Anime & Manga > Lupin III
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Autore: Tomoe Gozen onnabugeisha    13/10/2010    1 recensioni
Goemon è custode di un segreto nascosto a tutti, anche ai suoi amici che però desta l'interesse di qualcuno disposto a tutto pur di metterci le mani sopra insieme alla vendetta. Stavolta l'amicizia e la fiducia che lega i componenti della banda Lupin saranno ora più che mai essenziali per far fronte ad un incubo uscito dal passato di ognuno di loro. (Questa in effetti è la mia vecchia storia corretta però con html)
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Miyuki, Mina e Raffaele Nei pressi di Teshio, diciassette anni dopo.      
La giovane donna continuava a correre senza dar segno di volersi fermare, con la stessa determinazione di chi sa che se smetterà di combattere la sua vita sarà distrutta. Sempre correndo, diede un occhiata alle sue spalle e il suo giovane viso di donna trentanovenne si storse in un espressione disperata: non accennavano ad abbandonare la caccia. Per quanto ancora sarebbe riuscita a correre? Non gli importava se prendevano lei, ma se prendevano sua figlia! Era tutto accaduto all’improvviso! Si stavano entrambe allenando con la spada e come al solito dopo gli allenamenti si stavano affrontando in un piccolo duello; niente di serio, giusto per saggiare l’abilità di Mina, la quale questa volta era riuscita a mettere veramente in difficoltà Miyuki ,sua madre e suo secondo maestro, almeno finchè quest’ultima ,con una spazzata e un colpo veloce dato dal basso verso l’ alto, non riuscì a disarmarla. La spada della figlia volò in aria, fece qualche volteggio per poi andarsi a conficcare nel terreno ,non con qualche piccola vibrazione, prima di tornare immobile. Mina si era avvicinata sospirando alla spada, l’aveva estratta e quando si stava per voltare verso la madre entrambe avevano sentito un rumore secco,come un bastoncino che si spezzava poi il più completo e assoluto silenzio. Anche gli uccelli si erano zittiti e questo aveva maggiormente messo in allarme le donne; se gli uccelli si zittivano significa che c’era un pericolo. Si erano guardate in faccia e sempre senza dire una parola si erano messe a correre a perdifiato nel momento stesso in cui si sentì un “Ferme!!” insieme a due spari, le cui pallottole sfiorarono pericolosamente la testa di Mina, la quale per lo spavento aveva lanciato un urlo e si era messa automaticamente una mano in testa. Miyuki fulmineamente l’aveva afferrata ad un braccio spingendola davanti a sé urlandole imperiosamente “Corri!!” mentre la mano destra tirava fuori la spada. Aveva smesso di correre girandosi di scatto verso i suoi nemici, i quali a loro volta avevano cessato di correre e cominciato a sparare: con la velocità acquisita grazie ai tanti anni di allenamento la spada di Miyuki si muoveva intercettando i proiettili e mandandoli a cadere per terra. “Il maestro Shiden mi ha fatto fare esercizi simili un infinità di volte!” aveva pensato tra sé quando aveva intercettato l’ultimo proiettile ma poi accadde qualcosa di assolutamente imprevisto: non riusciva a più a staccare le mani dalla spada perché era tutta impiastricciata di una sostanza appiccicosa gialla che evidentemente era comparsa quando aveva infranto l’ultimo proiettile. Aveva abbassato la guardia e ora quei tizi le avrebbero fatto il servizio di barba e capelli. Con una voglia matta di prendersi a sberle per la sua cretinaggine aveva voltato loro le spalle e ricominciato a correre come una pazza cercando nel frattempo di liberarsi le mani, cosa che riuscì a fare dopo non pochi sforzi. Avrebbe mai rivisto i suoi bambini, i suoi piccoli angeli? Oddio, piccoli non tanto. Avevano entrambi diciassette anni perché ,grazie tante, erano gemelli ma per una madre i propri figli anche quando sono ormai grandi rimangono sempre “piccoli”. Chissà se avrebbero mai mantenuto la promessa qualora le fosse accaduto qualcosa. Chissà …..    
