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Autore: Dira_    23/11/2010    21 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Alle recensioni rispondo grazie al simpatico sistema ‘rispondi recensioni’ quindi aspettatele lì d’ora in poi! ;D


****
 
Capitolo XVI
 
 



Come on, come on

Put your hands into the fire
Explain as I turn I meet the power
This time turning white and senses dire
Pull up from one extreme to another…¹
(Thirteen Senses, Into the Fire)
 
Hogsmeade, High Street.
Sera.
 
Il paese era immerso nel silenzio della sera. Poche persone passeggiavano per la via, più che altro prese dal compito di tornare a casa, al caldo. Batteva infatti una pioggia sottile che si posò immediatamente sul cappotto di Tom in una lieve e umida condensa.
L’agente Scott si accese una pipa nera, da cui si espanse un odore agrodolce.
“Tabacco di acero… I babbani non l’hanno ancora provato, o ne sarebbero dipendenti, come molti di noi in America!” Scherzò, ma vedendo che non sorrise, si limitò a sospirare. “Beh… dunque.”
“Sto aspettando. Cos’ha da dirmi su Hohenheim?”
“Quello che probabilmente neanche il Ministero inglese sa.” Esordì tirando una lunga boccata, mentre si spostava sotto una tettoia spiovente. Tom fece lo stesso, scaldandosi le mani con il boccale bollente.

Probabilmente Albus si stava già chiedendo dove fosse finito.
“Tagli corto. Come ho già detto, voglio tornare dalla mia famiglia e dai miei amici.” Non si sentiva particolarmente portato ad essere cortese con quell’uomo.
La verità è che era nervoso, e si stava chiedendo se avesse fatto bene a seguirlo. Non che temesse qualcosa. Sperava inoltre di aver più fortuna stavolta con un funzionario del Ministero americano.
Ma questa storia non mi piace. Perché vuole parlare proprio con me? È dal processo che cerca di avvicinarmi… ed Harry sembrava averlo già incontrato.
“Lo capisco, sai. Se non ti fidi di me.” Commentò l’uomo, distogliendolo dai suoi pensieri.
“… Prego?”

“Dopo ciò che ti è successo per colpa dell’agente Hardcastle… beh, anch’io sarei prevenuto.” Si passò una mano trai capelli, sospirando di nuovo. Sembrava provare empatia per lui, ma era solo scena; dubitava che quel damerino si sentisse dispiaciuto per i traumi che avrebbe potuto eventualmente riportare da un’esperienza simile. “Ma ti posso assicurare che il mio Ministero è tuo amico.”
“Non credo a questo genere di favolette retoriche.” Storse le labbra, non potendo far a meno di ricordare le storie che Harry gli aveva raccontato sul pavido governo dei predecessori di Shacklebolt. A quanto sembrava gli adulti continuavano a considerare gli adolescenti come delle pedine da manovrare, emotivamente instabili e bisognose di punti di riferimento.

Al diavolo.
“Se ha qualcosa da dirmi su Hohenheim lo faccia, altrimenti…” Fece per voltarsi.
“No, aspetta!” Lo fermò di nuovo, facendosi scivolare via il sorriso formale per tornare serio. “Ho davvero delle informazioni… informazioni di cui neppure il Ministero britannico è a conoscenza.”
“E perché non informa l’Ufficio Cooperazione, invece di venire a parlare con un semplice studente?”
Scott fece un mezzo sorriso. “Andiamo Thomas, lo sappiamo entrambi. Tu non sei un semplice studente.”
Tom serrò le labbra, come la presa sul boccale. Sentiva un brivido gelido scendergli lungo la spina dorsale ma si impose di non farci caso.

Perché il governo americano lo sa?
“Vedo che siete ben informati su di me.”
“Tutto quel che c’è da sapere.” Rispose con una scrolla di spalle che reputò odiosa. “Siamo stati noi a dare le informazioni al DALM e al tuo padrino, sulla Thule, su John Doe e su di te. Siamo la fonte primaria, per così dire.”

“Quindi ne sapete di più…”
“Se così si può dire…” Convenne nuovamente, dando un’altra boccata alla pipa. “Se sono qui per parlarti, è perché tuo padre non ha smesso di volerti accanto a sé.”
“Ci ha già provato, con John Doe. Non funzionerà mai. Il mio posto è qui… e lui non è mio padre. Ne ho già uno.” Si scollò dal palato, guardandolo fisso. “Quindi non vedo l’utilità di dirmi queste cose, che peraltro potevo intuire da solo.”
“Perché l’uomo che ti ha rapito era solo una pedina. Un cavallo, se vogliamo fare paralleli con il gioco degli scacchi.” Spiegò espirando una boccata di fumo che si mischiò alla condensa umida. “Tutto ciò che è successo può ripetersi…” Si sbottonò il giubbotto sportivo, frugando dentro una tasca interna da cui tirò fuori un plico di foto tenute assieme da una graffetta decisamente babbana. Gliele passò senza una parola di commento, ma a Tom bastò guardarlo negli occhi per capire che attendeva la sua reazione.

Le prese. La prima bastò a gelargli il sangue nelle vene. Era un particolare di qualcosa, forse di un tendaggio o un arazzo. Ma quello che davvero interessava era lo stemma raffigurato. Quattro bracci uncinati che reggevano un gladio rudimentale.
Lo stemma della Thule.
“Lo riconosci?”
“L’ho già visto.” Confermò. “È lo stemma di quella… setta.”
“Già. Cosa sai della Thule?”
“Non molto.” Dovette ammettere. Doe da quel punto di vista era stato piuttosto fumoso.

