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Autore: Stupid Lamb    18/11/2010    21 recensioni
“Non voglio niente, Davide. Non devi metterti nei guai per me.”
“Ma tu… tu sei povera.”
“Lo so, ma questo non è un tuo problema. Hai già fatto molto per me. Non devi preoccuparti, chiaro?”
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

Capitolo 3

 

2010

 

Camila non ha mai dimenticato il volto di Davide. Ha dimenticato parecchie cose, nel corso degli anni, ma quel ricordo non ha mai lasciato la sua mente.

Ha pensato a lui quando ha passato la notte fuori casa, dopo che lui le aveva regalato le scarpe rosa di Priscilla. Ha pensato a lui quando è partita, lasciando la Puglia per attraversare lo stivale e arrivare in Germania. Ha pensato a lui quando si è ritrovata in una vera casa, con pareti e finestre, con un tavolo per fare colazione ed un letto su cui dormire.

Ha tenuto le scarpe di Priscilla ai piedi fino a quando suo padre non ha portato a casa un paio di ciabatte vecchie e i soldi per comprare nuove calzature. Le ha tenute con sé fino a quando ha lasciato la Germania, a diciassette anni.

 

Subito dopo l’arrivo in Germania, lei e la sua famiglia hanno vissuto un periodo di rinascita. Nessuno di loro conosceva il tedesco, ma nel palazzo di periferia in cui vivevano hanno conosciuto due famiglie di italiani, residenti in quel posto da più di vent’anni. Chiacchierare con loro li faceva sentire a casa, in un certo senso.

Camila era felice di potersi lavare in un bagno tutto suo e di mangiare qualcosa di diverso dal tonno stoppaccioso o dai legumi in scatola. Sua madre poteva uscire liberamente, senza temere che qualcuno le portasse via la vecchia Golf.

I suoi genitori lavoravano in una fabbrica che produceva cerniere lampo. Sofia lavorava dalle otto del mattino alle otto di sera, e Mario dalle otto di sera alle otto di mattina.

Lo stipendio di entrambi permetteva loro di pagare l’affitto dell’appartamento con due camere da letto, mantenere la Golf, comprare il cibo e pagare le bollette.

 

Camila si occupava della casa, ed era felice di farlo. Le piaceva cucinare, rassettare, andare a fare la spesa. Suo padre passava le ore diurne a letto, a dormire, e la ragazza non andava a scuola: non aveva altro da fare se non la casalinga. Inoltre, sapeva bene che sua madre sarebbe stata stanca, una volta uscita dalla fabbrica. Voleva, Camila, evitare che si stancasse ulteriormente per preparare la cena ed il pranzo per il giorno dopo.

I figli dei vicini di casa italiani avevano pochi anni in più rispetto alla ragazza. Due di loro studiavano, mentre un altro (il più grande dei tre ragazzi) lavorava in una fabbrica che produceva telefoni.

Camila avrebbe voluto trascorrere il tempo con loro; cercare di fare amicizia, imparare il tedesco per poter guardare la tv e per leggere i giornali, ma i ragazzi erano impegnati nelle loro cose, spesso assenti, e comunque non hanno mai espresso una viva curiosità nei suoi confronti.

Lei e i suoi genitori erano i più poveri, gli ultimi arrivati, quelli che dovevano necessariamente arrangiarsi da soli.

Camila l’ha fatto, si è arrangiata da sola.

Ha imparato a leggere il tedesco andando al supermercato, facendo la spesa. Ha passato ore ed ore nelle corsie, cercando di memorizzare le parole e ascoltando gli altri parlare.

Non ha mai imparato la lingua fluentemente, ma nei tre anni trascorsi lì è riuscita a farsi comprendere dagli abitanti del luogo, dalle cassiere, dai fruttivendoli e dai giornalai.

Ha letto e riletto centinaia di volte gli stessi giornali, fino a memorizzare le parole. Ha visto decine di film e decine di soap opera.

E ha mangiato tante barrette al cioccolato. Quando le ha viste al supermercato, ha ricordato per l’ennesima volta il viso di Davide, paffuto e sorridente. Ne ha comprato un pacco, è tornata a casa e le ha mangiate una alla volta. Quando sono finite, è ritornata al supermercato ed ha acquistato altri due pacchi di barrette.

Continuava ad essere povera, ma adesso poteva permettersi i dolcetti, il docciaschiuma al profumo di miele e dei pantaloni della sua taglia, puliti e privi di buchi. Lavava il bucato per lei e per i suoi genitori, felice di stendere ad asciugare calzini bianchi e asciugamani privi di sporcizia grigiastra.

 

Due anni dopo il loro arrivo in Germania, quando Camila aveva sedici anni, accaddero due cose.

Nel mese di Marzo, la madre della ragazza venne licenziata, a seguito di un alleggerimento del personale. Arrabbiato e furioso, Mario picchiò malamente il direttore della fabbrica, reo - secondo lui - di aver licenziato ingiustamente sua moglie. Inutile dirlo, venne anch’egli licenziato.