I suoi pensieri di madre furono interrotti da uno improvviso spavento e quindi da una brutta quanto mai sgradita sorpresa: era arrivata sull’orlo del burrone senza accorgersene e aveva rischiato di caderci dentro! Sollevando istintivamente le braccia e muovendole all’indietro riuscì a non perdere l’equilibrio e a mettersi al sicuro. Dimenticandosi del fatto che la stavano seguendo a causa dello spavento la donna non continuò a correre anzi si fece aria alla faccia con la mano mentre l’altra se l’appoggiava sul petto. Soltanto quando sentì chiudersi ,con la violenza di una morsa, una mano particolarmente robusta sul braccio sinistro si ricordò di loro e sentì lo stomacò chiudersi dalla paura assieme ad un indicibile senso di nausea. Come aveva potuto essere così stupida? Cercò di difendersi ma adesso il suo aggressore le aveva bloccato tutte e due la braccia dietro la schiena, impedendole ogni tentativo di difesa mentre un altro le confiscò la spada. “Adesso che abbiamo finito di giocare passiamo alle cose serie. Dov’è la pergamena?” le chiese a bruciapelo l’uomo che teneva l’arma di Miyuki ma quest’ultima ,lungi dal voler rispondere, si limitò a dire con un sorriso strafottente “Provate ad indovinare”, risposta che le fu causa di un violentissimo schiaffo sul viso, come si poteva notare dall’arrossamento della guancia e dalla sottile linea di sangue che le colava dalla bocca macchiandole il viso, di una carnagione simile a quella delle bambole di porcellana con cui aveva giocato quando era bambina. Non si lamentò per lo schiaffo, anzi si comportò come se non l’avesse neanche sentito, cosa che fece innervosire i suoi aggressori. “Non vuoi parlare? Vedremo se poi non cambierai idea”; a queste parole la donna lo guardò in modo interrogativo e leggermente preoccupato. L’uomo si limitò a ridere insieme agli altri poi la trascinarono via raggiungendo la Multipla nera inchiostro che era stata parcheggiata quattro km più in là, la caricarono sopra e partirono. Miyuki notò subito che non c’era Mina quindi le venne naturale pensare che non l’avessero catturata. Ne fu felice, era riuscita almeno a salvare la figlia. Dopo un viaggio di due ore buone arrivarono davanti a un palazzo particolarmente sontuoso: chiunque abitasse lì, non gli mancavano certo i soldi. Entrarono dentro e la donna fece appena in tempo a dare una rapida occhiata in giro e a notare il lusso che traspariva dappertutto che si trovò davanti ad un uomo vestito con un abito molto elegante di colore nero, accompagnato da quello che era inconfondibilmente un samurai dello stile Kuroi a giudicare dal kimono di colore nero pece. Aveva i capelli neri e talmente lunghi che gli arrivavano fino al sedere, gli occhi freddi e dello stesso colore del ghiaccio. Ma fu il ghigno che aveva stampato in faccia a preoccuparla: sembrava quella di una belva che pregusta il sapore della preda imminente. Nel restituirgli lo sguardo le sembrò di averlo già visto da qualche parte ma non si ricordava dove, qualcosa di molto tempo fa. “I miei omaggi, signorina Miyuki Ishikawa, io sono Kanemoti. Spero che collabori e che ci dica quello che vogliamo sapere, altrimenti ci costringerà a compiere azioni molto spiacevoli, non so se sono stato chiaro” le parlò l’uomo elegantemente vestito “È stato chiarissimo e lo sarò anch’io: arrangiatevi” gli rispose con calma. L’uomo si lasciò sfuggire un sorriso maligno di fronte a quella risposta. “Ve la siete proprio voluta. Hikijo!”, il samurai vicino a lui rispose prontamente “Si, signore”, afferrò brutalmente la donna per un braccio e la portò in quello che sembrava uno scantinato: c’era un tavolo al centro della stanza con delle manette vicino ai bordi per le mani e i piedi, alle pareti stavano appese quelle che inconfondibilmente erano strumenti di tortura, coltelli e roba simile. Su un secondo tavolo c’erano barattoli pieni di quelli che sembravano insetti e rettili: scorpioni, vermi e serpenti velenosi. Attaccate alla parete ,a sinistra del tavolo, c’erano due manette mentre in un altro angolo ,precisamente dietro il tavolo, c’era una cinepresa appoggiata su un cavalletto. L’aria puzzava di chiuso e dappertutto si era accumulata parecchia polvere e c’erano ragnatele, segno che quel posto non veniva visitato da molto tempo.  