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Autore: RoseScorpius    26/11/2010    33 recensioni
Hermione Granger, nonostante i suoi quarant’anni, era ancora una bella donna. E per quanto schifo potesse farmi l’idea di mia madre che si rotolava su un letto con un uomo che non fosse mio padre (bhe, anche con lui… insomma, credo che a tutti i figli farebbe piacere credere alla storia della cicogna), avrei dovuto immaginare che dopo il divorzio non avrebbe preso un voto di castità. A volte capitava addirittura che mi parlasse dei tizi con cui usciva, e generalmente sopportavo l’idea di lei e un altro piuttosto bene, a patto che non portasse nessuno dei suoi ammiratori a casa. Dio, magari li portava comunque, ma come si dice, occhio non vede, cuore non duole. E figlia non s’incazza.
Di una cosa, comunque, ero sempre stata sicura: mia madre non si sarebbe mai risposata.
… E quando mai io avevo avuto ragione su qualcosa?

STORIA IN REVISIONE
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Dominique Weasley, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Hermione, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vita è un biscotto ma se piove si scioglie' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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10.
Perché i modelli di Calvin Klein non dovrebbero esistere… - parte 1

 

 
A volte mi chiedo se gli australopitechi, che comunicavano a rutti e gesti – più o meno come fa James – non stessero meglio di noi, bipedi con il dono della parola (ma non sempre del cervello, a quanto pare). E le poche volte che un pensiero così insensato mi attraversa il cervello (ho la presunzione di averlo, io – e no, non avete il diritto di controbattere), generalmente penso che dovevano per forza stare meglio di noi.
Insomma, in fin dei conti a cosa servono le parole? Discuti per ore intere, e alla fine non concludi mai niente. Vai in Francia, dici che ti piace viaggiare, e quelli pensano che adori lavorare*, e ti sbattono a fare la cameriera in un McDonald. Ti arrabbi con il tuo fratellastro e, invece di tirarli un sano pungo sul naso, gli dici una cosa cattiva, che lo ferisce molto di più.
Perché, infondo, le parole servono più a fare casini, che a risolverli.
 

 

