Capitolo XXIII
Odiavo il mio cellulare che suonava
all’ora di pranzo, soprattutto
quando ero seduta a tavola circondata dai miei parenti –
genitori, nonna e zii
compresi. Insomma, la discrezione non era di certo il loro forte,
specialmente
quando si trattava di interessarsi della vita sentimentale della loro
giovane
figlia-barra-nipote che sembrava aver trovato, alla fin fine, un
fidanzato. Un fidanzato vero, poi!
Contemplai l’idea di non
rispondere, fingendo di non sentire la
suoneria mentre masticavo indifferente un boccone di carne. Ma
d’altra parte il
telefono continuava a squillare – avevo
senza dubbio scelto il giorno sbagliato per togliere la
modalità silenziosa
– e, dopo aver smesso, aveva ripreso due istanti dopo quasi
con maggior insistenza.
“Giuly, non
rispondi?” Fece mia zia, del tutto innocentemente.
Potevo sentire gli sguardi degli altri prudermi addosso,
così mi sgranchii la
voce e mi alzai.
“Scusatemi un
momento…” Mormorai imbarazzata, afferrando il
telefono colpevole e uscendo dalla sala da pranzo. Andai invece
nell’altro
salone, quello dove avevo trovato rifugio anche il giorno del funerale,
e
finalmente premetti il tasto per accettare la chiamata. Non avevo
bisogno di
leggere il nome sul display per sapere chi fosse.
“Pronto?” Dissi,
chiudendomi la porta alle spalle.
Dall’altra parte della
cornetta provenne un sospiro di sollievo.
“Oh, finalmente! Stavo iniziando a preoccuparmi”,
esclamò la voce quasi
esasperata di Enrico. Già, chi
altri?
Contai mentalmente fino a dieci, per
evitare rispostacce acide.
“Stavo pranzando, Enrico, non potevo rispondere”,
replicai sedendomi sul
divano. Accidenti, mi stavo davvero giustificando con lui? Che diavolo,
questa
era proprio una di quelle cose che avrei voluto evitare, da fidanzata.
No,
aspetta un momento. La mia mente aveva davvero formulato
quella parola?
Le mie labbra si mossero da sole in
una smorfia di disgusto,
mentre ascoltavo la risposta di Enrico. Evidentemente era bastato un
bacio al
chiaro di luna per trasformarmi da vecchia
zitella acida a giovane fidanzatina.
Accidenti, di nuovo.
“Ma sono le tre del
pomeriggio”, replicò sorpreso.
Sospirai per l’ennesima
volta, cercando di ignorare il formicolio
all’altezza dello stomaco che mi provocava il suono della sua
voce. “Sì, beh, è
uno di quei pranzi con i parenti nei quali si sa a che ora ti siedi a
tavola ma
non quando la tortura finirà”, risposi ironica,
roteando gli occhi. “E
comunque, adesso per colpa tua mi faranno il terzo grado. Non potevi
mandarmi
un messaggio?”
“Te l’ho mandato, tesoro,
ma non mi hai risposto”.
Certo, a
domanda scema…
No, un attimo. Come mi aveva chiamato?
“Tesoro?”
Ripetei,
perplessa. “E quando ti avrei dato questa
confidenza?”
Lo sentii ridere dolcemente, una di
quelle risate tipicamente
mascoline che sottintendono centinaia di significati imbarazzanti.
“Credevo
che, dopo ieri notte, fossi autorizzato a chiamarti come
voglio…”
“Uhm.” Non sapevo
davvero come replicare. Accidenti, ci avevo
pensato tutta la notte e non ero sbarcata a nessuna
conclusione… Il modo poco
ortodosso che avevamo trovato per fare pace – o meglio, che
avevo trovato io per scusarmi con
lui, per una volta
che avevo riconosciuto di avere sbagliato – aveva
automaticamente innalzato il
nostro rapporto di qualche gradino, e non ero certa che questo mi
dispiacesse
più di tanto. Insomma, se arrossivo e sentivo le guance
andarmi in fiamme ogni
volta che ripensavo a quel bacio, doveva pur esserci un motivo, no? Non
credevo
che la colpa fosse soltanto dei miei ormoni in subbuglio, quanto
piuttosto di qualche
ragione trascendentale che mi aveva portato tra le sue braccia senza
che ancora
io avessi deciso lucidamente. Potevamo considerarci insieme,
adesso? Beh, probabilmente questo era quello che voleva
lui sin dall’inizio o quasi, e se a me in fondo non
dispiaceva… Chissà, magari
una minuscola possibilità
gliel’avrei
anche potuta dare.