L’uomo interrompendo i suoi pensieri la convinse ad  avvicinarsi al muro, vale a dire la prese di peso e ,ignorando i suoi tentativi di prenderlo a calci e di mordergli la mano, la bloccò al muro imprigionandole mani e piedi, precludendole definitivamente qualsiasi possibilità di difesa. Ignorando le maledizioni lanciatigli contro dalla prigioniera si tolse la spada, che finì appoggiata in un angolo. Si avvicinò alla cinepresa spostandola in modo che non si potesse perdere neanche un particolare di quello che sarebbe accaduto poi si voltò verso di lei e senza mezzi termini le disse “Non voglio perdere tempo, quindi ti chiedo subito: sei ancora decisa a non parlare o hai cambiato idea?” “Non ho cambiato idea” le rispose tranquilla lei “Benissimo. Peggio per te” rimbeccò tranquillo Hikijo con un sorriso strano, come se avesse sperato che Miyuki le rispondesse così. Proprio in quel momento si sentì bussare alla porta e Hikijo andò ad aprire e sulla soglia comparve l’elegantone di prima. Questi entrò dentro e vedendo Miyuki bloccata al tavolo si lasciò sfuggire un piccolo sorriso maligno “Non è male la pollastrella, varrebbe la pena farsi con lei un giro ma neanche quella che abbiamo catturato è male”. A quelle parole Miyuki si sentì come se le avessero buttato un secchio di acqua ghiacciata addosso, che voleva dire? Chi era “lei”? Di cosa stava parlando? Di chi stava parlando? Di sua figlia? Erano riuscite dunque a catturarla? Ma no, era impossibile, non l’aveva vista da nessuna parte quindi doveva essere tutto un bluff. Ma certo! Uno sciocco bluff per spaventarla. “Che volete dire?” chiese comunque con una certa nota di spavento nella voce ma ricevette in risposta solo un risatina maligna da parte dei suoi carcerieri, i quali non gli risposero. “La faccio portare qui prima che i miei uomini si concedano eccessiva libertà con lei” riprese il riccone e se ne andò, intanto Hikijo accese la telecamera . Dopo quello che a Miyuki parve un eternità sentì nuovamente dei passi che si avvicinavano sempre più alla porta ma questa volta non erano di una sola persona ma due: uno di questi ,a giudicare dai mugolii e dai suoni, era una femmina. Quando vide che la maniglia della porta si stava abbassando per un attimo pregò che con non ci fosse sua Mina; chiunque altro,chiunque sarebbe andato bene, ma non lei, non sua figlia! Insieme ad uno sconosciuto entrò ,imbavagliata, una ragazzina di diciassette anni, la quale indossava un kimono dello stesso colore di Miyuki (parte superiore bianca, parte bassa grigia) e aveva lunghi capelli rosso fiamma ,come la madre, che però le cadevano sulla schiena chiusi in una lunga treccia. Gli occhi erano grigio ferro, i quali sembravano per effetto delle lacrime sbiaditi inoltre perdeva sangue dal naso e dai diversi tagli che aveva sul viso. Riconoscendo in quella ragazza sua figlia Miyuki si sentì come se il mondo le fosse crollato addosso, non riuscì a spiccicare neanche una parola in quanto la sorpresa le aveva seccato la gola, in compenso gli occhi le si riempirono di lacrime. Da parte sua la figlia la guardava inequivocabilmente con aria triste e non disse nulla. Passarono circa dieci minuti a fissarsi finchè Hikijo non ritenne opportuno interrompere il silenzio, “Non mi piace in genere interrompere le riunioni di famiglia ma avrei un po’ fretta, se non vi dispiace parliamo di cose più serie” disse con tono beffardo e nel dire ciò trascinò con una certa brutalità Mina verso la madre. Una volta che l’ebbe legata saldamente alle braccia, le tolse il bavaglio. Prese dal muro una pistola e dopo averla caricata, la puntò alla nuca di Mina, la quale ,sentendo la fredda canna dietro la testa si mise a tremare  mentre altre lacrime le colarono lungo il viso “Se non mi dici quello che voglio sapere sai già che cosa accadrà, quindi deciditi” disse in tono secco con una leggerissima nota di un qualcosa non proprio chiaro; da come aveva parlato sembrava quasi che sperasse che Miyuki nonostante la minaccia continuasse a tenere la bocca chiusa e dall’occhiata di Mina capì che anche la figlia avesse avuto la stessa sensazione. Quell’uomo voleva a tutti i costi ucciderle a prescindere che parlassero o meno. Se il segreto non fosse stato così importante e il desiderio di ucciderle così evidente, avrebbe pure potuto pensare seriamente all’idea di parlare ma non poteva, anche a costo della vita sua e di sua figlia. Il segreto era più importante di loro due. “Mi