***

 
Oh, no.
Avrei dovuto saperlo che prima o poi mi sarebbe toccato il Discorso. 
« Sai, preferivo che continuassimo a non parlarci. » sbuffai.
« Potremo continuare a non parlarci quando avrò finito il mio discorso. » replicò lei, inflessibile.
Alzai gli occhi al cielo e le rivolsi uno sguardo annoiato. « Mamma, perché devi farlo? Tanto lo sai che comunque continuerò a fare di testa mia. È solo una perdita di tempo e di pazienza per entrambe. »
Patetico tentativo di evitare il Discorso, destinato a non avere successo.
Mamma mi regalò una delle migliori occhiatacce fulminanti del suo repertorio. « Sai che cos’è che è una perdita di tempo e di pazienza, invece? Punirti, ecco cosa. Darti punizioni assurde che tu non rispetterai, e che non ti insegneranno niente, finendo solo per fare la parte della mamma cattiva. Questa è una perdita di tempo e di pazienza. »
Alzai le spalle. « Ok, allora non punirmi. Non sarò certo io a impedirtelo. »
« Sarei ben lieta di non doverti punire » replicò mamma, duramente « se tu ti comportassi da persona civile. »
« Io. » grugnii « Perché invece Draco è un esempio di condotta… »
È incredibile come le persone vedano solo quello che vogliono vedere. Una figlia piantagrane con cui prendersela fa sempre comodo, un fidanzato stronzo, invece, è molto più facile ignorarlo.
Mamma strinse la labbra, con la solita espressione infastidita che assumeva quando qualcuno le segnava un goal. « Stiamo parlando di te, adesso. » feci per ribattere, ma il suo sguardo minaccioso fu sufficiente a farmi cambiare idea « Allora dimmi, se non approvi le punizioni, cosa dovrei fare per farti entrare in testa qualcosa? »
« Prova a infilarmi un bigliettino su per il naso. » proposi « Gli Egiziani riuscivano a sfilarci il cervello con delle pinzette; il processo inverso non dovrebbe essere troppo difficile. »
L’espressione di mamma mi fece pentire amaramente di averlo detto. « Ecco, vedi? » sbottò « È proprio di questo che stavo parlando! Non capisci mai quando è ora di piantarla di fare la bambina, e di comportarti da persona matura. Le punizioni sono per i bambini, Rose, per i bambini stupidi che non sono capaci di capire le cose. E tu le cose non le capisci. »
Oh, sì, certo, io ero Rose, Rose la stupida, Rose, quella che non capiva mai niente, Rose, quella che creava sempre problemi a tutti. Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene, come una sorta di rivoltante pozione in un calderone troppo piccolo per contenerla tutta, e le lacrime rincorrersi dietro alle mie ciglia, spintonandosi per uscire dagli angoli degli occhi.
Era questo quello che pensava mia madre di me: pensava che fossi solo una stupida immatura. Talmente stupida che non valeva nemmeno la pena di spiegarle le cose. Talmente immatura che non valeva nemmeno la pena di ascoltarla.
Mia madre non solo ce l’aveva con me – cosa che, diciamolo, dopo sedici anni non mi faceva più molto effetto – ma mi disprezzava. Pensava che fossi una bambina stupida, che non capissi, che mi lamentassi senza sapere per cosa mi lamentavo. Non faceva nemmeno la fatica di sbattersi due bistecche alla fiorentina sugli occhi per non vedere i difetti dei suoi figli. O forse era solo che i miei difetti erano troppo evidenti.
O forse è lei che vuole vederli.” Suggerì una vocina, in un angolo del mio cervello “Ce l’ha con te perché tu non sei perfetta come lei, perché i tuoi Troll in pagella la fanno vergognare di essere tua madre, perché le note in condotta la fanno pentire di non averti data in adozione, perché il tuo comportamento la mette in imbarazzo davanti al suo nuovo fidanzatino… Magari ti odia sul serio. Magari ti vede solo come un ostacolo tra lei, Draco e la felicità. O magari le ricordi Ron, e per questo vorrebbe liberarsi di te…
Non sapevo da dove mi venissero certi pensieri, ma se ne stavano lì, in mezzo alla mia testa, come lampeggianti lucine di Natale. Con la differenza che le lucine di Natale mettono allegria… almeno, mi mettevano allegria quando passavamo il Natale tutti assieme, io, mamma, papà e Hugo, alla Tana. Mi mettevano allegria quando la mia famiglia era ancora una famiglia…
