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Autore: OnlyHope    05/11/2010    10 recensioni
Per Sanae tutto iniziava davanti ad una fermata d'autobus, quello stesso giorno Tsubasa partiva per il viaggio che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. E mentre Sanae cercava la sua strada in Giappone, Tsubasa inseguiva con caparbietà il suo sogno in Brasile. Ma anche questa è la storia di un ragazzo che ama incondizionatamente una ragazza. Perché questa è la storia di Tsubasa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Don't Be Afraid to Fly ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 12

Ain't No Mountain High Enough*










Noia.
Tedio.
Fastidio.
Un lacrimone sborda copioso dall’occhio destro, mi asciugo la guancia con il dorso della mano mentre la mia bocca si deforma nell’ennesimo sbadiglio.
Odio i giorni di pausa per spezzare gli allenamenti durante la settimana, perché in linea di massima mi ritrovo a girarmi i pollici e a pensare, cosa quest’ultima, che dovrei evitare accuratamente.
Non che stamattina non mi sia alzato all’alba per andare a correre, il mio solito giro da sessanta minuti, tanto per essere fisicamente impegnati nei maledetti giorni di break, ma la giornata è lunga da passare poi...
Un altro sbadiglio e Roberto si volta a guardarmi un po’ perplesso, è difficile vedermi inattivo e ciondolante dentro casa, ma ultimamente va così quando non devo allenarmi con la squadra e oggi mi è presa davvero peggio delle altre volte.
Mi sento malinconico, come un nonno triste e depresso, che rimugina sui tempi andati davanti a un bicchierino fumante di sakè.
Solo che io non sono né vecchio né depresso, o almeno spero ma mi ritrovo lo stesso, senza alcolici, a ricordare imperterrito, come un disco rotto, ogni giornata passata in Giappone, ormai una vita fa, come se veramente non mi rimanesse altro da fare.
E come una sciocca ragazzina liceale mi porto dietro il cellulare senza staccarmene un attimo, lo abbandono solo per gli impegni calcistici, perché non ne posso fare a meno.
Tsubasa a volte è un vecchietto anacronistico e poi una femminuccia schiava del telefono, mi chiedo come ho fatto ad arrivare a tanto e mi scappa un sorriso ironico accompagnato a uno sbuffo.
“Che fai oggi?” mi chiede Roberto, probabilmente ho attirato fin troppo la sua attenzione con l’ultimo sospiro esasperato.
“Mah... Non ho in mente nulla...” rispondo alzando con aria distratta le spalle, il mio allenatore, nonché mentore, non demorde e riprende a parlarmi, sciorinando un ventaglio d’ipotesi per passare la giornata.
Credo, e temo, che si senta in dovere di stimolare positivamente il ragazzino dall’aria annoiata che gironzola per casa sua.
Ogni alternativa che mi propone però invece di darmi sollievo, ha il potere di innervosirmi un po’ e ogni volta che scuoto la testa negativamente, mi sembra che debba fare uno sforzo enorme per compiere un gesto così stupido.
Sono apatico, ecco e mi piacerebbe essere lasciato in pace a crogiolarmi nel mio stato.
Ogni tanto sono debole anch’io, rarissimamente, ma sono pur sempre un essere umano.
Roberto comunque è un osso duro e non demorde, proponendomi infine un allenamento speciale, conscio che forse l’unico balsamo per le mie ferite, può essere solo ed esclusivamente il pallone.
E ora che ci penso in fondo non ha tutti i torti e allenarmi da solo poi, l’ho fatto già un sacco di volte in vita mia.
Sono tentato mentre il mio cervello, fisso sulla mancanza di Sanae, incomincia ad annebbiarsi nascondendo tutto sotto una coltre grigia che addormenta le emozioni, anche se solo per un po’.
Faccio per chiedergli se gli va di venire con me per allenarmi, quando il mio cellulare prende a vibrare nella tasca della tuta.
Nessun batticuore da mocciosa liceale però, il fuso orario che mi salta meccanicamente in testa, mi ricorda che semplicemente non può essere lei e che, come minimo, sarà il solito Pepe, pronto a raccontarmi qualcuna delle cose folli che capitano solo a lui.
Sto quasi per rispondere svogliatamente quando con la coda dell’occhio scorgo il nome di chi è all’altro capo del telefono.
Ma non dovrebbe essere lei!    
Il batticuore arriva, inevitabilmente, un leggero bussare contro il mio torace.
“Sanae?” rispondo non riuscendo a nascondere il tono stupito della mia voce.
“Dove sei?” mi chiede a bruciapelo senza nemmeno salutarmi.
Rimango un po’ spiazzato dalla domanda, che ecco non rientra nella conversazione che mi aspettavo di affrontare ma che soprattutto, non ha alcun senso, dato il nostro stato di separati intercontinentali.
“... In Brasile? Sanae, ti senti bene?”
“Sì lo so, ovvio ma, dove di preciso?”
Un’altra domanda decisamente strana, per non chiamarla assurda.
Reprimo la mia perplessità assecondando lo strano quiz della mia ragazza, chiedendomi comunque dove voglia andare a parare.
“A casa...”
Un paio di secondi di silenzio, strani anche loro come tutta la conversazione.
“Sei veramente a casa?”
Ok.
Non la seguo.
Non ci sto capendo nulla ma soprattutto: a cosa diavolo le serve sapere dove sono?
Le rispondo calcando volutamente sul tono dubbioso stavolta, è inevitabile.
“Ehm... Sì. Ma Sanae sei sicura di stare bene, mi stai facendo preoccupare, io...”
“Sto arrivando! Aspettami, sono da te tra qualche minuto!”
Lo dice tutto di un fiato e ora sono io a rimanere senza parole.
Arrivare dove?!
Qui!
Tra qualche minuto, qui!
No, devo aver capito male...
Oddio allora sono depresso davvero visto che il mio cervello perso nell’instabilità emotiva, ha incominciato a perdere colpi facendomi avere le mie prime allucinazioni auditive.
Sto per domandare altro, tutto, cioè che si spieghi meglio, ma la comunicazione cade senza darmi il tempo di dare sfogo alla mia agitazione.
Mi gratto la nuca osservando il cellulare.
Guardo Roberto che a sua volta mi fissa con aria interrogativa.
Da me tra qualche minuto...
E non so che mi prende ma decido all’improvviso di assecondare la mia pazzia e mi alzo da tavola scappando letteralmente dalla cucina, senza dare la benché minima spiegazione al mio allenatore.
Mi precipito in strada spalancando il portone d’ingresso, un paio di passi e mi ritrovo sul bordo del marciapiede a guardarmi intorno senza sapere bene cosa cercare.
O meglio sto cercando lei sì, anche se so che è impossibile...
Impossibile davvero che possa essere qui.
Impossibile in Brasile.
Impossibile...
La mia attenzione è calamitata da un taxi che si avvicina nella mia direzione, lo fisso d’istinto senza sapere il perché, senza una ragione precisa.
Quando noto il lampeggiare della freccia come se stesse a indicare proprio me, sento il famoso batticuore di prima, rullarmi contro il petto ora, altro che timido ticchettio.
Scorgo una figura fin troppo familiare nel sedile posteriore e la mia bocca si spalanca seguendo il moto d’incredulità che si è impadronito completamente di me.
Così totalmente da farmi rimanere immobile, senza poter far nulla.
Nemmeno lasciarmi andare alla gioia perché no, ancora non riesco davvero a crederci.
Non la vedo in volto, non chiaramente, mentre armeggia con la piccolissima valigia scendendo dal taxi.
La vettura riparte allontanandosi qualche secondo dopo e lei rimane sempre di spalle, tanto che la mia incredulità mi suggerisce di sfiorarla, tanto per sapere se è proprio vera, nella speranza poi che al mio tocco, non svanisca in una nuvola di fumo.
Si volta ora, mi sorride.
Bella...
Continuo a fissarla, inebetito.
E’ qui!
Sanae è qui!
“Ciao! Lo so, sono una pazza, ma non ce la facevo più, così...”
La bacio.
Semplicemente perché non ci capisco più nulla.
La stringo.
Perché anche la distanza di un solo passo mi sembra intollerabile ora.
Perdo il fiato nelle sue labbra.
Mi sei mancata...
Mancata da morire...
Tutto il grigio nella mia testa scompare accecato dal bagliore della sua presenza, le sue mani sul mio viso, il tocco più vero che mi abbia mai sfiorato.
E la bacio ancora.
La bacio e basta.
E sento che il mio mondo è di nuovo colmo di significato...