dispiace, Mina. Non era il futuro che volevo per te” pensò amaramente guardando la figlia con aria sia triste che decisa: non poteva farlo. A qualunque costo. La figlia quando capì il significato di quello sguardo dapprima la guardò spaventata e come se fosse impazzita ma dopo che chiuse gli occhi per riflettere fece impercettibilmente cenno di si con la testa mentre le si poteva vedere negli occhi una nuova luce: determinazione e coraggio mentre uno strano sorriso incominciava a comparirle sulle labbra. “Credo che mia madre abbia parlato più che abbastanza da quando è arrivata qui perciò adesso parlo io: vai al diavolo”; di fronte a quella risposta Hikijo invece di arrabbiarsi sorrise trionfante “Era proprio quello che speravo di sentire” disse mentre il dito premeva il grilletto: la testa sembrò quasi esploderle mentre uno schizzo di sangue le fuoriuscì dal cranio con la stessa violenza con cui le uscì dalla bocca, macchiando il pavimento e parte del muro. Con gli occhi completamente inespressivi, Mina si accasciò al suolo, senza più sentire le urla della donna che ,davanti a lei, adesso urlava disperata ma quest’ultima non fece in tempo a dire qualcosa poichè sentì una seconda detonazione e poi una fitta allo stomaco, avvertendo una forte sensazione di nausea. “Goemon, questo è per mio fratello” disse Hikijo guardando la telecamera. Quel nome le fece ritornare in mente molti ricordi legati al fratello. Erano tanti anni che non si vedevano, né più si spedivano lettere ormai e non sapeva neanche dell’esistenza di Raffaele e Mina, suoi nipoti. D’altro canto lei non avrebbe mai più visto suo figlio come lui non avrebbe mai più rivisto Mina e lei! Al solo pensiero le si velarono gli occhi ma ricacciò indietro le lacrime, doveva essere forte! Quanto avrebbe voluto che ci fosse stato suo fratello lì, l’avrebbe protetta mettendo al tappeto quel buzzurro! Era sempre stato il migliore tra tutti gli allievi della scuola Kuuki ed era quindi molto invidiato; non c’era nessuno ,né tra le femmine né tra i maschi, che potesse anche solo minimamente batterlo e tutto per una sola ragione: amava ciò che faceva. Allenarsi con la spada, sentire il sibilo prodotto dalla lama quando veniva sferrata con tutta forza, imparare a controllare quello stile così difficile, che pure gli dava tante soddisfazioni, come per esempio saltare in alto alla pari degli uccelli. Voleva farlo diventare suo quello stile, farlo diventare parte di se come la spada che gli era stata regalata come premio per la sua devozione e impegno dal maestro Shiden. Ma se da un lato questa devozione l’aveva fatto diventare il beniamino del maestro dall’altro l’aveva fatto diventare l’oggetto di odio di tutti, soprattutto di Jinkuro. Quest’ultimo era più bravo di Miyuki stessa e anzi era il migliore della scuola dopo Goemon ma l’unica cosa che gli impediva di arrivare alla perfezione era che non ci metteva passione e in mancanza di meglio detestava il suo rivale, il quale  si offriva sempre di aiutarlo a migliorare ma Jinkuro per orgoglio lo mandava puntualmente al diavolo. Chissà se era ancora il più forte, chissà cosa stava facendo in quel momento e chissà gli altri compagni e il maestro che fine avevano fatto! Non l’avrebbe mai saputo come probabilmente nessuno avrebbe mai saputo che fine avessero fatto loro due, ma ne valeva la pena se serviva a proteggere il segreto, il Grande Segreto. Come l’avrebbe presa suo fratello quando avrebbe visto quel filmato? Che domande, male ,ovviamente! Si sentì in dovere di dire qualcosa, qualche parola che potesse consolare bene o male il fratello di fronte ad una cosa così orrenda; quando aprì la bocca si aspettava quasi di dire qualcosa di profondo invece riuscì a pronunciare un unico “Goemon, ti voglio bene” con le ultime forze che le restarono prima che finalmente la sua anima abbandonasse il suo corpo. “E uno!” disse Hikijo con soddisfazione mentre ,spegnendo la cinepresa, guardava i due cadaveri. La vendetta ,la sua vendetta, era ufficialmente iniziata. “Bene, caro Hikijo vedo che la tua vendetta è iniziata bene” esclamò il ricco signore accendendosi un grosso sigaro mentre guardava il suo protetto bagnare di benzina i due cadaveri “Si, è iniziata molto bene. Adesso bisogna spedire il filmato” rispose pacato questi accendendo un fiammifero e buttandolo sui cadaveri, che in un attimo presero fuoco.  