Fu allora che scoppiai: letteralmente, saltai in aria come un petardo dello zio George. Ero stufa di tenermi tutto dentro, di avere sempre il posto della stupida, in quella famiglia dove evidentemente di posto per me non ce n’era proprio. Ero stufa, stufa di tutto.
« Perché, cosa c’è da capire? » urlai, così forte che sentii una fitta alla gola, come se qualcuno me la stesse strofinando con la carta vetrata « Dimmi, cosa diamine c’è da capire? Che tu e Draco vi amate tanto? Che preferisci lui a me? Che preferisci addirittura Scorpius a me? Grazie tante, lo avevo capito anche da sola! »
Mamma sussultò, ferita, come se la avessi appena presa a schiaffi. Ma si riprese in fretta. Un po’ troppo in fretta, forse. « Lo vedi che non capisci? » esclamò « Come puoi dire una cosa del genere?! Come puoi anche solo pensare che io… »
« Lo penso perché è vero! » replicai, senza abbassare la voce di un decibel « È vero e se te lo dico ti incazzi perché sai benissimo che ho ragione, e ti senti in colpa! »
Mamma aveva il viso completamente rosso, ed i suoi capelli crespi sembravano svolazzarle attorno alla nuca come un’aureola di fili elettrizzati. « Cristo, Rose, ma ti senti quando parli?! Sei tu quella che dovrebbe sentirsi in colpa, per tutti i problemi che stai creando! »
« Ora ti penti di non aver usato un incantesimo contraccettivo quella notte, vero? » replicai, con crudele ironia.
Le mie parole caddero nel silenzio, e per un paio di secondi restammo a guardarci senza fiatare. Avevo gli occhi talmente accecati dalla rabbia e dalle lacrime che la vedevo a stento.
Mamma inspirò violentemente, tremando tutta – non capii se per la rabbia, o per qualcos’altro. « Rose, adesso basta. Hai passato ogni limite. »
Ricacciai indietro le lacrime, e mi costrinsi ad assumere un’espressione sarcastica. « Lo hai detto anche quando ho fatto cadere Hugo dalla scopa, quando mi sono picchiata con James a casa dei nonni e quando ho rischiato la sospensione per aver mandato a fan culo il professor Ferguson. » le ricordai « Oh, e anche quella volta ho marinato Storia della Magia e sono andata a fare shopping a Londra. »
L’occhiataccia che ricevetti in risposta diceva chiaramente “signorina Weasley, è pregata di smetterla di fare la spiritosa prima che mi scappi un Avadakedavra”. Ritenni saggio seguire il consiglio, e smisi di enumerare le varie occasioni in cui avevo passato il cosiddetto limite, anche se avrei potuto andare avanti per ore: pareva che da quando ero nata non facessi altro che saltellare dentro e fuori da quel limite.
Mamma chiuse gli occhi e parlò lentamente, soppesando ogni parola sulla punta della lingua prima di lasciarla scivolare tra le labbra, come se non urlare le costasse uno sforzo immenso. « Posso capire che la storia con Draco ti abbia scossa. » disse « Ho cercato di darti del tempo per accettarlo, ho sorvolato sulla tua totale mancanza di rispetto nei confronti miei, di Draco e di Scorpius, ma adesso basta. Il fatto che tu sia rimasta ferita da me e Draco non giustifica più il tuo comportamento. »
« Grazie al cazzo, » sbottai « però Draco può fare quello che vuole e tu non gli dici mai niente! »
« Pensi che non litighiamo? » ribatté mamma, mandando allegramente a farsi friggere tutti i suoi propositi di non urlare.
« Non abbastanza, visto che siete ancora insieme! » sbraitai.
« Bhe, se la cosa ti disturba così tanto la porta è quella! » urlò lei, facendo scattare il braccio verso il buco bruciacchiato che era stato la porta di camera mia, prima che lei la facesse saltare in aria.
« Sì, me ne vado volentieri! » replicai.
Non so cosa mi fossi aspettata, forse credevo che mamma mi si sarebbe gettata ai piedi implorandomi di non andarmene, ma lei si limitò a stringere le labbra, e parlò con voce glaciale. « Bene, vattene. »
Quelle due, stupide parole furono come uno schiantesimo dritto al cuore.
Bene, vattene.
Non mi voleva. Certo che non mi voleva: aveva il suo Draco, perché avrebbe dovuto volermi?
Bene, vattene.
