi, allargando la cintura di sicurezza per potermi voltare a guardarlo.

Eravamo fermi ad uno stop, dunque potè voltarsi anche lui verso di me. “Che ne è stato della tregua, Giulia?” Chiese, ignorando il mio scatto.

“Finisce adesso,” sibilai, voltandomi di nuovo verso la strada.

Lo sentii sospirare, mentre ripartiva. “Ho l’impressione che ad ogni passo in avanti che faccio con te ne corrispondano quattro indietro…” Mormorò, a voce abbastanza alta perché potessi sentirlo.

Strinsi gli occhi, cercando di distrarmi con il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. “Sì, beh, non certo per colpa mia. Io ho messo le cose in chiaro sin da subito.”

Dopo quella mia ultima affermazione scese un gelido silenzio, rotto soltanto dal brusio del motore e da quello della radio che, a basso volume, continuava a trasmettere stupide canzoni d’amore senza minimamente prestare attenzione al nostro stato d’animo. Purtroppo non potevo farmi riportare a casa, non dopo neanche dieci minuti: i miei genitori si sarebbero insospettiti, e avrebbero iniziato a fare domande, e a intromettersi… Ed era una cosa che volevo continuare ad evitare. D’altra parte, però, trascorrere tutta la serata con quel clima non era una bella prospettiva – oh, se solo avessi potuto chiamare Alessandra e chiederle di unirsi a noi insieme a Riccardo… Ma ci sarebbe stato il rischio di scatenare una rissa, visti i loro precedenti. Presi comunque il cellulare dalla borsa e le mandai un messaggio, giusto per sentire un po’ come andava e cosa stava facendo: speravo di non interrompere il suo divertimento, se anche lei era uscita con il suo ragazzo.

Avevo appena inviato il messaggio quando la voce di Enrico mi fece sobbalzare, giungendo improvvisa.

“Con chi messaggi?” Indagò, con un tono che non mi piacque per niente.

Infatti accese la mia acidità. “Non vedo come questo dovrebbe interessarti,” sbottai, infilando il telefono nella tasca dei pantaloni.

Se l’avessi guardato avrei visto le sue mani stringersi intorno al volante, come se non avesse gradito la mia risposta. “Invece mi interessa, visto che adesso sei con me e non capisco il motivo di isolarti con il tuo cellulare.” Ringhiò quasi: sembrava davvero irritato. “Allora, chi è? Quel tizio… Matteo?”

Matteo? Inarcai un sopracciglio, sorpresa di sentire quel nome dopo tanto tempo che non lo vedevo né sentivo più. Alessandra mi aveva aggiornato da poco che il nostro vecchio amico aveva iniziato a lavorare insieme al fratello alla Favola, e che continuava ad essere single anche se non disdegnava le avventure. Non che la cosa mi importasse, comunque.

Però ammetto che fu divertente, in quel momento, vedere la reazione di Enrico.

“Matteo è ancora offeso e arrabbiato con me, perciò non lo sento più.” Dissi, senza una particolare inflessione nella voce; ripeto, la cosa non mi faceva né caldo né freddo.

Enrico sembrò sollevato, malgrado tutto, di quella nostra piccola conversazione, così decise di battere il ferro finchè era caldo. “Perché dovrebbe essere arrabbiato con te? Sono io che l’ho picchiato,” replicò, con un ghigho ironico.

Decisi di lasciar perdere quel suo atteggiamento e continuai. “Ci aveva provato con me, io ho ferito il suo orgoglio rifiutandolo e lui non mi ha più rivolto la parola.” Sintetizzai, cercando di concludere il discorso alla svelta. Non mi piaceva affrontare simili argomenti con Enrico, certe cose devono rimanere nell’ambito segreti tra migliori amiche.

Ma a quanto pareva Enrico non era della stessa idea. “Evidentemente non era davvero interessato, altrimenti non avrebbe di certo rinunciato così presto,” decretò, con leggero disprezzo. “Buon per lui, comunque.”

Malgrado non provassi alcun tipo di interesse nei confronti di Matteo, mi sembrava poco carino rinunciare a difenderlo almeno un po’. Soprattutto se, così facendo, avrei irritato Enrico: erano quelle piccole soddisfazioni personali che ogni tanto chiunque si deve prendere. “In realtà ha provato a riparlarmi, ma io non ho voluto. Poi le cose sono peggiorate e non abbiamo più avuto modo di chiarirci.” Precisai, scrollando le spalle.

“Sono peggiorate?” Ripetè, spingendomi a dire di più.