(Casa Ishikawa) “Chissà che fine avranno fatto quelle due matte. Io comincio ad avere fame, accidenti!” sbraitò il ragazzino albino dai lunghi capelli rasta che ,seduto in cucina, stava ormai da un ora buona a fissare l’orologio contando i minuti, sperando ad ogni secondo di sentire la porta aprirsi e vedere sulla soglia sua madre e sua sorella “Mamma, Mina! Muovetevi a tornare che io ho fame, accidenti!” urlò ancora stavolta accompagnato dallo stomaco, che forse si era sentito in dovere di confermare le parole del suo giovane proprietario. Quelle due erano uscite alle 16.30 per allenarsi come al solito e non erano ancora tornate e lui quella volta non aveva voluto seguirle: non aveva voglia di allenarsi con la spada preferendo eseguire a casa esercizi per rinforzare maggiormente le gambe e braccia, che erano già abbastanza sviluppate per un ragazzo della sua età, come conveniva ai ragazzi dello stile Tuti. Ma che diavolo era successo? Perché non tornavano? Se fosse accaduto qualcosa lo avrebbero avvisato, no? Probabilmente avevano semplicemente voluto prolungare l’allenamento. “Una cosa è sicura ,commentò improvvisamente Raffaele alzandosi dalla sedia su cui si era precedentemente seduto e dirigendosi con aria decisa verso i fornelli, quando tornano farò loro un bel discorsetto e poi mangeranno. Io non aspetto più” e dicendo questo accese il gas, prese un uovo insieme a un pacchetto di wurstel e cominciò a friggerli, il suo piatto preferito. Poi prese una pentola piena d’acqua e la mise a bollire, andando poi a prendere una confezione di riso e tutto l’occorrente per fare il riso saltato, il piatto preferito di sua madre e sua sorella. Poiché l’uovo e l’acqua ci avrebbero messo un po’ decise per ingannare il tempo di spostarsi in salotto per guardare la TV, accese il video e si sedette sul divano; sullo schermo apparve il mezzo busto di un uomo che dopo aver pronunciato il suo obsoleto saluto con un immancabile sorriso untuoso ,che tante volte aveva fatto nascere in Raffaele la voglia di prenderlo a calci, disse ,presentando un immagine comparsa affianco a lui in alto alla sua sinistra, nel quale Raffaele dapprima non riuscì a capire che cosa fosse l’oggetto o meglio fossero le due cose inquadrate al centro dalla telecamera, “Un omicidio duplice ed efferato avvenuto nei pressi di Teshio”; a quelle parole Raffaele si sentì come se qualcuno l’avesse colpito con una padella in faccia. Era il luogo in cui sua sorella e sua madre si erano andate ad allenare! Rimase lì seduto come un ebete a fissare lo schermo senza più preoccuparsi della padella che stava cominciando a riempire di fumo la cucina. “Non è possibile, no, non ci credo” balbettò Raffaele mordendosi a sangue la mani cercando con difficoltà di trattenere le lacrime che gli avevano riempito prepotentemente gli occhi quando aveva riconosciuto i cadaveri semi-carbonizzati dei suoi familiari: ecco spiegato il loro ritardo e pensare che lui venti minuti fa non aveva fatto altro che imprecare a loro indirizzo! Si sentì improvvisamente in colpa per questo ma non c’era tempo: doveva immediatamente abbandonare la casa ,anzi doveva abbandonare quella stessa notte il Giappone per andare dall’unico in grado di aiutarlo: suo zio. Lui certamente non si sarebbe rifiutato di aiutarlo. Era samurai anche lui, no? Tra le lettere che aveva spedito a sua madre in una sicuramente aveva scritto dove viveva, certo non aveva scritto l’indirizzo ma sarebbe bastato magari chiedere come estrema ratio aiuto alla polizia e lo avrebbe trovato in un battibaleno. Nel bel mezzo delle sue riflessioni gli arrivò la puzza di bruciato alle nari e solo allora capì che quella che avrebbe dovuto essere la sua “deliziosa cena” era ormai cotta e pronta per essere non mangiata ma buttata nell’ immondizia. Sperando di poter salvare ancora il salvabile con uno scatto chiuse la televisione poi corse dritto sparato in cucina, chiuse fornello e gas poi afferrò la padella e cercò di grattare via almeno i