Si, me ne sarei andata. Non sapevo dove, ma non avevo intenzione di restare un secondo di più in quella casa.
Bene, vattene.
Quanto cazzo potevano fare male due fottutissime parole?
Restammo in piedi, a fronteggiarci, per quelle che mi parvero ore, ciascuna determinata a non distogliere lo sguardo per prima. Non c’erano neanche due metri a separarci, ma in quel momento mi sentivo come se tra i nostri piedi si fosse aperta un’immensa voragine.
E la cosa peggiore era che lei sarebbe stata felice anche senza di me. Me li vedevo, lei Draco e Scorpius, seduti sul divano del soggiorno, come una perfetta famiglia felice, che ridevano e brindavano con dello champagne, felici di essersi liberati di me. Me la vedevo, Hermione Granger, mia madre, che sollevava il suo bicchiere e, ridendo, esclamava. “A noi tre, ora che finalmente la pace è tornata in questa famiglia.” E Draco si chinava su di lei e le mangiava la faccia con le labbra, mentre lei rispondeva al bacio con trasporto. E Scorpius suonava l’Inno alla Gioia al pianoforte. E… 
La vera Hermione Granger, quella che stava in piedi di fronte a me, senza alcun bicchiere di champagne in mano, scosse il capo: sembrava stanca, quasi rassegnata, ma i suoi occhi emanavano la solita determinazione, quella determinazione che le permetteva di andare avanti ogni giorno con il suo difficile lavoro da Auror, di incontrare in ufficio il suo ex marito e far finta di niente, di cercare di ricostruire una vita sulle macerie del suo matrimonio, nonostante tutte le difficoltà. Avevo sempre ammirato mia madre per la sua forza, che tirava fuori nei momenti in cui una qualunque altra persona si sarebbe rintanata sotto le coperte a piangere. Avrei voluto che anche lei ammirasse me, almeno un po’…
« Da quanto tempo è che non parliamo un po’, solo noi due? » chiese mamma, infine.
Troppo.” Pensai, amaramente.
Quando vivevamo da sole, senza biondini importuni tra i piedi, parlavamo spesso: probabilmente lo facevamo solo perché non avevamo nessun altro con cui parlare, ma sta di fatto che in quel periodo eravamo state molto legate. Ora, invece, non ci rivolgevamo la parola nemmeno il tempo necessario per dirci “buongiorno”, al massimo ci sprecavamo per un “vaffanculo”.
Sentii che le lacrime cominciavano a scivolarmi lungo le guance, e mi affrettai a voltare il viso, dandomi mentalmente della cretina. « Sei tu che hai cominciato. » sussurrai.
Stavo facendo di tutto per non guardarla in faccia, ma capii benissimo che aveva spalancato gli occhi in un’espressione a metà strada tra il sorpreso e l’offeso. « Io? Rose, vorrei farti presente che… »
« Si, tu. » la interruppi « Non mi hai detto niente di te e Draco. Non ti è mai importato di sapere cosa ne penso io. »
La sentii sospirare. « Non è vero, Rose. A me importa quello che pensi tu. » stavo per ribattere, ma lei mi precedette « Ho sbagliato a non dirti niente, lo so. Ma è stato un periodo molto complicato: la nostra relazione era sempre sul filo di un rasoio, e volevo essere sicura che sarebbe durata, prima di dirti qualcosa. E poi, bhe, poi avevi i GUFO, e non volevo distrarti dallo studio… » tipico di mamma – pensai, con una smorfia « Davvero, non volevo tenertelo nascosto, Rose… »
« Però lo hai fatto. » dissi, senza più riuscire a trattenere il pianto.
Ero stufa di fingere di essere forte, quando in realtà non lo ero. Non mi importava nemmeno della mia dignità, che stavo allegramente mandando a farsi fottere. Bhe, magari allegramente no, visto che stavo singhiozzando senza ritegno…
All’improvviso sentii le braccia magre di mia madre serrarsi attorno alla mia schiena, e, senza pensarci, mi ritrovai a stringerla anch’io, con il volto affondato nella sua spalla. Mi piaceva quella stretta: mi faceva sentire sicura, come quando ero piccola e andavo a rifugiarmi tra le sue braccia, dopo essermi sbucciata un ginocchio.
« Ho sbagliato, Rose. » sussurrò « Mi dispiace. »
Grugnii una specie di risposta, e affondai ancora di più il volto nell’incavo della sua spalla. Non c’era bisogno che dicessi altro: a volte le parole servono più a litigare, che a chiarire le cose.
 

