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Autore: Elos    14/10/2010    10 recensioni
Luca sapeva che Annalisa - l'adorabile, infiorata, morbida e dorata signora Annalisa - aveva fatto a sua figlia un certo discorso sulle rose che sbocciano solo un paio di settimane prima. Le aveva detto che era un bocciolo. Un bozzolo. Che da lei sarebbe uscita una farfalla, una bellissima, radiosa, raggiante farfalla.
Il termine radiosa non aveva nulla a che vedere con Andrea: Andrea non irradiava un bel niente - di certo non irradiava luce. Qualche volta faceva piovere musica. Parecchie volte faceva sgocciolare sarcasmo. [...]
Andrea non era un bozzolo, Andrea non era un bocciolo. Andrea era fiorita anni prima, ma quel che ne era uscito fuori era stato uno stelo viola di belladonna e asfodelo.

Andrea non riesce a sfuggire a sua madre, Luca non riesce a sfuggire ad Andrea. Sullo sfondo delle prove di un saggio di fine anno, una storia sui mille modi e più per guardarsi crescere.
Prima Classificata al concorso [Originali] Ragazze al pianoforte indetto da Harriet.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. scorre nella famiglia
Amanda Palmer



Luca ripassò per l'ennesima volta di fronte al piccolo specchio unto, lisciando nervosamente con le dita la camicia verde:
- Come sto? -
Suo fratello sospirò esasperato, buttando la testa all'indietro e schiacciando la fronte contro lo stipite del camerino mentre lo guardava:
- Come le prime cinquecento volte. -
Dovevano parlare a voce altissima per sentirsi nel caos delle quinte, con il sottofondo rumoroso di tutti quelli che gridavano, si chiamavano, cercavano qualcuno o qualcosa dando di matto cinque minuti prima dell'inizio dello spettacolo, ma a Luca non dispiaceva. Era una cosa che lo rendeva euforico, eccitato, l'animazione, l'agitazione, era qualcosa di vitale.
Dal camerino accanto sgusciò fuori Flavia: vestita, truccata e pettinata, con una tuba cortissima appoggiata sulle ventitré e un vestito di quello che pareva pizzo nero. Luca vide suo fratello aguzzare lo sguardo e fissarle un qualche punto appena sotto l'orlo della gonna e, sghignazzando, gli diede un leggero colpo di gomito:
- Lascia stare, l'hanno già presa. -
Damiano lo guardò malissimo, prima di bofonchiare qualcosa che suonava tanto come un e chi te l'ha chiesto, ma l'attimo dopo Flavia li superava e andava incontro a qualcuno che si stava facendo largo a fatica attraverso i camerini. Luca pensò per un attimo - con una punta di panico a rimestargli lo stomaco - che potesse essere A-Muso-Duro, ma poi si accorso che era troppo basso, troppo minuto e, soprattutto, troppo rosa.
- Andrea! - Cinguettò Flavia. - Tesoro, ma come... - Si interruppe, tutto ad un tratto, sgranò gli occhi e fissò Andrea come se non l'avesse mai vista prima.
Luca sapeva perché. Luca sapeva benissimo perché. Andrea aveva indosso il fazzoletto rosa a fiori, l'abito della patata cruda, il vestito alla Annalisa: a guardarlo bene, rifletté con una punta d'interesse clinico, non era semplicemente orrendo quanto lo era sembrato la prima volta, era ancora peggio. Flavia lo fissò sbattendo le palpebre per un lungo istante e poi si schiarì la voce, a disagio:
- E'... uh... E'... Andrea, è molto... molto... -
- E' orribile. - Intervenne Luca schiettamente. Flavia cercò di incenerirlo con lo sguardo, ma Andrea si limitò ad assentire.
- Sono in ritardo. - Disse poi, quieta. - Mi dispiace. I miei genitori hanno tardato nel cercare parcheggio. -
E questo voleva dire, pensò Luca, che Annalisa era lì. Annalisa che era venuta per vedere Chopin, suonato dalla sua bambina di rosa vestita. Annalisa che era nella sua pelle, nella sua testa. Era per Annalisa che Andrea aveva quello sguardo - colpevole.
Flavia, che ancora guardava il vestito con quello che era definibile solo come schifo, si schiarì di nuovo la voce e poi affermò con una specie di disperata, cupa sicurezza:
- Non puoi salire sul palco così, tu. Ti tireranno le sedie! -
Andrea inarcò un sopracciglio. - Non possono farlo. - Ribatté, pragmatica. - Sono inchiodate. -
- E allora prima le staccheranno e poi te le tireranno. Tieni, mettiti questa. - Flavia si tolse la tuba e gliela passò; Andrea esitò con il cappello tra le mani e l'altra insisté, spronandola: - Mettitela! Non abbiamo tutta la sera! Tu...! - Inchiodò con il dito Giorgio, di passaggio nel camerino, che si ritrasse schiacciandosi contro una parete e la fissò con gli occhi sgranati. - Togliti il gilet. Subito, ora! -
Giorgio non provò nemmeno a protestare: schiacciato dalla pressione crescente di quel dito puntato contro di lui, si tolse il gilet e lo consegnò arrendevole, prima di arretrare cauto. Flavia soppesò l'indumento con interesse e, soddisfatta infine dall'esame, afferrò un braccio di Andrea:
- Forza... - La tirò e la spintonò dentro ad un camerino, trascinandosela dietro. - … vieni un po' qui, che vediamo cosa si può fare. -
Luca ebbe un'ultima inquadratura di Andrea e del suo orribile vestito rosa a fiori prima che entrambi sparissero oltre la minuscola porta. Zero ad uno per la squadra di Annalisa, pensò, e palla al centro.