wurstel ma anche quelli avevano fatto la stessa fine dell’uovo. “Che serata di merda” pensò Raffaele mentre osservava il cibo finire nell’immondizia. Cercando di rimanere calmo il più possibile nonostante lo pervadesse una grande tristezza, si diresse a passo veloce in camera sua, prese dall’armadio un borsone abbastanza grande per fare da valigia e cominciò velocemente a riempirla di tutti suoi averi alla rinfusa, tanto in quella casa non ci sarebbe tornato tanto presto. Dopo averci sistemato tutti i suoi indumenti, gli oggetti che sentimentalmente avevano valore per lui e anche oggetti che potevano servirgli nel compito da svolgere: un rampino e degli oggetti che sembravano stelle di ferro, andò in camera di sua sorella e seguendo il consiglio che in quel momento gli dettava il cervello ,per quanto gli sembrasse strano, prese una camicia bianca insieme ad un tailleur nero. Poi diede un occhiata ,chiaramente con il dovuto rispetto, nei cassetti alla ricerca di qualcosa che potesse in caso di bisogno essergli utile e finì con il trovare quella che sembrava essere una parrucca bionda, ben fatta e probabilmente era stata usata dalla sorella nelle feste in maschera; se la sistemò in testa e, vedendo che gli stava bene e che era anche molto realistica decise di portarsela con sé, forse lo avrebbe aiutato. Andò in camera da letto della madre, aprì il secondo cassetto dell’armadio trovando: un scatolina contenente i soldi americani che la madre si era sempre conservata da quando si era fatto quel viaggio in America con i suoi genitori, quando aveva sette anni. Avendoci trascorso un mese e mezzo lì, aveva anche imparato bene la lingua, tant’è vero che l’aveva insegnata anche ai suoi figli, nel caso si fosse presentata una particolare situazione, che era proprio quella che Raffaele adesso stava vivendo. C’era poi la busta in cui c’erano conservate tutte le lettere e le prese insieme alla scatola con dentro quello che la madre e sua sorella avevano protetto a costo della vita: era un cofanetto blu chiaro ritraente su tutti i lati immagini di angeli trascinati dolcemente dal vento. Lo prese con delicatezza e stava per sistemarlo nella valigia quando un improvviso dubbio gli si affacciò al cervello: e se Goemon si fosse rifiutato di accoglierlo, se non gli avesse creduto, che cosa avrebbe potuto dirgli per convincerlo? Non poteva dirgli unicamente che lui fosse suo nipote per farsi credere, giusto? Cosa avrebbe potuto dirgli per convincerlo? Niente, niente di niente in quanto la mamma non gli aveva rivelato qualcosa di utile che potesse aiutarlo in una simile situazione. “Ma allora che senso ha andare da lui?” si chiese sedendosi sul letto e finendo come in una specie di trance. Non seppe neppure lui stesso dire per quanto tempo era rimasto seduto sul letto a coprirsi la faccia con le mani però era sicuro che fosse stato quel rumore che si sentiva su per le scale a metterlo in allarme: bisbigli e passi di gente ,molta gente, che stava cercando di non farsi sentire. A quel punto non aveva scelta, doveva comunque partire. Come un automa si alzò dal letto, infilò il cofanetto nel borsone mettendoselo poi a tracolla e si diresse verso l’ingresso cercando di muoversi con passo di velluto, si sistemò proprio vicino alla porta con una mano sull’interruttore e con l’altra sulla maniglia vicino a cui c’erano appese le chiavi di casa; così sistemato cominciò ad aspettare che i suoi sgraditi visitatori si facessero vivi. Non dovette aspettare a lungo: dall’altra parte della porta qualcuno prima bussò, pazientò un poco per poi sbottare in questa minaccia “Ohè ragazzino, sappiamo che sei lì dentro come sappiamo che sei solo, consegnaci la pergamena e non ti faremo del male” “Entrate voi, se ci riuscite. Io non vi apro.” non appena smise di pronunciare queste parole la porta fu scossa da un numero imprecisato di spallate, che si fecero sempre più violente finchè Raffaele approfittando dell’ intervallo di tempo tra un colpo e l’altro chiuse