 

***

 
La mattina dopo, quando uscii dalla mia stanza per andare a fare colazione, trovai una busta di pergamena sul pavimento, davanti alla porta. Incuriosita, la afferrai e la voltai: sul retro erano tracciate poche parole:
 
Scuse accettate.
Voglio il tema sulla mia scrivania entro le dieci.
P.S. Ringrazia Al
 
Aprii la busta, incredula, e dentro vi trovai niente meno che il tema di Erbologia, scritto con la sua grafia da studente modello, fitta ed ordinata. Sorrisi, tenendo tra le mani la pergamena con delicatezza, per non stropicciarla. Infondo Scorpius non era così male, come fratello…
Saltellai in camera mia per posare il tema sulla scrivania, e scesi in cucina a fare colazione, approfittandone per tirare una spallata a Draco quando gli passai accanto.
« Ma non riesci a camminare diritta neanche quando sei sobria? » sbuffò Draco, voltandosi per lanciarmi un’occhiataccia. Ma i suoi occhi, invece di stringersi nelle classiche fessure di un minaccioso color acciaio, si sgranarono in un’espressione perplessa e piuttosto stupita. « Cos’è quella faccia? » indagò, come se mi stesse accusando di aver commesso qualche crimine.
Ero troppo di buon umore per indispettirmi. « Quale faccia? » chiesi, innocentemente. E per una volta ero davvero innocente: non gli avevo nascosto la bacchetta, non gli avevo ficcato le camicie bianche nella lavatrice dei capi rossi e non avevo fatto nulla che potesse dargli un pretesto per prendersela con me.
« Quel sorrisino. » replicò Draco, squadrandomi con sospetto « Avanti, che succede? Mi hai sputato nella tazza del caffè? »
Arrossi leggermente, rendendomi conto di avere gli angoli della bocca sollevati in un sorrisino assolutamente idiota. « No. » risposi, e mi voltai lentamente, combattendo con il sorriso che non voleva proprio saperne di andarsene dalla mia faccia.
Aprii l’anta della credenza e ne estrassi un vasetto di Nutella ancora intatto. Draco, alle mie spalle, sibilò una parolaccia e svuotò il caffè nel lavandino. Non avevo idea di come credeva che avessi potuto sputagli nel caffè, se ero appena scesa in cucina, ma evitai di chiederglielo: quando si trattava di manie di persecuzione, l’immaginazione di Draco era sempre molto fervida.
Mi morsi l’interno delle guance per cancellarmi il sorriso dal volto, e feci per svitare il tappo della Nutella, ma poi mi bloccai, colta da un’improvvisa ispirazione.
Dieci minuti dopo il vasetto di Nutella giaceva sul pavimento davanti alla camera di Scorpius, accompagnato da un bigliettino.
 
Just in case…
P.S. Scusa. Così avrai qualcosa da accettare.
 

 