“Vedi… La Società Thule è un associazione segreta, nata poco prima della seconda guerra mondiale, e almeno inizialmente aveva adepti sia babbani che maghi…”
“… I purosangue tolleravano la presenza di babbani?”
“Li usavano.” Fece una breve pausa, poi riprese a parlare, mentre Tom guardava le altre foto. Erano sgranate, fatte forse di sfuggita o rappresentavano luoghi ormai vuoti di indizi e di persone. Non molto. “Vedi… tuo padre non è stato il fondatore. Non era ancora nato quando la Thule mise radici in Europa. Ed era… diversa da quella che conosciamo adesso. Inizialmente era stata creata perché maghi purosangue condividessero la loro magia con i babbani per la creazione di un mondo migliore. I babbani dal canto loro potevano offrire la scienza, la tecnologia. Uno scambio equo …”
Tom fece una smorfia ironica. “Uno scambio equivalente…”
“Si può dire così.”
“E questo mondo migliore avrebbe dovuto essere epurato da chi non rispondeva ai loro criteri…”
Scott annuì, guardandolo con un sorriso. “Davvero ammirevole…”
“Il partito nazista predicava le stesse cose. Cercava di epurare l’Europa in favore di una razza superiore. Il mito del superuomo di Nietzsche. Il superuomo ariano. Sono tutte teorie che si leggono su libri babbani, andavano piuttosto di moda all’epoca. Si legga un libri di storia…” Non potè fare a meno di ironizzare, perché sentiva un peso nello stomaco e un’urgente voglia di andarsene, mentre la burrobirra ormai era sgradevolmente fredda tra le sue dita.

L’uomo invece sembrò credere di aver istaurato una sorta di contatto con lui, perché ridacchiò, credendola una battuta. “Ascolta… la prima Thule non riuscì mai a concludere niente,  e fu formalmente sciolta nel 1925. In seguito Adolf Hitler salì al potere e le società occulte vennero bandite dalla Germania. I maghi adepti furono costretti a nascondersi, persino a fuggire in altri paesi per non essere uccisi dai babbani, gli stessi babbani che avevano collaborato con loro e che adesso indossavano la divisa nazista. Molti di loro morirono durante la guerra, altri andarono ad ingrossare le fila di Grindenwald pochi anni più tardi.”
“Poi cosa successe?”
Per quanto cercasse di trovare un modo per andarsene, quello gli interessava. Si tratta pur sempre di sapere contro cosa avrebbe dovuto combattere un giorno. Perché quel giorno sarebbe arrivato, Tom non si illudeva.
“Venne tuo padre.” L’uomo si appoggiò al muro della taverna, con un sospiro. “Quando riformò la Thule, Alberich Von Hohenheim era un giovane mago, pieno di idee e assetato di conoscenza… Studente brillante a Durmstrang, il migliore dei suoi corsi, il più versato nelle Arti Oscure. Proveniva inoltre da una famiglia purosangue della nobiltà tedesca. Aveva i mezzi finanziari per portare l’Organizzazione agli antichi fasti. La Germania era in pace da molto tempo ormai, e non fu difficile per lui ricondurre i maghi scampati alle due guerre sotto il suo comando. Si può dire molte cose di tuo padre… ma non che non avesse e abbia tutt’ora un carisma eccezionale.”
Tom non disse nulla. La foto che stava guardando in quel momento era l’ennesimo fotogramma sfuocato. Ma poteva vedere attraverso le pieghe del mantello dell’uomo ritratto. La barba corta, i lineamenti sottili e sfuggenti.

Quello era suo padre, come lo aveva visto nei ricordi che gli aveva mostrato Doe.
“Cosa fa precisamente la Thule?” Si sentiva il palato asciutto come se avesse ingoiato sabbia, ed era buffo perché aveva praticamente ogni singolo epitelio zuppo di umidità.  
“La Thule è una società segreta che ricerca potere e conoscenza. Si muove tra le branche della magia più oscura… molti dei suoi adepti sono alchimisti, uomini di scienza. Ma tra di loro ci sono anche maghi come il Camaleonte…” Alla sua faccia perplessa, si apprestò a spiegare. “John Doe. La sua capacità di mutare aspetto non era dovuta alla metamorfomagia, ma era frutto degli studi della Thule.”
“Mi sta dicendo che era una cavia per esperimenti magici?”
“Precisamente.” Convenne con una smorfia disgustata. Quella Tom la comprese e la sposò. Chiunque si prestasse ad usare il proprio corpo come un banco di prova era un folle. “E non è il solo. L’organizzazione si divide in uomini di scienza e uomini come John Doe, che offrono il proprio corpo e il proprio sangue. Purtroppo di molti di loro non conosciamo neppure nomi e volti. Agiscono in tutto il Mondo Magico, trafugando incantesimi e manufatti magici di grande potere…”

“Come i Doni…”
“I Doni della Morte sono solo una delle tante cose di cui desiderano impadronirsi. Ma sono solo mezzi per loro. L’obbiettivo su cui si fonda la Thule è di spingersi oltre i confini della magia.”
“…  Come riportare in vita i morti?” Sentiva il cuore pompargli furiosamente nel petto, ma le ossa erano gelate. Non era la prima volta che sentiva quel discorso, e sé sapeva esattamente lo scopo per cui era nato.

“Sì.”
C’erano delle cose a cui ci si poteva abituare ascoltandole più volte: non era quello il caso.
“Capisco.” Mormorò. “È per questo che mi vuole, suppongo. Perché sono uno dei suoi esperimenti.”
“Non è così semplice…” Lo vide esitare, poi l’agente gli mise una mano sulla spalla. “Il fatto di avere l’anima di uno dei maghi oscuri più potenti della storia ti rende… speciale.”
Speciale…
In quel caso ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Ma se non lo fossi, non sarei neppure nato.
“Sono stato… creato…” Non si sarebbe mai abituato a quella parola rivoltante. “…per potermi battere con Harry, per rubargli il possesso dei Doni. Così mi ha detto John Doe.” Lo guardò in viso: l’americano aveva abbandonato quella falsa espressione amichevole e sembrava teso. “… Ma non è solo questo, giusto?”
Avrebbe tanto voluto che una voragine inghiottisse quel maledetto foriere di angoscia. Ma ovviamente non sarebbe mai accaduto. Quindi pretendeva il resto.