In novembre Luca aveva stabilito che il MusicaMente di quell'anno sarebbe stato il suo momento di gloria. Nel MusicaMente sarebbe stato fico: più fico di sempre, più fico di chiunque altro, fico per una volta nella sua carriera scolastica in una maniera assoluta, totalitaria, appariscente.
In novembre Luca aveva stabilito che il MusicaMente di quell'anno sarebbe stato il suo momento di gloria, e lo era, Dio, sì, lo era, lo era, lo era, ora che era salito sul palco lo era, suonare ed esporre le viscere come fossero musica e c'erano settecento coppie d'occhi puntate sull'archetto, lo era, a guizzare erano tendini e nervi e non corde, si suonavano da soli, adesso lo era, momento di gloria. La chitarra si sentiva appena, il basso era un'eco sullo sfondo. La batteria gli faceva da chaperon e sopra a tutto il resto c'era il violino che, divide et impera, tagliava e conquistava.
Momento di gloria, si disse, momento di gloria, suo fratello lo ascoltava nelle quinte e avrebbe, momento di gloria, raccontato tutto alla madre e al padre quando fosse tornato a casa e, momento di gloria, c'erano tutti i suoi compagni di classe ad ascoltarlo ed il giorno dopo gli avrebbero fatto domande, chiesto di provare il violino, e i complimenti e le lusinghe e gli occhi delle ragazze posati sulla cassa di legno, momento di gloria, in platea c'erano i genitori di Andrea venuti ad ascoltarla suonare Chopin ed anche quello era un momento di gloria perché Andrea, momento di gloria, momento di gloria, momento di gloria, non avrebbe suonato Chopin.
Andrea non suonava Chopin.
Alla fine della canzone tornò dietro le quinte e la spinse contro la porta di un camerino: mentre lei apriva bocca per dirgli qualcosa - che poteva essere un complimento o uno scroscio di sarcasmo, Luca non voleva saperlo - approfittò delle sue labbra schiuse per cacciarvi la lingua dentro e ammutolirla. Le strofinò il viso con forza e, quando sentì Flavia protestare alle loro spalle perché stava rovinando tutto il suo lavoro, si staccò solo per vedere la bocca di Andrea rossa di rossetto sbavato, tutte tracce scure sulla pelle trasparente.
Il rossetto non aveva un buon sapore, ma Andrea era bellissima, così, bella scomposta e bella per nulla Annalisa, bella come uno stelo sbocciato di aconito, asfodelo, rimase a guardarla esterrefatto perché adesso l'aveva tra le mani, aveva la belladonna che fa scoppiare il cuore, con le labbra di porpora e il viso macchiato perché lui l'aveva baciata, baciata, poteva baciare la belladonna fino a farsela fiorire addosso.
Flavia gli strappò malamente Andrea dalle braccia, mugugnando, e cominciò a pulirle il viso con un fazzoletto.
- Guarda qua! - Si lamentò. - Hai impastato il cerone e il rossetto, bestia! -
Andrea aveva ancora le labbra lucide, gli occhi vacui e un po' persi dopo il bacio. Sul palco qualcuno stava suonando per flauto l'arrangiamento di una suite di Bach. Luca le sorrise e le disse:
- Il prossimo pezzo è il nostro. -
La guardò farsi un po' più pallida sotto al trucco, le ginocchia che si piegavano per un attimo, ma poi Andrea fu di nuovo in piedi, diritta, bianca, rigida e gloriosa come un'Ifigenia sull'altare.
Quando Flavia la lasciò andare, la faccia ricomposta ma non del tutto, tracce di rosso agli angoli della bocca e altro rosso sugli zigomi che non era trucco, non era cipria, cerone, non era niente che non fosse un bacio che l'aveva fatta fiorire più di prima e meglio di prima, Luca le poggiò una mano sulla spalla e la schiacciò contro la porta, chinandosi per bisbigliarle dritto in un orecchio:
- Glielo sbatterai in faccia. -
La sentì respirare più forte contro il suo collo e le ripeté:
- In faccia. -
Lei lo guardò, stupendamente gloriosa, e Luca pensò che al diavolo il cerone. Al diavolo il rossetto.