***

 
Lunedì 19 luglio James cominciò il suo lavoro punitivo, che consisteva nel fare il commesso in un negozio di elettronica babbano. Non sapevo secondo quale criterio gli zii avessero scelto quel lavoro, a meno che, naturalmente, non volessero farlo umiliare davanti a tutto il mondo babbano. Perché, obiettivamente, se James per essere un mago era un idiota, con i Babbani avrebbe fatto la figura dell’homo erectus risputato direttamente dal passato. Insomma, l’unico oggetto babbano di cui comprendesse il funzionamento era la televisione, per ovvi motivi. E credeva che il tubo catodico fosse il filo della spina, tra l’altro, anche se la colpa di questo poteva essere in gran parte imputata al nonno Arthur.
In nome della solidarietà tra cugini Weasley, io, Al, Hugo e Dominique accompagnammo James al suo primo giorno di lavoro. Al proprietario del negozio, quando ci vide arrivare in truppa, prese quasi un colpo.
« Buongiorno. » salutò Al, con un sorriso cortese. Albus era sempre stato il più diplomatico, tra i cugini Weasley. « Mio fratello, James Potter, dovrebbe cominciare a lavorare qui, oggi. »
A quel punto entrambi si voltarono verso James, che stava picchiettando la bacchetta sulla porta automatica, sussurrando “Colloportus”. Sentendosi osservato, il primogenito di casa Potter si affettò a nascondere la bacchetta dietro la schiena ed alzò lo sguardo sul proprietario del negozio, mortificato. « Non ho fatto niente, lo giuro! La porta si è aperta da sola, e ora non si chiude più, ma io non l’ho neanche toccata! »
« Magari se ti sposti… » suggerì Domi, lanciandogli un’occhiata di profondo disgusto.
Al rivolse un sorriso imbarazzato al proprietario del negozio. « È un gran buffone. Ma posso assicurarle che con i clienti sarà il ritratto della professionalità… »
Certo, Al, ci hai provato.
Quando finalmente riuscimmo a far scrostare James dalle porte automatiche, il troglodita in questione si avvicinò al negoziante, che da quando lo aveva visto era diventato piuttosto pallido, e gli batté una poderosa pacca sulla spalla. « Piacere, sono James. » gli strizzò l’occhio si appoggiò al bancone della cassa con aria sicura « Si fidi, non si pentirà di avermi assunto: sono un mago dell’eclettonica. Ovviamente per modo di dire, perché i maghi veri non esistono. »
Hugo, al mio fianco, si schiaffò il palmo della mano sulla fronte. « Cominciamo bene… » sussurrò, in modo che solo io potessi sentirlo.
« C’è di buono che lo licenzieranno subito, così non sarà costretto a lavorare tutta l’estate. » bisbigliai, mentre James, dopo essere inciampato nel cavo di alimentazione del computer di cassa, stava tentando di infilarlo nella porta USB.
Il negoziante dovette capire che James era un caso perso in partenza, perché non si dilungò più di cinque minuti nelle spiegazioni di sorta, e, dopo avergli ficcato in mano una maglietta blu con il nome del negozio scritto sul petto, se la squagliò. James alzò le spalle e si sfilò la camicia a maniche corte che indossava, facendo strillare di sorpresa una nonnina occhialuta e, sempre con molta nonchalance, indossò la maglietta del negozio.
« Bhe, sono andato bene, no? » disse, con un sorriso convinto « E poi l’avete visto come se l’è bevuta, quando gli ho detto che i maghi non esistono? »
« Sì, James. » sbuffai, facendogli pat-pat sulla spalla con aria di profonda di compassione.
James non sembrò notare la pietà che trapelava abbondantemente dalla mia voce, e si mise a battere le dita sulla tastiera del computer con entusiasmo. « Che cosa stupida, questi cosini… » ridacchiò « Perché ci hanno scritto sopra le lettere? »
« Per insegnarti l’alfabeto. » grugnì Domi.
Al scosse la testa. « Mamma può continuare a negare la storia dell’idraulico quanto le pare, ma è evidente che noi due non siamo figli degli stessi genitori… »
Mentre Al e Domi cercavano di dissuadere James dalla malsana idea di trasfigurare il mouse in un topo vero, io e Hugo ci allontanammo di qualche passo, fermandoci accanto ad un espositore di cuffiette.
« Novità su Miss Lingerie? » chiesi, e dovetti fare un certo sforzo per non riservare all’innocente espositore il trattamento che avrei volentieri riservato a Romilda.
Hugo sbuffò, e scosse la testa. « Lo sai com’è fatto papà, per queste cose. Cercherebbe anche di convincermi di essere vergine, se l’estate scorsa non ci avesse mandati a un corso di educazione sessuale. »
Si, sapevo com’era fatto: era così impedito in materia di sentimenti che – sospettavo – quando eravamo bambini aveva addirittura tentato di tenerci segreta la relazione con la mamma. Immaginavo che cercasse solo di evitare domande importune: infondo non era da tutti mandare i propri figli a un corso di educazione sessuale pur di evitare il famoso discorso sulla cicogna e sulla sua inesistenza. Certo che l’idiozia, nella famiglia Weasley, non aveva nemmeno avuto la decenza di presentarsi una generazione sì e una no.
Appoggiai la schiena al muro, sbirciando Al, che si stava facendo venire una crisi di nervi per spiegare a James il funzionamento del computer, davanti ad un pubblico di tre clienti alquanto perplessi. « Dobbiamo scoprire esattamente cosa c’è tra lui e la Vane. » decretai infine, mentre una donna sulla trentina si avvicinava ai due fratelli Potter, presumibilmente per chiedere se avevano qualche problema. O forse – mi corressi subito dopo – solo per costringerli a farle lo scontrino, con le buone o con le cattive. Con le cattive, supposi.
« Già. Finché non sappiamo da quanto stanno assieme – se stanno assieme – e quanto è seria questa storia, non possiamo fare molto per dividerli. » convenne Hugo.
« Non sai nemmeno quando escono? » chiesi, sconfortata.
Hugo si strinse nelle spalle. « Papà la sera esce poco, e comunque, quando lo fa, non ho nessuna prova per dimostrare che non sia ad una cena con dei colleghi. Tantomeno so quando ha i turni di notte a Nocturn Alley, e quando invece ce li ha a casa della Vane. »
James – a quanto pareva – con poche, semplici mosse era riuscito a far impallare il computer di cassa, e ora Al stava facendo un patetico tentativo di ripararlo con la magia, mentre Domi lo copriva dalla visuale del negoziante fingendo di controllare il proprio riflesso nella vetrina. Bhe, probabilmente lo stava facendo davvero, a giudicare dall’arsenale di trucchi che tirò fuori dalla borsa per sistemarsi gli occhi.
« Lavorano entrambi al ministero, no? » chiesi « Quindi, per quello che ne sappiamo, potrebbero anche marinare il lavoro e chiudersi in qualche sgabuzzino… »
« Probabilmente lo fanno. » sbuffò Hugo, con l’aria di chi avrebbe preferito sentirsi dire che Voldemort è resuscitato piuttosto che darmi ragione.
« Probabilmente Romilda morirà. » replicai, decisa.
« Probabilmente papà la pianterà. » ritrattò Hugo, un po’ più moderato della sottoscritta.
Storsi la bocca, non troppo convinta, ma alla fine decisi che poteva andare bene anche così. « Probabilmente tornerà con la mamma. »
« E probabilmente noi ci saremo casualmente di mezzo. » aggiunse Hugo.
Ci scambiammo un ghigno complice, e gli battei una pacca sulla spalla. « Mi sembra logico, fratellino. »
 