“Giulia? Giulia, ci sei
ancora?” Il tono insistente con cui mi
stava chiamando mi fece capire che era da un po’ che stava
cercando di attirare
la mia attenzione, ma io ero troppo assorta nei miei pensieri per farci
caso.
Arrossii, e ringraziai il Cielo che lui non potesse vedermi.
“Scusa, ero
soprapensiero,” mormorai imbarazzata.
Avrei giurato che stesse sorridendo.
“E a che cosa stavi pensando
così intensamente?” Domandò, con voce
incredibilmente dolce. Non avrei mai
smesso di stupirmi dei cambiamenti improvvisi del suo tono, che da
minaccioso
poteva passare a sensuale e rassicurante nell’attimo di un
battito di ciglia.
Dovevo rispondergli davvero?
Mi schiarii la voce, cercando di
tergiversare. “Uhm, stavo solo
cercando di capire se potevi esserti guadagnato davvero il diritto di
chiamarmi
tesoro…”
Rise ancora e io rabbrividii per
l’ennesima volta, sentendo la
pelle d’oca sulle braccia malgrado fossimo ancora alla fine
di Agosto e la
temperatura non fosse esattamente fredda. Di certo non potevo ignorare
per
sempre un ragazzo che mi procurava tali sensazioni, no? Non capivo
perché il
mio corpo continuasse a rispondere in quel modo alla sua voce e ai suoi
sguardi, quasi che fossimo due atomi impegnati in una reazione chimica
dalla
quale era impossibile scindersi. Sì, credo che questa sia
una metafora
piuttosto azzeccata: Enrico l’avrei visto bene nella parte
del mercurio, in
effetti, visto l’effetto tossico che aveva su di me.
Dovetti sbattere più volte
le palpebre per cercare di recuperare
la lucidità necessaria a concentrarmi sulla sua voce e sulle
sue parole. Era
imbarazzante, non ero mai stata così distratta: ed era tutta colpa sua. Sua e del suo bacio,
accidenti!
“Avanti, Giulia,
seriamente,” esordì poi, cercando di sembrare
ragionevole malgrado l’intonazione maliziosa che aveva
assunto la sua voce. “Mi
stai dicendo che in questo momento non mi vorresti lì,
accanto a te, per
approfondire quello che ieri abbiamo lasciato a
metà?”
Arrossii inevitabilmente, e tardai a
rispondere quel tanto
necessario perché il mio silenzio desse ragione a lui.
“Ecco, visto?” Sussurrò,
dolcemente. “Penso proprio che ti chiamerò in
tutti i modi che riterrò
necessari, e non credo neppure che ti dispiacerà
più di tanto…”
Fui costretta a deglutire
più volte, visto che iniziavo a sentirmi
la bocca incredibilmente secca. A quanto pareva avevo proprio passato
il punto
di non ritorno…
“Senti, Enrico…
Devo tornare a pranzo. Puoi dirmi perché mi hai
chiamato?” Mormorai a mia volta, per far sì che
non avvertisse il tremito della
mia voce.
Sospirò, arrendendosi alla
mia testardaggine. “Va bene. Sei libera
stasera?”
“Uhm, credo di
sì… Perché?” Chiesi,
vagamente sospettosa. Okay,
togliete pure il vagamente.
“Volevo invitarti a cena,
così possiamo stare un po’… da
soli.”
Avevo
sentito il rumore
della trappola che scattava o era solo una mia impressione?
“Da
soli…?” Ripetei scioccamente, giocherellando con
un cuscino. “Perché?”
Lo sentii sbuffare, a metà
tra il divertito e l’irritato. “Oh,
dai, Giulia! Farò il bravo! È soltanto una
cenetta”, dichiarò, sperando che io
abboccassi. Sì, come no.