 
****
 
Al si era accorto che Tom era sparito. Non che ci volesse un genio: anche se il locale era stracolmo, come ogni sera di fine settimana, non era difficile notare un ragazzo allampanato, imbronciato e straordinariamente ben attento a tenere a distanza chiunque.
E poi al bancone non c’era. C’era Nott invece, che si era accomiatato alla fine dei brindisi per andare a flirtare spudoratamente con una delle cameriere.
Forse sa dove si è cacciato quello scemo…
Approfittandosi del fatto che nessuno lo stava guardando, si alzò dal tavolo e raggiunse l’amico al bancone.
“Ehi… hai visto Tom?”
“Mmh?” Il ragazzo distolse gli occhi bicolore dalla prosperosa scollatura della ragazza. “Oh, Marian, ti presento il mio caro amico Albus Severus!”

“Come Silente? Wow, i tuoi genitori devono averlo ammirato tanto  per darti un nome così assurdo! Non è assurdo? È così buffo!”” Cinguettò la ragazza ilare. “E Severus invece per cosa sta?”
“Piton. Severus Piton. Ma preferisco mi si chiami Al.” Tagliò corto, fulminando con un’occhiataccia un ghignante Loki. “Allora, l’hai visto?”
“È uscito una decina di minuti fa con un tipo belloccio…” Alla sua espressione, scoppiò a ridere. “… che poteva essere suo padre! Su, non essere geloso di ogni singola persona che gli si avvicina!”

“Sei un coglione.” Borbottò sentendosi infastidito e confuso. Perché diavolo Tom doveva essere uscito con un mago adulto? “Sai chi era?”
“Nessuna idea. Perché non glielo chiedi? Probabilmente non si sono allontanati tanto, con questo tempaccio…”
“Sì, grazie… Piacere di averti conosciuto.” Fece un sorriso di commiato a Marian, e fu quasi certo di sentirla chiedere a Loki se aveva la ragazza non appena si fu allontanato. L’espressione contrariata dell’amico fu impagabile, e suo malgrado fece un sorrisetto.

Ben ti sta.
Spinse la porta di legno della locanda, che si richiuse alle sue spalle non appena fu fuori. Rabbrividì, stringendosi le braccia al petto quando ricordò che forse avrebbe dovuto indossare il mantello, invece di restarsene in felpa.
Ma non mi andava di tornare al tavolo e beccarmi il terzo grado …
Sentì un odore dolciastro, di tabacco, che non aveva mai sentito prima e poi delle voci. Loki aveva detto giusto: Tom e il suo misterioso interlocutore erano sotto la tettoia, nel retro della locanda.
Forse non era corretto, ma Al aspettò prima di palesarsi. Si avvicinò invece, certo di non essere visto con quel buio. Gli pioveva addosso, ma poteva sopportarlo per qualche minuto.
Aveva la netta impressione che il suo ragazzo e l’uomo stessero discutendo di qualcosa di importante.
 
“… Ma non è solo questo, giusto?”
“No, Thomas. Abbiamo ragione di credere che tuo padre si muoverà presto.”
“Cosa ve lo fa credere?”
“Abbiamo i nostri informatori. Certo, la Thule è un organizzazione che prevede fedeltà assoluta e punizioni terribili per chi sgarra… ma si trova sempre qualcuno disposto a parlare, con i giusti mezzi.”
“Soldi, suppongo.”
“Sei proprio un ragazzo sveglio, eh?”

 
Albus sentì un brivido gelido scuoterlo tutto, e non era solo perché ormai aveva la camicia inzuppata.
Chi era quel tipo?  
Si sentì battere la spalla con un dito. Sussultò, quando si trovò alle spalle Loki, che lo guardava dal cappuccio tirato del mantello. Si vedeva solo il ghigno.
Inquietante.
“Che ci fai qui?” Sussurrò perplesso.
“Credi che ti lasci solo in questa notte buia e tempestosa? Hai ben poca stima di me, dolce Albie…”
“Di’ piuttosto che sei un maledetto pettegolo.”
Loki gli arruffò i capelli, con una conseguente pacchetta sulla testa. “Beh, mi conosci.”

 
“Pensate che attaccherà durante il Tremaghi?”
“Pensare è qualcosa che non ci possiamo permettere di fare in modo avventato. Anche se il Torneo rappresenta una protezione in realtà…”
“Protezione? È una manifestazione pubblica. Almeno, durante le tre prove…”
“Il sistema di sorveglianza che è stato organizzato renderà più difficile per la Thule avvicinarti. Chiunque sia sospetto verrà fermato.” Una pausa. “In un certo senso questa manifestazione può essere considerata un bene per te.”

“E se fossero all’interno?”
“Nelle delegazioni?”
“Perché no?”


L’uomo rimase in silenzio. Sembrava riflettere, ma dall’espressione irritata di Tom, anche Al capì che stava fingendo.
Loki gli si schiacciò quasi addosso, allungando il collo.
“Quel tipo… chi è?”
“Non ne ho idea!” Si mosse per scrollarselo di dosso. “Scendi dalla mia schiena, mi fai male!”
“È americano, dall’accento perlomeno…” Lo ignorò platealmente. “Che vuole uno yankee da Dursley?”

 
“È una teoria interessante…”
“Il vostro Governo dice di essermi amico. Eppure mi sembra che vi state comportando esattamente come il Ministero britannico. Mi state nascondendo delle cose.”
“Thomas… come ti ho già detto per noi sei molto prezioso. Non ti sto nascondendo niente, ti ho detto tutto quello che so.”
“Perché?”
“Perché ci preoccupiamo del tuo futuro… e a proposito di questo. Hai mai pensato a cosa farai dopo aver preso il diploma?”