 

***

 
Mezz’ora dopo seguii una Domi vagamente incavolata (e quando dico vagamente, intendo che avevo dovuto disarmarla per evitare che schiantasse James) fuori dal negozio.
« Se prova a chiamarmi Spiaggia dei Caraibi un’altra volta giuro che gli mozzo la lingua! » sbraitò, tirando un’ombrellata al parabrezza di un taxi per informare il tassista della nostra presenza.
Il pover’uomo si affrettò ad aprirci la porta dell’auto, guardandoci con espressione spaventata. E non potevo biasimarlo: Domi faceva davvero paura, quando era di cattivo umore. E quando passava più di venti minuti consecutivi con James, generalmente ne veniva fuori un po’ più che “di cattivo umore”.
Domi si sbatté la portiera dell’auto alle spalle, rischiando di mozzarmi le dita, e ordinò al tassista di portarci da Harrods. « Merlino, uno di questi giorni finirò per ucciderlo! » sbraitò subito dopo, infilandosi le mani tra i capelli.
Scorsi il riflesso della faccia terrorizzata del tassista nello specchietto centrale dell’auto: se credeva di essere chiuso in macchina con due pazze assassine non potevo biasimarlo, non sul “pazze”, perlomeno.
« A proposito » grugnì Domi, sistemandosi i capelli con stizza « sai che ho visto Nott, un paio di giorni fa? »
Ora lo sapevo, anche se avrei preferito di gran lunga non saperlo. Nott era la Bella Swan di Dominique: stesse tendenze masochiste (almeno a giudicare dal look da emo, e dai buchi sulle braccia… ma dubitavo che se li fosse procurati tagliandosi le vene, quelli), stesso fascino insano e del tutto immotivato che esercitava sulla sua vittima, stesso disastroso effetto che aveva sulle facoltà mentali del suo amante, con la differenza che era molto meno santarellino, e molto più stronzo di Bella Swan. E che Domi non brillava come una fatina, ovviamente. Ma se Bella era la qualità di eroina preferita di Edward, Nott era sicuramente una qualche altra droga pesante. E Domi non mi era mai sembrata particolarmente intenzionata a disintossicarsi.
Diamine, ma dopo due anni e mezzo non ha ancora imparato la lezione?
« E quindi…? » chiesi, immaginando il peggio, sotto le sembianze di Nott e mia cugina che scopavano selvaggiamente in un bagno pubblico.
« Niente. » rispose Domi, senza scomporsi. Tirai un sospiro di sollievo. « Si è fatto le mèches fucsia: adesso sembra una versione più palestrata di Bill Kaulitz. E lavora in un bar in periferia, un posto squallidissimo. Non so dove trovi i soldi per comprarsi la roba. »
Conoscendo Nott, ero certa che fosse meglio non saperlo. « E tu non hai intenzione di tornare in quel bar, vero? » indagai, ancora leggermente preoccupata.
Domi scoppiò in una risata un po’ forzata. « Credi che sia un’idiota? Non ho nessun motivo per tornare in quella topaia. »
Annuii, finalmente soddisfatta. « Bene. »
Il taxi frenò davanti ad Harrods, e quando fummo scese il tassista filò via sgommando, senza nemmeno lasciarci il tempo di pagarlo. Immaginavo che non dovevamo avergli dato una bella impressione di noi, parlando di assassinii e di emo drogati. Domi alzò le spalle e si diresse a passo sicuro verso la porta principale di Harrods, sculettando sulle sue zeppe.
Dieci minuti dopo, da dentro il camerino dove stava provando un vestitino da cocktail di Vera Wang, mi disse. « Comunque, Rose. L’altro giorno stavo guardando uno di quegli pseudo-reality di Mtv – sai, uno di quei programmi dove c’è un istruttore che deve trasformare uno sfigato in un figo da paura – e mi è venuta un’idea fantastica. »
Conoscevo le “idee fantastiche” di Domi abbastanza bene da diffidarne. « Che sarebbe…? » chiesi, guardinga.