Con te non
è mai soltanto
una cenetta,
pensai, ma senza esprimere il concetto ad alta voce. Oh, basta, non ne
avevo
voglia. Tanto il ‘peggio’ era già
successo, no? Cos’altro poteva capitare?
Così mi arresi, immaginando
di sventolare una bandiera bianca.
“Okay, va bene. Però devi riportarmi a casa entro
un orario lecito, non posso
sempre fingere di stare a dormire dalla mia
amica…” In realtà era da molto che
non usavo quella scusa per uscire con lui, visto che i miei genitori
sembravano
appoggiare quella specie di rapporto; genitori
sconsiderati, a mio parere, anche se parecchie ragazze
avrebbero pagato per
avere una madre che spronava ad uscire con dei bei ragazzi. Beh, in
quel caso a
me sarebbe piaciuto avere una madre che mi chiudesse in camera mia e
buttasse
anche la chiave – mi sarei sentita indubbiamente al sicuro da
lui. Ma non si può
scappare per sempre,
perciò…
“Okay, prometto che sarai a
casa prima che si spezzi
l’incantesimo”, replicò con una
risatina. La sua voce poi si addolcì per
l’ennesima volta, senza darmi il tempo di metabolizzare il
cambiamento. “Adesso
vai, su, ti ho tenuto a telefono fin troppo e i tuoi saranno
preoccupati. Ci
sentiamo più tardi, va bene? Ti mando un
messaggio”.
Annuii, prima di ricordarmi che lui
non poteva vedermi. “Okay, a
più tardi”, risposi, esitando un momento di
troppo. Come avrei dovuto
salutarlo? “Ehm, allora… Ciao?”
Conclusi, facendo sembrare il saluto più una
domanda che un’affermazione. Dio, che idiota.
“Ciao”,
ripeté anche lui, facendolo suonare più una
carezza
leggera.
Chiusi la chiamata e presi dei
profondi respiri, in modo da non
tornare in sala da pranzo con il cuore in gola e
un’espressione che mi avrebbe
tradito, benché tutti si stessero immaginando più
o meno chi era lo sconosciuto
che aveva interrotto il mio pranzo con tanta insistenza. Beh, di certo
io non
avrei confermato i loro sospetti.
Infilando il telefono in tasca aprii
la porta, odiando
sinceramente l’agitazione che quella semplice chiamata mi
aveva messo in corpo.
Dio santo. Una cenetta, l’aveva
chiamata.
Da soli,
aveva aggiunto.
Non
c’era mai fine al
peggio.
Ma stranamente, non ne fui dispiaciuta
quanto temevo.
***
Iniziai a temere che in me ci fosse
qualcosa che non andava quando
aprii l’anta dell’armadio per prepararmi con tre
ore d’anticipo. Non sapevo cosa
mettere, d’accordo?
Ecco, ed era proprio questo il problema. Quando mai me n’ero
preoccupata?
Ad ogni modo, i vestitini erano
esclusi per principio; stessa cosa
dicasi di magliette con scollature succinte e gonne che sfioravano
l’oscenità:
non che ci fosse roba del genere nel mio guardaroba, comunque. Era solo
per
fare il punto della situazione. L’unico problema era che
eravamo ancora in
estate, dunque caldo e umido andavano a braccetto: non avrei potuto
mettere le
felpe a dolcevita che mi avrebbero protetta da sguardi indiscreti,
né tantomeno
canottiere che esibivano la merce
come un banco del pesce. Dio, quanto odiavo dover decidere
cosa mettermi.
Sospirai e, dopo il quarto paio di
pantaloni presi e gettati sul
letto, decisi di mettere i primi che avrei visto non appena avessi
aperto gli
occhi. Fui abbastanza fortunata: un paio di jeans chiari, stretti, con
la vita
non troppo bassa né troppo alta. Abbinare una maglietta non
fu tanto difficile:
dovendo escludere quelle con le scollature esagerate – che
abbondavano, vista
la stagione – ne infilai una nera che si legava dietro al
collo e che,
pertanto, copriva per bene il davanti. Beh, avevo la schiena scoperta,
ma di
quello non mi curai più di tanto perché indossai
una giacca leggera sopra. Un
paio di sandali dal tacco modesto e potei dire conclusa anche
quell’ardua parte
– e senza che me ne rendessi conto era già
arrivata l’ora dell’appuntamento.