Tom sembrò sinceramente sconcertato, ed entrò immediatamente in modalità difensiva. “Non credo che questi siano affari del Ministero americano.”
“E invece potrebbero.”

 
Al vide la confusione negli occhi di Tom. Lui però aveva già capito. Se quel tipo era un funzionario americano, allora era lì in veste ufficiale e probabilmente gli stava dando delle informazioni sull’associazione di quel pazzo di suo padre… in cambio di qualcosa.
Cosa vogliono da lui?
 
“Non hai mai pensato di continuare gli studi?”
“Una scuola preparatoria come l’Accademia Auror o l’Istituto di Medimagia?” Fece una smorfia. “Non i miei campi.”
L’uomo sorrise con aria comprensiva. “Naturalmente. Vedi Thomas… in America viene data la possibilità di approfondire i propri campi di interesse. Il nostro Governo finanzia e aiuta la ricerca in ogni campo della magia.”

“Non mi sembra che il Ministero britannico lo impedisca…”
“No, è vero, ma per fare ricerche alchemiche serve un permesso speciale dal Ministro stesso. Questo solo per farti un esempio. Devi stare alle loro regole. Lavorare nei loro laboratori, riportare tutto ad un’autorità superiore. Ma sicuramente queste cose le saprai meglio di me…”
“E in America non è così?”

“No. Abbiamo molta più considerazione per i giovani maghi di talento.”
 
Albus conosceva abbastanza bene l’altro per sapere che quell’americano stava spingendo tutti i tasti giusti. Lo stava lusingando – e Merlino solo sapeva quanto Tom fosse sensibile alle lusinghe sulla sua intelligenza – e al tempo stesso mostrava di capire i suoi desideri, ben lontani da una scrivania polverosa al Ministero.
A lui interessa scoprire, non applicare quanto già fatto…
E quel tizio lo sapeva, e lo voleva…
Lo vuole portare via?
Tom sembrava infastidito, ma aveva una scintilla di interesse che gli si agitava nello sguardo.
Albus represse la voglia di uscire fuori, afferrare la bacchetta che non si era portato dietro, e schiantare quel viscido mago yankee.
 
L’uomo a quel punto gli mise una mano sulla spalla. Tom non si ritirò.   
“Così è come lavoriamo. E ti proteggeremo da Hohenheim, inoltre. Cosa che non credo sappiano fare tanto bene qui…”

Quello era decisamente suonare la nota sbagliata.

“Oh, pessima giocata…” Mormorò Loki al suo orecchio, sembrando sempre più un’inquietante afflato della sua coscienza.
Videro Tom irrigidirsi bruscamente, e raddrizzare la schiena; poteva criticare il Ministero un po’ troppo spesso con la compiacenza di Hermione , ma Thomas Dursley era maledettamente fiero di appartenere alla comunità magica britannica.

E soprattutto quel tizio aveva appena insultato nientemeno che zio Harry.
Albus sorrise.
 
“Quello che è successo è avvenuto per causa mia, non certo perché qualcuno mi ha spinto tra le braccia di John Doe.”
“No, quello che stavo cercando di dire…” L’uomo dimostrò di aver capito di aver commesso un passo falso, perché tentò di rimediare. “Non intendevo…”
“Invece intendeva.” Serrò la mascella. “Devo andare. Grazie per l’illuminante chiacchierata.”

Thomas!” L’uomo lo afferrò di scatto per un braccio. “Ti prego, ascolta quel che sto cercando di dirti. Qui non sei al sicuro!”
“E con voi lo sarei?” Tom si ritirò con uno strattone piuttosto secco. “Perché dubito. Forse finirei addirittura dal calderone al fuoco.” All’espressione attonita dell’uomo, fece un sorrisetto amaro. “Crede che io sia uno stupido? Anche voi mi volete, forse persino per gli stessi motivi di mio padre. Perlomeno qui sono un semplice studente.”
“… Ed è ciò che vuoi?”
“Esattamente.” Fu la risposta. “A quanto pare non sapete tutto di me.”

“Razza di sciocco ragazzino!” Sbottò esasperato l’uomo. “Se solo venissi con me…”
 
… e a quel punto Al si ritenne obbligato a mostrarsi; del resto aveva una gran voglia di prendere a calci, anche con metodi babbani, quel tipo.
“Perché non lo lascia in pace?” Esordì, mentre i due si voltavano sorpresi verso di lui. “Tom non vuole venire con lei, il suo posto è qui!”
Loki spuntò alle sue spalle, in un anomalo anelito cameratesco. “Appoggio tutto ciò che ha detto il pivello dall’indole teatrale.” Si premurò di dire, battendogli una pacca sulla spalla.

Tom li guardò tra l’infastidito e l’imbarazzato, come sempre faceva quando qualcuno si comportava in modo supportivo con lui. “Da quanto siete qui?”
“Ad origliare? Oh, da un bel po’!” Esclamò Loki, incurante di conseguenti occhiate lincianti da parte degli altri due serpeverde. “E mi sa che la conversazione che abbiamo ascoltato viola parecchie norme dello Statuto di Cooperazione Internazionale tra Maghi.”
L’americano assunse un’aria indignata, ma si guardò bruscamente attorno, quasi temesse di veder spuntare auror del Ministero dai vicoli circostanti.

“Sono solo state due chiacchiere tra maghi maggiorenni…”
“Ce l’ha un permesso di permanenza al di fuori dell’area metropolitana di Londra? So che deve averlo ogni mago straniero…” Lo incalzò Loki, che sembrava divertirsi un mondo. “Perché nel caso gliene potrei procurare uno, se non ce l’ha…” Aggiunse, scollandosi con attenzione le parole dal palato, quasi se le stesse gustando. “Faccio buoni prezzi.”