di scatto la luce e quando fu assolutamente sicuro che in quel momento tutti i suoi aggressori si stessero scagliando insieme contro la porta, l’aprì di scatto, con il risultato che un nutrito gruppo di sconosciuti armati fino ai denti entrò nella casa ruzzolando. Approfittando del vantaggio uscì fuori e li chiuse dentro, poi scese velocemente le scale dirigendosi in cantina, in cui c’era sistemato il suo motorino. Lo accese, si infilò il casco e partì a razzo verso il più vicino aeroporto, in cui si fece rapidamente dare un biglietto per raggiungere la cosiddetta Città dei Grattacieli. La donna dei biglietti dopo avergli lanciato un occhiata perplessa ,probabilmente a causa dei suoi indumenti, gli disse che era stato fortunato poiché c’era rimasto un solo posto, proprio vicino al finestrino. Nel raggiungere il suo posto ebbe modo di notare che tutti i passeggeri lo stavano fissando stupefatti e sorrise tra sé, era abituato agli sguardi stravaganti di coloro che lo circondavano e sinceramente non poteva dare loro torto: indossava un kimono color terra, di cui aveva sempre indossato solo il pantalone, preferendo allacciarsi la parte superiore dell’uniforme attorno alla vita, lasciando il torso nudo e quindi visibile un corpo ben scolpito. Una cosa normale nelle sua scuola visto che lo facevano tutti, anche il maestro. Aveva una spada appesa alla schiena, un boomerang di ferro perfettamente funzionante appeso al collo,  aveva dei muscoli eccessivamente sviluppati e tutto questo, unito al colore e alla acconciatura dei suoi capelli (bianchi,lunghi fino alle spalle, rasta e in più tenuti fermi da una bandana rossa) e i suoi lineamenti duri come una roccia che gli conferivano sempre un espressione severa, anche quando non era di cattivo umore era fin troppo chiaro perché diventasse un personaggio abbastanza interessante e curioso agli altri. Cercando di comportarsi normalmente si andò a sedere al suo posto, vicino ad una vecchia signora che leggeva un depliant, la quale ,sentendo che qualcuno si era avvicinato a lei, sollevò lo sguardo dal depliant dapprima con un garbato sorriso, ma la sua espressione cordiale si squagliò quasi subito di fronte all’apparizione di quel colosso che non era altri che Raffaele. La vecchia rimase imbambolata per un attimo a fissarlo ma poi con uno scrollone continuò a leggere quel che aveva in mano, senza più preoccuparsi di lui. Raffaele una volta sedutosi e sistemato il borsone davanti ai suoi piedi si diede un occhiata in giro come se volesse assicurarsi che nessuno lo stesse ancora fissando e notò che solo la coppia proprio seduta dietro lo stava continuando ad osservare, con evidente interesse: uno era un uomo vestito con un abito da sera, asciutto e sbarbato mentre l’altro ,altrettanto magro, indossava un kimono nero inchiostro “Un samurai dello stile Kuroi,probabilmente” pensò il giovane e c’era tra l’altro qualcosa che gli copriva la schiena e terminava sotto il sedere, a mo di cuscino. Dopo averlo osservato bene e benché non ne fosse completamente sicuro, Raffaele arrivò alla conclusione che quella cosa che penzolava dietro la schiena non fossero altro che i suoi stessi capelli, i quali erano così lunghi e neri da poter tranquillamente fare da cuscino, e questo spiegava su che cosa si era seduto l’uomo. Senza voler indagare oltre Raffaele si girò e cominciò ad aspettare che l’aereo partisse. Quando finalmente sentì l’aereo staccarsi da terra (ore 10.00) si sentì veramente al sicuro: una parte della missione l’aveva compiuta e adesso doveva soltanto riposare poiché l’aereo avrebbe impiegato diverse ore per arrivare a destinazione; quando sarebbe venuto il momento si sarebbe anche preoccupato del resto. Senza pensare più a niente si appoggiò sul poggiatesta e dopo una ventina di minuti che l’aereo era partito si poteva vedere Raffaele dormire tranquillamente sebbene avesse il viso luccicante di lacrime. “Addio Giappone, addio”.

  
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