Me ne frega qualcosa delle prese in giro di Roberto?
Assolutamente nulla.
Di aver saltato la cena?
Ancora meno.
C’è qualcosa nella mia testa che non abbia il profumo, la morbidezza e le sembianze di Sanae?
Zero assoluto.
Mi stringo a lei senza essere più capace di pensare, nel buio riesco a malapena a intravederla ma ciò che conta più di tutto, è che riesco a sentirla.
Di carne e ossa sotto il peso del mio corpo, reale e concreta come la pelle che accarezzo avidamente, mosso dal desiderio incontrollabile di essere con lei.
Quel desiderio che mi ha spinto a baciarla sulla porta della mia camera, che mi ha permesso di aprirla a tentoni senza mai staccarmi da lei e di spogliarla senza nessun tipo d’imbarazzo.
Io, Tsubasa, quello che arrossisce per un non nulla e che è convinto solo in campo.
Avevo un bisogno incredibile di tutto questo, lo sapevo, ma ne avverto la potenza solo ora.
Ora che ci amiamo nel mio letto, ora che lei si è materializzata davanti ai miei occhi e nel palmo delle mie mani, come nel più incredibile dei miei sogni.
Ma il suo respiro contro la mia pelle mi da la conferma che è tutto vero, la sua voce bassa al mio orecchio mi ricorda che a volte i desideri si avverano davvero.
Sono felice in questo momento.
Euforico.
Sovraeccitato.
E non mi sentivo così da troppo tempo ormai e ora non m’importa nemmeno quanto potrà durare questo stato.
Qualche ora, il tempo di una notte ma non ci rifletto più di tanto, perché semplicemente non m’interessa sapere altro, concentrato come sono solo nel piacere di avere Sanae con me, di sentire che sì, sta veramente rispondendo ai miei baci, che sta assecondando il mio corpo.
Sono mosso da una sola, indiscutibile volontà che mi suggerisce ogni movimento, ogni bacio e ogni carezza.
Percepisco Sanae, la sua presenza, con ogni mio senso e non mi manca assolutamente nulla in questo momento.
Ho il corpo in fiamme, il cervello che bolle nella febbre di lei.
Non mi manca davvero nulla.
Voglio solo continuare così, per ore, tutta la notte.
Lei ed io a fare l’amore.
Fare l’amore...