Apro una piccola parentesi. I miei
genitori – beh, solo mia madre,
in realtà, non aveva fatto una piega quando le avevo detto
che Enrico mi aveva
invitato ad uscire; mio padre era stato più scettico ma alla
fine aveva fatto
finta di niente, purché rientrassi ad un orario ragionevole
– ossia prima delle
tre del mattino. Quanto a Enrico, ci eravamo scambiati messaggi per
tutto il
pomeriggio parlando del più e del meno – con
questo intendo che lui faceva
domande e io mi limitavo a rispondere, per paura di sbilanciarmi troppo
– e
probabilmente questa fu una sorta di strategia per impedirmi di
cambiare idea
all’ultimo momento e rimandare, o annullare del tutto,
l’appuntamento. Ma a
quel punto rimandare l’inevitabile non sarebbe servito a
niente.
E così, Enrico era venuto a
casa mia a prendermi. Avevo chiesto a
mia madre di fingere di non esserci, perché non volevo
assistere a quelle
imbarazzanti scene che si vedono nei film dove il fidanzatino della
protagonista si presenta ai suoi genitori e chiede al padre, con una
buona dose
di coraggio, se può uscire con la
sua
bambina. Dio, che cose odiose. E
comunque lui non era il mio fidanzato.
Con un sospiro, diedi
un’occhiata veloce al mio riflesso allo
specchio e afferrai la borsa, lasciando a casa, non senza remore, lo
spray al
peperoncino: avevo più paura di quello che sarebbe potuto
accadere adesso che
ci eravamo già baciati che non prima, però mi
sembrava ridicolo equipaggiarmi
come se stessi andando in guerra. In
fondo il suo bacio non mi era dispiaciuto più di
tanto… L’unica cosa che
temevo era che potesse farsi un’idea sbagliata
dell’evoluzione del nostro
rapporto, sempre se così di poteva definire. Cercando
disperatamente di
convincermi che un misero bacio non avrebbe cambiato la situazione,
raggiunsi
Enrico in macchina, ringraziando il buio della notte che proteggeva il
mio
volto dal suo sguardo indiscreto. Se mi avesse visto arrossire non
appena avevo
aperto lo sportello si sarebbe già sentito con la vittoria
in pugno. Non sapevo
proprio come comportarmi, accidenti.
“Ciao, Giulia”,
salutò dolcemente, non appena fui seduta accanto a
lui. Non si sporse verso di me per cercare di baciarmi, come se avesse
voluto
rispettare i miei tempi: e di questo gliene fui sinceramente grata. Mi
sentivo
ancora parecchio a disagio, a volerla dire tutta.
“Ciao”, mormorai
in risposta, mentre metteva in moto l’auto. Poi
mi sentii in dovere di non far morire così la conversazione,
anche perché
magari la conversazione mi avrebbe tranquillizzato. “Tutto
bene?”
Lo vidi sorridere nella penombra del
veicolo, ma non distolse lo
sguardo dalla strada. “Sì, grazie. Tu?
Cos’hai combinato tutta la sera?”
Come se
non lo sapesse,
pensai, improvvisamente divertita. “A parte messaggiare con
te,
dici?”
“Uhm, touché.”
Mi
rivolse un’occhiata veloce con un mezzo sorriso, prima di
dedicare nuovamente
la sua attenzione alla guida. “Okay, sì, a parte
messaggiare con me. Stai già
studiando per il rientro a scuola?”
“Oddio, no. Non ne ho
voglia! L’estate non è fatta per
studiare”,
replicai, inarcando le sopracciglia. Subito dopo mi accorsi di quanto
fosse
strana quella situazione: stavo parlando con
Enrico di argomenti così banali e comuni? Insomma,
era alquanto bizzarro;
punto primo, non pensavo che potesse davvero interessarsi a cose
simili, e
punto secondo, non lo facevo il tipo da conversazioni convenzionali. Mi
voltai
per osservarlo, mordendomi le labbra al ricordo di come quelle labbra
si erano
mosse sulle mie… Dio! Ma
perché
dovevo mettermi nei guai da sola?