Sotto il cerone, sotto le luci, attraversò il palcoscenico ed era di nuovo Ifigenia: Ifigenia con il coltello in mano e Ifigenia che va sacrificare lo straniero, una Vestale, la vergine Camilla scesa in guerra e Marfisa lancia in resta. Si sedette davanti al pianoforte e ne alzò il coperchio senza mai guardarsi intorno. Non aveva orecchie che per sé stessa e non sentì i fischi, mezza platea a guardare sorpresa la ragazza con il vaporoso vestito rosa e la giacca da uomo di floscia seta nera, il cilindro buttato da una parte e il rossetto come due strisce rosso scuro sulla cipria pallidissima. Non li sentì fischiare, lei, ma Luca sì: s'affacciò da dietro le quinte e guardò giù. C'era la sua classe sulla sinistra, e fissavano Andrea come se l'avessero appena vista uscire fuori da un gigantesco uovo di Pasqua. C'era la Bellucci, sempre sulla sinistra, che sembrava avesse ingoiato un rospo. Vivo. C'era Annalisa e c'era Stefano - il signor Stefano Maisano. Annalisa guardava la sua bambina sul palco - la sua bambina-Chopin, bambina-vestito rosa che sarebbe fiorita raggiante e radiosa - e non pareva credesse ai propri occhi. Troppo scioccata, troppo sorpresa, per riuscire ad avere un'espressione di disapprovazione. E il signor Stefano, accanto a lei...
Il Notturno scivolò fuori dalle dita di Ifigenia come acqua. Note, note, nuotava, le faceva bere dalle proprie mani e ne innaffiava il pianoforte e con delicatezza le mandava a sposarsi tre metri più in là l'una con l'altra, pregne di altre note che andavano su, su, e infine in picchiata verso la platea. Suonava come non avesse mai fatto altro in tutta la sua vita, come se non avesse mai avuto intenzione di fare altro, mai, ma Luca sapeva di aver avuto l'Ifigenia tra le mani cinque minuti prima, di averla tenuta stretta.
Il volto di Annalisa si ammorbidì durante l'esecuzione come il muso d'un grosso gatto soddisfatto: il vestito rosa era irrimediabilmente rovinato dalla giacca, una follia che chissà quale cattivo ragazzo aveva messo in testa alla sua adorabile bambina, ma dopotutto Chopin era Chopin, Andrea lo stava suonando ed era così brava, la sua piccola, così brava, e dlong, quando il Notturno si strozzò a metà di una nota l'interruzione fu così brusca che ad Annalisa - così come al resto della sala - ci volle un minuto buono per accorgersene.
Ifigenia lasciò le mani sul pianoforte, alzò la testa, e finalmente lì guardò.
Mentre Luca usciva dalle quinte, mentre Flavia usciva dalle quinte e prendeva il microfono, e dietro di loro Giorgio arrancava verso la batteria e si sedeva pesantemente, mentre Luca raggiungeva Andrea e aveva il violino tra le mani, mentre se lo sistemava in spalla e sorrideva, sorrideva, sorrideva, Andrea continuava a guardare.
Guardava la gente in platea, ma era ovvio che tutta la gente non contava niente, c'era solo perché era capitata lì, e invece chi aveva importanza era Annalisa. Annalisa che non aveva avuto un vestito rosa, che non avrebbe avuto Chopin, che non avrebbe avuto la sua bambina. Annalisa. Annalisa, la piovra profumatissima e morbida, Annalisa che la voleva veder fiorita di petali che non erano i suoi. Non avrebbe mai fatto miele, Andrea, ma avrebbe potuto curare il mal di cuore, la nausea. Andrea era asfodelo, pianta salvifica, e sapeva di veleno.
“E uno.” Disse Flavia nel microfono.
“E uno, due, tre, quattro.”