Albus sentì un oceano sconfinato di affetto per Nott in quel preciso istante.  
L’agente a quel punto non fece nulla per mascherare il suo nervosismo. Prese la bacchetta e lanciò un’occhiata al suo precedente interlocutore. “Avremo di nuovo modo di parlare spero.” Disse, cercando di non far sembrare tutto quello un preludio ad una fuga. “Considera ciò che ti ho detto Tom, per favore.”
Questo non disse nulla, e aspettò che l’uomo si fosse smaterializzato con uno schiocco secco, per guardarli.

Male, ovviamente.
“Perché diavolo stavate origliando?”
“Io non stavo origliando!” Si difese immediatamente Albus, sentendo che la voglia di prendere a calci qualcuno aveva cambiato target. “Sei sparito e sono venuto a cercarti!”

“Stavo solo…” Abbassò lo sguardo sulla burrobirra, ormai fredda e imbevibile. “… pensavo di metterci meno tempo.”
Al sentì solo vagamente la presenza di Loki scomparire così come era venuta. Davvero, quel ragazzo aveva un futuro come istruttore di Materializzazione.

O come ladro…
Era comunque troppo arrabbiato per preoccuparsi di Nott e delle sue capacità. “Io…” La collera gli era così montata addosso che non sapeva neanche cosa dirgli. “Che cavolo era quello?”
“Quello cosa?”
“Il discorso, tu che te ne sparisci, forse? Stai… stai facendo di nuovo qualcosa di stupido?” Sbottò desiderando avere la sua bacchetta sia per asciugarsi dalla pioggia sia per schiantare l’idiota.

Tom a quel punto sembrò capire, perché appoggiò il boccale alla scaletta di servizio. “Non hai proprio fiducia in me, vedo…” Osservò con un sospiro. “Non sto facendo niente di stupido.”
Albus non cadde nella trappola, anche se sentì una minuscola fitta di senso di colpa.
“Non ci provare. Spiegami.”
Tom non rispose subito, estrasse piuttosto la bacchetta da una tasca interna del cappotto: Al si sentì immediatamente investire da una corrente tiepida, e subito i suoi vestiti furono di nuovo asciutti.
Mmh, adoro gli incantesimi riscaldanti.
“Grazie…” Non riuscì a non sorridergli.
Tom contraccambiò appena, ed era uno di quei suoi sorrisi sottili e sinceri. “Ti dirò tutto.” Disse “Vado dentro, pago e torniamo al castello.”
“E gli altri?”
“Dirò che devi finire delle cose, come Caposcuola. Capiranno…” Fece un ghignetto. “O fraintenderanno, il che va bene comunque suppongo.”

 
****
 
Sapeva che non sarebbe dovuto scendere fino al laboratorio di papà.
Lo sapeva bene, ma l’aveva fatto comunque perché aveva sentito tanti rumori.
Non si erano mai sentiti rumori dal laboratorio di suo padre. Ma adesso sentiva delle voci, qualcuno gridare.
C’erano degli ordini precisi, anche per quello, certo: papà non voleva che lui scendesse nel laboratorio dove faceva importanti esperimenti per Lo Zio.
Aveva sceso i gradini, cercando di far meno rumore possibile; era bravo in quello, riusciva sempre a sorprendere la balia.
Quel giorno era stato un giorno buono. Il suo maestro di Duello gli aveva fatto i complimenti, e lui voleva dirlo a papà. Sapeva che Lo Zio probabilmente ne era già a conoscenza.
Ma forse papà no, e avrebbe potuto dirglielo e magari farsi dare una di quelle carezze secche e tanto rare.
Forse avrebbe potuto capire cosa stesse succedendo.
Si era affacciato al corrimano. Le scale erano in legno, ma era diventate scurissime per colpa dei fumi delle pozioni che avevano ormai corroso anche la carta da parati.
Suo padre era in mezzo al laboratorio, che era grande, immenso ai suoi occhi di seienne.
C’erano altre persone, e qualcosa non stava andando, davvero.
Si agitavano tutte, e c’era molto fumo. Molto più fumo del solito, e un odore acre, bruciante, che gli aveva fatto lacrimare gli occhi. Dei lampi violetti squarciavano quella nebbia leggera.
Aveva avuto paura perché aveva capito che stava per succedere qualcosa di brutto. 
Aveva chiamato papà, pianissimo, provandoci. Lui l’aveva sentito e aveva alzato la testa.
L’aveva visto sgranare gli occhi e aveva capito che anche un papà poteva provare paura.
 
“Sören, vattene da qui!”
 
E poi c’era stato il lampo.
Aveva provato a chiudere gli occhi, ma non era servito a molto. Aveva sentito un rumore fortissimo, come centinaia, migliaia di tuoni.
E poi c’era stato solo bianco accecante.
 
Si era risvegliato in camera sua. Aveva la nausea e un dolore sordo al lato della testa. C’era un odore intenso attorno a lui, di unguento: lo conosceva bene, dopo le lezioni di Duello doveva sempre applicarsi una pomata per le bruciature con quell’esatto odore. Aveva delle garze sulle braccia e sulle mani.
Non ricordava di essersi ferito.
Non ricordava, ma c’era lo Zio al suo capezzale. Gli stava dando le spalle, ma quando l’aveva sentito muoversi si era voltato.
“Sören, ti sei svegliato finalmente. Come ti senti?”
Il tono di voce era gentile, così gentile che si era sentito in dovere di rispondere che stava bene.
“Questo mi fa piacere.”
Suo Zio era bianco accecante, come il lampo del laboratorio di suo padre. O forse era lui che non riusciva ancora a tollerare bene la luce del sole che esplodeva dalle finestre.
“… Cosa è successo zio?”
“Devo darti una notizia molto triste. Tuo padre non c’è più.”
L’aveva già capito. Si era anche chiesto come ci si dovesse comportare in quelle circostanze: l’istitutrice non gli aveva mai spiegato cosa fosse appropriato fare e cosa no.