Sospirai, rassegnata. “Credo mi ritenesse responsabile del suo… pestaggio. Forse è convinto che sia stata io a chiederti di picchiarlo, visto quello che era successo… Mio Dio, che infantile.”

“Ma cosa ti ha spinto a non rivolgergli più la parola?” Indagò ancora, curioso. Evidentemente non mi avrebbe lasciato in pace fino a quando non gli avessi spiegato l’intera faccenda per filo e per segno.

“Mi ha baciata all’improvviso! Contento?” Esclamai scocciata, sperando che la finisse con le domande.

Dopo quell’affermazione Enrico mi lanciò un’occhiata di traverso, tremendamente serio, poi si voltò nuovamente e fissò lo sguardo sulla strada, cambiando marcia e accelerando. Non parlò, e non sapevo come interpretare questo suo nuovo silenzio – insomma, gli aveva dato fastidio sapere del bacio di Matteo? Ma cosa pretendeva, era stato lui a volerlo sapere ad ogni costo! Cosa potevo farci io?

Però ammetto che quella reazione mi stava preoccupando. Lo osservai in silenzio per un po’, cercando nella postura del suo corpo qualche segno che mi facesse intuire che c’era qualcosa che non andava, e infatti ne trovai nelle sue mani irrigidite sul volante e nella linea dritta e severa della mascella: sembrava che si stesse sforzando di non guardarmi e, soprattutto, di non parlarmi.

Alla fine non ce la feci più. “Cosa c’è che non va, Enrico?”

Non si degnò di rispondermi, fingendosi impegnato in una manovra di parcheggio. Eravamo arrivati in spiaggia, una poco frequentata ma non per questo meno bella, e, com’era intuibile, non c’era nessun altro oltre a noi. Sospirò, volgendo lo sguardo dovunque tranne che dalla mia parte, e con le braccia distese sopra il volante come se non avesse voluto staccarsi da esso.

“Allora?” Incalzai, leggermente infastidita.

Finalmente si voltò verso di me, lasciandomi per un istante senza fiato alla vista del suo sguardo liquido e penetrante come mai mi era capitato di vederne. Sembravano gli occhi di un malato o di un pazzo, eppure potevo vedere con chiarezza la lucidità nel loro abisso quasi che fosse un lucicchio in quel mare di verde.

Malgrado tutto non gli avevo mai visto quello sguardo.

E anche la sua voce, quando parlò, aveva una sfumatura sconosciuta ed estranea a quella che mi ero abituata a sentire e riconoscere.

“Mi stavo solo chiedendo…” Iniziò, in un vibrante sussurro. “Ti saresti comportata così anche se fossi stato io, a baciarti?”

Subito scosse la testa, passandosi una mano tra i folti capelli neri; lo osservai sbuffare innervosito e poi scendere dalla macchina, sbattendo la portiera dietro di sé e raggiungendo da solo la spiaggia.

Ero senza parole.






















______________________________________________________________________________________________________
AA - Angolo Autrice:
Dunque... Da dove posso iniziare a chiedervi perdono??
Mio Dio, che ritardo stratosferico! Erano secoli, secoli che non aggiornavo! =O Quanto mi era mancato Enrico, mannaggia ç__ç Beh, adesso che ho ripreso le fila del racconto cercherò di non perderle più e di mantenere un ritmo più normale... Voglio comunque mettere le mani avanti e specificare che da questo momento sarò un pò impegnata con l'università - un pò molto! - e quindi proverò a fare del mio meglio. Spero che non siano solo vane promesse di una povera scrittrice ç__ç
Non mi tratterrò a lungo, scappo prima che iniziate a lanciare i pomodori xD Voglio solo sprecare un attimo per ringraziare le 190 anime pie che hanno aggiunto la mia storia alle seguite, le 119 che l'hanno inserita tra le preferite e anche le 21 che l'hanno messa tra le ricordate! Grazie mille ragazze, malgrado la mia terribile lentezza siete rimaste insieme a me ç__ç Sono commossa :')
Inoltre un abbraccio a prettyvitto, Eky_87, Alebluerose91, Ali in Wonderland, SenzaFiato, savy85, irene862 e nicoletta93 per avere recensito lo scorso capitolo ^^

Ah, un avviso importante: ho deciso di tradurre il titolo della storia e lasciarlo in italiano, dietro consiglio della mia geme. Perciò da ora in avanti questa storia si intitolerà "L'uomo Sbagliato", ma manterrà il precedente titolo come sottotitolo così nessuno si troverà impreparato :)
E con questo vi saluto! Un bacio e un abbraccio, a presto - mi auguro!
Vostra,
GiulyRedRose

   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Niglia