Mi schiarii la voce, sperando che non
si accorgesse del mio
imbarazzo. “Tu, invece? Cos’hai fatto di
interessante?”
Non mi guardò mentre
rispondeva, a bassa voce. “La cosa più
interessante che ho fatto è stata sentire te”.
Arrossire fu inevitabile.
“Enrico…” Lo ammonii, piano.
Lui finse di non comprendere il tono
della mia voce. “Sì, che
c’è?” Chiese, con finta indifferenza.
“C’è
che non puoi dirmi cose del genere, ecco cosa
c’è”, lo
rimproverai debolmente, trovando persino giusto il mio ragionamento.
“Ma è la
verità”, ribatté, voltandosi e osando
guardarmi con
un’espressione quasi innocente.
Emisi un suono a metà tra
uno sbuffo e un sospiro. “Senti, non
voglio litigare…”, iniziai.
Tuttavia Enrico mi interruppe,
impedendomi di portare a termine il
discorso. “Ti dirò, se poi facciamo pace come ieri
allora non mi dispiace
neppure litigare un po’”, disse con un sorriso
malizioso.
Roteai gli occhi, spazientita.
“La serata è appena iniziata e tu
stai già partendo male”, sbottai, incrociando le
braccia – cosa alquanto
difficile con la cintura di sicurezza in mezzo.
“Okay, come ho
già detto farò il bravo”,
ripeté, lanciandomi
un’occhiata divertita. “Però tu dovresti
cercare di rilassarti e divertirti,
altrimenti non potrò parlare per paura di dire qualcosa che
potrebbe essere
facilmente fraintesa”.
Evitai di specificare che era colpa
delle sue frasi ambigue se io
fraintendevo, e quello fu già un grande passo avanti.
Annuii, tornando a
guardare la strada che scorreva fuori dal finestrino, e accorgendomi
così che
stavamo facendo un tragitto che non mi ricordavo. “Dove
stiamo andando?”
Domandai, cercando di non far trapelare l’agitazione dalla
mia voce.
“A casa mia. Non ti ricordi?
Ci sei già venuta…” Ed eccolo di
nuovo, il tono provocante che non sapevo ancora se considerare
irritante o
sensuale. Forse era a metà strada tra i due.
Certo che
mi ricordavo.
E come dimenticarlo? Quella volta mi aveva costretta a rimanere a
dormire da lui, dopo avermi praticamente rapita. Mi sembravano
trascorsi secoli
da allora, e invece era successo poco più di un mese prima.
Quante cose erano
successe, nel frattempo…
Non gli risposi – dopotutto,
non sapevo neppure cosa dire. Ad
essere sincera non ero tanto spaventata da Enrico, quanto piuttosto dal
faccia
a faccia che avrei dovuto sopportare di lì a poco: avrebbe
voluto senza dubbio
approfondire ciò che era successo la notte prima,
perché se il bacio aveva
lasciato confusa e senza parole me,
sicuramente doveva aver riempito di speranze lui.
“Oggi sei più
silenziosa del solito…”
La sua voce mi fece sobbalzare
– di nuovo. Dio, odiavo
avere i nervi così a fior di pelle. Gli lanciai
un’occhiata veloce per controllare l’espressione
del suo viso, e, vedendola
stranamente seria, mi preoccupai che potesse prendersela davvero come
il giorno
prima. Così sospirai e scossi la testa, ritornando a fissare
la strada. “No,
no, è solo che…” Mi bloccai, incerta:
cos’avrei dovuto dirgli? “È strano,
ecco.”
Brava,
Giulia. Complimenti. Strano. Hai
vinto l’oscar
per la Migliore Parafrasi.
“Cosa è
strano?” Domandò lui infatti, con un tono
volutamente
neutro e vacuo. Sembrava che si stesse sforzando di comprendere il mio
modo
astruso di vedere le cose, il che non richiedeva certo poca fatica; oh,
andiamo
– adesso mi critico da sola? E che cosa avrei dovuto
rispondergli? Che trovavo
strano il fatto che non mi avesse assalito non appena ero entrata in
macchina,
limitandosi a parlarmi del più e del meno come un perfetto
gentiluomo? Insomma,
dovevo ammettere di essere delusa perché
non si era comportato come i miei canoni avevano previsto? Iniziavo ad
odiarmi
da sola.