Era sicuro comunque che fosse sbagliato piangere. Quindi non l’aveva fatto, anche se ne aveva voglia.
“Nel laboratorio?” Aveva chiesto soltanto.
“È così.” Gli era stato confermato. “Ma sappi che la sua morte non è stata inutile.”
Lo Zio gli aveva messo una mano sulla spalla: era la prima volta che lo toccava, e Sören seppe quindi che stava agendo nel modo giusto.
“Il lavoro di tuo padre, il suo sacrificio, hanno permesso alla Thule di fare un altro passo avanti verso la conoscenza.” Gli aveva detto stringendo appena la presa. “Devi esserne fiero.”
“Lo sono.” Aveva detto compito, e fu felice di constatare che non aveva affatto la voce di chi stava per piangere. Anche lo Zio sembrò soddisfatto della risposta.

“Non ti punirò per essere andato dove non dovevi…” Gli aveva sorriso. “Non per stavolta. Ma dimmi, Sören… ti reputi un bambino obbediente?”
Sören sapeva che per come avrebbe risposto ci sarebbero state conseguenze. C’erano sempre, quello gli era stato insegnato non appena era stato in grado di capire.

“Posso migliorare, zio.” Aveva quindi mormorato. “Voglio farlo. Hai la mia parola.”
Suo Zio aveva sorriso di nuovo, sfiorandogli la fronte in una carezza. Non assomigliavano a quelle di suo padre, ma sapeva che presto le avrebbe dimenticate. Già gli sembrava di non ricordarle più.
Era triste.
“Sei un bravo bambino, Sören. Vorresti far sì che la morte di tuo padre non sia stata vana, non è vero?”
“Sì.” Di questo era sicuro. Lui era l’ultimo dei Prince, suo padre gli aveva dato l’anello che veniva ereditato per via maschile da generazioni.

Suo padre che non sorrideva mai e le poche volte che gli aveva parlato, senza la presenza del resto della famiglia, l’aveva fatto in quella lingua dolce e schioccante che era del suo paese.
 “Che devo fare, zio?”
“Presto, Sören. Presto lo saprai.”

 
Cambio di scena.
Buio, buio ovunque. Un buio appiccicoso, di quelli che ti soffocano e sembrano entrarti dentro gli occhi, accecandoti.
Il tavolo era freddo contro la sua schiena. Tavolo, poi. Una lastra di marmo, che sarebbe stata di un bianco accecante se non fosse stato così…
“Non sei un bambino obbediente, Sören?”
Buio.
 
 
Vascello di Durmstrang.
Sottocoperta, cabine dei passeggeri.
 
“… gliati! Ehi, per Faust, cosa c’è che non va in te?”
Si sentì strattonato bruscamente per un braccio. Sentiva la presa bruciargli come quella cosa.

Era ancora lì, dentro al buio?
L’urlo di dolore gli morì sulle labbra, perché era ancora quel bravo bambino, mentre si liberava dalla presa dell’aggressore e al contempo, con la mano libera, sfilava la bacchetta da sotto il cuscino per puntargliela nel punto più tenero della gola.
“Sören!” Sibilò quello, soffocato. “Sono io, svegliati! Sono Kirill!”
Tornò immediatamente in sé, e mise a fuoco la realtà.
Era nella sua cuccetta, sul vascello di Durmstrang. Aveva di nuovo diciassette anni.
Sö…ren!
Vide anche che stava tenendo sotto tiro Poliakoff, che già esibiva una preoccupante tinta ciano: gli stava spingendo così tanto la bacchetta contro la gola da bloccargli la respirazione.
Lo liberò, e mentre l’altro si tirava bruscamente indietro, inciampando quasi nei suoi stessi piedi, ebbe modo di potersi tirare a sedere, sentire il ruvido cotone delle lenzuola sotto i piedi e rendersi conto che era solo un incubo.
“Per tutti gli inferni brulicanti… Sono sempre così i tuoi incubi?” Balbettò il ragazzo, toccandosi la gola con una smorfia sofferente. “Mi hai quasi ammazzato! Stavo solo tentando di svegliarti!”
“Mi hai toccato, è stata quella la mossa sbagliata…” Replicò passandosi una mano trai capelli. Era sudato, e la camicia da notte gli aderiva al torace come un sudario. “Non è una buona idea farlo quando dormo.”
“Beh, ora lo so…” Borbottò l’altro, andando all’unico mobiletto che conteneva i loro pochi effetti personali. Prese una bottiglia e riempì il suo calice, porgendoglielo poi.

“No grazie.”
Se era alcool poteva interagire con la pozione soporifera che aveva preso poco prima di andare a letto.
… per quanto ha funzionato, potrei anche scolarmi una bottiglia intera però.
“È vodka incendiaria. Andiamo…” Lo incoraggiò.  “Mi è stato detto che apprezzi la qualità. E questa è la miglior vodka incendiaria che si produca in Russia. Direttamente dal bacino del Don.”
Sören la accettò per inerzia, sorseggiandola. Sentì un piacevole fuoco alcolico riscaldargli le vene e il petto.
Effettivamente è degna di nota.
Lanciò uno sguardo verso l’altro ragazzo, che sorseggiava l’alcolico con la stessa smorfia sofferente di poco prima. Sulla gola spiccava una minuscola bruciatura circolare, segno preciso della punta di una bacchetta.
Perché suo zio non aveva avvertito Poliakoff che era stato addestrato per avere riflessi condizionati potenzialmente mortali per l’altrui persona?
“Ansia per il Torneo?” Spiò il russo, fraintendendo il corso dei suoi pensieri. “Essere il campione deve mettere parecchia pressione addosso, eh?”
Sören non rispose, preferendo indossare un paio di pantaloni e buttarsi il mantello sulle spalle.