Non la vedevo, ma dalla sua voce capii benissimo che stava ghignando. « Stavo pensando a un certo biondino secchione… »
« Oh, no! » sbottai, scoppiando in una risata mezza isterica che allarmò alquanto una commessa di passaggio « Non se ne parla! Domi, non ci pensare neanche! »
« Perché no? » chiese lei, uscendo dal camerino con un sorrisino innocente stampato in faccia. Piroettò davanti allo specchio studiandosi da tutte le angolazioni. « Come mi sta? » chiese, sistemandosi il vestito in modo che le scoprisse un po’ più le cosce.
« Bene. » grugnii « Di sicuro molto meglio di quanto stia il cervello nella tua testa. »
Domi alzò un sopracciglio, lanciandomi un’occhiatina allusiva. « Paura che il tuo fratellastro ti piaccia un po’ troppo? »
« Non mi piacerebbe nemmeno se fosse Brad Pitt. » sentenzia, sicura.
Domi si strinse lesse spalle, e si voltò di nuovo verso lo specchio. « Come ti pare. Comunque secondo me Scorpius ha il potenziale per diventare un gran figo: è alto, biondo, ha un bel culo – perché ha un bel culo, Rose, non fare quella faccia – e ha due occhi stupendi. Prova a immaginartelo in versione figo. »
Storsi il naso. « Mi dispiace, non ci riesco. Malfoy figo è una cosa che il mio cervello semplicemente non riesce a concepire. »
Domi si sistemò la scollatura del vestito, studiandosi il seno con aria critica. Quando ebbe deciso che le sue tette non richiedevano un immediato intervento di chirurgia plastica, mi rivolse un ghigno un po’ troppo serpeverdoso per i miei gusti. « Magari ti posso illuminare. » propose « Immaginatelo con qualche muscolo in più – è magro, gli basterebbe un po’ di palestra per farsi venire fuori la tartaruga –, » un’immagine di Scorpius in boxer, con un fisico da modello di Calvin Klein, mi si fece strada nella testa « con un taglio di capelli diverso – magari una di quelle pettinature spettinate con il gel… sui capelli biondi sta da dio –, » i suoi capelli un po’ lunghi, da secchione, sparirono, per far spazio ad un taglio molto più da macho « un abbigliamento da ventunesimo secolo – secondo me il nero è il suo colore: sta bene con la sua carnagione chiara –, » con mio sommo dispiacere, il fisico da modello della Calvin Klein fu coperto da un paio di attillati pantaloni di pelle di drago, e da una camicia nera aperta sul petto « niente occhiali, » gli occhiali sparirono immediatamente da suo naso, e mi ritrovai immersa nel verde pallido dei suoi occhi « e magari un bel sorrisetto strafottente da Serpe stampato in faccia. » immediatamente la curva morbida delle sue labbra si incurvò in un ghigno terribilmente sexy.
Domi sorrise, soddisfatta. « Allora, che te ne pare? »
Scossi la testa, cercando di scacciare dalla mia mente l’invadente immagine del modello di Calvin Klein, che si era messo a dimenare il bacino in una danza molto provocatoria. « N-no… » balbettai.
« Eddai! » esclamò Domi, sbattendo le ciglia con aria supplichevole « Ci divertiremmo un sacco, fidati! »
Il modello della Calvin Klein mi fece l’occhiolino, e mimò la pistola con le mani. Scossi la testa con più vigore. « No, scordatelo. »
La mia decerebrata cugina assunse quella che doveva ritenere un’espressione da cucciolo bastonato. « Per favore, Rosie! Guarda che dico sul serio: potrebbe davvero diventare un gran pezzo di figo… »
Il modello s’infilò un paio di dita dentro i boxer, e si passò la lingua sul labbro superiore, fissandomi con un’espressione adorabilmente porca.
Oh, si, sarebbe proprio un gran pezzo di…
« Figo? Malfoy? Domi, tu hai dei seri problemi mentali. E questa è la mia risposta definitiva: NO. »

   
 
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