Da un giorno all’altro Camila si ritrovò di nuovo senza docciaschiuma, senza barrette, senza detersivo per fare il bucato.

I pochi soldi messi da parte servivano per pagare l’affitto e le bollette.

Il periodo di rinascita era vicino alla conclusione. I genitori di Camila litigavano spesso. Non cercavano un nuovo lavoro perché non sapevano fare altro che piegare plastica e produrre cerniere, ed erano entrambi troppo arrabbiati per riuscire a ragionare con chiarezza. Sono sempre stati poco inclini al lavoro, e probabilmente è stato solo grazie ad un miracolo che abbiano resistito in fabbrica per due anni.

 

Camila decise di cercarsi un’occupazione. Non aveva un titolo di studio, non conosceva bene la lingua. Non sapeva fare molto, tranne che cucinare e pulire. Andò a finire a casa di una signora che aveva conosciuto al supermercato. Lei aveva bisogno di qualcuno che pulisse e facesse da mangiare, Camila aveva bisogno di un lavoro.

Il marito della donna era un medico, e lo studio si trovava all’interno della casa.

Camila non guadagnava molto, ma i coniugi Bauer – due persone di mezza età molto gentili - si affezionarono particolarmente a lei. Le donavano grandi cesti di frutta e verdura, le regalavano vestiti e borse. Il signor Bauer, colpito dall’andatura dinoccolata della ragazza, le fece fare gratuitamente degli esami del sangue e le prescrisse una cura a base di calcio ed altre vitamine.

Camila era felice di lavorare per loro. Li considerava come dei vecchi zii, invece che datori di lavoro.

I suoi genitori rimanevano a casa, prevalentemente ad oziare. Quando non oziavano, litigavano.

I soldi guadagnati da Camila erano sufficienti per le spese più importanti, per cui i due si lasciarono andare definitivamente, contenti per il fatto che il frigorifero e la dispensa fossero sempre pieni.

Quando Camila rientrava a casa, nel pomeriggio, doveva occuparsi della cena, e del pranzo per il giorno successivo.

 

Sei mesi dopo aver trovato lavoro presso i Bauer, accadde un’altra cosa: Umberto, il figlio dei vicini che lavorava nella fabbrica di telefoni, iniziò ad interessarsi a lei.

Camila non aveva mai provato attrazione per un ragazzo. Non aveva mai dato un bacio, non aveva mai pensato di poterlo fare.

Grazie alla corte di Umberto, un ragazzo basso ma ben piazzato, Camila scoprì tutte quelle cose. Si innamorò per la prima volta, diede il suo primo bacio, perse la verginità.

Aveva diciassette anni quando Umberto le chiese di diventare sua moglie. Lui ne aveva ventidue, ed era deciso a ritornare in Italia, il paese in cui era nato e in cui voleva costruire una famiglia.

I genitori di Camila non volevano che sua figlia si allontanasse; sapevano che il suo ritorno in Italia avrebbe significato la perdita dei sussidi tedeschi di cui lei beneficiava in quanto lavoratrice a basso reddito. Sapevano che il suo matrimonio avrebbe significato, per loro, la necessità di cercarsi un lavoro.

Ciò nonostante, acconsentirono alle nozze e vi parteciparono. La cerimonia si tenne in Basilicata, nel paesino da cui erano partiti i genitori di Umberto. Il vestito di Camila era arrivato in regalo dai Bauer, che le promisero di assumere sua madre e le augurarono una vita felice e tanti bei bambini. Il matrimonio fu molto semplice. Di ogni spesa si occupò la famiglia dello sposo - felice di Camila, ma meno dei suoi genitori.

 

La ragazza era entusiasta della sua nuova vita. Voleva una bella casa, una bella famiglia. Voleva dei figli con l’uomo che amava.

I suoi tornarono in Germania e lei li lasciò andare, sapendo che non avrebbe potuto sostenerli a causa delle tante spese successive al matrimonio. Aveva diciassette anni. Riusciva a camminare meglio, grazie alle vitamine del dottor Bauer, e si sentiva felice accanto ad Umberto.

Ricordava il volto di Davide nonostante avesse lasciato le scarpe di sua sorella in Germania. Lo ricordava quando andava a fare la spesa, mentre Umberto era al lavoro, in una fabbrica che produceva piatti e bicchieri di plastica. Lo ricordava quando vedeva un bambino con in mano un pallone da calcio.

 

Lo ricorda adesso, mentre Davide gli è davanti, nella cucina della casa in cui vive da tre anni.

Non crede ai suoi occhi, Camila. Vorrebbe poter dire che sta sognando, che si sta sbagliando, ma sa di essere sveglia e sa con certezza che il ragazzo di fronte a lei è Davide.

Il bambino con le ciabattine blu, il bambino che le regalò un panino al prosciutto.

Camila non l’ha mai dimenticato.