Sipario.

Io dico che scorre nella mia famiglia,
questa famiglia che mi porta tanto lontano
per poter aprire le mie gambe a chiunque mi avrà.


Vederla sbiancare com'era sbiancata Andrea solo cinque minuti prima e non provare neanche un'oncia di sensi di colpa perché Andrea era stata piena di ansia per causa sua, e se fosse stata piena di rimorso sarebbe stato sempre per causa sua, solo sua, ma Andrea era una cosa meravigliosa che era riuscita a sbocciare comunque. Andrea aveva messo radici sotto la piovra. Si era riempita di fiori viola.
A un certo punto Luca aveva avuto voglia di ridere e l'aveva fatto, sopra e attorno al violino, davanti alla faccia sbigottita di Annalisa.

Scorre nella mia famiglia, ci passo candida attraverso,
faccio quel che vogliono perché qualcuno ha deciso che è questo che mi deve riempire,
riempirmi.


Annalisa che non era stupida, e tutto questo era per lei. Annalisa avrebbe capito. Annalisa che aveva cercato di riempirla, Annalisa, Annalisa che non ce l'aveva fatta.
Guardare le mani di Andrea sul piano ed era di nuovo Andrea, quella, non più Ifigenia. Alla fine del Musicamente l'avrebbe baciata ancora e ancora e lei gli avrebbe fatto piovere sarcasmo sulla bocca.

Io non posso, non posso, non posso scappare dalla mia famiglia,
si nascondono dentro di me, corpi nel ghiaccio,
vieni se ti piace ma non dirlo alla mia famiglia,
loro non mi perdonerebbero mai, direbbero che sono pazza,
ma direbbero qualunque cosa se servisse a zittirmi,


Andrea teneva la bocca chiusa e gridava musica sul suo pianoforte.

zittirmi,

Gridava, gridava, gridava. Era libera un centimetro di più ad ogni pestata di note sui tasti.

zittirmi!