“Quando ti è venuta in mente questa pazzia?”
Sanae sorride ma non mi risponde, il suo sguardo concentrato sul soffitto mentre attorciglia una ciocca di capelli, ormai decisamente lunghi, intorno all’indice destro.
“Perché sei consapevole vero della tua follia?” la incalzo appoggiando la testa sul palmo della mano e lei prende a ridacchiare, nascondendo le labbra sotto il lenzuolo.
Divertito alzo gli occhi al cielo emettendo uno sbuffo di rimprovero e quando torno a guardarla, incrocio il suo sguardo proprio nell’istante in cui la sua espressione si fa, di un tratto, seria.
“Credevo di impazzire, giuro! Come se di tutta l’aria a disposizione riuscissi solo a prenderne un minimo! Una specie d’apnea voluta, come quando c’è tanto fumo in una stanza e ci s’impone di trarre giusto qualche respiro per sopravvivere e non finire intossicati...”
La fisso in silenzio riflettendo sulle sue parole e rimuginando sull’apatia che mi ha investito nelle ore d’inattività, in questi lunghi mesi senza di lei.
Sì... forse anch’io ho respirato appena per tutto questo tempo...
“Non so, ecco, se riesco a spiegarmi bene...” aggiunge poi sorridendo con un velo d’imbarazzo, forse dovuto alla mia mancata risposta.
“Ho capito benissimo...” mormoro sorridendole dolcemente.
Sanae annuisce scusandosi per il suo discorso, a detta sua, strambo e mi spiega poi che a suggerirle questa pazzia, come l’ho definita io, altri non sono stati che Taro e la sua ragazza Azumi.
Mi racconta per filo e per segno della sorpresa fattale dal mio migliore amico a Tokyo, partendo dalla telefonata misteriosa ricevuta mentre era in macchina e dall’appuntamento sotto un anonimo palazzo nella zona residenziale.
Divertita, mi descrive il suo ingresso nell’appartamento e con una serie di esempi buffi cerca di descriversi nel momento in cui si è trovata davanti proprio la sua ormai amica Azumi.
“Hai presente quei pupazzetti di gomma che se gli stringi la pancia strabuzzano gli occhi? Ecco quella era la mia faccia!” esclama ridendo allegra, prima che le sue labbra disegnino un’espressione dolce sul suo viso, nel momento in cui prende a parlarmi delle sue impressioni sulla nostra coppia d’amici.
E’ sinceramente felice per loro, specie per Taro e si capisce non solo da come ne parla ma anche, appunto, dalle espressioni tenere che si avvicendano sul suo volto nel descrivere quella complicità trai due, che è riuscita a costatare proprio con i suoi occhi.
Si prodiga poi a raccontarmi quanto siano stati carini con lei e di come l’abbiano spronata a non abbattersi e convinta che la cosa giusta da fare, l’unica che avesse un senso, fosse proprio prendere il primo aereo e volare in Brasile.
“Può sembrare assurdo che non ci abbia mai pensato prima per conto mio...” sembra giustificarsi “... ma ho un’agenda talmente fitta d’impegni ora, che spesso mi stupisco di trovare il tempo di mangiare un boccone al volo! Poi ho sempre dato per scontato che anche per te fosse lo stesso, tra allenamenti, ritiri, partite. Insomma so che vita fai e che per questo non riesci a tornare mai in Giappone.”
Mi sorride sospirando, lo sguardo velato di malinconia perché nonostante l’euforia che ci ha regalato questo incontro, sappiamo entrambi che è solo una parentesi di breve durata.
Molto breve.
“Per fortuna ho potuto contare su Mendo per organizzare questa fuga!” aggiunge rapida per allontanare questo tipo di pensieri, tornando a sorridere divertita.
“Il tuo famoso assistente?” chiedo curioso.
“Il mio famosissimo assistente personale Keysuke Mendo!” ribatte allegra con un gesto plateale del braccio, che si alza in aria e volteggia come in un’ipotetica riverenza.
Rido divertito, così Sanae si sente libera di continuare a giocare.
“Colui che non solo risolve ogni mi problema, dal look ai miei pasti a volte frugali, ma che mi tratta come la principessa che regna nel suo sfavillante immaginario regno glamour!”
“Oh addirittura!”
“Sì, Tsubasa! Lui è la mia fatina buona delle fiabe con tanto di bacchetta magica, l’unica differenza è che non porta nessun cappello a punta ma fantastici completi di Armani o Prada!”
“E così ha accontentato la sua graziosa principessa anche in questo caso, procurandole una zucca con le ali il più veloce possibile! Ma che animo nobile!”
“Lo trovi anche tu?” mi chiede con aria sognante sospirando soddisfatta ed io non mi trattengo più dal ridere, divertito per la piega che ha preso la nostra conversazione.
“Ma veramente non ti ha ostacolato nemmeno per un momento?” chiedo con curiosità, non capacitandomi del tutto del modo accondiscendente con cui viene trattata Sanae dal suo assistente personale.
In fondo anche lui è un adulto, dubito che non le abbia fatto un micro predica da persona matura e responsabile.
Sanae scuote la testa in maniera decisa.
“Mendo vuole che io sia prima di tutto felice e lui sa che c’è solo una persona in grado di farmi sentire così...”
Abbasso leggermente lo sguardo, un po’ imbarazzato ma di sicuro lusingato dal potenziale che mi è concesso.
“Anzi mi ha proprio spronata, anche lui, a venire da te usando le parole giuste come sempre...”
“E cosa ti ha detto di preciso?” chiedo tornando a guardarla negli occhi.
Sanae sorride poi trae un respiro profondo e intona una melodia.
If you need me, call me. No matter where you are. No matter how far, just call my name. I'll be there in a hurry... You don't have to worry... ‘Cause baby there...
La sua mano sfiora il mio viso e mi sorride.
Ain't no mountain high enough... Ain't no valley low enough... Ain't no river wide enough...
Avvicina il suo volto al mio sfiorando le mie labbra, arrossisco.
...To keep me from getting to you...”*