Non poteva restare lì: sentiva come se le pareti di quella cabina claustrofobica gli si stringessero addosso, soffocandolo.
“Ehi, dove vai?”
“Sopracoperta.” Tagliò corto allacciandosi gli alamari. “Tu cerca di dormire. E la prossima volta, non avvicinarti. Lo dico per te.” Non gli lasciò tempo per ribattere, si tirò la porta dietro.

Solo quando fu fuori, solo quando sentì la brezza gelida di un autunno incombente poté finalmente respirare a pieni polmoni.
Hogwarts era di fronte a lui, e vederla, per quanto fosse strano e incomprensibile, allentò un po’ la morsa che gli stringeva lo stomaco come un serpente velenoso.
Non credeva che un altro castello scozzese gli avrebbe fatto lo stesso effetto: era la magia che Hogwarts emanava, soffiandola come un gentile gigante addormentato, a calmare il suo spirito.
Poggiò le mani sul parapetto: Grifondoro doveva essere nella torre che si ergeva poco discosta dalla Foresta Proibita.
Da lì ne aveva una visuale perfetta: era ancora accesa di piccoli fori pieni di luce. Poteva quasi immaginare Lily Potter nella sua stanza, nel suo letto, a dormire quel sonno a cui sono gli innocenti potevano aspirare.
Lui invece era nel buio. E avrebbe rubato quella luce.
 
****
 
Hogwarts, Dormitori di Serpeverde.
Stanza del Caposcuola.
 
“Mi stai dicendo che tuo padre è qui?”
Tom scosse la testa: spiegarsi non era sempre facilissimo, e Albus era entrato in allarme non appena aveva capito l’esatta portata delle affermazioni dell’agente Scott.

Non che non capisse. Si sentiva inquieto anche lui.
“Dobbiamo dirlo a mio padre!” Esclamò, saltando quasi giù dal letto. Tom lo acchiappò per un braccio, tirandolo di nuovo seduto.
“No.” Lo fermò. “Non ha senso allarmarlo per qualcosa che è solo una supposizione…”
“Come fai a sapere che è solo…?”
“Perché era ovvio che Scott volesse spaventarmi per farmi chiedere la protezione del Ministero americano. Le sue minacce erano troppo generiche per essere concrete.” Spiegò con calma surreale. Poteva farlo, in effetti, solo perché erano seduti nel letto della stanza privata di Albus. Perché le protezioni magiche del Dormitorio di Serpeverde sfioravano la paranoia da secoli.

Grazie a Salazar, il mago più razzista e alienato della storia della Gran Bretagna.
Al si sedette meglio, incrociando le gambe. “Sì, ma…” Si mordicchiò un labbro incerto. “Credo che comunque dovremmo dirlo a papà.”
“Zio Harry sa già che rischio ogni volta che metto il naso fuori dalla scuola. Sinceramente, non penso che nessuno si sia illuso sul fatto che mio padre si sia rassegnato e si prepari a trascorrere la vita lontano da me…” Appena finì di dirlo, vide che qualcuno invece c’era.

Al.
Il quale distolse lo sguardo, aggrottando le sopracciglia. “Sì, naturale.” Mentì in modo piuttosto rilevatore, alzandosi dal letto e cominciando a camminare davanti al camino, con le mani così sprofondate nelle tasche da quasi volerle sfondare. “Allora dobbiamo tenere gli occhi aperti, giusto?” Borbottò in quel tono febbrile che preludeva sempre un monologo a flusso ininterrotto. “Gli scagnozzi di tuo padre potrebbero essere ovunque, anche tra lo staff che hanno assunto per occuparsi delle prove, quelli arriveranno nelle prossime settimane però…”
“Al…”
“Oppure nelle delegazioni!”

“Albus…”
“… e ci saranno un sacco di spettatori esterni!”
A quel punto Tom si sentì in dovere di fermarlo prima che pianificasse turni di sorveglianza presso il suo capezzale. Lo raggiunse e lo prese per le spalle.

“Falla finita. Non sei la mia balia.” Tagliò corto, forse un po’ bruscamente. Una parte di lui non avrebbe voluto dirgli dell’incontro con l’americano. O minimizzarne perlomeno le affermazioni. Ma non poteva: nascondergli le cose avrebbe solo peggiorato la situazione. Quello lo aveva imparato a sue spese.   
“Cosa c’entra … Sono preoccupato per te.” Borbottò Al, continuando a guardare tutto fuorché lui.  
“Sì, ma sei un caposcuola, non la mia guardia del corpo. Per inciso, non saresti neanche credibile…” Cercò di scherzare. Fece scivolare le dita fino al suo viso, premendogliele sulle guance. Erano bollenti. Forse per il fuoco nel camino, ma dubitava.
“Al, guardami. La mia faccia non è sulle pareti.”
“Io…” Iniziò l’altro con la voce pericolosamente tremolante. Si sentiva che ce la stava mettendo tutta perché non si rompesse. Lo sentì ispirare bruscamente, poi finalmente lo guardò. Non piangeva, né aveva gli occhi lucidi, ma l’espressione era piuttosto indicativa. “… ho paura Tom.” Buttò fuori alla fine, piano.
“Anch’io.” Lo ammise solo perché l’aveva fatto anche l’altro. Non che non ci avesse pensato per tutto il maledetto tempo in cui aveva parlato con Ethan Scott. “Ma non posso certo seppellirmi nei sotterranei per questo.”
“No, certo… Devi anche fare il secchione.” Cercò di sdrammatizzare Al, capendo al volo. “Devi pur sempre recuperare il primato di Tom Oltre Ogni Previsione.”
“Esattamente.” Fece una pausa, poi aggiunse. “Domani scriverò un Gufo a zio Harry comunque. Non ho voglia di trovarmi di nuovo quell’americano trai piedi.”