E alla fine c'era gente che applaudiva sulla chiusura in gloria della batteria, tutta gente che si sapeva che avrebbe applaudito perché è così che si fa, no? Si va a vedere e si battono le mani per simpatia, clap clap, a qualcuno forse era piaciuto, ma anche se non fosse piaciuto a nessuno non sarebbe importato poi molto: perché c'era Andrea accanto al suo pianoforte che Chopin non l'aveva suonato, no, aveva suonato la Palmer e gliel'aveva sbattuto in faccia a sua madre, alla sua famiglia, a tutti.
E alla fine c'era gente che applaudiva sulla chiusura in gloria della batteria, tutta gente che si sapeva che avrebbe applaudito, ma più di tutti c'era Stefano Maisano in piedi accanto alla sua sbigottita moglie, Stefano Maisano che era l'unico ad essersi alzato e che batteva le mani più forte di chiunque altro. Si sarebbe scorticato i palmi, pensò Luca oziosamente, si sarebbe fatto male. Guardava Andrea e Andrea guardava suo padre e si erano trovati, gli venne da dirsi, una volta di più in mezzo alla folla.

La baciò davanti ai camerini e poi dentro ai camerini, cercando a tastoni un modo per slacciarle quel benedetto vestito rosa perché con quello addosso non arrivava bene al suo collo, non arrivava a baciarle le clavicole. Voleva lasciarle segni rossi dal seno al mento, ovunque.
Andrea si bloccò di scatto, mentre lui le palpava la schiena, e si informò gelidamente:
- Che cosa stai facendo? -
- Cerco la zip. - Le spiegò Luca, distratto, provando a sporgersi al di sopra della sua spalla per guardare dove metteva le mani.
- Ah? E per farci cosa, di grazia? -
- Vorrei la tua gola. E' un problema? -
Un attimo di silenzio.
- Devi essere completamente impazzito se credi che questo vestito abbia una zip. -
- Non ce l'ha? -
- Se ce l'avesse, probabilmente sarebbe fatta d'oro. Ha dei bottoni, astuto genio, e sono notevolmente più a sinistra rispetto al punto in cui li stai cercando. -
- Not - evol - men - te, quattro sillabe. -
- Sono cinque. -
- Che cosa avevamo detto a proposito delle parole lunghe? -



- Andrea? -
- Mh? -
- Credo di essere leggermente innamorato di te. -
- … leggermente, quattro sillabe. -
- Andrea? -
- Sì? -
- Fottiti. -



fine.






Note della storia: Questo racconto in quattro capitoli partecipa al concorso Ragazze al pianoforte indetto da Harriet.
Il bando richiedeva di scrivere una storia che ruotasse attorno ad un personaggio femminile, ad un pianoforte e ad una tra le citazioni, canzoni e video proposti come prompt da Harriet. Io ho scelto la stupenda Runs in the family, di Amanda Palmer (per il testo, qui).
Un enorme grazie a LaureDeTroyes e a Salice, le mie eterne e infinitamente pazienti beta.

Note del capitolo: Per Runs in the family, rimando alle Note della Storia. Wikipedia continua a non servire... e con questo capitolo Uno, due, tre, quattro. Asfodelo. si chiude.
Grazie ancora ad Harriet, per aver indetto il concorso, a LaureDeTroyes e a Salice, che hanno corretto questa storia, a lames76, wari, smemorato e Salice (sempre lei! xD) per essersi fermati a lasciarmi un parere. Grazie di cuore.
Lettori silenziosi, non mi dedichereste cinque minuti per darmi un'opinione, adesso che è finita?
That's all Folks - e stavolta davvero!

Qualche mese più tardi: Vorrei ringraziare l'autrice del blog L'isoletta di Zia Agathe per aver pubblicizzato questa storia, e lady snow per avermelo segnalato. Io non ne sapevo niente, grazie di cuore! *_*
  
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