*“Ain't No Mountain High Enough”- Nickolas Ashford & Valerie Simpson © 1967 Universal Motown

Scrivere FF è prima di tutto divertimento ma anche, almeno per me, una piacevole bolla in cui immergersi per staccare il cervello, liberarlo dai pensieri e “giocare” ancora, nonostante la veneranda età, con personaggi familiari che ci portiamo, per svariati motivi, nel cuore.
Ci vuole impegno e dedizione, ma anche quel briciolo di spensieratezza costante, requisito fondamentale per me,  che permetta appunto di intraprendere il “gioco”.
Se questa manca, parlo sempre esclusivamente della mia esperienza, passano i mesi senza poter scrivere nemmeno una riga...
Questo capitolo ho iniziato a buttarlo giù all’inizio dell’estate ma ho potuto completarlo solo nelle ultime ore. Di questo mi scuso, ma non si poteva fare altrimenti.
Ringrazio di cuore tutte le persone che nel corso di questi mesi si sono avvicinate alle mie storie e per i commenti lasciati al precedente capitolo.
Mi divertirò, tanto per riprendere il tema di cui sopra, a scrivere quest’ultima parte della FF perché potrò finalmente dire tante cose su Tsubasa che in B. potevo solo far intravedere.
Saluto e ringrazio ancora chi è arrivato alla fine di questo capitolo e mi sta ancora leggendo, con la netta sensazione di aver dimenticato qualcosa da dire dopo tanta assenza, ma con la speranza di essere comunque compresa... l’età avanza!^^’
A presto, OnlyHope^^

   
 
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