Comunque, di fatto non potevo dirgli
nulla di tutto questo.
Grazie al Cielo fu lui a venirmi in
aiuto – o a peggiorare il mio
imbarazzo, a seconda dei punti di vista – impedendomi di
rispondere e tirando
da solo le fila del discorso.
“È strano che non
ti abbia ancora baciato?” Chiese infatti, con il
tono leggero di uno che parla delle previsioni meteorologiche. La sua
voce ebbe
però una leggera incrinatura quando aggiunse, lentamente:
“Credimi, sto usando
ogni goccia di autocontrollo per non fermare la macchina e salutarti
come si
deve…”
Mi voltai sorpresa verso di lui,
sforzandomi di ignorare il
rossore alle guance e ringraziando Dio e tutti i santi per
l’oscurità della
macchina che celavano tale afflusso indesiderato di sangue.
“Io non… Non
intendevo questo…” Mormorai, sperando che non
fermasse davvero l’auto.
“Ah, no?” I suoi
occhi mi fissarono per un attimo, poi ripresero
il controllo della strada. “Mi stai dicendo che non te lo
stai chiedendo da
quando siamo partiti? Che, dopo ieri, l’hai trovato
normale?”
Chinai il capo, giocherellando
nervosamente con le cinghie della
mia borsa. “Ieri è stata colpa mia, lo
ammetto…” Confessai alla fine, trovando
un coraggio che non credevo di avere davvero. Dopotutto chi era stato a
saltare
addosso all’altro, luna o non luna?
Enrico tuttavia sbuffò,
leggermente innervosito. “Devi smetterla
con questa storia delle colpe. Non
è
stata proprio colpa di nessuno. Lo volevamo entrambi, ed è
successo… Finalmente,
oserei aggiungere”. Si
accorse che avrei voluto ribattere qualcosa, ma non me lo permise.
“No, fammi
finire. Non ha senso che continui a fingere di trovarmi indifferente,
perché ormai
non funziona più… Hai capito di provare qualcosa
per me, ed è già un passo
avanti”.
Ecco, appunto – a proposito
di false speranze. Solo che adesso il
dubbio era più forte di quanto non fosse mai stato in
precedenza… Quanto le
potevo definire false, le sue
aspettative? Il mio desiderio di mettere le mani avanti e lasciarmi
libera una ‘via
di fuga’ era molto tenace, così mi preparai ad
obiettare.
“C’è
differenza tra attrazione e sentimento, credo”, replicai,
cercando di suonare ragionevole.
Sfortunatamente neppure lui sembrava
carente di ostinazione. “E io
credo che l’uno non possa esistere senza l’altro.
No?” Ribatté sicuro,
guardandomi.
“Okay, e con ciò?
Dove vuoi arrivare?” Sbottai, infastidita per
essere stata sconfitta con la mia stessa moneta. Lui non rispose subito.
Ormai la macchina si era fermata,
visto che eravamo praticamente
arrivati. Spense il motore, facendoci precipitare
nell’oscurità più completa
non fosse stato per un’unica luce proveniente da sotto al
portico della sua
casa di campagna, che a malapena illuminava l’uscio.
Ciò nonostante vidi i suoi
movimenti – la mano che slacciava la cintura di sicurezza, il
torace che si
volgeva verso di me, il braccio destro che si posava sul poggiatesta
del mio sedile
– ed ebbi il modo di studiarli con precisione come se la
scena si stesse
svolgendo al rallentatore. Lo vidi chinarsi su di me, con
l’altro braccio che,
chissà come, era arrivato a posarsi accanto alla mia gamba
dalla parte dello
sportello, intrappolandomi senza alcuna via di scampo.
E
maledetta la cintura che
mi impediva qualsiasi movimento.