“Pensi che papà possa farci qualcosa?”
“L’ho già incontrato una volta, Scott.” Gli spiegò mentre lasciava scivolare le mani per passargliele sui fianchi e stringerlo. Il contatto fisico era qualcosa che solitamente voleva a piccole dosi. Con Al non gli bastava mai.

Una droga senza effetti collaterali.
“Quando?”
“Dopo il processo si è presentato dicendo che aveva svolto le indagini per il mio ritrovamento assieme a zio Harry e ai Tiratori Scelti. Tuo padre quando ha visto che voleva parlarmi è andato su tutte le furie… sembrava volesse quasi prenderlo a pugni. Sicuramente se c’è qualcuno che può dissuaderlo, quello è lui.” Fece un ghignetto, mentre Al tratteneva una risatina.

“Questi grifondoro…” Commentò di rimando. “Si agitano sempre troppo.”
“No, credo piuttosto sia una caratteristica dei Potter.” Lo prese in giro tirandogli una ciocca di capelli; stavano diventando lunghi, poco sotto le orecchie, e esponenzialmente sempre più arruffati.

Ovviamente gli donavano.
Albus sbuffò, liberandosi dal suo abbraccio per tornare a letto. “Io non mi agito… Mi preoccupo, è diverso.” Si liberò della felpa con un brivido infastidito. “Fa freddo qui o sono io?”
Tu. Dovresti metterti a letto, dopo tutta la pioggia che ti sei preso per spiarmi. Agitandoti.
“Va al diavolo…” Brontolò di rimando, scivolando comunque tra le coperte, obbediente. I pantaloni fecero una fine ben misera, calciati fuori dal letto e lasciati a morire sul tappeto.

Tom si ritrovò naturalmente a piegargli i vestiti, raccogliendoli in giro per la stanza.
Non so se sia un disordine ossessivo - compulsivo il mio, ma credo passerò metà della mia vita a ordinare il suo caos.
Albus spuntò dalle coperte, osservandolo il silenzio. Tirò su con il naso un paio di volte, sottolineando che la tesi di un infreddatura stesse diventando realtà.
“Farti un incantesimo impervius sui vestiti immagino non fosse contemplato. O anche semplicemente prendere il mantello.”
“Non ci ho pensato. Non ho il raffreddore.” Stimò con certezza assoluta che terminò con uno starnuto infastidito. “È la polvere.”
“Infatti gli elfi domestici sono noti per fare lavori approssimativi e pretendere comunque di essere pagati.”

“Ho solo freddo.” Fu la nuova e piccata tesi. “Hai intenzione di star lì a criticare o dormire qui anche stanotte?”
Avendo paura che Zabini mi accoltelli nel sonno, resto qui.
Ma non lo disse, perché per Al l’argomento Michel era territorio minato. E non aveva voglia di imbastire una discussione o intristirlo in quel momento. Già il morale non era altissimo.
Si spogliò, ordinatamente lui, e senza indossare il pigiama – tanto Albus faceva di tutto per farglielo togliere subito - scivolò sotto le coperte. Un secondo esatto dopo Albus gli si incollò addosso quasi lo ritenesse una versione umanoide di un termosifone babbano.
Sta migliorando il suo record di velocità…
Gli passò una mano sulla schiena, bollente anche quella. Avendo le mani fredde lo sentì rabbrividire. Si premurò di scusarsi dandogli un bacio all’attaccatura del collo.
“Mno… niente sesso. Sono stanco.” Gli negò mezzo addormentato con una certa dose di crudeltà.
“… va bene.” Promise, chiedendosi perché lo lasciasse sempre prendere il controllo in quei frangenti. “Se hai freddo allora fammi prendere qualche coperta dall’arma-…”
Non riuscì a finire che Al lo strinse in una morsa: tendeva sempre a dimenticarsi che per quanto il compagno fosse un efebuccio, aveva comunque la presa di un boa costrinctor. Forse era il Quidditch, forse era proprio lui.

“No… resta qui.” Biascicò incastrando il viso contro il suo collo e soffiandogli sulla pelle. Tom deglutì e si impose di rimanere buono e soprattutto di tenere le mani a posto. Al gli dava spesso del maniaco sessuale, ma non si accorgeva che razza di tentazione fosse dentro un letto e semi-nudo.
“Ti prendo soltanto una coperta dall’armadio.” Obbiettò ragionevole. “Torno subito.”
“… Non andartene di nuovo.” E capì che Al stava già dormendo, e da un pezzo aveva lasciato la coerenza della veglia. Quello che gli stava chiedendo di non fare non riguardava la sistemazione di una coperta.
Sentì un nodo allo stomaco: Al poteva scherzare su quel che era successo, pretendere ritorsioni e fargliele scontare dandogli l’illusione che fosse di nuovo tutto a posto.
Ma ha ancora paura …
E quel colloquio con l’americano non aveva certo migliorato la situazione.
Gli passò una mano sulla schiena, in un lento movimento gentile che Robin usava sempre con lui, quando era bambino, per tranquillizzarlo dopo un brutto sogno. “Non me ne vado da nessuna parte, Al...”  
E avrebbe fatto di tutto per mantenere quella promessa.
 
 
****
 
 
Note:
 
Fluff alla fine, un po’ angst. Ma ehi, that’s Hogwarts!
1. Qui la canzone.
Poi, un po’ di immagini…
Elezar81 mi ha regalato Il litigio (Rose/Sy) e Friendship. Ammiratele!
Invece per chi mi aveva chiesto che volto avesse Dominique: That’s it! con un ringraziamento in particolare alle ragazze di FB che mi han dato una mano nella scelta.
  
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