E adesso è lì, davanti al suo pensile, quello colmo di barrette al cioccolato.

Che strano scherzo del destino, pensa Camila. Sono passati quasi vent’anni, e ci ritroviamo dinanzi alla cioccolata.

 

Davide è cambiato. E’ cresciuto, ma gli occhi sono grandi e marroni come diciassette anni fa. I capelli sono dello stesso colore, e anche il naso è lo stesso.

Tuttavia potrebbe sbagliare. Potrebbe confondersi. Potrebbe semplicemente essere suggestionata dai ricordi.

“Chi sei?” gli chiede ad alta voce.

“Um… ciao,” dice lui, con una voce chiaramente diversa da quella di un bambino. “Mi chiamo Davide, sono un amico di Alessia. Sto cercando i bicchieri, sai dove posso trovarli?

E’ lui, pensa. E’ Davide.

“Nell’ultimo sportello a destra,” dice. La voce trema a causa dell’emozione.

Mi ha riconosciuta? Si ricorda di me?

“Grazie,” risponde lui. Chiude gli sportelli del pensile e trova i bicchieri in quello nell’angolo.

Camila nota che è molto alto, e magro. Chissà cos’ha fatto in tutti questi anni. Chissà perché si trova qui a Roma. Pensa a tante domande, e si dà tante risposte. Forse è uno studente. Ha detto di essere amico di Alessia, forse frequenta la sua stessa università.

Dopo aver trovato i bicchieri, Davide si ferma a fissare Camila. Lo fa con curiosità, e la ragazza (ormai donna) non sa se lui stia ricordando, stia capendo.

“Come hai detto di chiamarti?” chiede avvicinandosi.

“Non l’ho detto,” risponde lei con un sorriso.

Si chiede come reagirà quando sentirà il suo nome. Si chiede se resterà per raccontarle cos’ha fatto in tutto questo tempo.

“Come ti chiami?” chiede lui sorridendo.

“Mi chiamo-”

“Ehi, Cami! Vedo che hai conosciuto Davide!”

Alessia spunta dal corridoio, indossando soltanto una t-shirt bianca. Scalza, si avvicina a Davide dando le spalle a Camila e mimando con la bocca la parola ‘pazza’.

“Camila, lui è Davide… un mio caro amico.” Nel dirlo, Alessia solleva le punte e gli dà un bacio sulle labbra, trovando immediatamente quelle di lui. “Davide, lei è Camila, una delle ragazze con cui divido l’appartamento.”

“Camila?” chiede lui facendo un passo in avanti. Osserva gli occhi azzurri della donna che ha di fronte. “Con una sola L?”

“Sì,” risponde Alessia, prima che Camila possa aprire bocca.

“Sì,” le fa eco quest’ultima. Resta a guardare il ragazzo senza aggiungere altro, sperando che lui ricordi. Sperando che capisca.

Davide inclina il capo sulla spalla e continua a scrutarla.

 

Camila sa di essere cambiata, di essere invecchiata, ma spera che in lui scatti qualcosa: una voce, un’immagine. Non vuole parlargli in presenza di Alessia. Non vuole dirgli ‘Ehi, ti ricordi di me? Sono la ragazza che si lavava negli spogliatoi della scuola calcio’.

Camila sa che Alessia e Ida non sono le sue più grandi fan. Sa che la considerano una reclusa, una persona con dei problemi mentali. Le ha sentite sghignazzare, una sera, mentre commentavano la sua dispensa, ricca di cose dolci, ed il suo armadietto nel bagno, ben fornito di sapone.

Camila è ancora la ragazza forte e coraggiosa di un tempo, ma non vuole subire un’umiliazione proprio adesso, in presenza di Davide.

“Con una sola L,” ripete lui, stavolta a voce più bassa. Non è una domanda, bensì un’affermazione. “Tanto tempo fa ho conosciuto una ragazza con questo nome. A Carovigno, vicino Brindisi. Ci sei mai stata? La conosci?”

Camila è nata a Carovigno. Ha frequentato lì le scuole elementari e le medie. E’ lì che ha conosciuto Davide. E’ da lì che è partita per la Germania.

“No,” dice abbassando gli occhi. “Non la conosco,” aggiunge. “Adesso devo andare.”

Esce di casa senza salutare. Dopo aver chiuso la porta, sente la fragorosa risata di Alessia e le sue parole ovattate. “Te l’ho detto, è pazza.”

 

---

 

Avete letto solo una parte della storia di Camila.

Cosa le è successo dal giorno delle nozze? Che fine hanno fatto i suoi genitori? Dov’è Umberto? Questo e molto altro nei prossimi aggiornamenti ù.ù

 

Dallo scorso capitolo ho iniziato a rispondere alle vostre recensioni singolarmente. Per leggere la mia replica al vostro commento non dovete fare altro che curiosare nelle recensioni del capitolo :)

 

Grazie ancora una volta per la risposta a questa storia. A presto.

 

   
 
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