Non nego che, forse, avrei potuto
anche trovare un modo per
impedirglielo. Potevo voltare il viso dall’altra parte, o
intimargli di
allontanarsi, o offenderlo con qualche frecciatina crudele che
l’avrebbe spinto
a lasciar perdere – come in genere succedeva. Ma purtroppo,
mentre il suo volto
si avvicinava implacabile al mio, l’unica cosa che la mia
mente riusciva a
focalizzare era il ricordo del suo bacio, e il fatto che adesso stavo
per
riassaggiare la dolce morbidezza delle sue labbra. Dio, sarebbe potuto
essere
il diavolo in persona, ma nulla mi avrebbe tolto dalla testa la
convinzione che
la sua fosse la bocca più buona
che
avevo avuto l’opportunità di assaggiare.
Così mi limitai a
socchiudere gli occhi e sospirare, tremante,
nell’attimo che ci separava dal baciarci una seconda volta.
Sentii il suo
respiro all’angolo della mia bocca, mentre annullava ogni
distanza rimasta e
faceva combaciare le nostre labbra come pezzi di un puzzle,
strappandomi un
gemito involontario che non sarei stata capace di trattenere neanche
sotto
tortura. Sembrava sempre essere eccezionalmente allenato nel baciare in
quel
modo, come se avesse alle spalle una lunga pratica, e il pensiero mi
fece
aggrottare le sopracciglia nel rendermi conto di quanto
l’idea potesse
infastidirmi; mi avrebbe di certo dato molto fastidio scoprire che
avrebbe
baciato qualcun'altra dopo di me, e
non ero neanche del tutto certa che avrei potuto lasciar correre tanto
facilmente. Decisi comunque di non pensarci, non era il caso;
così, istintivamente,
portai una mano libera a sfiorargli la guancia, prima di farla
scivolare più in
basso a posarla sulla sua spalla, alla quale mi aggrappai quasi
ferocemente.
Purtroppo baciare era come mangiare
ciliegie: una volta iniziato,
non si sarebbe più voluto smettere. Ma era anche vero che
tra una ciliegia e l’altra
si prendeva un profondo respiro, e
così
dovemmo fare anche noi tra un bacio e l’altro, seppure
trovassi l’idea molto
meno allettante – anche perché avrei dovuto
affrontarlo nuovamente, e non ero
mai stata particolarmente brava ad accettare e ammettere la sconfitta.
Perciò,
quando si allontanò dalle mie labbra leggermente indolenzite
per la furia che
ci aveva messo, il suo sorriso mi fece perdere qualche battito,
facendomi
sentire improvvisamente caldo – e no, di questo non potevo
incolpare la
stagione. Le sue dita mi accarezzarono i capelli e poi la guancia, con
un tocco
estremamente delicato e tenero, che trovai addirittura più
intimo del bacio
stesso: poi le sue labbra si posarono un’ultima volta sulle
mie, come una sorta
di ciliegina sulla torta, e quando
parlò
lo fece con una voce appena roca che mi fece rabbrividire.
“Era a questo che volevo
arrivare”, sussurrò.
E compresi che la serata era appena
all’inizio.
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AA - Angolo Autrice:
Oh! *sospiro di sollievo* Ce l'ho fatta entro questa settimana, come promesso :D Non è un granchè, lo so, ma è un piccolo passo per l'uomo e un grande passo per l'umanità... nel senso che fra un po' questo strazio sarà finito, state tranquille xD Ancora un po' di pazienza e potrete farmi ciao ciao con la manina. Dunque! Passo subito a ringraziare coloro che hanno recensito (un bacione grande grande a Eky_87, samantha, savy85, lalalaXD94, Liandra Thundery, nicoletta93, Aly in Wonderland, Miyu, Alebluerose91 e Carocimi), che hanno aggiunto la storia alle Preferite (130! *stappa lo spumante*), alle Seguite (215) e alle Ricordate (15). Insomma, gente, vi adoro <3
Grazie alle nuove "reclute", grazie alle "vecchie" che mi seguono dall'inizio, grazie a tutte... Davvero, senza il vostro sostegno non so se sarei arrivata fin qui :*
Uhm oggi sono particolarmente emotiva, perciò passo e chiudo prima di farmi scendere la lacrimuccia commossa ;D
Vi lascio ricordandovi che potete trovarmi anche su Facebook! ^^
Un bacio e un abbraccio, al prossimo capitolo :*
Vostra,
Giuly.